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 2022  settembre 02 Venerdì calendario

Intervista a Michael Pollan - su "Piante che cambiano la mente"(Adelphi)

Undici milioni di ettari, dall’Africa all’Asia orientale, alle Hawaii, alle due Americhe: è la parte del pianeta che la pianta del caffè, la Coffea, ha conquistato grazie ai suoi - graditissimi dall’umanità - effetti psicoattivi. E oltre quattro milioni di ettari sono quelli conquistati dalla Camelia sinensis, la pianta del tè, per lo stesso motivo e per la stessa sostanza magica: la caffeina. Dal lato nostro, ci abbiamo guadagnato non solo una piacevole sferzata d’energia per iniziare la giornata, ma anche l’Illuminismo e la Rivoluzione industriale, come spiega nel saggio Piante che cambiano la mente (Adelphi) il giornalista Michael Pollan, che da trent’anni scrive del modo in cui l’uomo e la natura intrecciano le loro strade (uno dei suoi bestseller, Il dilemma dell’onnivoro, affrontava il rapporto tra cibi naturali, industriali e salute). Il nuovo saggio è dedicato a tre sostanze psicoattive, sui cui effetti mette doverosamente in guardia: la caffeina, l’oppio (ricavato dal Papaverum somniferum) e la mescalina (ricavata dal cactus Lophophora williamsii, noto come "peyote"). Il racconto della loro storia e delle loro applicazioni si mescola alle esperienze personali di Pollan: caffeinomane incallito, ex coltivatore di papaveri, ma anche direttore del nuovo Berkeley Center for the Science of Psychedelics della Università della California, dove si studiano gli effetti terapeutici delle droghe.

Crede che sottovalutiamo l’impatto della caffeina sulla nostra civiltà?
"La caffeina è stata una forza importante nello sviluppo della scienza e del capitalismo, perché ha promosso un tipo di pensiero diverso da quello che avevamo. Prima che il caffè e il tè venissero introdotti in Europa nel XVII secolo, la gente beveva molto più alcol e chi lavorava nei campi era quasi sempre brillo. Il caffè e il tè incoraggiano invece il pensiero lineare, la concentrazione, aumentano la resistenza e la memoria. La caffeina poi si è rivelata la droga ideale per il passaggio dal lavoro dei campi, molto fisico, a quello di precisione di chi doveva lavorare con le macchine. Caffè e tè sono stati insomma una manna per il capitalismo, per il lavoro mentale e anche per le arti: i pensatori dell’Illuminismo erano grandi bevitori di caffè. Diderot ne ingollava sette tazze al giorno".

Come fa la caffeina a tenerci svegli?
"Caffè e tè sono protettivi contro molti tipi di cancro, demenza, morbo di Parkinson. Probabilmente perché contengono molti antiossidanti. Ma c’è anche un aspetto negativo per la salute: l’impatto sul sonno. Nel nostro organismo l’adenosina arriva verso sera ai livelli massimi, spingendo il corpo e il cervello a rallentare e a riposare. La molecola della caffeina si inserisce perfettamente nei recettori cellulari per l’adenosina, bloccandoli. Così, una volta bevuto un caffè, nelle ore seguenti l’adenosina non può fare il suo lavoro. Ma continua ad accumularsi, cosicché, quando la caffeina, metabolizzata, è eliminata dall’organismo, le nostre cellule vengono inondate di adenosina e ci sentiamo più stanchi di quanto saremmo stati altrimenti...".

E così magari ci prendiamo un altro caffè, avviando un circolo vizioso...
"Il problema è che la caffeina rimane a lungo nel corpo. Se si beve un caffè a tarda ora, si può riuscire a dormire, ma non si ha un sonno a onde lente, che è molto importante per l’igiene del cervello perché è il periodo in cui si eliminano i "rifiuti" nel cervello e si archiviano i ricordi al posto giusto, "riordinando la scrivania", per così dire".

Le altre sostanze psicoattive del libro, come l’oppio, hanno svantaggi molto più seri. Anche per la fedina penale...
"Nel 1996 mi ero procurato il libro Opium for the masses di Jim Hogshire, un trattato sul giardinaggio piuttosto anticonvenzionale. La sua premessa era che chiunque può produrre oppio a partire da semi di papavero legalmente disponibili, e così dava tutte le istruzioni del caso. Mi venne in mente di provare a farlo e scriverci poi un articolo per Harper’s. Così mandai un’email a Hogshire per capire come procedere. Ma pochi giorni dopo seppi che Hogshire era stato appena arrestato dalla Dea. Acquistare semi e coltivare papaveri non era di per sé illegale, ma lo diventava se il coltivatore sapeva come ricavare l’oppio. E Hogshire, avendo pubblicato il suo libro, non poteva negare queste conoscenze. Io entrai nel panico. Per le leggi antidroga, la Dea avrebbe potuto confiscarmi il giardino e la casa e rischiavo cinque anni di carcere".

Comunque alla fine nessuno l’ha arrestata e i papaveri li ha coltivati...
"Ironicamente, proprio in quello stesso anno Purdue Pharma, commercializzando l’OxyContin, antidolorifico oppioide, dava il via a quella che sarebbe diventata una vera emergenza: solo l’anno scorso circa 100 mila americani sono morti per overdose. Si tratta del più grande problema di salute pubblica legato alle droghe che abbiamo mai vissuto. La Purdue Pharma ha convinto i medici che il dolore non veniva trattato bene e che le persone dovevano assumere oppioidi in caso di mal di schiena o di infortuni sul lavoro, insomma, cose per cui non erano mai stati somministrati. ".

Come funziona l’oppio?
"Nel nostro organismo esiste un equivalente: è l’endorfina, una sostanza che viene rilasciata sia quando proviamo dolore che durante l’esercizio fisico estremo. Ha presente lo sballo del corridore dopo un allenamento? Quella sensazione di benessere è dovuta al rilascio di endorfine. E quando ci facciamo male, il dolore viene attenuato dalle endorfine. L’effetto degli oppiacei è dovuto al fatto che il nostro organismo li scambia per endorfine, e del resto la maggior parte delle droghe ingannano il cervello presentandosi sotto le sembianze di sostanze che il cervello produce per i propri scopi".

Il terzo psicoattivo di cui ha fatto esperienza, la mescalina, ha un effetto diverso e particolarissimo.
"Come già scrisse Aldous Huxley nel saggio Le porte della percezione, passiamo la maggior parte del tempo a rammaricarci per il passato o a preoccuparci per il futuro. La mescalina riporta al presente, lo espande fino ad occupare tutto il nostro spazio mentale. In Messico, dopo aver ingerito il peyote, ho provato a pensare al futuro e non ci sono riuscito: ero del tutto assorbito dal presente. Normalmente il cervello, che riceve enormi quantità di informazioni dai sensi, ne filtra via moltissime, tenendo solo ciò che davvero può servirci. Se non esistesse questo filtro, saremmo inondati dai dati raccolti in ogni momento dai sensi e non riusciremmo a organizzare il pensiero. Ecco, la mescalina fa proprio questo: rimuove il filtro. Qualsiasi oggetto che abbiamo davanti diventa incredibilmente affascinante. Huxley rimase magnetizzato dalle pieghe dei suoi pantaloni, che collegava a Botticelli e alla pittura rinascimentale. Io più banalmente sono rimasto a contemplare in modo estatico, per un’ora, una ciotola di albicocche".