Corriere della Sera, 4 settembre 2022
Il Leone d’oro a Paul Schrader
VENEZIA «Paul è assai di più dell’elenco dei film che ci ha regalato. I suoi film sono molto diversi: realismo sociale, horror, satira, biografia, adattamenti letterari, ma sempre anticonformisti, originali e intellettuali. Nel corso degli anni Paul ha creato una serie di studi su personaggi chiamati lonely man o man in the Room, su figure di uomini che si sono auto-isolati e definiti superficialmente con la loro professione: taxista, gigolò, spacciatore di droga, arrampicatore sociale, reverendo, giocatore di carte e, stasera, giardiniere». È stata Sigourney Weaver fare gli onori di casa ieri sera in Sala Grande, accanto al presidente di Biennale Roberto Cicutto, in occasione della consegna del Leone d’oro alla carriera Paul Schrader, uno degli inventori della Nuova Hollywood.
Leone meritato, sostiene il diretto interessato. «Non fosse per il fatto che, oltre che regista e sceneggiatore, sono stato anche produttore. Mi sono trasformato in imprenditore per realizzare questi piccoli miracoli che sono i film».
L’ultimo, Master Gardener, l’ha portato qui al Lido fuori concorso. Il ritratto di un ortocoltore diligente – Narvel Roth affidato all’interpretazione di Joel Edgerton «un Robert Mitchum contemporaneo» – dall’atroce passato che si prende cura del giardino (e non solo di quello) di una ricchissima vedova, Norma Haverhill (Weaver). Quando la signora gli chiederà di assumere come apprendista la giovane nipote Maya (Quintessa Swindell) l’esistenza metodica del giardiniere sarà travolta dal caos.
Un altro solitario che si nasconde dietro la maschera del suo mestiere in attesa che la vita lo scuota, per lo sceneggiatore di Taxi driver, che chiude una trilogia formata da First Reformed e Il collezionista di carte. Tutti personaggi nati da un’unica matrice. «La letteratura europea, da L’uomo senza qualità di Musil a Dostoevskij, fino a Sartre. All’inizio è stato un tassista, all’epoca una presenza nuova nel panorama cinematografico. Ora l’ho rivisitato altre tre volte. La grande differenza è che ora è più vecchio, come me – dice il regista, 76 anni compiuti nel luglio scorso —. Da giovane aveva pensieri terribili, invecchiando si è evoluto, è diventato quello a cui si rivolgono gli altri. Ma è la stessa persona di prima. E spero di aver chiuso i conti con lui in questo film».
Con Bruce Springsteenci chiedevamo quale fosse il segreto per cui
film o canzoni possano avere un pubblico anche dopo vent’anni
La risposta? Non l’abbiamo trovata
Con una parabola di riscatto che può dirsi compiuta. «Appartengo a una generazione che ha scritto film molto violenti, ma la mia idea di redenzione si è evoluta, non è come quella cristiana per cui la salvezza deve passare attraverso il sangue. Narvel è un uomo che deve nascondersi, come capita a tutti i miei personaggi, ha un passato complicato per cui chiedere perdono. Un ex nazista in un giardino che lo cerca da una ragazza nera. Certo che il giardino è una metafora. È l’inizio di tutto, nell’Eden. La storia del mondo comincia lì».
Questa volta ha messo accanto al suo protagonista una donna di rara cattiveria, la Norma di Weaver. «Una dea del male», scherza Schrader. «Mi sono sempre chiesto cosa sarebbe successo in Taxi driver se Betsy, il personaggio interpretato da Cybill Shepherd, si fosse preso un caffé con Iris, quello interpretato da Jodie Foster».
Il film a cui è più legato? «Non ha senso fare classifiche. La cosa che più mi meraviglia è come le nostre opere vivano di vita autonoma. Ne parlavo tempo fa con Bruce Springsteen. Qual è il segreto per cui un film o una canzone abbiano ancora il loro pubblico dopo vent’anni. La risposta? Non l’abbiamo trovata».