Corriere della Sera, 4 settembre 2022
L’impero di Serena Williams
Cosa farai domani, Serena? «Karaoke, tutto il giorno». Canta che ti passa, la linea d’ombra è tagliata, la nostalgia sfumerà. Adesso che l’ultimo ballo è un rock afono per le urla smodate del centrale di New York ai suoi piedi (battuto il record di presenze: 23.859 spettatori), mentre l’Open Usa guarda avanti cercando di scorgere tra la folla la prossima regina, Serena Williams è la pensionata di lusso di un tennis che non c’è più: nessuna avrà mai più i suoi numeri (23 titoli Slam, 73 tornei vinti in carriera, numero 1 del mondo per 319 settimane), i suoi muscoli, la sua intensità.
Battuta in tre set dall’australiana di Zagabria Ajla Tomljanovic contro il volere popolare (ma c’è anche un rapporto di forze di cui gli dei del tennis non hanno potuto non tener conto), la più grande tennista di ogni tempo saluta ringraziando la Williams family (papà Richard, che senza aver mai preso in mano la racchetta decise che le figlie sarebbero diventare campionesse, è il vero visionario della famiglia), la sorella Venus («Senza di te, io non esisterei»), i tifosi, e rivolge lo sguardo verso il box degli ospiti, cioé il suo futuro: il marito Alexis Ohanian, miliardario americano di origine armena, il suo vero riscatto sociale, e la piccola Olympia, 5 anni, cui sono state intestate quote delle Angels City di Los Angeles, la nuova franchigia del calcio femminile Usa su cui il fondatore di Reddit ha deciso di puntare. Serena Ventures, 111 milioni di dollari in partenza (2014), investimenti in oltre 60 start up, è il mondo finanziario in cui la fuoriclasse si immergerà da domani, esaurite le canzoni nel karaoke, con un occhio di riguardo per i touch down dei Delfini di Miami, il team di football di cui è diventata azionista nel 2009 insieme a Venus, la squadra del cuore dell’ex losangelina di periferia (ghetto di Compton, dove fischiavano le pallottole della gang dei Bloods) trapiantata in Florida, a Jupiter, enclave ricca della grassa Palm Beach, buen retiro di Serena.
«Se fossi un uomo, non dovrei scegliere tra allargare la famiglia e continuare a giocare» ha scritto su Vogue Usa alla vigilia dell’ultimo giro di valzer. Ma come un uomo – grazie alla pioniera Althea Gibson (la prima tennista di colore ad annettersi un Major), alla pasionaria Billie Jean King e a se stessa —, Serena Williams ha incassato: 45 milioni di dollari a stagione dai marchi che la sponsorizzano, 300 mila all’anno di ingaggi e premi dai tornei per un totale di 94.739.080 guadagnati in soli prize money (record assoluto), più del doppio di qualsiasi altra tennista; lo scorso marzo Forbes la piazzava al n.31 dei Paperoni nonostante fosse ferma per infortunio da dieci mesi. L’essere apparsa in due spot (Michelob Ultra, una birra, e Tonal, attrezzi per il fitness) durante il Superbowl 2022 ne certifica la popolarità globale. Anche a Maria Sharapova, la nemesi bionda di Serena, oggi fresca mamma, è riuscita con successo la transizione da atleta a business woman, ci sono stati anni in cui l’algida bellezza della russa (benché molto meno vincente) ha attirato più sponsor del muscolare atletismo della Williams, Serena ne ha sofferto però alla fine si è presa la rivincita: un addio in mondovisione, i tweet trasversali della società civile che conta (dai coniugi Obama a Tiger Woods, da Mike Tyson a Zendaya, il nuovo idolo pop delle adolescenti), un grande avvenire alle spalle e un bouquet di consigli d’amministrazione apparecchiati davanti, il banchetto a cui sfamarsi.
A 41 anni (il 26 settembre) le opzioni per dare un fratellino a Olympia non mancano: con la prima gravidanza rischiò la vita, più prudente affidarsi alla scienza. Il suo libro per bambini esce il mese prossimo: le avventure di Qai Qai, la bambola di Olympia, già 335 mila follower su Instagram. Re Mida, in confronto, era un pivello.