Corriere della Sera, 4 settembre 2022
The Conservateur, il nuovo Vogue di destra
«Vogue odia le donne conservatrici più di quanto ami la moda». Erano i primi mesi dell’amministrazione Biden, il mensile fashion più famoso al mondo aveva deciso di intervistare l’allora portavoce della Casa Bianca Jen Psaki e a Fox erano furiosi. In quattro anni di Trump, nessuna copertina per Melania, o profili delle addette stampa Sarah Huckabee Sanders e Kayley McEnany. Sulle riviste patinate, Vogue compresa, Melania ci era stata tante volte da modella, e da fresca sposa di Trump, mai come first lady. Michelle Obama tre volte, Hillary Clinton e Jill Biden una. Nancy Reagan, Barbara e Laura Bush furono fotografate, ma non per la cover.
Se i consumi culturali sono ormai il primo specchio degli «Stati divisi d’America», perché la moda non dovrebbe seguire lo schema? Jayme Chandler Franklin e Isabelle Redfield, rispettivamente 24 e 23 anni, diventate amiche lavorando alla Casa Bianca trumpiana, hanno avuto un’idea. «Eravamo entrambe ragazze alla moda, ma non potevamo più leggere Vogue», ha raccontato Redfield al New York Post. «Tutto andava così a sinistra. Pensavamo che i loro contenuti fossero davvero tossici e negativi per le donne». Nasce di lì l’impresa di The Conservateur, rivista online pensata per le girls, come dicono loro, di destra, con al centro «fede, libertà, famiglia e amici». E tanto glamour.
Se i progressisti boicottano le aziende non socialmente responsabili, in «vota con i tuoi dollari» si suggerisce di non comprare vestiti delle marche che finanziano il movimento per il diritto all’interruzione di gravidanza. I democratici si mobilitano contro la sentenza che ha cancellato Roe vs Wade, The Conservateur glorifica la maternità e scrive che l’aborto «rafforza il patriarcato». Il mondo progressista parla di identità di genere e diritti per i trans, loro titolano un pezzo «L’abolizione della donna». Anche i consigli di stile sono diversi: la moda è meno europea, più all-american: tubini, jeans, stivali e cappelli da cowboy.
Sta crescendo una «economia duale», ha detto Franklin, incinta della prima figlia, a Politico – «diversi segmenti della società si rivolgono a diverse fonti per il divertimento, il tempo libero, i consumi». E anche se il mainstream è «incapace di essere accogliente» per i conservatori, l’opportunità che questa doppia economia rappresenta è «massiccia».
L’apertura del numero di agosto ospita una trionfante Lara Trump. La moglie di Eric, terzogenito dell’ex presidente, è fotografata avvolta in un abito da sera di taffettà viola «nell’appartato pezzo di paradiso della sua famiglia», Mar-a-Lago, dove con il marito ha deciso di crescere i due figli («Da quando ne ha è più donna di quanto non sia mai stata»). Le guerre culturali hanno da sempre delle trincee geografiche, e la Florida è diventata, tra Trump che ne ha fatto il suo rifugio e il successo a destra del governatore Ron DeSantis, il paradiso dei repubblicani. «Al sicuro in DeSantisland», si legge nel pezzo, come tanti newyorchesi «scappati durante la tirannia del Covid» (nel Sunshine State è rimasto sempre quasi tutto aperto). A The Conservateur il governatore della Florida piace tantissimo, soprattutto le sue leggi – definite dai critici razziste e anti-gay – per controllare i programmi scolastici: «La famiglia di Lara non deve preoccuparsi di libri osceni negli zaini dei ragazzi».
A proposito di libri e di nicchie di mercato ideologiche, in Texas è nata da un annetto una casa editrice per bambini che vuole promuovere i valori della destra. Il titolo sul diritto al porto d’armi ha come coautrice l’ex portavoce della National Rifle Association Dana Loesch (ma c’è anche un volumetto sui pericoli del socialismo). Le guerre culturali si combattono ovunque, dalle biblioteche alle pagine patinate.