La Stampa, 4 settembre 2022
Intervista a Chimamanda Ngozi Adichie
«Oggi più che mai dovremmo essere tutti femministi. Sui diritti delle donne stiamo tornando indietro in modo preoccupante». La strada per la parità di genere è lunga, ne è ben consapevole la scrittrice e attivista Chimamanda Ngozi Adichie, che esattamente dieci anni fa, durante un Ted Talk, tenne un discorso dal titolo Dovremmo essere tutti femministi. Un discorso diventato iconico, visualizzato da 7 milioni di persone, trasformato nel saggio omonimo (in Italia pubblicato da Einaudi) e finito in una canzone di Beyoncé e su centinaia di magliette di moda. Scrittrice di romanzi (dal debutto con L’ibisco viola a Americanah) e saggi (Cara Ijeawele: quindici consigli per crescere una bambina femminista), inserita nel 2015 dalla rivista Time fra le 100 persone più influenti del mondo, Adichie in questi giorni è a Cernobbio, sul Lago di Como, per il Forum Ambrosetti, dove ha partecipato a un dibattito sulle disuguaglianze.
Dieci anni fa “avremmo dovuto essere tutti femministi”. Ci siamo riusciti? E cosa dovremmo essere oggi?
«Dobbiamo ancora essere tutti femministi per un semplice motivo: non lo siamo abbastanza. Un miglioramento c’è stato perché almeno ne discutiamo, e quello di cui parli lo vedi meglio. Credo che molti uomini sarebbero femministi se vedessero la situazione per quella che è realmente. E cioè che disparità di genere e discriminazione delle donne sono ancora problemi enormi».
I numeri dicono che solo una ventina di Paesi su circa 200 ha una donna a capo del governo o dello Stato. Il Global Gender Gap Index del World Economic Forum calcola che per una reale parità economica e politica serviranno altri 132 anni. Come si possono accelerare i tempi?
«Terribile, fa effetto. Ma da quanto tempo siamo sulla terra noi esseri umani? E da quanto gli uomini escludono le donne? È normale che sia un percorso lungo, purtroppo, però, non stiamo facendo abbastanza per cambiare la situazione».
La prima ministra finlandese Sanna Marin si è sentita costretta dalle polemiche a fare un test antidroga dopo la diffusione di video che la mostravano ballare a una festa. In segno di solidarietà, Hillary Clinton ha postato una foto che la ritrae mentre si scatenava in pista quando era segretaria di Stato e la deputata Usa Alexandria Ocasio-Ortez ha improvvisato alcuni passi. Come giudica questa valanga di critiche a Marin?
«Dico che la polemica c’è stata perché è donna. La gente non è diretta quando parla e allora c’è stato chi ha detto “beh, non è appropriato per una premier comportarsi così”. Ma quel che volevano dire è: “non è appropriato per una donna”. Io quando l’ho vista ballare ho pensato solo: grazie a Dio questa politica ha una vita. Non dobbiamo fingere che i politici siano diversi da noi. È bello sapere che chi fa il suo lavoro poi sa anche rilassarsi. Mi dispiace che Marin si sia scusata per la foto delle due donne in topless e che abbia fatto il test antidroga. Io non l’avrei fatto. Perché scusarsi, perché hanno violato la tua privacy? È questo che è oltraggioso e che va condannato. Tutta questa bufera non si sarebbe scatenata su un uomo».
In Italia non c’è mai stata una donna a capo del governo o dello Stato ma secondo i sondaggi alle elezioni potrebbero vincere le destre e Giorgia Meloni potrebbe diventare prima ministra. Il dibattito è molto acceso: la prima donna premier è sempre una vittoria per il femminismo o dipende dal programma politico, soprattutto sui diritti?
«Premetto che non conosco la politica italiana e preferisco esprimermi su ciò che conosco. Ma parlando in generale: 5 anni fa avrei detto “sì, senza dubbio è una buona cosa”. Oggi? Anche. Penso che se anche una candidata non ha un programma politico che condivido la sua nomina è comunque importante per una questione di rappresentanza delle donne. Se diventerà premier ci saranno bambine che la vedranno lì in quel ruolo e sapranno che è possibile anche per loro. Abbiamo il difetto di volere la perfezione ma se aspettiamo la persona perfetta il cambiamento non arriverà mai o arriverà troppo tardi».
Conta più il genere del programma?
«Magari questo passaggio aprirà un varco anche ad altre donne, con programmi femministi che si condivideranno di più. A noi donne vengono richiesti standard sempre più alti. In Nigeria ci sono politici corrotti e la gente quasi non si stupisce, in Italia immagino sia lo stesso. Quando corrotta è una donna le critiche sono feroci. Non vogliamo politici corrotti ovviamente, né donne né uomini, ma anche la rappresentanza conta, occupare uno spazio. Non è una brutta cosa che vinca una donna che non ci piace. Abbiamo alle spalle secoli di brutte politiche maschili».
Oggi aggiungerebbe un suggerimento ai suoi “quindici consigli per crescere una bambina femminista”? E sua figlia sta crescendo femminista?
«Solo uno: “ricorda che questi 15 consigli sono difficili da seguire. Ma anche che sono fattibili”. Io ci provo tutti i giorni, e mia figlia sta crescendo femminista. Con l’esempio e il confronto. È una bella bambina e una volta mi ha detto contenta: “Mamma mi chiamano principessa”. Io sinceramente non ero molto felice ma poi le ho detto: “Ok, fatti chiamare così se ti piace ma sappi chi sono le principesse, e cioè donne belle che non fanno nulla, noiose”. E allora lei, che di cose ne vuole fare e ama i supereroi, mi ha detto: “Preferisco essere una supereroina allora”. Ero molto orgogliosa».
Sulla carta viviamo nell’epoca dei diritti. Nei fatti, la Corte Suprema americana ha cancellato il diritto costituzionale all’aborto, in Italia si registra un femminicidio ogni 3 giorni, con dati in crescita.
«Sui diritti delle donne stiamo andando indietro, almeno in America ora è terribile. La Corte Suprema ha fatto una cosa terribile. Quando la decisione torna agli Stati è sempre un pessimo segnale».
Dopo le proteste per l’uccisione di George Floyd in molti hanno sperato in un cambiamento ma un nuovo rapporto del Pew Research Center dice che secondo due terzi degli afroamericani non è cambiato nulla sul fronte delle discriminazioni.
«Forse è solo superficiale e non va in profondità ma io un timido cambiamento lo vedo. Se ne parla, e questo è già qualcosa, ed è aumentata la rappresentanza della popolazione afroamericana al cinema, nella pubblicità, etc. Meno escludi, più vedi e più migliori».
I romanzi che scriveva da bambina avevano personaggi bianchi perché, ha detto, nei romanzi «avevo sempre trovato personaggi bianchi».
«Avevo sei anni e scrivevo solo di bianchi perché nei libri che avevo letto, nei libri che si trovavano in biblioteca, i neri non esistevano, quindi pensavo che i personaggi dei romanzi dovessero essere bianchi. A 10 anni ho capito. E cambiato».
Sta lavorando a qualcosa ora?
«No. E anche se fosse sì direi no perché sono superstiziosa, e penso che se riveli di star scrivendo un libro possa svanire l’idea che avevi in testa». —