La Stampa, 4 settembre 2022
I tesori trafugati tornano in Italia
Gli investigatori di New York hanno bussato per tre volte negli ultimi sei mesi alle porte del Metropolitan Museum of Art. In una mano il mandato di perquisizione, nell’altra le immagini delle opere d’arte – sculture, dipinti, vasi di ceramiche, anfore risalenti al periodo egizio, romano e greco – che nelle sale del Met sono in mostra da decenni e finite lì al termine di uno scambio di proprietà fra trafficanti, faccendieri e gang.
Ventisette pezzi in tutto, valore 13,2 milioni di dollari. Ventuno opere sono destinate a tornare in Italia, le altre sei in Egitto.
Martedì, nel corso di un solenne cerimonia, ci sarà l’annuncio del rimpatrio. Che avverrà in tempi brevissimi. Seguendo l’esempio di Los Angeles, dove, sponda Getty Museum, questo mese partirà alla volta dell’Italia L’Orfeo e le Sirene, composizione in terracotta, datata 350 a.C. L’11 agosto il museo ha annunciato infatti la restituzione della composizione scultorea. L’Orfeo sarebbe già stato imballato.
A stretto giro dovrebbero tornare in Italia altri pezzi, come collane di pietra, una testa in marmo, opere etrusche e un dipinto di Camillo Miola, «L’oracolo di Delphi». Il Getty aveva da tempo annunciato una revisione della sua politica, affermando che nel momento in cui veniva dimostrato che un’opera custodita dal museo era stata oggetto di traffici illeciti sarebbe stata restituita ai proprietari. Non definita ancora, invece, la sorte dell’Atleta di Fano, sempre al Getty, mentre sul Doriforo di Policleto – esposto in un museo di Minneapolis – pende una rogatoria internazionale.
Otto delle opere sequestrate al Met sono passate di mano in mano dietro la regia di un siciliano, Gianfranco Becchina, proprietario di una galleria d’arte in Svizzera e da decenni nel mirino delle autorità italiane. Nel 2001 è stato indagato per commercio illegale. Tuttavia, gli altri pezzi sono arrivati al Metropolitan ben prima che Becchina fosse accusato di illeciti. Ma questo, secondo alcuni esperti che hanno parlato al «New York Times», non assolverebbe il Met dall’essersi comportato con troppa disinvoltura, acquistando dalla Galerie Antike Kunst Palladium di Basilea moltissime opere.
Il Met si è difeso, dicendo di aver scoperto solo in seguito all’avvio delle indagini da parte del procuratore distrettuale di New York della provenienza quantomeno dubbia di alcune opere. «Le regole per le collezioni sono cambiate significativamente negli ultimi 20 anni e le politiche del Met sono costantemente sotto revisione e monitoraggio», ha spiegato un portavoce del museo che non è implicato nel traffico illegale.
Una delle opere di maggior valore è una ciotola dipinta, risalente al 470 a.C. Fu acquistata dalla galleria di Becchina nel 1979. Tornerà in Italia anche una statuetta raffigurante una divinità greca del 400 a.C. comprata nel 2000 dall’antiquario inglese Robin Symes. Symes è lo stesso mediatore coinvolto nella vendita di una statua di Afrodite al Getty Museum nel ’98 per 18 milioni che l’istituzione di Los Angeles ha deciso dopo un lungo braccio di ferro di restituire all’Italia nel 2007.
Gli investigatori hanno preannunciato altri blitz al Met. Rivendica la restituzione delle opere anche il governo della Cambogia. Un vero e proprio saccheggio era avvenuto nei siti religiosi durante gli anni dei Khmer rossi. Molte opere sono state vendute falsificando l’elenco dei proprietari, producendo attestati di transazioni inesistenti. È quanto capitato alla «Donna con il Mantello Blu», valutato 1,2 milioni di dollari (tornerà all’Egitto); e a una bara con incisioni dorate risalente al I secolo a. C. che il Met ha restituito all’Egitto nel 2019: venne acquistata nel 2017 per 4 milioni di dollari da un venditore di arte di Parigi e i passaggi di proprietà erano stati camuffati tanto da far apparire pienamente regolare la vendita.
In uno di questi giri è rimasta coinvolta anche Kim Kardashian, accusata nel maggio 2021 dal governo Usa di essere destinataria di una scultura romanica. La statua venne sequestrata nel 2016 al suo ingresso dall’Italia negli Usa. La più celebre delle influencer Usa si difese dicendo di «non aver mai comprato quel pezzo», di cui nemmeno sapeva l’esistenza. Si scoprì essere finita in una lista fasulla. Ma il Met – ha sentenziato Derek Finchman, professore di proprietà culturali del South Texas – «dovrebbe fare di più per appurare l’origine delle opere che compra». Più di Kim Kardashian di sicuro.