La Stampa, 4 settembre 2022
Gli operai votano a destra
Alla festa della Cgil di Forlì, parlando con i cronisti, il segretario regionale Massimo Bussandri si sfoga: «Se vado in assemblea e dico ai lavoratori di votare contro la destra mi chiedono che cosa ha fatto la sinistra negli ultimi 20 anni. E la risposta è: “Il Jobs act e la legge Fornero”. Non basta candidare Susanna Camusso per invertire la tendenza del Pd. Al posto suo io avrei fatto scelte diverse. E se non dovesse essere eletta dovrebbe restare lontana dalla Cgil per un anno. Questa è un’autonomia che rivendichiamo».
L’indignazione, anzi l’autentico livore nei confronti del Pd, del dirigente della Cgil emiliana è qualcosa di più profondo dell’occasionale mal di pancia di un militante che frigge le salamelle raccolto da Repubblica. È invece il punto di vista di un importante funzionario del principale sindacato italiano che esprime lo stato d’animo del gruppo dirigente dell’organizzazione. Tanto che nel quartier generale di corso d’Italia si racconta la storiella dell’auto di servizio tolta proprio a Camusso per la campagna elettorale in nome dell’autonomia del sindacato rispetto ai partiti. Siamo insomma al rovesciamento delle cinghie di trasmissione, metafora del primo Novecento che indicava il rapporto strettissimo tra i partiti della sinistra e i sindacati. Un atteggiamento, quello della Cgil, che sta irritando non poco il Pd: «Il sindacato di Landini – dicono nel partito di Letta – non sta facendo campagna elettorale».
«Provate a mettervi nei nostri panni», dice un dirigente. E aggiunge: «Siamo ancora qui a dover spiegare ai nostri delegati che il Pd non è il partito di Renzi, quello che ha tolto l’articolo 18. Che il Pd non è quello della legge Fornero, che ha tenuto le persone in fabbrica per cinque, sei, sette anni in più prima della pensione. E dobbiamo anche convincerli che dobbiamo accettare tutte queste cose, se no arrivano i fascisti. I quali, per parte loro, promettono la pensione per tutti dopo 41 anni di lavoro». Non facilissimo, in effetti.
Non aiuta nemmeno il fatto che il Pd faccia poca campagna di fronte ai luoghi di lavoro. Alcuni giorni fa gli operai di Mirafiori raccontavano su questo giornale i motivi della loro scelta a favore della destra. Non era, evidentemente, un sondaggio ma una raccolta degli stati d’animo, inevitabilmente casuale, di chi entrava e usciva dai cancelli. Dove comunque continuano a lavorare 12 mila persone, non quattro gatti. Nei prossimi giorni arriverà a quei cancelli Matteo Salvini, pronto a mietere consensi. Non risulta, al momento, programmato, un comizio di Letta: «Forse però lo troverete con il megafono a fare un comizio di fronte alla Compagnia di San Paolo», commentava sarcastico ieri pomeriggio un sindacalista parlando della Fondazione che governa Banca Intesa.
Insomma, non si respira un bel clima. Da tempo la Cgil non è più il sindacato di riferimento del Pd e il Pd non è più il partito di riferimento della Cgil. Il sindacato di Landini sembra dialogare con più facilità con i 5 stelle di Conte, l’area di Bersani, la sinistra interna del Pd di Orlando (che però non è in grado di determinare la linea del partito). All’estero il sindacato di corso d’Italia sembra più affascinato dalla sinistra radicale francese di Melenchon. Il sindacato che guarda con maggiore attenzione al Pd è invece la Cisl. Tanto che nell’inverno scorso la Cgil proclamò uno sciopero contro il governo Draghi (portandosi a rimorchio la Uil), mentre il sindacato di Sbarra non partecipò alla mobilitazione giudicandola inutile e velleitaria.
Nel frattempo nelle fabbriche gli operai hanno da tempo deciso che non esistono più cinghie di trasmissione e votano in ordine sparso. Se nemmeno in Emilia Romagna la Cgil riesce a garantire un serbatoio di voti al Pd, figurarsi nel resto del Paese. Maurizio Landini è il primo segretario generale post-partitico della Cgil. Nel senso che la sua biografia non affonda le radici nella storia dei partiti tradizionali della sinistra. Per questo gli è più semplice praticare quell’autonomia dai partiti che aveva teorizzato negli anni ’90 un sindacalista di rilievo come Claudio Sabattini. Landini ha portato quella linea alle sue conseguenze di oggi. Come ha dichiarato anche di recente la Cgil tratta con tutti i governi e a tutti ripropone le sue richieste. Ma non sarà facile ricordare l’8 ottobre prossimo i pericoli che vengono dall’estrema destra (nel primo anniversario dell’assalto alla sede della Cgil) e doverci trattare a palazzo Chigi magari firmando con Meloni l’accordo sulle pensioni a 41 anni. Per Pd e Cgil si apre una stagione molto complicata. —