La Stampa, 4 settembre 2022
La povertà energetica
Con i capelli raccolti e un grande sorriso, Silvana varca il cancello. Solo lo sguardo tradisce il disagio, la tristezza. Abbraccia uno dei volontari che le tende un pacchetto di pasta. Da un paio di mesi, ogni mattina, percorre l’interminabile fila all’ingresso. Nonostante i suoi 75 anni, col sole, col caldo, è costretta a «fare la spesa» qui, in una delle due sedi milanesi della Onlus Pane Quotidiano: «Ho due figli, prima lavoravano entrambi. Con la pandemia il più giovane, di 46 anni, ha perso il lavoro. L’ho ripreso in casa – racconta –, ma è aumentato il costo di tutto, soprattutto delle bollette. Con 800 euro di pensione non riesco a mettere insieme il pranzo con la cena pure per lui».
Silvana – nome di fantasia come gli altri, per «senso del pudore», perché «ci si vergogna» – è una delle migliaia di persone che tutti i giorni, dal lunedì al sabato, anche a Natale, chiedono aiuto all’associazione Pane Quotidiano, con le sue due sedi milanesi, in viale Toscana e in viale Monza.
In questa primavera di crisi economica e rincari, il numero delle persone in fila è cresciuto. Un trend negativo destinato a salire, come dimostrano anche gli ultimi dati diffusi dalla Cgia di Mestre. Si parla di 9 milioni di italiani a rischio povertà energetica, «che già oggi usano saltuariamente luce e gas», di almeno 4 milioni di famiglie, concentrate soprattutto al Sud, su cui pesano anche gli aumenti del prezzo degli alimenti per 794 euro a nucleo, conteggia il Codacons.
Numeri del grande disagio che si legge negli occhi dei tanti ospiti in fila. I primi si piazzano all’ingresso alle 6,30 del mattino «che se arrivi tardi, rischi di trovare poco e niente», ma alle 9 la coda arriva quasi all’ingresso del nuovissimo campus della Bocconi. Sotto la pioggia e sotto il sole di agosto, con la città svuotata dalle vacanze e i turisti stranieri che fanno shopping nelle boutique del centro.
«Da una media di 3 mila persone al giorno negli ultimi quattro mesi siamo passati a 3.500, 4 mila e temiamo per quest’inverno. Neanche con la pandemia era successo», ricostruisce Luigi Russo, vicepresidente dell’associazione laica che dopo oltre un secolo di storia, quest’anno raggiungerà il record di oltre un milione di sacchetti donati. Fondata nel 1898 dopo la «rivolta del pane», ancora oggi Pane Quotidiano raccoglie le eccedenze alimentari delle aziende per distribuirle ai poveri: «Non so se sia così – riflette il vicepresidente – ma mi piace pensare che la pasta, il latte, le verdure che ci donano vengano prodotte in eccesso proprio per sfamare i bisognosi».
Negli anni il vicepresidente ha visto cambiare i volti e le storie dell’indigenza: «Prima il 90 per cento dei nostri ospiti erano stranieri, ora sono solo il 65, e il 35 per cento sono italiani. Non perché gli stranieri siano diminuiti, anzi. Ma sono aumentati a dismisura i milanesi in difficoltà. C’è chi ha perso il lavoro o guadagna troppo poco per arrivare a fine mese, soprattutto ci sono tanti anziani che con la pensione non ce la fanno. Un fiume di povertà che sta straripando e che noi cerchiamo di arginare con qualche sacchetto di sabbia».
Nel centro ci sono i banchi con i volontari divisi in postazioni: chi distribuisce il pane, chi lo yogurt, il salame, la frutta, a seconda di quello che c’è in magazzino. In fila, con i genitori e due fratellini, c’è anche Asha, una bimba cingalese di appena quindici giorni, la più giovane ospite del centro, legata al seno della mamma con una fascia colorata. «A ogni persona che si presenta doniamo una razione di cibo che corrisponde al pranzo e alla cena: anche la piccoletta avrà la sua proprio come gli adulti», spiega il vicepresidente Russo.
C’è Paolo che ha 80 anni e una figlia gravissima su un letto di ospedale: «Ho provato a rateizzare le bollette ma non riesco a pagarle. Non mangio se non vengo qui». Racconta Claudio Falavigna, 70 anni a dicembre, uno dei coordinatori dei 170 volontari che lavorano a rotazione: «Sono tanti a lamentarsi per i rincari dell’energia. Molti hanno difficoltà anche con l’affitto e non riescono a pagare le bollette. L’aumento dei prezzi ha messo in ginocchio chi riusciva a vivere in un equilibrio già precario».
Ci sono anche tante donne ucraine con i bambini che ridono, giocano, chiedono i pennarelli colorati, ragazze giovanissime, colf che hanno perso il lavoro. «Con la guerra ne sono arrivate molte – fa i conti Falavigna – anche cento, centocinquanta al giorno. Hanno raggiunto i parenti a Milano, fratelli, cugini, che le hanno ospitate magari stringendosi in piccoli bilocali, ma senza un lavoro non sanno come fare a sfamare i bambini». Poi il volontario sospira e riflette: «Ma l’aumento maggiore si è registrato tra gli italiani: famiglie con bambini in cui a lavorare, poco e magari in nero, è solo un genitore. Tanti papà separati che vivono sulla circolare 90-91, dormono nei giardinetti o nelle stazioni dismesse. Ogni giorno tornano qui, come diciamo noi, con il loro “monolocale": una valigia, uno zaino o semplicemente un fagotto. Dentro c’è tutta la loro vita».