La Stampa, 3 settembre 2022
Rappare in nome di Cristo
Niente strofe intrise di violenza, droga e sesso, ma rime nel nome del Padre. Inni di speranza e amore, che il rap cristiano è pronto a diffondere. Perché ciò che conta è trasmettere un messaggio positivo: ed è questo l’obiettivo della Christian Jam, il primo raduno hip hop di questo genere, che si tiene oggi ad Alessandria.
In Italia, al contrario di Stati Uniti e America Latina, i «figli di Dio» dediti all’hip hop sono ancora pochini. Il popolo mainstream forse nemmeno sa che esistono. Ma le loro canzoni, in tempi colmi di vanità, soldi e finzione, sono un’alternativa da non sottovalutare. Per tutti, però, sono «quelli strani». Jus Spaccia Verità, all’anagrafe Giuseppe Gentile, 28 anni, di Rapallo, è schietto: «Alle superiori a spesso venivo bullizzato dai miei compagni di classe per la mia fede». Nato in una famiglia evangelica, fin in da piccolo frequenta la chiesa: «Ricordo che da bambino mio padre acquistò un disco di rap cristiano latino e per me fu una rivelazione». Cresce ascoltando Fabri Fibra e Club Dogo, ed è solo verso i diciotto anni che comincia a scrivere canzoni in linea con il suo percorso di fede. Promesse da marinaio è uno di quei brani: «Rispecchia la vita di un cristiano, fatta di battaglie. Il mare è il mondo che può allontanarci dalla giusta rotta».
I pezzi, distantissimi da quelli di Emis Killa o Massimo Pericolo, sono agli antipodi rispetto a certe hit con insulti, offese e parolacce: «Gli artisti italiani che vanno per la maggiore sono forti, ma i testi sono saturi e tutti uguali. Tutto ciò che è fuori moda non viene calcolato dai giovani».
Al momento per i discepoli del rap le classifiche sono un miraggio, ma loro non se ne curano. Non fanno musica per i numeri o la fama, ma per comunicare le parole di Cristo: «Cantiamo nelle Chiese, piano piano stiamo scavalcando quella religiosità che ci blocca». E poi, mai dire mai: negli Usa Nf, pseudonimo di Nathan John Feuerstein, si è piazzato al numero uno – battendo anche Chance the the Rapper – con il suo album The Search.
Il pioniere del movimento è Thomas Valsecchi, in arte Shoek, classe 1986. Nasce in comunità a San Patrignano, entrambi i genitori sono tossicodipendenti. La sua vita è tutta in salita: abbandoni, droga, spaccio. Poi incontra una ragazza sul bus che gli parla di Dio. Da lì inizia la redenzione: «Il mio cambiamento è durato anni». Ai giovani dice: «Dio non è l’immagine che la Chiesa propone. Non guardate a una religione e agli errori dell’uomo, c’è qualcosa che va oltre. Dio non è noioso». Secondo Shoek il rap cristiano «non è stato supportato dalla Chiesa» e per questo è ancora indietro: «Sono stato criticato giudicato, condannato, anche da persone cristiane. Solo ora il mondo ecclesiastico si sta abituando a una musica che non sia “alleluia, alleluia”. Molti rapper cantano vite che non vivono, stanno rovinando la gioventù. Ma voglio dire ai ragazzi che ognuno di loro ha un valore e che la vita non va sprecata».
Sulla pagina Instagram Gospel Flow, oltre alle playlist dedicate, si trovano le novità su nuovi talenti (come MacolG e Virus Mc) e volti storici. Tony Kaza, vero nome Antonino Daidone, nato a Trapani nel 1984, è della vecchia scuola: «Non riuscivo a colmare quel bisogno di amore che sentivo e iniziai a cercare le risposte nei libri. L’unico in cui le trovai fu il Vangelo. Cominciai a pregare e mi resi conto che Dio esiste e non è un’utopia». Per il rapper il Signore è l’unica soluzione: «In questo marasma di guerre ed epidemie è uno scudo, un baluardo».