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 2022  settembre 03 Sabato calendario

La scuola (non) è una monnezza

«Pressore’, noi in Inglese famo schifo, non se faccia illusioni, ’sta scuola è ’n cassonetto, e ’a monnezza semo noi», dice Daniele, Quinta A, alla nuova insegnante d’inglese. Eppure lei, che ha accettato con entusiasmo la supplenza annuale nella grande scuola della periferia romana (oltre mille studenti, più di centoventi docenti) non si scoraggia. Davanti, un anno intero che si concluderà, per i fortunati, con il diploma. Perché in questa scuola niente è certo: ragazzi che si ritirano, ragazzi che vengono bocciati.
Domani interrogo (Marsilio), il nuovo libro di Gaja Cenciarelli, non è solo un romanzo sulla scuola, ma uno spaccato sociale, nonché un ritratto dei ragazzi di borgata diversi dai loro predecessori, quelli di Walter Siti, a loro volta diversi da quelli di Pasolini.
Chi sono oggi ce lo racconta l’autrice che li ha conosciuti, avendo davvero insegnato inglese in un istituto tecnico di periferia. La sua perciò è una borgata reale, non approssimativa come spesso leggiamo nei libri o vediamo nei film (del resto sono dovuti passare trent’anni perché qualcuno, Siti, raccontasse che la borgata non era più quella di Pasolini).
Torniamo però alla finzione: la Quinta A del romanzo è composta da ventisei ragazzi. Da un parte dunque loro: Margherita, Sofia, Francesco, Alessandra, Daniele, Bolivia, Rabhil, Tarek, Marco, Flavio – quelli che conosceremo meglio —, dall’altra lei, la professoressa di cui all’inizio sappiamo poco e via via qualcosa, insieme agli studenti (non è sposata, né fidanzata, niente figli. Il Natale? Lo passa da sola). Lei che vive una battaglia interiore perenne, due voci nella testa che non fanno altro che battibeccare: una dice di abbandonare l’idea romantica di insegnamento, non può continuare così. L’altra dice: sì, continua così. La prima è anche la voce dei colleghi, i benpensanti come quello che di recente l’ha avvisata: «Non puoi portarti la scuola a casa, io il mio numero di cellulare agli studenti non lo do nemmeno morto». Lei il suo lo ha dato («Pressore’, facciamo un gruppo di classe su WhatsApp?»; «Ma sì, dai, facciamolo, così se avete bisogno potete contattarmi lì, e viceversa») e non si lamentasse poi se i ragazzi si allargano. Perché si allargano, si confidano, si offendono, mandano a quel paese quindi si pentono. Chiedono scusa, si chiudono a riccio, si aprono, superano il limite. Qual è il limite? – una delle domande attorno a cui ruota la storia. Hanno ragione i professori che praticano la distanza come strumento per l’autorevolezza? Di contro: la distanza ha senso con questi ragazzi? Ecco cosa fa la protagonista del libro, capire chi sono i diciottenni che ha di fronte, d’impatto duri e disillusi, sotto sotto, molto sotto, impauriti e fragilissimi. È lì che lei vuole arrivare, e laggiù, in quel sotto sotto – per molti sottosuolo, la mondezza di cui parlava Daniele – comunicare: ora con grazia, ora con forza come sulla questione droga che, in questo istituto di periferia, non è argomento, piuttosto fatto. Poco importa che nei corridoi studenti grandi la minaccino, lei non si spaventa, anzi: «Piantatela». E ancora: «Studiate, prendetevi ’sto straccio de diploma. Pure per fare la vita che fate voi ce vole intelligenza, e se non vi abituate a ragionare, troverete sempre qualcuno che ve frega, là fuori. Più parole conoscete, più sarete voi a fregare gli altri».
Entra perciò in campo un altro concetto: la salvezza. Non la salvezza in astratto, bensì nello specifico – che sia forse questo insegnare? Insegnare e fare politica?
Domani interrogo è libro sulla scuola, spaccato sociale, resoconto acuto di inizio giovinezza dove spesso si sbaglia misura (indipendentemente dalla classe sociale), riflessione sul futuro, poiché insegnare, ci dice Cenciarelli, è curarsi del futuro, come dimostrava Sandro Onofri, tanti difatti i punti di congiunzione tra i due autori: la stessa fiducia e lo stesso dubbio. Fiducia e dubbio nella contingenza della scuola di borgata, il territorio antecedente alle aspirazioni. Questi ragazzi considerano le loro sorti già tracciate, e la scorciatoia, come lo spaccio, l’unica forma di emancipazione. Convinti che nel mondo «normale» per loro non ci siano occasioni. Lezione dopo lezione, discussione dopo discussione, dalla politica alle questioni personali, la professoressa plasma la capacità di desiderare.
Tuttavia – questo il dubbio – scoperto il desiderio, è sufficiente la volontà? Grazie allo sguardo del narratore (la scuola intesa come edificio, mura) si aprono squarci sul destino di alcuni ragazzi. Quasi biografie essenziali, ora felici, ora tragiche – a ricordare che nessuno è condannato da principio, e al contempo il contrario (ecco la risposta): no, non basta la volontà.
Questa la forza del libro, e il senso profondo dell’insegnamento, almeno quello romantico della protagonista, quello criticato da molti colleghi: far capire l’importanza della conoscenza che è anche il numero di parole di cui si dispone. Essere in grado di esprimere ciò che si prova, e ciò che si vuole. L’anno scolastico, quell’anno scolastico, allora, diventa persino educazione sentimentale, nel momento in cui i tentativi di avvicinamento tra studenti e insegnante generano fiducia. «Professore’, co’ chi lo passa Natale», chiedono. Capito che lo passerà da sola qualcuno, non importa chi, dice: «Se vuole può venire da me; siamo io, mamma, nonna, mio fratello e il cane». Tenerissimo, commovente errore di distanza.
Domani interrogo è un romanzo comico e doloroso, dove allegro e tragico si sovrappongono e si intrecciano. Un romanzo bellissimo, potente come pochi in quanto dice esattamente dove siamo e perché, trasformando la scuola di borgata in tutte le scuole, i ragazzi in tutti i figli il cui futuro è responsabilità comune.