La Lettura, 3 settembre 2022
Il nazifascismo di ieri e quello di oggi
Dopo mesi di bombardamenti di artiglieria, attacchi missilistici e il caos scatenato dall’invasione del mio paese da parte della Russia, l’idea stessa del libro di Halik Kochanski Resistance (Allen Lane) è disorientante. Devo vederlo semplicemente come uno studio completo della resistenza al dominio nazista in Europa durante la Seconda guerra mondiale, oppure è, attraverso un’alchimia di scritti storici, qualcosa di più: un avvertimento dal passato sulla natura del presente e del futuro dell’Ucraina?
La pubblicazione del libro è avvenuta in un momento in cui il mondo temeva che la sacra capitale dell’Ucraina sarebbe caduta sotto l’occupazione militare, come Parigi, Praga, Varsavia, Bruxelles, Belgrado e tante altre antiche capitali europee durante la Seconda guerra mondiale. In effetti, un destino peggiore dell’occupazione sembrava attenderci a causa del desiderio patologico del presidente russo Vladimir Putin di cancellare l’Ucraina dalla mappa dell’Europa. Infatti, Kiev, se Putin avesse ottenuto quello che voleva, sarebbe diventata una seconda Cartagine. Ma grazie alla tenacia del nostro esercito e alla resilienza dei nostri combattenti volontari – tutti, dai pensionati ai minatori alle ballerine – Kiev è sfuggita a quel destino.
Tuttavia, un esercito di occupazione assassino, favorito dai collaboratori-sciacalli, ora conta gran parte del Sud e dell’Est dell’Ucraina nel suo regime autoritario. Mentre una guerra sotterranea scoppia in queste città, paesi e villaggi occupati, e i duelli di artiglieria tra l’esercito ucraino e l’esercito enormemente più grande degli invasori russi trasformano il Donbass in una terra desolata, Resistance di Halik Kochanski sembra meno un’opera storica e più la cronaca di una guerra partigiana annunciata. La frase di William Faulkner secondo cui «il passato non è mai morto. Non è nemmeno passato» non potrebbe essere più vera.
Le patologie dell’occupazione
La struttura tematica che Kochanski ha conferito al suo libro, la sua scrupolosa attività da letterata e il suo rifiuto di romanticizzare lo «sporco» lavoro del partigiano, rendono Resistance una sorta di manuale per i molti ucraini che combattono per minare l’autorità russa nelle aree del nostro Paese che ora occupa l’invasore.
Ci mostra la difficoltà di gestire pubblicazioni clandestine e di fornire alla popolazione più ampia la verità quando l’occupante le riempie di menzogne. L’autrice descrive in dettaglio le reti che sono state costruite (e infiltrate dai nazisti e dai loro collaboratori) per sfuggire alla cattura da parte dell’invasore, nonché per rifornirsi di armi. Mostra anche i problemi nell’affrontare alleati stranieri esigenti ma troppo spesso male informati, nel soddisfare richieste che a volte possono sembrare prive di senso a uomini e donne impegnati in una lotta per la vita o la morte con un nemico che li tormenta giorno e notte. Queste sono le molteplici complicazioni della resistenza che gli ucraini di oggi, che combattono per la loro libertà, conoscono fin troppo bene.
Resistance inizia con una domanda semplice ma poco posta dagli storici della Seconda guerra mondiale: «Perché resistere?». Dopotutto, la Blitzkrieg, ovvero la guerra lampo di Hitler, stava invadendo l’Europa con facilità. Gli eserciti nazionali di Polonia, Paesi Bassi, Belgio, Danimarca, Norvegia, Francia, Grecia e Jugoslavia erano stati sconfitti. Anche la potente Unione Sovietica sembrava sul punto di cadere quando la Wehrmacht si avvicinò a Mosca nell’estate del 1941. In molti casi, i governi nazionali erano fuggiti o avevano stretto patti di sopravvivenza faustiani con gli occupanti nazisti. Quindi, com’è possibile che persone senza addestramento militare osassero opporsi e affrontare la Wehrmacht che tutto conquistava? La scommessa più sicura per la maggior parte delle persone, dimostra Kochanski, era tenere la testa bassa e, quando necessario, «imparare a ululare con i lupi».
Eppure, la gente ha cominciato a resistere. Hanno resistito per la necessità di preservare la propria dignità; hanno resistito perché non avevano altra scelta se volevano sopravvivere. Quegli stessi impulsi animano oggi gli ucraini.
Quell’occupazione segue la sua logica spietata, persino genocida: è ciò che ha dato origine alla resistenza della Seconda guerra mondiale, con la portata della resistenza che di solito riflette il grado di criminalità dell’occupazione. Kochanski mette a confronto la vita sotto occupazione nell’Europa occidentale (Francia, Danimarca, Paesi Bassi, Boemia e Moravia e Norvegia) con le condizioni nell’Europa orientale (Polonia, Ucraina, Balcani ed ex Unione Sovietica). In Occidente, le occupazioni naziste «erano condotte con mano molto più leggera». Veri e atroci massacri ebbero luogo a Lidice, in Boemia, e a Oradour-sur-Glane in Francia. Ma le uccisioni di massa a quel livello si distinguevano per la loro rarità, almeno fino al 1944 quando, fa notare Kochanski, la Wehrmacht in ritirata adottò le tattiche criminali che aveva a lungo impiegato in Polonia, Urss e nei Balcani, dove «gli omicidi di massa erano la norma».
Le uccisioni di massa erano la norma perché, sostiene Kochanski, «la teoria razziale nazista determinava principalmente il modo in cui i tedeschi avrebbero gestito le popolazioni sottomesse». E il «pieno impatto della politica razziale cadde nell’Est, dove gli slavi e gli ebrei erano visti come Untermenschen, persone da sottomettere completamente e poi sradicare per fare spazio al Lebensraum (spazio vitale, ndr) germanico».
Nacht und Nebel
È nella depravazione delle occupazioni naziste dell’Europa orientale e dell’Urss che vedo parallelismi con ciò che sta accadendo oggi in Ucraina. In un immenso insulto alla memoria dei comuni soldati sovietici che hanno combattuto e vinto la Grande guerra patriottica contro Hitler – e sono orgogliosa di annoverare tra i loro ranghi i membri della mia famiglia – quelle regole naziste sugli Untermenschen sembrano in qualche modo essere radicate nel modo in cui oggi l’esercito russo sottomette il popolo ucraino. Le nostre donne vengono violentate, i nostri bambini rapiti, i nostri uomini portati Dio solo sa dove.
Quanto alle leggi di guerra, non significano nulla per l’invasore. Con un orrore indicibile, uno dei nostri prigionieri di guerra è stato castrato, con soldati fedeli a Putin che filmavano allegramente il loro atto barbaro sui telefoni cellulari. E almeno 50 nostri prigionieri di guerra, uomini che avevano difeso per mesi la città di Mariupol con coraggio biblico, furono massacrati mentre erano confinati (e torturati) nel carcere di Olenivka. Nacht und Nebel («Notte e nebbia», decreto emesso per la repressione dei reati commessi contro il Reich o contro le forze di occupazione nei territori occupati, ndt), a quanto pare, trova ora una sua traduzione in russo.
Kochanski è particolarmente dettagliata nella descrizione di come i nazisti abbiano distrutto i governi di Paesi, città e villaggi e abbiano cercato di distruggere la società civile. Gli stessi metodi vengono applicati oggi nell’Ucraina occupata: omicidio, rapimento e scomparsa di funzionari locali; deportazioni di massa; chiusura di scuole, chiese e sinagoghe. L’esercito russo oggi «fa sparire» regolarmente i leader locali. La cattura-rapimento del sindaco Ihor Kolykhaev di Kherson è un esempio lampante. Kolykhaev ha resistito all’occupazione russa nell’unico modo per lui disponibile: fornendo al mondo, attraverso i post sui social media, un ritratto del disastro umanitario che sta avvenendo nella sua città sotto il controllo russo. Mentre scrivo, il suo destino rimane sconosciuto.
Anche le scuole sono sotto attacco, con la lingua ucraina sfrattata dalle aule, sostituita da lezioni obbligatorie in russo. I nostri libri di storia non vengono più utilizzati; i nostri figli devono imparare la storia dell’occupante, che vuole che la gioventù ucraina si inginocchi davanti alla Russia come signore supremo. Presto l’occupante terrà referendum nelle aree che apparentemente controlla, presumibilmente come un modo per giustificare al mondo la pianificata incorporazione forzata di questi territori in Russia. Qui dovremmo tutti ricordare ciò che Margaret Thatcher ha detto di questi referendum, cioè che sono «gli espedienti di dittatori e demagoghi».
Peggio ancora, sono in corso anche le deportazioni forzate; non di manodopera da ridurre in schiavitù, ma di migliaia di bambini ucraini. Tra i tanti atti criminali di Putin in Ucraina, questo è inconcepibile. Il Cremlino pensa in qualche modo di invertire il disperato futuro demografico della Russia rapendo neonati e bambini ucraini? Crede davvero che le madri ucraine perdoneranno o dimenticheranno mai questo crimine? A meno che i nostri figli, tutti loro, non siano restituiti, l’avversione che gli ucraini provano per la Russia non comincerà a scemare anche se un giorno la pace verrà in qualche modo ripristinata.
Ancora più inquietante di questo crimine, se possibile, è il fatto che i pacifici sobborghi alle porte di Kiev, come Bucha e Irpin, quando vengono occupati dall’esercito di Putin entrano a fare parte della sacra lista di luoghi come Lidice, Oradour-sur-Glane e Babi Yar, dove la sola menzione del nome evoca istantaneamente bestialità e orrore. «Mai più» è diventato «ancora una volta».
L’imperativo della solidarietà
La lezione più indelebile che Kochanski offre riguarda l’unità. Rivalità tra gruppi di resistenza gollista e comunista in Francia; tra cetnici monarchici e partigiani di Tito in Jugoslavia; tra comunisti, liberali e cattolici in Italia; tra gruppi clandestini ebrei e l’esercito clandestino polacco in Polonia; e altre simili divisioni etniche, religiose e ideologiche, che esistevano in tutti i Paesi occupati, infersero danni incalcolabili ai movimenti di resistenza antinazista e antifascista. Nei Balcani, scrive Kochanski, «c’è stata una guerra di pulizia etnica causata in gran parte dalla disgregazione della Jugoslavia nei suoi Stati componenti sotto l’egida delle varie potenze occupanti. Poi ci fu una guerra di resistenza condotta da diverse forze contro le potenze occupanti... Questa guerra portò anche ad altri due conflitti simultanei: la guerra condotta contro i collaboratori e i presunti collaboratori... Allo stesso tempo l’esistenza di due movimenti di resistenza (uno guidato da Tito, uno da Draža Mihailovic), ciascuno con tattiche e obiettivi finali diversi, portò a un conflitto tra loro che fu effettivamente una guerra civile».
La lezione per l’Ucraina oggi è chiara. Il coraggio dei nostri uomini e delle nostre donne che combattono ha sbalordito il mondo da quando Putin ha lanciato la sua Blitzkrieg lungo i nostri confini il 24 febbraio. Ma quel coraggio ha una radice nel fatto che il nostro Paese è unificato in un modo che non accadeva da secoli. E quell’unità ha un semplice e unico scopo: preservare la sovranità della nostra nazione e la vita e le libertà del nostro popolo. Su questo, tutte le forze politiche ucraine sono in accordo assoluto e incrollabile.
Pochi giorni prima che Vladimir Putin inviasse il suo esercito per porre fine alla nostra esistenza come Stato sovrano – forse per stabilire un governo di collaborazionisti sotto il controllo del Cremlino, forse per ricreare semplicemente l’impero russo annettendo tutta l’Ucraina nel modo in cui ha annesso la Crimea nel 2014 – le forze democratiche ucraine, sia dell’opposizione che quelle alleate del presidente Volodymyr Zelensky, si sono incontrate con il presidente per impegnare la nostra unità nella difesa della nazione. Da allora abbiamo continuato a mettere da parte la politica per tutta la durata dei combattimenti.
Oggi, purtroppo, alcuni in Occidente – non riconoscendo che la brillantezza della risposta militare dell’Ucraina all’esercito invasore di gran lunga superiore della Russia è il risultato diretto di uno slancio fondato sulla nostra ritrovata unità – mettono a rischio questa solidarietà armata. Chiedono che l’Ucraina si prepari a compiere sacrifici territoriali per raggiungere un accordo di pace con la Russia. Questi appelli presumibilmente riflettono un approccio «realistico» freddo alla diplomazia, ma non c’è nulla di realistico nel distruggere la nostra unità nazionale e indebolire la volontà dei nostri uomini e delle nostre donne combattenti offrendo una concessione unilaterale che il Cremlino si limiterà a intascare per poi chiedere di più.
Non fraintendetemi qui: non metto in dubbio l’amicizia del presidente francese Emmanuel Macron e del cancelliere tedesco Olaf Scholz per il nostro Paese. Non dubito della sincerità del loro desiderio di vedere l’Ucraina continuare a ergersi orgogliosamente come membro indipendente della comunità internazionale e sono grata oltre ogni parola per il loro appello affinché l’Ucraina riceva lo status di candidato per l’adesione all’Unione Europea. Ma credo semplicemente che, nelle loro valutazioni, non abbiano tenuto conto di questa unità nelle loro richieste all’Ucraina di proclamare pubblicamente la volontà di cedere parte del nostro territorio come preludio ai colloqui di pace. Distruggere la nostra unità, risultato inevitabile di qualsiasi accenno alla volontà di compromettere la nostra sovranità, non porterà la pace; aprirà solo la porta alla Russia che continuerà a devastare il nostro Paese.
La nostra unità e la brutalità omicida di coloro che occuperebbero la nostra terra sono anche alla base della nascita di una più ampia resistenza che si sta ora formando in quelle città e regioni ucraine occupate dall’esercito russo e dai suoi lacchè criminali provenienti dalla Cecenia e dalla Siria. Questo emergente esercito partigiano, tuttavia, ha un vantaggio sulle forze clandestine dilettanti descritte da Kochanski. Dal 2015 le forze speciali statunitensi e quelle di altre nazioni della Nato hanno fornito agli ucraini un’adeguata preparazione e formazione delle forze armate, inclusa la creazione di una compagnia di guardie nazionali esperta in tattiche di resistenza.
La descrizione di Kochanski della resistenza ucraina durante la Seconda guerra mondiale dovrebbe fare riflettere i leader russi mentre gli ucraini combattono ancora una volta una guerra partigiana per sopravvivere come popolo. Infatti, parlando dell’Ukrains’ka Povstans’ka Armiia (l’esercito ribelle ucraino), Kochanski ha un approccio attento e controllato. Capisce il terribile dilemma in cui si sono trovati i leader della resistenza ucraina, intrappolati com’erano tra la Wehrmacht nazista e l’Armata Rossa di Stalin.
Oggi, ovviamente, l’emergente movimento partigiano ucraino non è intrappolato in nulla di simile al vizio nazista-sovietico. Invece, le nostre forze partigiane sono in una posizione più simile agli eserciti clandestini dell’Europa occidentale durante la Seconda guerra mondiale, armati e sostenuti dalle democrazie occidentali. Che possano imporre costi gravosi all’invasore è stato dimostrato chiaramente quando un gruppo partigiano ha colpito una base aerea russa nel profondo della Crimea occupata, distruggendo velivoli da combattimento e bombardieri, e anche depositi di armi. Inoltre, i collaboratori non dovrebbero avere dubbi sul triste destino che li attende.
Liberazione
Resistance non si conclude con l’euforia che tutti si aspetterebbero dalla vittoria sul nazismo e sul fascismo. Kochanski rivela come regnassero confusione, delusione e amarezza quando gli eserciti partigiani iniziarono ad affrontare un futuro incerto e i loro fallimenti durante la guerra. Kochanski ne cita uno: «Quando il fumo si diradò dal campo di battaglia, cominciò a emergere che avevamo subito un’enorme sconfitta nazionale... Ci siamo aggrappati agli ultimi illusori barlumi di speranza. Dovevamo ancora adattarci alla nuova situazione e ora dovevamo affrontare un nemico all’interno». I nazisti avevano perso, ma per mezza Europa era iniziata una nuova e orribile occupazione: da parte dell’Armata Rossa di Stalin.
La liberazione dell’Ucraina, quando arriverà, come accadrà, non porterà con sé questa disillusione. Sì, per un po’ saremo intorpiditi dalla vastità del compito di ricostruzione davanti a noi. Ma troveremo anche nel nostro Paese una continua unità sui grandi obiettivi che difendiamo in questa guerra: l’obiettivo di preservare la nostra sovranità, l’obiettivo di consolidare la nostra democrazia, l’obiettivo di costruire una società democratica pienamente europea in Ucraina.
Porremo fine a questa guerra con la principale speranza che la nostra esistenza nazionale dal 1991 – la promessa dell’adesione all’Ue – sia a portata di mano. Garantire la nostra adesione all’Unione richiederà, ovviamente, una tenacia, una resilienza e un’unità di intenti simili a quelle che il nostro popolo sta dimostrando oggi. Ma proprio come le nazioni occupate dell’Europa occidentale hanno costruito democrazie vivaci sulle rovine del dominio nazista, e i nuovi membri dell’Ue nell’Europa centrale e orientale hanno costruito società libere sempre più prospere negli anni successivi al crollo del comunismo nel 1989, noi in Ucraina, ricordando gli orrori della nostra lotta odierna, vedremo le dure riforme necessarie per entrare a fare parte dell’Europa come una questione da poco rispetto al prezzo che stiamo pagando ora per la nostra libertà.
(traduzione di Simona Polverino)