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 2022  settembre 03 Sabato calendario

La sfida per il Pacifico tra Cina e America


«Le forze armate cinesi stanno probabilmente assicurando al loro leader che in dieci anni avranno la tecnologia per paralizzare le comunicazioni elettroniche americane e che gli Stati Uniti non saranno in grado di operare a ovest delle Hawaii. È la guerra tecnologica intelligente: immagino che i cinesi ci stiano lavorando assai seriamente. Sono una potenza più debole dal punto di vista delle grosse navi da guerra e, anche se ne costruiscono più dell’America, restano indietro. Ma possono puntare sulla guerra asimmetrica e cercare di paralizzare i sistemi nemici. Forse serve qualche anno ancora perché siano pronti».
Lo storico britannico Paul Kennedy sta preparando i corsi per il nuovo anno accademico a Yale, rinvigorito dalle prime vacanze in Gran Bretagna dopo due anni di pandemia. In Ascesa e declino delle grandi potenze (Garzanti), pubblicato nel 1987, Kennedy aveva previsto non solo l’erosione del potere dell’Unione sovietica ma che anche gli Stati Uniti si sarebbero trovati ad affrontare i problemi di eccesso imperialistico delle superpotenze che li avevano preceduti. «Mikhail Gorbaciov – ci dice oggi, dispiaciuto per la sua scomparsa – era una bella persona e l’unico di quei leader che capì che l’Urss era in vero declino, forse terminale, nonostante abbia cercato di ricostruirla. Se c’è qualcuno che ha portato alla fine della guerra fredda, è stato lui». Poiché Kennedy ha anticipato lo stato delle relazioni internazionali, gli viene spesso chiesto di prevedere i futuri equilibri. Non si esime dal farlo, ma cita un proverbio arabo: se indovini il futuro, non sei intelligente, sei solo fortunato. «Questa Repubblica americana, pur con tutta la sua forza e le sue capacità, estendendosi dall’Atlantico al Pacifico è destinata a non affrontare mai un singolo problema di politica estera, ma a doverne giostrare come un giocoliere tre o quattro insieme: la Cina, la Russia, l’Iran, la difesa di Israele... Il mondo è così precario che mi chiedo se avremo un’altra grossa sorpresa tra pochi mesi. Ovunque essa sia, verrà chiesto allo Zio Sam qual è la sua posizione».
Quant’è forte l’alleanza Cina-Russia?
«Le leadership di Pechino e Mosca non si piacciono, ma sono regimi totalitari pratici e senza scrupoli. Se collaborando con Mosca puoi imbarazzare e preoccupare gli Stati Uniti e contribuire a ridurne l’influenza nel mondo, i cinesi lo faranno. Ma forse sono più furbi di Putin. La brutalità della Russia in Ucraina ha portato l’Europa a unirsi, anche a costo di perdere alcuni approvvigionamenti energetici. In seguito alla visita di Nancy Pelosi a Taipei, non so se gli esperti di Cina in Italia immaginassero che Pechino avrebbe cercato uno scontro a fuoco nello stretto di Taiwan, dando la colpa a un incidente o ai taiwanesi di avere sparato per primi per dare loro una lezione affondando due o tre navi. Ma alla fine, nonostante tutte le proteste, i sorvoli aerei e le navi mobilitate, non è successo niente – e qualcosa poteva succedere, se Pechino avesse voluto. Io credo ci sia un dibattito in corso tra i più alti consiglieri in Cina. Sono convinti che l’America sia in lento declino nel mondo e che l’economia della Cina crescerà due volte più velocemente di quella americana nei prossimi 10-15 anni (forse solo del 5% l’anno, ma quella americana per questioni strutturali non più del 2,5%). E dunque si può immaginare che i consiglieri più prudenti dicano a Xi Jinping: “Aspettiamo dieci anni, prima di iniziare a maltrattare Taiwan. Avremo la quarta portaerei e venti sottomarini nucleari. E vediamo se gli americani restano invischiati in complicazioni e problemi economici”. Altri consiglieri gli diranno che era invece l’occasione per dare una lezione ai taiwanesi. Ma penso che per ora la lobby dei prudenti stia vincendo».
Alla fine la Cina agirà contro Taiwan?
«A volte Xi dice in modo molto nostalgico che vuole realizzare il sogno di suo padre. Dice che il momento più felice nel futuro della Repubblica popolare sarà quando il figliol prodigo tornerà all’ovile. E vorrebbe essere lui la persona che lo realizza. I “sogni storici” sono potenti, anche se Xi è un politico abbastanza intelligente da farsi consigliare di aspettare...».
Putin, invece, ha seguito il suo “sogno storico” invadendo l’Ucraina... Oggi Washington può «giostrare» Russia e Cina come durante gli anni di Nixon?
«Essenzialmente è la domanda di Henry Kissinger. Henry, che ha 99 anni (mamma mia!), era un buon amico del nostro programma e del corso sulla “grande strategia” a Yale, pensa che vi si insegni la saggezza delle sue politiche. Crede che, con un uso magistrale della diplomazia, gli Stati Uniti possano giostrare Pechino, Mosca e soggetti minori e che questa sia l’essenza dell’eterna diplomazia. Importante è essere al centro: essere il giocoliere e non la palla. Kissinger ammira Bismarck, sul quale scrisse cinquant’anni fa un articolo su “Daedalus” intitolato Bismarck, il rivoluzionario bianco (non rosso, comunista) che con maestria giostrava gli altri poteri. Consolare gli europei, dire a Putin che è andato troppo oltre, ai cinesi che è sbagliato fare pressione e il loro momento arriverà... Kissinger pensa che l’unico modo di uscire dai problemi sia con i compromessi, per cui ora viene attaccato negli Usa dalla destra estrema che vuole solo l’umiliazione totale di Putin. Lui dirà che è completamente sbagliato, che si rischia di umiliare l’intero popolo russo e chiederà qual è la politica post-Putin».
È importante il dialogo con Putin?
«Sì. Penso sia significativo che Putin abbia dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero essere coinvolte, che si sia pronunciato per lo scambio di prigionieri o la supervisione dell’esportazione di grano. Anche se ha fatto cose ignobili in Ucraina e non ci si può fidare, anche se è pericolosamente ossessionato dal destino della Russia, sta inviando qualche segnale che preferirebbe soluzioni internazionali. Ma ora è il governo ucraino a essere più intransigente, indicando la riconquista della Crimea e di altre regioni. Ovviamente hanno perso molto».
Torniamo alla Cina: quanto sono preoccupati gli alleati Usa nel Pacifico?
«Tutti loro sarebbero terribilmente preoccupati se ci fossero chiari segnali di debolezza americana, ma pure in caso di chiari segnali di aggressività americana: se gli Usa minacciassero un conflitto. Vogliono essere difesi, ma non vogliono vedere distrutti il sistema di scambi internazionali e le relazioni economiche che intrattengono anche con la Cina. Per loro la cosa migliore è che non cambi nulla».
Anche Zelensky, all’inizio, quando gli Usa definirono imminente l’invasione russa, lamentò che il panico danneggiava l’economia ucraina.
«E se la memoria vi assiste ricorderete il timore degli europei durante la guerra fredda: si preoccupavano se non c’era un presidente Usa che sembrava abbastanza interessato all’Europa, come Jimmy Carter; ma anche se c’era un presidente che sembrava troppo forte e militarmente aggressivo, come Ronald Reagan. È la favola della zuppa né troppo calda né troppo fredda. Volevano una ricetta di deterrenza e rassicurazione. Sa la deterrenza fallisce, si preoccupano, ma non vogliono che l’America li trascini in una terza guerra mondiale. L’America è il giocoliere che cerca di rassicurare tutti gli alleati».
Tra dieci anni la Cina potrà essere una potenza navale e continentale?
«La maggior parte degli esperti in America e in Asia orientale crede che la Cina non abbia l’ambizione di diventare una superpotenza mondiale. Pechino vede i problemi degli Stati Uniti, probabilmente ha studiato quelli della Gran Bretagna: non vuole territori oltremare e colonie, è soddisfatta di commerciare e avere influenza politica. Quel che vuole è che Washington faccia un passo indietro dal Pacifico occidentale; ma è difficile immaginare che accada. Ammettere che c’è un’altra potenza nucleare che rivendica legittimamente l’egemonia nel Mare delle Filippine, nel Mare Cinese orientale e meridionale è intollerabile per gli americani, impigliati in tante alleanze militari, dalla Corea del Sud alle Filippine e Taiwan in modo assai più deciso di quindici anni fa. C’è qualcosa di inconciliabile quando una potenza vuole espandersi nel Pacifico occidentale e un’altra non accetta d’esserne spinta fuori».
Qual è il ruolo dell’Europa? Le elezioni italiane possono influire?
«Se anche l’Italia, dopo le elezioni, fosse meno desiderosa di sfidare la Russia o più neutrale, o se ci sarà questo o quel leader conservatore a Londra... conta poco. Ogni tanto il presidente degli Stati Uniti va a incontrare i leader europei, ma in fin dei conti l’America agisce in modo unilaterale e non credo che questo cambierà. Certo sarebbe importante una continuità nel governo italiano rispetto all’appoggio dell’Ue e della Nato all’Ucraina, dispiacerebbe se non fosse così, ma ci sarebbe qualche commento sprezzante a Washington, tipo “Succede, ogni tanto, con i governi italiani...” e la politica Usa non cambierebbe. Ciò che può modificarla è un cambiamento interno, ora è significativo il voto di midterm».
Cosa si aspetta dal voto di midterm?
«Non è il mio campo, ma potremmo essere sorpresi e, anziché un voto contro l’amministrazione Biden, vedere gratitudine per l’assistenza data in termini di infrastrutture, occupazione, imprese».