Corriere della Sera, 3 settembre 2022
Intervista ad antonacci Jr.
La gara di primavera l’ha vinta con «Sesso occasionale» di Tananai. «Nonostante l’ultimo posto a Sanremo, ero certo che avrebbe funzionato: la cantavo sotto la doccia». E anche sul tormentone estivo «La dolce vita» di Fedez, Tananai e Mara Sattei, c’è la sua firma.
Paolo Antonacci, figlio di Biagio e nipote di Gianni Morandi, è uno degli autori che più sta influenzando il suono del pop italiano. Ha scritto anche per Alessandra Amoroso, Annalisa, Irama, Nek, Eros...
«L’estate è il mio momento musicale preferito non tanto per la gara al tormentone, ma perché torna l’idea di un palinsesto che ti arriva addosso anche se non vuoi. Durante il resto dell’anno scegli le tue playlist, d’estate fra chiringuito e macchinate con gli amici ci sono cose che ascolti e ti restano addosso anche se non vorresti. E per questo mi piace chiamarli tormentoni. Non poter scegliere è un po’ come ritornare a quando ero bambino».
È anche fra gli autori di «Mille», tormentone 2021: come è nato il ritorno agli anni Sessanta?
«Per riempire un buco. Per anni ci siamo dimenticati di quel riferimento culturale che è nel nostro dna e ci siamo affidati al pop latino. Dopo la pandemia ci voleva spensieratezza, un ritorno all’ultimo periodo in cui l’Italia è stata bene. “La dolce vita” è ancora più anni ‘60: come le hit di allora si canta tutta, strofa e ritornello».
La sua carriera di autore?
«A 20 anni avevo delle canzoni da parte, con la velleità di cantarle. E un giorno non escludo di farlo. Le difficoltà legate al cognome, spaventavano più me di papà che è sempre stato un fan, mi hanno fatto cambiare idea».
Prima che figlio d’arte è stato soltanto figlio di...
«Sono cresciuto negli anni Zero, prima dei social, quando i personaggi erano inarrivabili, quasi mitologici. E papà era un mito. I pregiudizi li ho messi subito in conto, ma nessuno ti viene a dire certe cose in faccia. Quello che mi metteva in imbarazzo era la curiosità della gente, le domande. A scuola sceglievo l’ultimo banco, e anche l’autore è quello che sta all’ultimo banco. Da dietro sono riuscito ad arrivare a tutti. L’autorato è un mondo meritocratico».
Il primo pezzo in radio?
«”La stessa” di Alessandra Amoroso. Mi ha liberato sentire che arrivavo alla gente con le mie parole. “Bella storia” di Fedez è stata la prima hit, un sollievo anche in famiglia. Il patema non è solo dei figli, ma anche dei genitori».
La prima canzone scritta?
«Alle elementari. Copiando papà ho imparato a usare il computer per registrarmi. Era una canzone per la mia compagna di classe Bianca. Lei non l’ha mai sentita... Ho iniziato a scrivere perché vedevo che papà aveva successo con le donne mentre io no. Non pensavo che fosse per il suo istrionismo e la mia timidezza, ma per le canzoni».
Aveva un piano b?
«Mi sono laureato in relazioni pubbliche. Più che per avere un piano b per avvalorare il piano a. L’obbligo di fare qualcosa di diverso da quello che vorresti ti dà più spinta».
È appena uscita «Seria», prima volta per papà Biagio.
«Finalmente mi sono sentito in condizione di poterlo fare. La vera soddisfazione è quando qualcuno pensa a un’omonimia».
E per nonno Gianni?
«Mi piacerebbe. È un immortale. Vedo due strade per lui: una ballad alla Sinatra che accenda i riflettori sull’uomo. Però quelli sono brani che fai quando tiri le somme e per lui è ancora presto. E allora va bene che cerchi il tormentone».
La prossima tendenza? Cosa vincerà a Sanremo?
«Chi lo sa. Abbiamo recuperato gli anni ‘60 spensierati, ma non ancora quelli classici e morriconiani alla “In ginocchio da te”. Non so però se mi prenderò io questo onere»