Corriere della Sera, 3 settembre 2022
La straordinaria vita di Angela e Tiziano Terziani in un libro che sembra scritto a quattro mani
I ricordi diventano vaghi come i sogni, premette Angela Terzani Staude nell’incipit del suo L’età dell’entusiasmo (Longanesi). Ma gli affetti e le emozioni sono come i colori di un affresco che rivivono grazie alla cura restauratrice della memoria. Figlia di un pittore – Hans Joachim che scelse di vivere a Firenze, la casa della sua cosmopolita famiglia tedesca – Angela ripercorre la sua lunga e avventurosa vita con Tiziano in un libro che sembra scritto a quattro mani. Perché erano inviati speciali entrambi. E lui c’è ancora. Ed è come se scrivesse accanto a lei. Con quel suo fare attento e distratto insieme. Con quel suo modo di esserci e, nello stesso tempo, di desiderarsi lontano. Curioso e inquieto. E lei ribelle, ugualmente incline all’avventura, ma dolce e paziente. La madre Renate e lei, tornate in Germania prima della guerra, faticarono molto, tra sospetti infondati e piccole angherie, ad avere dalle autorità alleate il visto per riabbracciare Joachim a Firenze. Lo ebbero grazie al conte Carlo Sforza, allora ministro degli Esteri, e a Erik Warburg, figlio del banchiere Max, nella cui casa, ad Amburgo, durante un ricevimento, Renate e Joachim si erano incontrati per la prima volta.
Angela e Tiziano si conoscono nel 1957, ovviamente a Firenze dove lei è nata nel 1939. All’inizio sembra un amore impossibile, anche per la differenza sociale. Tiziano è figlio di Gerardo, un artigiano meccanico, anche lui contrario alla relazione che distrae il figlio dai suoi studi. Rari e sfuggenti gli incontri. Ma una sera, alla vigilia di Natale, suonano alla porta. Angela apre. C’è una lettera. «Chi è?» chiede la nonna. «Un povero». «A quest’ora?». Quando gli stecchi dei rami bucano la nebbia, come i miei pensieri... Scusami Angela, ma è troppo bella questa notte per non aver qualcuno con cui poter parlare come se lo si conoscesse da un tempo infinito. Senza firma, ma non poteva che essere lui. Solo Tiziano poteva scriverla così.
Insieme, cominciano a viaggiare per lavoro. In quegli anni, essere assunti all’Olivetti voleva dire aver colto un traguardo ambito. Il punto d’arrivo. Ma vi immaginate Terzani, venditore di macchine per scrivere, tra Ivrea e Bergamo, soddisfatto e appagato? No. Eppure ha colleghi come lo scrittore Paolo Volponi. E un capo, Giancarlo Lunati, raffinato e colto. Le idee della coppia guardano ad Est, all’esperienza del comunismo. I desideri, invece, sono tutti concentrati sull’America. Angela traduce dal tedesco e dall’inglese. Ed è lei che conosce per prima Mario Spagnol, giovane editor della Feltrinelli che sarà, per Longanesi, lo scopritore del talento letterario di Terzani. Lunati a un certo punto spedisce la coppia in Danimarca. Se l’intellettuale liberale fosse ancora vivo chiederebbe loro scusa. Perché quel soggiorno Angela lo ricorda con disagio. Litigano sul battello che li porta all’isola di Fyn (c’era persino lì una filiale dell’Olivetti). Decidono di lasciarsi. Tiziano sbatte la porta e se ne va. Ma dopo un po’ – come nella loro Firenze – bussano alla porta. E una mano femminile porta un mazzo di rose rosse. «Come aveva fatto Tiziano a trovarle su quell’isola grigia, sotto quei cieli bassi e i pescatori taciturni vestiti di scuro?».
L’Olivetti, per la quale vanno in Portogallo e in Olanda, è una gabbia intellettualmente dorata. L’inquieto Tiziano legge, studia, ambisce a fare l’avvocato. «E perché non il giornalista?» suggerisce Angela. E qui scoppia un’altra lite con il marito che pure il cronista sportivo lo aveva fatto, andando in giro in Vespa, al «Mattino» di Firenze. «E perché no presidente della Repubblica?» replica lui, secco. Del primo viaggio in Giappone, Angela ricorda le lettere d’amore scritte su sottilissima carta da riso. Il Giappone è, agli occhi del viaggiatore olivettiano, «urtante». Una modernità posticcia. Un rapporto che resterà, reciprocamente distante e sospetto, fino alla morte. «L’Oriente però – come annota Angela – fa il suo ingresso definitivo nelle nostre case». Un ingresso impetuoso. Tiziano conosce Tristano Codignola della «Nuova Italia», che lo incoraggia a scrivere. Incontra Ferruccio Parri che lo vuole tra i collaboratori di «Astrolabio». Quando l’Olivetti lo manda in Sudafrica, si compra una Rolleiflex e pensa più ai reportage che agli affari. «Divorato dalla febbre del conoscere, incalzato da un’ansia inesplicabile e oscura». La frase, che riporta Angela, è del grande Ryszard Kapuscinski. Gli si attaglia perfettamente. «In Sudafrica Tiziano era rinato giornalista». Per l’azienda di Ivrea seguono altri viaggi esotici, l’Australia, Timor, Hong Kong. La figura del manager, mai amata, diluisce, quella del reporter cresce. Impetuosa. «Ho un’impressione formidabile dei cinesi – scrive Angela – agili, asciutti, di una intelligenza pratica e acquisitiva». Angela e Tiziano sentono, forte, il fascino di Mao.
Il divorzio con l’Olivetti si compie nel 1967 quando la coppia si imbarca sulla Leonardo Da Vinci per gli Stati Uniti. Tiziano ha vinto una Harkness Fellowship. Viaggiano insieme ad altri vincitori, tra cui Giorgio La Malfa. Si presentano agli altri come la coppia Rossi, fabbricanti di scarpe a Prato. «E i Terzani?». «Boh, avranno perso la nave». L’America all’inizio li turba, ma il soggiorno americano è quello intellettualmente più prolifico e ricco di incontri formativi, amicizie vere, come quella con Furio Colombo. Non fa cambiare loro idee politiche. Tutt’altro. Le rafforza. Tiziano sta imparando il cinese e intanto scrive per «Il Giorno». Nasce Folco (il padre voleva chiamarlo Mao, per fortuna lo dissuasero) e ha pochi mesi quando la famiglia Terzani riprende il transatlantico per tornare in Italia. Milano è descritta da Angela come una sorta di terra, quasi esotica, delle opportunità. E ancora una volta facciamo una certa fatica ad immaginare Tiziano, assunto dal quotidiano diretto da Italo Pietra, trascorrere la notte di turno, alla periferia milanese, a passare i pezzi in tipografia. Lo sguardo è a Oriente. Silvana Mauri invita «quello della Cina» (lo chiamavano così) a un ricevimento per l’uscita da Bompiani del romanzo di Han Suyin L’amore è una cosa meravigliosa. Lui e l’autrice, sostenitrice di Mao, si intendono, appunto, a meraviglia.
Non ci dilungheremo ancora molto nel raccontare la vita, straordinaria, irripetibile, di Angela e Tiziano. Il lettore scoprirà come nacquero i più celebri reportage da tutto l’Oriente, in particolare, dal Laos, dalla Cambogia. Soprattutto dal Vietnam, una guerra che Terzani seguì, testimone diretto, fino alla ritirata americana del 1975 e la vittoria degli ammirati vietcong («Il Vietnam era loro e ne avevano ogni diritto»). Non solo gli articoli ma anche i libri più amati. L’amicizia e le scorribande con Bernardo Valli. Con Angela non solo al suo fianco, qualche volta persino in avanscoperta. Con coraggio, dedizione, intelligenza. Ma l’episodio che colpisce di più, la vera svolta nella vita professionale di Terzani, è l’incontro (procuratogli da Corrado Stajano) con Raffaele Mattioli, gran capo della Banca Commerciale. In piazza della Scala, a Milano. Pietra non vuol mandare Terzani in Asia. Mattioli, affascinato dalla cultura e dagli interessi del giovane e irrequieto redattore del «Giorno», si offre di dargli mille dollari al mese. Una specie di borsa di studio. Lui accetta e con Angela partono per Singapore, forti anche di una collaborazione con «Der Spiegel». Senza la sensibilità di un banchiere umanista, espressione del capitalismo occidentale da lui fieramente avversato, la carriera di Terzani sarebbe stata molto diversa. «L’ideale marxista – scrive nelle ultime pagine Angela – non si è mai del tutto realizzato nel mondo ma crederci ci rese migliori. Tiziano non smise mai di crederci pur vedendone i raccapriccianti fallimenti».