Corriere della Sera, 3 settembre 2022
Breve biografia di Hussein al-Sheikh, il possibile successore di Abu Mazen
Potrebbe essere lui, alla fine, il successore di Abu Mazen. Parliamo di Hussein al-Sheikh, nominato «numero due» dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina e ritenuto l’uomo più vicino all’inamovibile leader ottantasettenne giunto al diciassettesimo anno del suo mandato quadriennale di presidente dell’Autorità nazionale palestinese. Considerato un pragmatico, si occupa dal 2007 del coordinamento con il governo israeliano. La fedeltà al capo, che ha accompagnato spesso negli incontri con esponenti stranieri, sembra fuori discussione. Il suo profilo è sempre stato basso, ma le parole che ha detto recentemente al New York Times danno ora il senso di un dirigente orgoglioso: «Tutta la mia storia riguarda la lotta del mio popolo. So esattamente come guidarlo sulla strada giusta».
Effettivamente, la biografia di al-Sheikh, nato nel 1960 a Ramallah quando la «West Bank» era sotto il controllo della Giordania, è legata ai momenti più importanti vissuti da questa regione tormentata. Militante del Fatah fin da giovane, ha trascorso nelle carceri israeliane undici anni, dal 1978 al 1989. Alla nascita dell’Anp è stato nominato colonnello dei servizi di sicurezza. Secondo The Economist «anche i diplomatici americani parlano di lui come qualcuno che conoscono e apprezzano». Più bassa, invece, la sua popolarità tra la gente.
In uno scenario fortemente negativo, contrassegnato dalla mancata ricerca di soluzioni della questione palestinese da parte di tutti i protagonisti, il problema di oggi non è solo la successione di Abu Mazen quanto la stessa sopravvivenza dell’Anp, minata dall’estremismo di Hamas, logorata dalla corruzione al suo interno, indebolita dalla sfiducia della popolazione. Lo scioglimento dell’organismo politico di autogoverno formato nel 1994 con gli accordi di Oslo viene visto con favore dal 45 per cento degli abitanti della Cisgiordania. Ma al-Sheikh è sicuro che un passo del genere porterebbe «violenza, caos e spargimento di sangue». «Conosco – ha affermato – le conseguenze di questa decisione: i palestinesi ne pagherebbero il prezzo». Ancora una volta, si potrebbe aggiungere.