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 2022  settembre 03 Sabato calendario

Emma Marcegaglia si racconta

«L e donne in azienda fanno casino». Alla battuta di Steno Marcegaglia, la figlia Emma ribatteva: «Anche io papà sono una donna». «No, tu Emma non sei una donna». C’era già tutto il percorso futuro di Emma Marcegaglia in quello scambio di battute tra un padre capitano d’industria, fondatore della Marcegaglia Spa, e una figlia promettente che avrebbe conquistato un incarico dietro l’altro, alcuni ricoperti per la prima volta proprio da una donna.
Presidente di Confindustria dal 2008 al 2012, presidente della Luiss dal 2010 al 2019, presidente di Eni dal 2014 al 2020. In qualche modo ha smentito suo padre?
«Mio padre ha avuto sempre molta fiducia in me, dandomi le pari opportunità di mio fratello Antonio: era un sostenitore delle donne e ha sempre lavorato a fianco di mia madre».
Era orgoglioso del percorso fuori dall’azienda?
«Molto, ma mi riportava sempre con i piedi a terra. Ricevevo i complimenti di Angela Merkel e il giorno dopo lui mi ricordava “sì, va bene, ma ora risolviamo quella questione con la banca”. Una volta gli dissero: “Ah, lei è il papà di Emma”. E lui: “No, Emma è mia figlia».
Altre battute che oggi parrebbero strane?
«Per mio padre un uomo in gamba era un “ragazzo da marciapiede”. Un giorno per elogiarmi pubblicamente disse: “Emma è una ragazza da marciapiede”...»
La sua infanzia.
«Sono cresciuta a Gazoldo degli Ippoliti, 1500 abitanti in provincia di Mantova. Le compagne di classe erano le figlie degli operai di mio padre. Un’infanzia serena, dove l’uomo nero era il comunismo: io e mio fratello orecchiando in casa i discorsi tra i miei genitori quando giocavamo proteggevamo le mie bambole dall’arrivo dei comunisti».
Dove si sono conosciuti i suoi genitori?
«In paese. Il parroco disse a mio padre: “Sposala, questa è una brava ragazza”. Lui che era un mezzo genio scapestrato, nato poverissimo, ha ascoltato il consiglio».
Un ricordo di suo padre.
«Avendo sofferto la fame quando ti vedeva lasciare qualcosa nel piatto ti invitava a finirlo. Gli piaceva il diritto, ha cominciato a difendere i contadini dai latifondisti: da ragazzo diceva che avrebbe voluto fare il Papa. Lavorava 20 ore al giorno e fumava 4 pacchetti di sigarette».
Un ricordo di sua madre.
«Un’alleata di ferro per mio padre: quando papà venne rapito, neppure cinque minuti dopo aver appreso la notizia, chiamò il direttore della banca per andare a prelevare i soldi. All’epoca c’era il blocco dei beni. L’unica cosa che papà non ha mai davvero superato è stata la malattia di mia mamma».
Che ricordi ha del sequestro?
«Avevamo un’azienda ad Arzano, in provincia di Napoli: venne rapito di sera. In famiglia c’era una autentica disperazione: io e mia madre, due persone parecchio razionali, andammo persino da un santone».
Avete mai pensato di non rivederlo?
«Il rischio fu concreto. I sequestratori erano dei ragazzotti, papà diceva loro: “Se mi fate uscire di qui vi insegno a diventare ricchi in Borsa”. Avevano abbassato la guardia e lui riuscì a fuggire. Venne però ripreso e sarebbe stato ucciso se quel giorno un elicottero fosse stato in volo sopra l’Aspromonte. In quel preciso posto c’era mio padre, che venne salvato».
Il momento del ritorno in famiglia?
«Prima di venire a casa è andato in azienda per vedere che tutto fosse a posto e per rassicurare gli operai. Diceva che grazie al rapimento aveva scoperto la fede».
Lei è nata il 24 dicembre. In famiglia si festeggiava più il Natale o il suo compleanno?
«A Mantova in realtà il Natale coincide con Santa Lucia, il 13 dicembre. La sfortuna è che il regalo era uno solo: ma ho sempre puntato sulla qualità. Mio padre aveva l’abitudine di viaggiare durante quei giorni: partivamo per la Malesia, la Persia e Bali con la nonna materna e gli zii. Nove persone in viaggio, dei Natali non tradizionali».
Una donna internazionale ma con Mantova nel cuore.
«Ho fatto le scuole a Mantova, poi mi sono trasferita a Milano per frequentare la Bocconi e in seguito a New York, dove ho trascorso gli anni più formativi. Ma tra una tappa e l’altra tornare in una città piccola mi rassicurava».
Gli Stati Uniti.
«Otto mesi intensi, bellissimi, con la tentazione forte, ogni tanto, di non tornare più. Studiavo alla New York University a Wall Street ma abitavo ad Harlem alla International House. Andavamo a ballare al Limelight o al Club 54. Mio padre mi chiamava di sera e mi chiedeva: “Emma, ma tu torni, vero?”».
Il rientro in Italia.
«Mia mamma mi venne a prendere a Malpensa. Per me tornare in pianta stabile nel paesino fu uno shock. Ho trascorso una settimana a letto, mi hanno fatta vedere persino dai dottori, pensavano che in America mi avessero dato chi sa che cosa».
È sempre stato chiaro che lei avrebbe lavorato nella azienda di famiglia?
«Per tanti anni ho studiato danza classica. Però ho sempre respirato l’aria della fabbrica».
Il suo ingresso alla Marcegaglia Spa.
«Non facile. Arrivavo per terza, dopo papà e mio fratello, ed ero donna. Mio padre ebbe una intuizione felice: mi mandò a lavorare ad Albarella, l’isola turistica nel Delta del Po dove il gruppo aveva concentrato investimenti turistici e immobiliari. Un bel banco di prova».
Confindustria.
«Dopo il Consiglio direttivo dei giovani imprenditori di Mantova, mi venne proposto di ricoprire l’incarico di vicepresidente nazionale. A 42 anni sono diventata presidente. Mi piaceva mettermi alla prova su cose diverse».
È stata la prima donna a ricoprire quell’incarico.
«Anche in Luiss sono stata la prima donna».
Continui primati.
«Sono stata anche la prima presidente di Business Europe, la prima italiana dopo Guido Carli. Sono stati i tedeschi i miei grandi sostenitori: mi dicevano che avevo un carattere tedesco dentro a un corpo italiano».
Essere donna destava perplessità?
«Sedevo nei direttivi con Gianni Agnelli, Carlo De Benedetti, Cesare Romiti: ero l’unica donna e avevo l’età dei loro nipoti. All’inizio mi guardavano con l’aria “come è gentile e carina Emma”. Per un periodo ho ascoltato senza intervenire troppo, poi a un certo punto ho alzato la mano e hanno apprezzare anche le idee».
Un commento sul genere che l’ha offesa?
«Atteggiamenti. Del tipo: “Siamo sicuri che sei in grado di fare questa cosa? “. Ho imparato ad essere umile, ma anche aggressiva: se qualcuno ti sta per fare del male devi sbranare».
In cosa vengono più attaccate le donne?
«Nel loro essere donne: se una si fa sentire è subito un’isterica o con gli ormoni sottosopra. Oggi va meglio, ma c’è ancora tanto da fare. Per questo mi piace aiutare le donne più giovani a non fare i miei errori. Sono una tutor».
Le quote rosa.
«Se servono per avere più donne al comando vanno bene: c’è il rischio che qualcuna non sia così brava, ma pensiamo a quanti uomini poco competenti hanno avuto ruoli di potere».
Ha mai pianto sul posto di lavoro?
«Sì, ma più per emozione che per rabbia. Quando mi arrabbio mi concentro, è più facile che pianga per gioia».
Il dress code di una donna al comando?
«Non mi sono maschilizzata, ho deciso che dovevo essere me stessa. La divisa da lavoro mi ha sempre intristita, mi sento più a mio agio con un bell’abito. Ma certamente un look “conforme” ti mette più al riparo».
Da ex Presidente dell’Eni come vede la situazione energetica che si sta profilando in seguito al conflitto in Ucraina?
«Insostenibile. Il rischio che parecchie imprese decidano di fermare la produzione o di chiudere è reale. E se un’azienda si ferma, si fermano anche i lavoratori: il che vuol dire cassa integrazione e un inasprimento del clima sociale, povertà per le famiglie e per il Paese. Non possiamo permettercelo. L’Europa deve intervenire, ogni giorno che passa è tardi».
Lei conosce bene i protagonisti della vita politica italiana: cosa si aspetta che facciano per il Paese in un momento così delicato?
«Che continuino ad agire e a reagire con la stessa tempra di responsabilità, resilienza e dinamismo con cui nel corso della nostra storia, abbiamo superato altre prove difficili, sovvertendo tutti i pronostici e dimostrando al mondo che siamo un grande Paese».
Gli imprenditori che le piace ricordare?
«Primo tra tutti Vittorio Merloni: straordinario. Poi Giorgio Squinzi, mio successore in Confindustria: una persona speciale».
I suoi predecessori in Confindustria: Luca Cordero di Montezemolo
«Un grande team maker. Ha un’incredibile abilità nel saper scegliere le persone giuste per creare la squadra vincente.
Luigi Abete.
«Il padre nobile di Confindustria».
Eni.
«Un anno dopo che è morto mio padre, Matteo Renzi mi ha cercata. Ho chiesto a mio fratello e a mio marito. Entrambi mi hanno detto di poter contare su di loro. È il luogo dove ho imparato di più».
Sposata da 20 anni con l’ingegnere Roberto Vancini e mamma di Gaia, 19 anni.
«Con mia figlia ho un rapporto meraviglioso. Da piccola ha sofferto la mia esposizione: la imbarazzava una mamma con la guardia del corpo e spesso al tg. Quando la andavo a prendere alle gite faceva finta di non conoscermi».
Un segreto del successo?
«Essere tranquilli anche a casa, con qualcuno su cui poter contare sempre».