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 2022  settembre 03 Sabato calendario

Intervista a Romano Prodi


«Il rimedio è uno solo: diventare autonomi sull’energia. Ma servono due anni!».
E intanto, professor Prodi?
«Intanto facciamo tutto quello che possiamo fare. L’Italia deve precedere l’Unione europea, perché ha più problemi di altri Paesi. Per cominciare impariamo a moderare i consumi. E facciamolo subito».
In Germania è già accaduto. Perché da noi no?
«Forse il nostro governo ha avuto paura di creare allarmismo. Invece credo che esista una didattica necessaria. Bisogna allenare imprese e cittadini a un uso dell’energia più consapevole del momento».
Putin punta tutte le fiches sull’inverno, contando su una reazione dei cittadini europei, quando con il riscaldamento aumenteranno i consumi.
«Putin gioca con il gas. Ricordiamoci che è anche un esperto, ha pure scritto la sua tesi di laurea sull’energia. Ora tutto dipende da come ci posizioniamo. Va ribaltato lo schema: è l’Europa che deve mettersi nelle condizioni di creare problemi finanziari alla Russia, se non vogliamo continuare a essere noi a finanziare la guerra in Ucraina con folli prezzi del gas. Quando saremo in grado di non comprare più neppure un metro cubo di gas dalla Russia, allora Putin si comporterà di conseguenza».
La Ue si sta dimostrando all’altezza della sfida?
«Fino ad oggi è mancata una visione comune, ogni Paese si è mosso da solo secondo i suoi diversi interessi. Pensiamo al Nord Stream, io ho sempre espresso la mia contrarietà, perché si capiva che la Germania non lo voleva certo per l’interesse dell’Europa. Ma attendiamo di capire che cosa accadrà al vertice straordinario che si terrà finalmente il 9 settembre».
Ricordando Gorbaciov, lei ha detto che fu lasciato solo da Europa e Usa. Anche per questo si è arrivati a Putin?
«Europa e Usa si disinteressarono del compimento della rivoluzione economica e sociale all’interno della Russia, per la quale Gorbaciov avrebbe invece avuto bisogno del loro aiuto. Fu abbandonato e il senso di revanche cominciò ad allignare fino a diventare elemento dominante. In mezzo, però, abbiamo assistito anche a un’altra stagione, quella della cooperazione. Abbiamo avuto persino vertici Nato-Russia e infiniti sono stati quelli tra Ue e Russia. Il grande errore strategico successivo è stato spingere Putin tra le braccia della Cina».
Anche il nuovo governo dovrà inviare armi in Ucraina?
«Non ho mai amato il riarmo, ma è stata un’azione inevitabile. E non vedo elementi di cambiamento. Siamo in uno stato di necessità. Servirebbe una mediazione con Usa e Cina come protagonisti. Ma non c’è. Neppure questa orrenda trasformazione del conflitto in guerra di trincea sta portando a una trattativa».
Il prezzo dell’energia è esploso, l’inflazione galoppa. Sarebbe giusto uno scostamento di bilancio per finanziare misure eccezionali?
«No, di debito ne abbiamo già abbastanza. I tassi di interesse, in ogni caso, cresceranno in una misura tale da creare un vero e proprio allarme dei mercati. Si tornerebbe a una situazione esplosiva come quella del 2011 quando il governo di centrodestra di Berlusconi fu costretto a dimettersi. Ma questa campagna elettorale italiana corre come se il mondo non esistesse. Come fosse una corsa solitaria».
Meloni e Le Pen
I francesi mi dicono: Meloni è più a destra di Le Pen. Urlare al lupo al lupo non serve. Ma va fatta una riflessione
Lei è stato applaudito alla festa dell’Unità di Bologna quasi più di Letta.
«Mi hanno applaudito proprio perché avevo scelto di essere lì con Letta».
Con i sondaggi nettamente sfavorevoli al centrosinistra, ha commentato che le campagne elettorali sono fatte per ribaltare i pronostici. Per riuscirci serve un messaggio forte. Quello del Pd lo è?
«Sento molti slogan urlati dagli altri partiti, che coltivano il piccolo interesse e guardano al breve periodo. Letta invece ha un modo serio di affrontare le questioni ed è costretto a lottare in un contesto e in un Paese che non sembra voler ascoltare spiegazioni, ma solo slogan».
Alla fine Letta si è ritrovato quasi solo. Bersagliato dai 5 Stelle e dal terzo polo. Ha sbagliato i calcoli delle alleanze?
«Questi continui attacchi al Pd da parte di 5 Stelle e Calenda sono irragionevoli, ma soprattutto politicamente incomprensibili. C’è un vero accanimento: considerano il Pd come l’unico nemico. Ma dov’è la ragione? Non pensano anche al loro futuro? Che ritorno possono avere in un Paese con una maggioranza assoluta di destra? È questo il loro disegno? Lo trovo un atteggiamento surreale, postmoderno».
Il Pd sembra avere l’eterno problema di ripararsi a sinistra. Anche per questo ha perso l’appoggio di Calenda?
«Veramente l’alleanza era firmata e strafirmata. Poi Calenda ci ha ripensato. Evidentemente non si è voluto capire che è la legge elettorale che obbliga ad alleanze ampie. A destra, dove esistono diversità anche maggiori, l’hanno capito benissimo».
Chi evoca il fascismo alla luce di una possibile premiership di Giorgia Meloni, fa il suo gioco?
«I francesi commentano: noi abbiamo la Le Pen e la consideriamo erede di ideologie che mettono a rischio il nostro sistema; in Italia hanno la Meloni, che è più a destra della nostra Le Pen, ma non se ne preoccupano. Secondo i francesi, quindi, gli italiani preferiscono sempre stare a vedere».
Quindi lei è preoccupato?
«Probabilmente i francesi vedono giusto e io non posso non preoccuparmi pensando a quanto questo atteggiamento ci costerà. Urlare al lupo al lupo non serve. Ma va fatta una riflessione».
Ossia?
«Dobbiamo riflettere sul modello di democrazia e di Stato che vorremmo e che rischiamo di avere. Non è certo quello ungherese o polacco il modello di democrazia europea! Se il centrodestra dovesse raggiungere i suoi obiettivi, questo porterebbe a una democrazia meno liberale. A un Paese che non tiene conto del futuro. Purtroppo siamo arrivati a questo anche per la responsabilità dei partiti tradizionali che hanno perso il contatto con i cittadini. Gli eventi di questi giorni dimostrano che i partiti basati su un leader personale hanno sempre una pericolosa volubilità istituzionale. In fondo, con tutti i suoi difetti e i suoi errori, il Pd rimane, come dice il suo nome, un partito democratico».