La Stampa, 3 settembre 2022
Tennisti russi, tennisti ucraini
Al posto della stretta di mano un rapido contatto fra le racchette e poi via, senza nemmeno incrociare lo sguardo. Nel tennis, lo sport del fair-play, non stringere la mano all’avversario equivale a una dichiarazione di guerra: non è un caso che fra l’ucraina Marta Kostyuk e la bielorussa Victoria Azarenka agli Us Open sia andata proprio così. Gelo prima e durante la partita – vinta in due set dalla ex numero 1 Azarenka – dichiarazioni pesantissime da parte delle Kostyuk, insomma la guerra fredda del tennis. Dopo l’esclusione dei tennisti russi e bielorussi da Wimbledon, fortemente suggerita, per non dire imposta, dall’allora primo ministro Boris Johnson, è l’atto di ostilità più clamoroso – e stavolta più amaro perché personale, con volti e nomi al posto dei comunicati ufficiali – da quando è scattata l’invasione russa in Ucraina.Kostyuk, che si allena a Bordighera al Piatti Tennis Center con lo stesso staff che ha svezzato Jannik Sinner, ha 20 anni, è nata a Kiev, dove la sua famiglia vive sbarrata in casa, ed è una delle promesse del tennis mondiale. «Quando la guerra è scoppiata le tenniste russe sono diventate nemiche nel giro di un minuto», ha raccontato ad Eurosport, usando proprio la parola “enemy!, nemico, non “opponent”, avversario. «Batterle è diventato il mio modo di vincere la guerra». Marta sostiene che molte delle sue colleghe sono in realtà sostenitrici di Putin, e che un allenatore russo ha dichiarato pubblicamente che la guerra «è ciò che l’Ucraina si merita».Ha anche raccontato di essersi trovata lo scorso aprile al volante sulla strada che va da Monte Carlo a Bordighera con il tachimetro che segnava i 170 all’ora e aver pensato per un attimo di sterzare violentemente. «Senti come se tutto il mondo fosse contro di te, non riuscivo più a sopportarlo. Poi ho pensato che non potevo sprecare tutto così». Con l’aiuto di uno psicologo ha scacciato quei pensieri neri, ma a deluderla è stato anche l’atteggiamento della Wta, l’associazione che governa il circuito femminile. «Non è un segreto che la Wta non è mai stata davvero dalla nostra parte, ai tornei abbassano lo sguardo e cercano di evitarci, ma noi siamo in guerra. Invece di risolvere il problema, cercano di evitarlo».Molti altri tennisti ucraini si sono mobilitati in questi mesi. La ex n.3 del mondo Elina Svitolina già a marzo aveva annunciato che non sarebbe scesa più in campo contro avversarie russe o bielorusse, e si è poi presa una pausa dal tennis, in attesa del suo primo figlio «perché sentivo che in campo non ero più al posto giusto». L’ex numero 31 Sergiy Stakhovsky si è addirittura arruolato, pronto a imbracciare il fucile nella sua Kiev. Kostyuk insieme a loro ha firmato petizioni e chiesto che russi e bielorussi fossero sospesi dal circuito. «Ma il paradosso è che dopo l’esclusione di Wimbledon sembra che le vittime siano loro. Anche Nadal e Djokovic si sono detti contrari all’esclusione: rispetto la loro posizione ma non la condivido. Qui si parla di morire sotto le bombe». Prima degli Us Open con la Azarenka c’era stato un precedente. La bielorussa aveva accettato l’invito ad una esibizione pro-Ucraina e quando lo aveva saputo, Marta si era rifiutata di partecipare: «Nessuna di loro è mai venuta da noi per dire ’quello che sta succedendo è orribile’. Il fatto che siano state invitate all’evento è ridicolo. Piuttosto che salutino quando ci incontrano di persona». La 33enne Azarenka, che è nata a Minsk ma da molti anni vive negli Usa, ha provato a smorzare i toni. «Io stringo sempre la mano alla fine di un match, ma non posso obbligare le altre a farlo. Non sono amica di Marta, ma quando la guerra è scoppiata ho contattato tutte le tenniste ucraine che conosco di persona. La situazione è molto difficile, ma non dobbiamo dimenticarci che siamo tutti essere umani, dovremmo trattarci come tali. Sono qui per aiutare e credo di averlo fatto, senza renderlo pubblico. Ho offerto il mio aiuto, il mio ascolto: non credo che Marta lo sappia. Sono pronta a parlarle di persona, non su twitter o via sms».Molti dei tennisti russi si allenano all’estero, come Daniil Medvedev che vive in Francia, o Andrey Rublev che è cresciuto tennisticamente in Spagna, e in maniera neanche troppo nascosta si sono dichiarati contrari alla guerra, attirandosi dure critiche dai politici di Mosca. Medvedev qualche settimana fa ha vinto un torneo a Los Cabos, in Messico, ma il parlamentare della Duma Roman Teryushkov lo ha bollato come poco interessante, «visto che ha accettato di gareggiare senza bandiera, come richiesto dall’Occidente». Il n.5 del mondo Rublev si è detto pronto «a cambiare nazionalità, se sarà necessario per continuare a giocare a tennis», a New York intanto non passa giorno senza che qualcuno non sollevi l’argomento guerra con Medvedev, che per ironia porta lo stesso cognome dell’ex presidente russo Dmitri, putiniano di ferro. «Quello che continuo a ripetere a tutti è che io sono sempre Daniil. Uno che gioca a tennis e vuole vincere dei tornei». In tempi di guerra, non una posizione facile da difendere.