Corriere della Sera, 2 settembre 2022
Intervista ad Andrea Dovizioso
Come vive la sua ultima gara?
«Avendola interiorizzata la vivo tranquillamente. Non è come svegliarsi all’improvviso e chiedersi: “Oddio, e adesso che faccio...?”». Andrea Dovizioso domenica sera riporrà la tuta nell’armadio, dopo avere salutato i tifosi che accorreranno a Misano per un ultimo abbraccio. La MotoGp perderà quello che Pecco Bagnaia ha definito «uno dei piloti italiani più importanti di sempre».
Perché a Misano e non a Valencia, l’ultima tappa?
«Questo è il posto giusto per chiudere, davanti agli amici e sulla pista dove ho debuttato con la 125, vincendo».
La MotoGp è in crisi di personaggi, ma lei ha conquistato il pubblico con i risultati.
«Non vivo sui social e mi considero una persona vera, a differenza di certi piloti, personaggi solo di facciata. Ma io sono un personaggio. Lo sono diventato lottando con Marquez».
Luca Cadalora la definì, scherzando, «grigio come l’asfalto», che è poi diventato il titolo del suo libro.
«Giustissimo, fino al 2016. Poi sono cambiato e diventare competitivo con la Ducati ha mutato la percezione di ciò che ero. Non sono più del colore dell’asfalto, ma resto con le mie caratteristiche».
Che cosa è cambiato?
«Ho imparato ad approcciare tutto quello che mi succedeva, a livello sportivo e personale, in modo migliore. È come scoprire di avere una cilindrata più grossa».
Tra la prima vittoria in MotoGp, nel 2009, e la seconda, nel 2016, sono passati 7 anni e 130 gare: come si spiega?
«I risultati c’erano anche prima. Arrivavo terzo o quarto, mica ultimo, ma dopo il 2016 con la Ducati siamo diventati davvero competitivi. Ho sempre cercato di migliorarmi, e se continui a cercare trovi sempre qualcosa in te».
Più talento o più lavoro nella sua carriera?
«La gente crede che in me ci sia più dedizione, ma non è del tutto vero. Se non avessi lavorato sodo non sarei rimasto al vertice per 20 anni. Ma di base ci vuole il talento, e in grandi dosi».
Tre volte secondo ma non mi sento sconfitto: ho perso contro un vero campione
Quanto conta la fortuna?
«Chi dice che un pilota cade perché è sfortunato non capisce un cavolo. Se non vinci per tanti anni non è colpa della cattiva sorte, i risultati si costruiscono mettendo i tasselli al loro posto».
Quindi non si sente in credito con la sorte?
«Si riferisce al fatto di aver incontrato i migliori campioni nello stesso momento? È una visione un po’ riduttiva. Marquez ha vinto perché è stato più forte. Punto. Nascondersi dietro alla sfortuna è un grosso errore».
I suoi detrattori dicono che lei usa troppo la testa.
«Usare la testa non significa sacrificare la competitività. A volte ti butti e altre no».
Nel libro scritto con Alessandro Pasini ha confidato: «Lorenzo in Ducati mi esalta». Perché
«Si aspettava di dominare ma sapevo che sarebbe andata diversamente. Però mi ha aiutato a crescere. Da lì sono diventato ancora più forte».
Ha anche detto: «Simoncelli è sempre stato presente nella mia testa».
«Siamo sempre stati rivali, da quando avevamo 8 anni. Un tipo fortissimo e aggressivo, ti metteva a frusta. Quando è scomparso ho percepito un vuoto per parecchio tempo e non me l’aspettavo. Lo rispettavo moltissimo».
Ha trovato sulla tua strada Marquez al top. Altrimenti avrebbe vinto il titolo.
«Tre volte secondo, ma non mi sento sconfitto. La mia evoluzione in quei tre anni è stata importante e arrivare dietro di lui non era scontato. Non ho vinto, ma sono consapevole di aver perso contro un campione».
Quali saranno le sue priorità, da lunedì?
Simoncelli ha lasciato un vuoto enorme: era forte e aggressivo, a otto anni già ci sfidavamo
«Ho un sogno: correre ancora con la moto da cross. Anche se l’età avanza... E poi terrò una porta aperta un po’ su tutto. Anche nel paddock».