La Stampa, 2 settembre 2022
Intervista a Matteo Berrettini
Luci, rumore, adrenalina, la sensazione di essere al centro di tutto. Matteo Berrettini è un cacciatore di emozioni quindi ama New York. Ricambiato: è questa la città dove nel 2019 ha raggiunto la sua prima semifinale in uno Slam, bussando alla porta del grande tennis. Ieri a Flushing Meadows ha faticato in quattro set (2-6, 6-1, 7-6, 7-6) contro il francese Hugo Grenier, n.119 Atp, e domani affronterà l’ex numero 1 del mondo Andy Murray. «È stata una partita difficile ma sentivo di poter vincere».
Matteo, ha dato un occhio al tabellone e dove può arrivare?
«So da che parte sto, quella dove hanno già perso Cerundolo e Tsitsipas. Ma mi conoscete, sono uno che ragiona un match alla volta».
L’ultimo Slam dell’anno sembra apertissimo, specie con l’assenza di Djokovic.
«Be’, negli ultimi anni un trend diverso si è già visto, anche se Novak e Nadal sono sempre lì. Però Ruud è arrivato in finale a Parigi, io e Kyrgios a Wimbledon: qualcosa si muove».
Se fosse un bookmaker una vittoria di Berrettini a quanto la darebbe?
«Non so come funzionano queste cose, lo giuro. Non lo darei per primo favorito, ma neanche ventesimo».
È stato giusto escludere il no-vax Djokovic?
«Grazie della domanda: comunque rispondo, rischio di essere attaccato da tutte le parti… Oggi è difficile pensare di impedire di giocare a qualcuno, però ci sono delle regole. Non sarebbe giusto esentare qualcuno solo perché è famoso: sono le basi della democrazia. Detto questo a me come a tutti spiace che non ci sia Novak, con lui sarebbe stato un torneo più bello».
Si è allenato con Nadal: come lo ha trovato?
«È sempre lo stesso. Ha talmente tante armi… Mi fa bene allenarmi con lui».
Se chiude gli occhi e pensa a New York cosa vede?
«Un bel caos, che mi dà tanta energia. Anche il torneo, uno dei più importanti che abbiamo, è pieno di rumore, di gente, quindi bisogna essere bravi a gestirlo, sia dentro sia fuori dal campo. Però mi è sempre piaciuto giocare qui, mi ci trovo bene».
Rituali newyorchesi?
«Li abbiamo. Il team è numeroso, poi qui ci sono la mia famiglia e qualche amico, ci piace stare insieme, cenare al ristorante del mio amico Giovanni Bartocci (via della Pace, ndr). I rituali servono a fare ordine nel caos di New York».
Un caos calmo, come direbbe l’ex tennista Sandro Veronesi. Nei mesi scorsi ha iniziato a studiare i meccanismi del sonno con Jacopo Vitale del “Galeazzi” di Milano: la pennichella le serve?
«Aiuta, il problema è che magari a quell’ora devi giocare. Negli ultimi giorni ho provato a prendere il ritmo del match di primo turno, se devi giocare in notturna però ti sballa tutto. Sono studi interessanti, continuerò l’esperienza».
A proposito di abitudini: scrive sempre il suo diario di viaggio?
«Non è una cosa sistematica, ma scrivere mi piace. A volte lo condivido con il mio mental coach Stefano Massari, altre lo tengo per me».
Lo pubblicherà mai?
«In futuro, perché no».
Ci fa spiare il capitolo su New York?
«Spesso arrivo qui dopo periodi non facili. Anche nel 2019 venivo da un infortunio, avevo perso subito a Cincinnati, ma poi questo torneo mi stimola, mi tira fuori il meglio. Mi piace che New York capiti in questo periodo della stagione».
Rispetto all’erba, dove la batte solo il Covid, che cosa le dà e le toglie il cemento?
«Partiamo dal presupposto che non c’è solo un cemento, ma 10 o 15 diversi. Rispetto a Indian Wells o Miami, New York è un torneo completamente diverso. Rispetto all’erba, il “duro” mi consente di variare direzioni ed altezze, quindi è più simile alla terra. Mi toglie invece un po’ di velocità, specie con il servizio. Nei momenti in cui sono aggressivo per gli altri è più facile difendersi».
Il suo 2022 per ora è stato uno «stop & go», fra i successi sull’erba e la rinuncia per Covid a Wimbledon. Oggi è n.15 Atp, entrare di nuovo fra gli 8 delle Finals è un obiettivo?
«Non è una cosa facile. Nel 2021 con l’infortunio al primo match a Torino non me la sono goduta, quest’anno per un motivo o per l’altro sono indietro. Però ci sono tanti tornei per recuperare. Vediamo come va qui poi ci pensiamo».
Come va l’amicizia-rivalità con Sinner?
«A Montreal siamo andati insieme a cena, abbiamo un buonissimo rapporto. Anche lui non ha avuto un’annata facile. Ci siamo detti che dopo gli US Open dobbiamo pensare bene alla Davis, con lo spirito giusto, perché sarà importante». —