La Stampa, 2 settembre 2022
Intervista a Giovanni Atzeni, il re del Palio
Lo scorso agosto ha segnato il suo nono successo, il quarto consecutivo su 35 Palii corsi in piazza del Campo, a Siena. Ad Asti ha all’attivo tre vittorie, la prima nel 2003 con Santa Caterina, l’ultima nel 2016 con Nizza. Nel mezzo, quella del 2007 con San Secondo. Giovanni Atzeni, classe 1985, ha iniziato la sua carriera nelle corse a pelo nel 2001, al Palio di Fonni, ma i primi passi li ha mossi giovanissimo nelle corse in Sardegna: ha appena dodici anni quando debutta al Paliotto di Bitti. Il suo soprannome, Tittia, risale ai primi tempi della sua esperienza nelle scuderie senesi di Luigi Bruschelli, detto Trecciolino: «tittia» è una tipica espressione sarda che significa “che freddo”, frase che Atzeni ripeteva spesso nelle mattine trascorse ad allenare i cavalli. Uomo riservato e riflessivo, la sua storia, che parte dalla Germania per passare dalla Sardegna e approdare in Toscana, è narrata nel film «Palio» di Cosima Spender. Domenica difenderà i colori del borgo Don Bosco al Palio di Asti nell’edizione della rinascita, la seconda dopo quella del 1967.
Com’è stato ripartire dopo due anni di fermo forzato?
«In realtà non sono mai stato fermo. Sono tre anni che non faccio un giorno di ferie. Ho un allevamento di mezzosangue e un po’ di purosangue da ippodromo. Ho approfittato del lockdown per allenarmi e dedicarmi agli ippodromi di tutta Italia, con grandi risultati, e questo mi ha tenuto vivo e concentrato».
Quattro vittorie consecutive a Siena, cosa si prova? Cambia l’emozione?
«L’emozione è più o meno sempre la stessa. Anche se l’ultima ha avuto un sapore particolare, perché in tanti dicevano che quattro vittorie di fila nel Palio moderno non c’erano mai state, per cui è stato davvero un sogno raggiunto».
Una rivincita verso alcuni?
«In un certo senso sì, verso tutte quelle persone che prima avevano dei dubbi e sostenevano che vincessi nelle contrade piccole o senza avversari o perché avevo avuto fortuna».
Dove trova la motivazione?
«Amo il mio lavoro, non lascio mai nulla al caso. Sono vent’anni che sono a Siena ormai e non mi sono mai fermato, mi pongo sempre obiettivi nuovi».
Come ha affrontato i due appuntamenti di quest’anno a Siena?
«Dopo due anni di stop la voglia di correre e vincere era tanta. Ho trascorso il lockdown come se dovessi correre il giorno dopo, sono arrivato alle due corse più che pronto. Venendo dagli ultimi due Palii del 2019 come vincitore ho affrontato la nuova annata pensando che non avevo nulla da perdere e questo mi ha fatto lavorare molto più tranquillo».
Com’è iniziata questa lunga avventura?
«Sono nato in Germania, dove mio padre, per hobby, ha sempre avuto cavalli da corsa. Al pomeriggio portava me e i miei fratelli a montare, in scuderia. A undici anni ci siamo trasferiti in Sardegna e mio papà ha portato anche i cavalli tedeschi. Lì ho iniziato a partecipare a tutti i paliotti. A dodici anni, ancora bambino, ho corso il mio primo palio. Da quel momento non mi sono più fermato e ho corso fino a diciassette anni quasi tutti i Palii della Sardegna».
Poi si è trasferito a Siena…
«Si, ho conosciuto Trecciolino che mi ha chiesto di andare a lavorare con lui e provare a entrare nel mondo del Palio».
Il suo soprannome è nato in quegli anni.
«Al primo Palio: Tittia, brivido di freddo».
C’è una vittoria che è stata più emozionante delle altre?
«Sono state tutte belle, anche se la prima la ricordo in modo particolare perché credevo fosse impossibile. Ma è la terza, corsa con un cavallo mio non fortissimo, quella che credo abbia segnato la svolta nella mia carriera».
La vittoria più difficile?
«Nel 2011 a Siena, su Mississippi, un cavallo al debutto che nelle prove mi ha fatto un brutto scherzo, mi ha fatto prendere un colonnino. Il gesto è stato talmente particolare che sono arrivato al Palio con la testa piena di pensieri e una caviglia gonfia. Poteva risuccedere, per cui prima della corsa ero pieno di tensioni».
Lei ha un rapporto forte con i suoi cavalli. Quando nel 2016 al Palio di Asti corse per Nizza fece il viaggio dalla Toscana al Piemonte nel rimorchio con il suo cavallo perché era agitato.
«È vero, sono molto affezionato ai miei cavalli, ci lavoro da anni e quando posso corro con loro. Sono essere speciali, vanno trattati bene».
C’è stato un incontro particolarmente significativo, che ha segnato il suo percorso?
«Il primo capitano che mi ha fatto debuttare a Siena, Fabio Giustarini. Ero praticamente un bambino, avevo diciotto anni e mi ha preso sotto la sua ala come un figlio, mi ha seguito dandomi consigli in questi vent’anni di carriera».
Come si descriverebbe in tre aggettivi?
«Generoso, serio e sempre affamato di vittoria. Ma anche determinato e testardo».
Il suo punto debole?
«Mi pesa stare lontano dalla mia famiglia, da mio figlio Mattia, quando vado via per più giorni per il Palio».
Quello di forza?
«Non mi arrendo mai».
Ha dei gesti scaramantici, dei rituali che si ripetono prima di una corsa?
«Da ragazzo li avevo. Poi le cose non andavano magari come avrei voluto e ho capito che i gesti scaramantici non ci devono essere, perché diventano solo elementi che condizionano».
Pronostici per domenica ad Asti?
«Speriamo continui la scia positiva di Siena». —