il Fatto Quotidiano, 2 settembre 2022
Biografia di Corrado Borroni
Maggio 1995. Al governo c’è Lamberto Dini, la Juventus sta per laurearsi campione d’Italia per la ventitreesima volta e a Roma si disputa la 52esima edizione degli Internazionali d’Italia. La grandeur dell’Italtennis maschile attuale è al tempo inimmaginabile, ma qualche bel prospetto non manca. Anzitutto Gaudenzi, che tre mesi prima ha raggiunto la posizione migliore della sua classifica: 18° al mondo. A Roma, oltre a Gaudenzi, quell’anno ci sono Furlan e le wild card Pozzi e Pescosolido. Le teste di serie sono di pregio: Sampras, Chang, Bruguera, Edberg, Ivanisevic, Ferreira, Courier, Martin, Muster e Kafelnikov. Il torneo lo vincerà Muster, in finale in quattro set su Bruguera. Una buona edizione. A sorpresa, nel tabellone principale, carambola anche un altro italiano. È nato il 6 maggio del 1973, lo stesso anno di Gaudenzi. Milanese, originario di Garbagnate. Si chiama Corrado Borroni ed è numero 411 della classifica ATP. Ha superato contro pronostico le qualificazioni sconfiggendo il peruviano Venero, l’argentino Charpentier e il marocchino Alami. Il grande pubblico non lo conosce, gli addetti ai lavori un po’ sì. Soprattutto Riccardo Piatti, eterno scopritore di talenti. Il 17 maggio 1995, su Repubblica, Gianni Clerici scrive: “Saran quattro o cinque anni che il mio paisà comacino Riccardo Piatti, sempre festoso, sempre ottimista, mi prende sottobraccio e mi trascina con lui. So benissimo come finiscono queste iniziative. C’è in vista un futuro campione o, quantomeno, una speranza (..) Guardo quel giovanotto palleggiare, e vengo subito affascinato dalla disinvoltura, dalla fluidità muscolare, da un bel senso del tempo, un paio di rovesci lift e slice, da un diritto meno naturale ma sempre buono. ‘Si chiama?’. ‘Corrado Borroni’. ‘Mi pare che debba imparare a scegliere il colpo. E a metterla dentro’”.
Perché il grande scriba Clerici dedica un articolo su Repubblica allo sconosciuto Borroni? Perché Corrado, nel frattempo, è diventato l’idolo del pubblico romano (e non solo romano). Per un rovescio a tutto braccio sontuoso, per il look alla Agassi e la fascetta alla Cash. Per quei capelli lunghissimi che non taglia da sette anni. E per una vittoria inspiegabile. Al primo turno di quegli Internazionali, Borroni becca la testa di serie numero 6. Ovvero Evgenij Kafelnikov, detto “Il Principe” quando va bene e “Kalashnikov” quando si ha bisogno di maggiore realismo. Non dovrebbe esserci storia, ma Piatti – che aveva seguito Borroni alle Pleiadi di Moncalieri – sibila alla vigilia una profezia beffarda: “Voglio proprio vedere che faccia farà Kafelnikov quando Corrado gli tirerà due rovesci sulla riga nei primi due punti dell’incontro”. Ed è esattamente quello che accade. Il russo algido vince il primo set 6-3, ma cede clamorosamente secondo e terzo set 7-5 6-3. Borroni, venuto dal nulla, ha fatto l’impresa. In quel momento diventa seduta stante una delle meteore più bizzarre, talentuose e fugaci del tennis italiano. La stampa lo chiama (senza troppa inventiva) “Capellone” e “Cenerentolo”, tutti vogliono una foto con lui. I più entusiasti sognano addirittura di aver trovato un nuovo Panatta e già lo immaginano campione di Roma, ancor più quando al secondo turno sconfigge con due tie-break il terraiolo argentino Carretero.
È però ancora Clerici a smorzare subito gli entusiasmi: “Capace, Kafelnikov, di giocare qualcosa come 45 match di singolare più 28 di doppio dall’inizio dell’anno, e di ridursi quindi in penose condizioni fisiche, tanto da perdere negli ultimi tre tornei al primo turno. Niente di trionfalistico, quindi, nella vittoria di Corrado. Soltanto un segnale che abbiamo un altro tennista vivo”. A fermare in ottavi di finale la favola di Borroni basta un Edberg mai stato terraiolo e a fine carriera, che lascia a Corrado la miseria di due game. Borroni ha appena 22 anni e scala più di duecento posizioni in classifica, ma quel best ranking (147 al mondo) resterà il suo apice. Di fatto la sua carriera cominciò e finì in quei giorni di maggio del ’95 a Roma.
L’anno successivo Borroni si qualificò ancora al tabellone principale degli Internazionali d’Italia. E trovò ancora al primo turno Kafelnikov. Perse, ma giocando molto bene e portando il russo – che poche settimane dopo avrebbe trionfato al Roland Garros – al terzo set. Evidentemente, a Roma e contro il futuro numero uno al mondo “Kalashnikov”, Corrado si esaltava. Per lui però erano già pronti i titoli di coda. Nel settembre del ’96 gli diagnosticarono un’artrosi a entrambe le anche, la stessa malattia che porterà al ritiro anticipato di Kuerten (“Era un problema di struttura fisica: pesavo 85/90 kg e le mie anche non riuscivano a sostenermi”). Resiste un altro po’, ma a soli 24 anni si ritira. Apre un negozio di articoli sportivi a Saronno, quindi un bar vicino ad Arese. Per poi diventare un ottimo allenatore.
Oggi Borroni ha 49 anni, una Harley Davidson (“Incarna la mia idea di libertà”) e non pochi tatuaggi sul braccio destro (“I tatuaggi sono il contraltare a un temperamento troppo riflessivo, per non dire troppo razionale”). Di fortuna ne ha avuta pochissima, ma quei giorni fiammanti di 27 anni fa non glieli toglierà mai nessuno.