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 2022  settembre 02 Venerdì calendario

Intervista a Lars von Trier

A volte ritornano. Sulla scia di Twin Peaks, ventotto anni fa The Kingdom del genio danese Lars von Trier rivoluzionava la serialità europea: nel 1997 sarebbe arrivata la seconda stagione, la terza, The Kingdom Exodus, è in anteprima fuori concorso alla 79esima Mostra di Venezia e prossimamente in Italia con Movies Inspired.
Molto è cambiato, non l’ospedale Il Regno: la sonnambula Karen (Bodil Jørgensen) saprà liberarlo dall’enorme organismo di carne e sangue che ne ha preso possesso? Assente dal Lido per problemi di salute, parliamo con il regista de Le onde del destino su Zoom.
Lars von Trier, perché ha deciso di tornare a The Kingdom?
La depressione. Per la mia salvezza, dovevo lavorare, e The Kingdom è stata la scelta più semplice. Ho cercato di liberarmi di tutti i vincoli che mi imponeva la serie precedente, di creare personaggi nuovi, anche perché nel frattempo molti interpreti erano morti. Non volevo fare una cosa moderna, né ripetermi: scrivere la sceneggiatura è stata gioia pura, ora spero sia un’esperienza piena di vita per gli spettatori.
Ha da poco rivelato di avere il Parkinson: come sta?
Sto bene, direi, a parte questo tremore che è difficile da combattere. Ma mi sento meglio, un po’ più stupido di quanto fossi in passato, e questo dice molto. Non sapevo di essere malato quando ho incominciato a girare, né gli attori se ne sono accorti: sono felice del loro sostegno.
Che cosa ci insegna The Kingdom?
Più invecchio, più sono incline ai temi leggeri, a dispensare humour: non ho pensato né alla moralità né al messaggio. Almeno, a un messaggio che si possa condensare in poche parole.
Nel 1994 ne fu un pioniere, oggi le serie sono il futuro del cinema?
Non posso dire niente del futuro, solo che la gente ormai non va più molto al cinema. Ma il grande schermo è ancora il luogo e il modo più giusto per godersi un film, vederlo in tv porta con sé molteplici disturbi.
Lei le serie le vede?
No.
In principio fu il Dogma 95, ora che regole si dà per girare?
Quelle di chi venga catapultato su un’isola che non ha mai visto prima: gli si dice, parti da qui ed esplora a Ovest, ma magari a Est c’è qualcosa di più interessante e… io ci vado. Ecco, delle regole militari (ride).
Ha sempre paura di morire?
Credo si sia un po’ attenuata, sono contento, sento che non c’è nulla che debba fare ancora. Posso averne voglia, ma non sono costretto.
Nelle prime due stagioni la leggenda vuole che non abbia mai messo piede nell’ospedale Il Regno: stavolta?
Mi sono visto costretto, giacché il contatto con gli attori è aumentato. Sono felice del risultato, ma stare in ospedale è spiacevole.
Di Dio che dice?
C’è un Dio creatore, che fa buone cose ma anche il loro opposto: la vita e la morte. Dunque, un Dio sadico: ha creato il mondo, e pure il dolore. Sappiamo tutti che un giorno moriremo.
E paura della guerra in Ucraina l’ha?
Estrema paura. Abbiamo vissuto l’età dell’oro della democrazia, confidando andasse avanti per sempre, ma siamo caduti in disgrazia. Quel modo di vivere appartiene già al passato, credo che gli occidentali stiano sottovalutando Putin. Già colonnello del Kgb, ha indicato come il giorno peggiore della propria vita il crollo dell’Unione Sovietica: è pericoloso. Se la Russia ampliasse la sua attività spaziale, potrebbe minacciare i satelliti occidentali, e per il nostro mondo sarebbe la fine.
Nondimeno, The Kingdom ne è la prova, non ha perso il sorriso.
Ironia e satira sono fondamentali, perché hanno a che fare con la libertà di parola, che per me è la cosa più importante. Ricorderete, ho avuto problemi a Cannes per delle stupidate che ho detto, ma per questo mondo, per il nostro lavoro abbiamo bisogno della libertà di espressione.