Il Messaggero, 1 settembre 2022
Una biografia di Maradona
Partiamo da un’illuminazione di Umberto Saba, grande poeta italiano di Trieste: «Pochi momenti come questo belli», dice un verso della poesia intitolata Goal. Ecco il punto: da Leopardi ad Heidegger se il calcio sia aulica poesia o infima prosa, metafisica del divino o invece oppio dei popoli, è il dilemma che attraversa i saggi narrativi raccolti da Olivier Guez nel suo ultimo libro sul calcio argentino, metafora e parte per il tutto del calcio mondiale (Nel paese dell’aquilone cosmico, Neri Pozza).
Guez, nei suoi racconti profonda è la tensione narrativa per conciliare gli opposti che fanno del calcio un mistero cosmico, universale e popolare. Qual è il segreto?
«Se ci ragiono trovo il calcio un fenomeno abominevole. Un giudizio che condivido con Jorge Luis Borges: Esteticamente brutto.... Non me la sento di dargli torto. Eppure quando mi trovo allo stadio dimentico la ragione e mi trovo proiettato in una dimensione metafisica per novanta minuti. Il calcio è sogno!».
Anche oblio, no? Una risposta se la sarà data per spiegare la vera essenza del gioco del pallone?
«Certo: il titolo originale in francese, meno sognante di quello italiano, risponde bene alla questione: Une passione absurde et devorante cioè una passione assurda e divorante. Non basta?»
Perché Maradona, di questa passione predominante è il prototipo, demiurgo di ogni narrazione?
«Maradona, Aquilone cosmico secondo la definizione di un famoso cronista argentino che si chiama, nientemeno, Victor Hugo intrattiene un rapporto speciale con il mito. El pibe è una figura eroica della identità argentina. El pibe de oro, si presenta sulla scena del pallone nel ruolo di predestinato, atteso come un Messia. Non scherzo! Alla fine degli anni Venti del Novecento, i giornalisti di El grafico, la rivista che applicava al racconto del calcio i metodi della critica letteraria, avevano profetizzato l’arrivo messianico del calciatore che avrebbe riscattato l’Argentina dalla sua sudditanza culturale. Cinquantanni dopo, quel Messia, nel fisico, nello stile, nel carattere corrisponde a Maradona. Un uomo piccolo piccolo che impone al mondo la sua grandezza, al di là del calcio».
Al di là del bene e del male... Diciamolo, Maradona è un tipaccio. Le piace Maradona?
«Rispondo con un paragone impossibile. Nel suo rapporto con il male c’è qualcosa che succede ai geni e agli eroi: ne hanno bisogno per sublimare le loro debolezze. Pensiamo a Caravaggio e Rimbaud. Che bisogno aveva il grande poeta francese che tutti amiamo, di diventare un mercante di schiavi? E il genio di Caravaggio ci sembra forse meno grande di fronte alla sua vita dissoluta? Il male come rivincita esistenziale: sesso, cocaina, camorra napoletana, cartello di Sinaloa... Angelo e demone: anche Maradona ha coltivato questo desiderio di rivincita per se stesso, per gli argentini, per i napoletani... C’è un momento in cui si manifesta questo scambio fra il diabolico e il divino: Città del Messico, stadio Atzeca, 22 giugno 1986. Si gioca Argentina-Inghilterra. Al sesto minuto Maradona segna, con la mano. La Mano de Dios dirà. Poi, dopo solo quattro minuti segna ancora scartando sei avversari: un goal vero, il goal del secolo che tutti ancora vediamo e rivediamo. È la rivincita, contro la storia, dei figli degli emigrati di tutta Europa. Il riscatto della periferia contro il centro del mondo. È il sublime del calcio».
Che c’entra la storia?
«Specchio del mondo, il pallone riflette la propria epoca. Non solo la storia, ma anche la politica, la finanza, la cultura, il costume... La crisi della mondializzazione che stiamo vivendo oggi, ha già trovato nel calcio la sua rappresentazione. Pensiamo alle maglie dei giocatori. Niente più a che vedere con gli originali. L’identità smarrita corrisponde alla nuova economia mondializzata del pallone. Se prima c’erano Berlusconi e Moratti milanesi adesso ci sono i fondi di investimento cinesi, americani... Maradona è per me la memoria di un tempo passato, forse un po’ arretrato ma ancora autentico».
Post scriptum. Olivier Guetz scrittore francese di Strasburgo, protagonista delle cronache culturali di Parigi, vive a Roma. Non sappiamo quale delle due squadre della Capitale riscuota la sua simpatia, perché si è rifiutato di rispondere. Ci ha confessato una certa predilezione per la Triestina. In Francia tifa Strasburgo. In Argentina il River Plate. È suo il saggetto, Elogio della finta, sul brasiliano Garrincha che considera un geniale idiota un artista inconsapevole, al contrario di Maradona. Cronista del presente ha scritto e scrive per Le Monde e il New York Times. Come sceneggiatore è stato premiato per Lo Stato contro Fritz Bauer, film sulla cattura di Adolf Eichmann. La scomparsa di Josef Mengele, criminale nazista riparato in Sudamerica, è il suo libro più importante. Per il Festival della mente di Sarzana, il 3 settembre al Teatro degli Impavidi, ore 17, Guez discuterà con Maurizio Crosetti sul tema La mano de Dios: una vita di corsa.