il Fatto Quotidiano, 1 settembre 2022
Quando a rovinare i calciatori sono i familiari
Per senso di colpa o del dovere, obbligo o semplice riconoscenza. Per un rapporto malsano col denaro, così tanto per cui nessuno sa che farsene e tutti vogliono approfittarne. Per accorciare le distanze da una casa lontana, o per non riuscire a tagliare i ponti col passato che continua a ritornare. Forse, semplicemente per sentirsi meno soli. La storia di Pogba, ricattato dal fratello, costretto a denunciare il suo vecchio clan, è solo l’ultimo caso di calciatori vittime del loro stesso mondo.
Dentro quel che comunemente viene definito “entourage” c’è un po’ di tutto: parenti, amici, agenti, procuratori, giornalisti, faccendieri. Attaccati in maniera un po’ morbosa o proprio mantenuti, attorno al capezzale del campione si riunisce da sempre una corte di personaggi di umanità varia. A volte affetti e riferimenti positivi. Più spesso, frequentazioni ambigue.
Il più grande di tutti è stato l’esempio peggiore di tutti. Leggendarie le cattive compagnie di Maradona, da Barcellona a Napoli, dove frequentava i boss della famiglia Giuliano, quando giocava e poi quando ha smesso. “Le persone al fianco di Diego non saranno perdonate da Dio”, l’anatema dell’ex massaggiatore Galindez, uno dei pochi che forse gli ha voluto bene per davvero. La morte, in una catapecchia in Argentina, col conto prosciugato e imbottito di farmaci, è diventata una saga: gli eredi hanno denunciato l’avvocato Morla, il segretario, i medici con cui ha trascorso quei giorni. L’ultima cerchia del Pibe de oro.
Sudamericani e africani storicamente sono i più inclini a portarsi al seguito un codazzo di connazionali. Forse perché non è facile venire da così lontano, abbandonare il proprio mondo ed essere catapultati in un altro dorato, dove non è tutto oro quel che luccica. Adriano Leite Ribeiro a 20 anni era diventato un imperatore: stella dell’Inter, attaccante del Brasile. Pochi anni dopo si sarebbe ritrovato nel suo quartiere d’origine a Rio, la terribile Vila Cruzeiro, ritratto in festini con alcol e pistole, e accusato di associazione a delinquere per i rapporti col narcotrafficante Mica. “Adriano non è scomparso tra le favelas. È solo tornato a casa”, ha spiegato di recente, in uno splendido racconto autobiografico.
Non è facile recidere le radici che ti hanno portato a diventare il campione che sei, e che però spesso affondano in contesti degradati, poveri o proprio criminali. Chi ce l’ha fatta dovrebbe dimenticarsi di chi è rimasto indietro? È il caso di Pogba, cresciuto nella banlieue parigina, ma anche di Benzema, protagonista anni fa di uno scandalo ancora più clamoroso che gli è costato a lungo la maglia della Nazionale: fu coinvolto in un ricatto sessuale al compagno Valbuena da parte di un amico malavitoso, mai rinnegato nemmeno dopo la prigione. Kantè invece fu costretto a denunciare il suo storico agente Khiari, che aveva finito per ricattarlo. Per evitare cattive influenze non resta che rifugiarsi nella famiglia, a volte nemmeno quella. Adebayor, attaccante di Arsenal e City, voleva aiutare i parenti in Togo: gli chiesero una casa a testa e uno stipendio mensile, lui rifiutò e finì per credere che la madre gli avesse fatto un maleficio. Il fratello invece sosteneva che lui li avesse abbandonati in povertà, plagiato da guaritori spirituali.
In molti altri casi, gli affetti restano fondamentali nella carriera di un calciatore. Uno dei segreti di Cristiano Ronaldo è sempre stato il nucleo familiare (la mamma Dolores, i quattro figli, la compagna Georgina), mai scalfito nemmeno dalle vicissitudini (come le accuse di stupro dagli Usa). Era la storia anche di Francesco Totti, che grazie al cordone dei suoi cari è riuscito a vivere da re a Roma senza venirne divorato. La moglie Ilary Blasi e tutto il parentado, le sorelle di lei Silvia e Melory, il cugino di lui, il fidato Vito Scala un po’ preparatore e un po’ tuttofare: il suo mondo dentro e fuori dal campo, a cui era appaltata anche la potente Totti Spa, la gestione di immobili e attività proliferate intorno all’immagine del campione. Un idillio finito insieme al matrimonio, che ora dovrà trovare in tribunale una ricomposizione. Un altro microcosmo di un calciatore che implode su se stesso.