il Fatto Quotidiano, 1 settembre 2022
Oltre due milioni di italiani sono senza medico di base
Dieci anni fa erano 46 mila, adesso sono poco più di 41 mila e nei prossimi due anni ne andranno in pensione altri seimila. Travolti dallo tsunami della pandemia e dall’aggravio del carico di lavoro, soprattutto quello legato alle pratiche burocratiche, migliaia di medici di famiglia stanno gettando la spugna. Con pesanti conseguenze, in assenza di ricambio, per il diritto di accesso alle cure degli italiani: già adesso oltre due milioni non hanno più il medico di base. A essere maggiormente colpite sono le regioni del Nord e del Centro, da Veneto e Lombardia a Emilia-Romagna, Marche e Toscana, anche se la crisi riguarda anche quelle del Sud: nessuna si salva.
La soluzione? Superare il limite dei 1.500 pazienti per medico, limite finora mai superato se non in virtù di deroghe e in casi isolati. Adesso il tetto è di 1.800. L’accordo nazionale tra i sindacati dei medici e Sisac (Struttura interregionale sanitari convenzionati) è fatto e le Regioni lo stanno recependo. “L’abbiamo firmato perché non avevamo altra scelta”, dice Silvestro Scotti, segretario nazionale della Fimmg. “Ma il punto è: può un medico gestire 1.800 pazienti? No – osserva Claudio Cricelli, presidente della Società di medicina generale –, perché tanti medici continuano a essere soli, senza segretaria e senza infermiere. E con scarse risorse e scarso tempo a disposizione da ripartire su così tanti pazienti il pericolo di uno scadimento della qualità dell’assistenza è concreto e si riverbera su tutta la filiera della sanità”.
Le ripercussioni di questa fragilità si vedono da tempo sui Pronto soccorso, diventati il collettore di tutto ciò che i medici di base non riescono più a filtrare. E dalla Lombardia all’Emilia-Romagna, dalla Toscana al Lazio, le Regioni hanno rivisto o stanno rivedendo il tetto. Ma come si è arrivati a questo punto?
“La grave carenza era totalmente prevedibile, noi lo denunciavamo da 15 anni – dice Cricelli –, ma nessuno ha fatto nulla per impedire che questo accadesse. La pandemia e il sovraccarico non hanno fatto altro che accelerare la fuga, tanti colleghi anticipano la pensione di 2 o 3 anni”.
Ma la questione è più complessa. Comprende anni di errori nella programmazione della formazione, tra ministero, Regioni, università. Ma anche il fatto che il 50% dei medici non può avvalersi di una segreteria e solo il 30% ha a disposizione un infermiere: è quindi anche un problema di incentivi economici.
E solo Emilia-Romagna e Toscana, finora, hanno promesso contributi per permettere ai medici di base di riorganizzare gli ambulatori.
“Solo con una riorganizzazione e un aumento del reddito si può pensare di far lievitare considerevolmente il numero di pazienti senza ridurre la qualità del servizio”, dice Scotti. A farne le spese, ancora una volta, sono i cittadini. Va precisato che i medici di base non sono dipendenti del Servizio sanitario, ma liberi professionisti in convenzione con una remunerazione costituita da una quota fissa (45 euro all’anno per ogni paziente) e da una quota variabile, legata anche all’età degli assistititi. “Mentre le spese, per l’affitto dello studio o per pagare il sostituto, sono tutte a nostro carico – spiega Giuseppina Onotri, segretaria nazionale dello Smi, Sindacato medici italiani –. Ma proviamo a chiudere gli ambulatori dei medici di base e vediamo che succede: una tragedia”.