il Fatto Quotidiano, 1 settembre 2022
L’esercito degli indecisi del quale nessuno tiene conto
Fateci caso: tutto ciò che si dice sulla campagna elettorale, sui partiti e sui loro leader, su questo governo e sul prossimo, perfino sulle Borse si basa sui sondaggi. Cioè da uno strumento che, malgrado la professionalità di alcuni specialisti, resta aleatorio, approssimativo, lontano dalla scienza esatta. E in passato ci ha riservato clamorose sorprese all’apertura delle urne. Nel 2006 il trionfo dell’Unione prodiana dopo cinque anni di berlusconismo era dato per scontato, invece uscì il quasi pareggio Prodi-B., risolto dopo una notte di stallo dal voto estero per appena 25 mila schede di differenza al Senato. Nel 2013 nessuno previde l’ex aequo Pd-M5S al 25,5%. Nel 2014, alle Europee, tutti giuravano sul sorpasso dei 5Stelle sul Pd, che invece balzò al 40,8% mentre il M5S arretrò al 21,1. Nel 2018 i sondaggisti azzeccarono la tendenza del M5S primo partito, ma attorno al 26-28%, invece sfondò al 32,7% e il Pd precipitò inaspettatamente al 18,7. È probabile che stavolta i sondaggi colgano il trend generale: il consenso della Meloni si coglie nell’aria da un anno, da quando il Conticidio archiviò l’ottimo governo del nuovo centrosinistra, riverniciò di novità una leader che in pandemia aveva collezionato solo figuracce come il rivale Salvini e le regalò l’invidiabile postura di unica oppositrice all’ammucchiata draghiana. Ma, se in passato i sondaggi si son persi anche 5, 10, 15 punti per partito, non è escluso che anche stavolta soprastimino qualcuno: non FdI, ma gli alleati Lega e FI. E anche il Pd, che dalle Europee del 2019 vaga fra il 20 e il 22% perché ha lo zoccolo duro più consolidato (voti di abitudine, di potere, di scambio), ma potrebbe pagare i fiaschi su alleanze, slogan, posizionamento, programmi, candidati e scandali. Tantopiù che pure la rimonta dei 5S di Conte è palpabile da molti segnali.
Ma c’è un fattore X che nessuno calcola fino in fondo e che dovrebbe consigliare prudenza a chi ritiene tutto già deciso. A 25 giorni dal voto la Ghisleri stima un 35,4% (pari a 18 milioni) di indecisi: se votare o no (un incerto su 4) o su chi votare (gli altri 3 su 4). Se votassero tutti per una lista “Boh”, questa sarebbe il primo partito, ben oltre FdI. Non accadrà, perché la gran parte non andrà alle urne. Ma poniamo che qualche milione di quei 18 alla fine si convinca: sarebbe un’altra variabile in aggiunta ai possibili errori dei sondaggi (che contano solo chi risponde, cioè chi sa già di votare e per chi). Questo dovrebbe essere l’unico cruccio di chi ritiene una sciagura il ritorno delle vecchie destre: non evocare Mussolini, Orbán, Putin e Trump ogni due per tre, o sventolare improbabili agende Draghi, ma farsi una domanda sul perché di tanti incerti e darsi una risposta. Possibilmente in italiano.