1 settembre 2022
Della possibilità che nel 2024 la Nomination democratica a Joe Biden sia contesa
di Mauro della Porta Raffo Presidente onorario della Fondazione Italia USA
Compirà Joe Biden il 20 novembre del 2024 – allorquando gli Americani saranno stati chiamati da quindici giorni (il primo martedì dopo il primo lunedì del penultimo mese del prossimo bisestile cade il 5) per la sessantesima volta alle urne per le cosiddette elezioni presidenziali – la bellezza di ottantadue anni.Ammesso intenda ricandidarsi (è già alla grande il più anziano Capo dello Stato USA di sempre ma per quale mai ragione dovrebbe porre un limite alla Grazia del Signore?) – certo non potendo oggi in alcun modo prefigurare il futuro quadro neppure quanto al contraltare repubblicano (davvero è in vista una rivincita con Donald Trump?) – è possibile se non probabile che qualcuno nelle fila dell’Asino si proponga di strappargli l’investitura.Ora, storicamente, dai tempi di Franklin Pierce (in carica dal 1853 al 1857, al quale la Convention democratica preferì James Buchanan, e non considerando i precedenti che non vedevano i repubblicani in campo essendo stato fondato il Grand Old Party solo nel 1854), per quanto personaggi politici di notevole rilievo si siano cimentati, nei due campi partitici, nessuno è riuscito a farlo.Tra gli Elefanti, nell’elettoralmente per loro catastrofico 1912, neppure allorquando quel davvero eccezionale ex Presidente che era stato Theodore Roosevelt non riuscì a sconfiggere alla Convention l’uscente suo successore William Taft, motivo per il quale uscì dal partito e spaccando il suffragio amico causò il ritorno democratico, con Woodrow Wilson, alla Executive Mansion.E perfino nel 1976, non essendo in grado nell’occasione assolutamente particolare (Gerald Ford era l’incumbent non a seguito di una affermazione nei seggi ma per essere stato nominato come Vice in sostituzione di Spiro Agnew e poi essere subentrato al dimissionario Richard Nixon coinvolto nello Scandalo Watergate), perfino Ronald Reagan di superare congressualmente l’uscente ed aspirante alla conferma uomo politico del Nebraska.Nei due casi, per quanto capaci di prevalere internamente, Taft e Ford furono poi sconfitti a novembre dal rivale democratico di turno (il citato Wilson 1912 e Jimmy Carter nell’or ora ricordato 1976).È questa la situazione anche in campo democratico in un ambito nel quale è accaduto praticamente solo nel 1980 (i repubblicani hanno perso l’occupata White House più volte e i democratici praticamente soltanto in due occasioni nella prima delle quali, nel 1888, vincendo il voto popolare e perdendo per delegati salvo poi prendersi di nuovo lo scranno quattro anni dopo) che il Presidente abbia respinto, a fatica, la sfida ‘fratricida’ (la portò il Senatore Ted Kennedy a Carter) per dopo soccombere al rivale repubblicano (un Reagan finalmente nominato).Differenti ma da rammentare, il 1948 e il 1968.Nella elezione successiva al subentro mortis causa di Harry Truman a Franklin Delano Roosevelt, il partito democratico, confermando il missouriano quale candidato e pertanto in un quadro diverso, andò incontro a due scissioni, quella dei conservatori segregazionisti Dixiecrats e quella guidata dall’ex Vice Henry Wallace.Ciò malgrado e per quanto tutte le previsioni dettassero il contrario, Truman vinse bene.Nel 1968, un Lyndon Johnson che avrebbe potuto ripresentarsi decise di non farlo.In ragione soprattutto della non certamente bene avviata, per carità, e tragica Guerra del Vietnam in corso, ma, per quanto più limitatamente, altresì per la sfida che, inopinatamente, gli portava all’inizio delle Primarie, l’allora Senatore pacifista del Minnesota Eugene McCarthy.Tutto ciò detto, guardando con la dovuta attenzione il campo, che potrebbe agitarsi, in particolare degli Asinelli oggi occupanti White House, non resta che pazientemente aspettare.Come sempre, infine e del resto.