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 2022  agosto 31 Mercoledì calendario

I presidenti americani

Stati Uniti d’America.I quarantasei Presidenti (meglio, le quarantacinque persone che hanno ricoperto la carica),i rivali,i ‘terzi’,le ‘First’ e le ‘Second Ladies’, altri uomini politici di particolare rilievoe, naturalmente,annotazioni,articolazioni,regole,modi, un paio di ‘effect’inmeritoe dueghiribizzi.In appendice ilGlossario essenziale della politica americana.Infine, ilriepilogo e laQuarta di copertina.

di Mauro della Porta Raffo Presidente onorario della Fondazione Italia USA.

‘The Best Man’.
Leggenda vuole che al termine della lunga corsa verso White House il popolo americano sia ogni volta in grado di eleggere, non importa attraverso quale facile o accidentato percorso, l’uomo migliore ed è appunto ‘The Best Man’ il titolo della pièce teatrale di Gore Vidal alla bisogna dedicata che illustra come e in qual modo, anche nella contrapposizione più dura, questo accada.
 
Premesse.
1)4 luglio 2026, duecentocinquantesimo anniversario della Dichiarazione di Indipendenza: scadenza che rende particolari le votazioni del 2024.
Le cosiddette Presidenziali americane in programma ‘il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre’ del 2024 (cosiddette perché, a far luogo dal 1848 in un solo giorno, nella circostanza, essendo elezioni ‘di secondo grado’, saranno invero scelti i Delegati Statali – ‘Electors’ o ‘Grandi Elettori’, con l’iniziale maiuscola per distinguerli dagli elettori comuni – che poi effettivamente, ‘il primo lunedì dopo il secondo mercoledì del seguente dicembre’, riuniti nel Collegio che li comprende, nomineranno il Capo dell’esecutivo) e pertanto il 5, fra l’altro le sessantesime essendosi le prime svolte nel 1788/89, rivestono una specifica importanza anche perché l’eletto – o al massimo, dovesse mai subentrargli, facendo gli scongiuri, il suo Vice – sarà in carica il 4 luglio del 2026, giorno nel quale cade il duecentocinquantesimo anniversario della Dichiarazione di Indipendenza.I precedenti non depongono molto positivamente, anzi.Il 4 luglio del 1826, cinquantesimo, governava tra mille difficoltà John Quincy Adams, nominato (caso unico) dalla Camera con voto ‘per delegazioni’ ai danni di Andrew Jackson che lo aveva preceduto nel 1824 per suffragi popolari e per ‘Grandi Elettori’ non raggiungendo però – quattro allora i candidati comunque in grado di dividersi tali Delegati – la maggioranza assoluta nel predetto Collegio da questi formato.Per di più, proprio quelle del cinquantenario furono le ore nelle quali vennero a morte sia John Adams che Thomas Jefferson, due tra i più significativi Padri della Patria.In occasione del primo centenario – nel 1876 -volgeva al termine il secondo mandato di un chiacchieratissimo Ulysses Grant e si preannunciava una delle elezioni (con quella del 2000) più contestate dell’intera storia USA alla cui tormentata conclusione si arrivò solo a seguito di un discutibile compromesso partitico l’anno dopo, pochi giorni avanti l’Insediamento a quegli anni fissato al 4 marzo, data della promulgazione della Carta costituzionale nel 1789.Nel 1926, centocinquantesimo, Presidente era Calvin Coolidge succeduto, prima della personale affermazione del 1924, causa morte a Warren Harding.Il secondo centenario datato ovviamente 4 luglio 1976 vedeva – a seguito delle dimissioni di Richard Nixon e in precedenza del Vice Spiro Agnew al quale era subentrato seguendo l’iter imposto da un Emendamento datato 1967 – alla Casa Bianca il solo Capo dello Stato americano non eletto, Gerald Ford.E a quel novembre lo stesso sarebbe stato il primo Vicario succeduto nel Novecento (seguendo tutti gli altri vittoriosamente l’esempio di Theodore Roosevelt) a non ottenere la rielezione, venendo sconfitto da Jimmy Carter.Resta comunque quello indicato un momento nel tempo futuro assolutamente memorabile e ben si comprende che non pochi (non certamente solo Joe Biden e Donald Trump) siano gli aspiranti ad una nomina già altrimenti di grande importanza.
2)L’influenza dell’1 novembre sulle Elezioni Americane: perché si vota (teoricamente soltanto, visto che la possibilità del contestato voto postale va diffondendosi velocemente…) ‘il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre’ dell’anno corrispondente al bisestile.
1848, per la prima volta le Elezioni Americane si svolgono in una sola giornata.Esattamente il 7 novembre.Un martedì.Perché novembre?Perché un martedì?Quale martedì?Ove si escludano le prime votazioni per i Grandi Elettori (che ebbero luogo tra il 15 dicembre 1788 e il 10 di gennaio 1789), fino alla tornata datata 1844, nell’anno bisestile – una coincidenza visto che le seconde consultazioni ebbero luogo nel bisesto 1792 e il mandato è quadriennale – il popolo degli aventi diritto poteva votare per un arco di tempo di oltre trenta giorni comunque sempre comprendenti, se non tutto, larga parte del mese penultimo dell’anno.Questo in ragione del fatto che l’economia si reggeva sull’agricoltura e l’allevamento del bestiame e che il momento meno impegnativo dal punto di vista lavorativo per agricoltori, allevatori e mandriani era  ritenuto appunto novembre.Allorquando, per legge, si decise che il diritto di voto per la bisogna dovesse essere esercitato in un solo giorno si discusse sulla determinazione dello stesso.Per cominciare, novembre era da confermare e confermato fu.Si doveva votare di domenica?Impossibile (data l’epoca e la grande importanza della Religione).Era la giornata festiva dedicata al Signore e quindi...Di lunedì?Occorreva lasciare agli elettori il tempo per recarsi alle urne e pertanto no.Di martedì?Va bene, ma non semplicemente il primo martedì del mese di novembre perché avrebbe potuto cadere l’1 che è giorno dedicato ai Santi e quindi...Così si decise che si sarebbe votato ‘il primo martedì dopo il primo lunedì’ del penultimo mese dell’anno bisestile.E cosa era il citato 7 novembre del 1848 se non appunto quel particolare martedì?

Indicazioni:
1)Nel corso della seguente trattazione, molte le ripetizioni di disposizioni e fatti nonché dei riferimenti ai protagonisti essendo a mio modo di vedere necessario in ogni narrata circostanza chiarire e specificare e non volendo obbligare il lettore ad interrompere ricorrentemente la consultazione alla ricerca di spiegazioni in non si sa quale altra, altrove collocata, pagina.
2)Il simbolo del Partito Democratico è l’Asino e pertanto è in uso chiamarne Asini o Asinelli esponenti ed elettori.Quello del Partito Repubblicano è l’Elefante ed è abituale chiamarne Elefanti o Elefantini militanti ed elettori.Peraltro, il Repubblicano è anche chiamato ‘Grand Old Party’, ragione per la quale è possibile usare l’acronimo ‘GOP’ ancora per indicarne i maggiorenti e votanti.

I quarantasei Presidenti degli Stati Uniti d’America:
1789/1797 George Washington 1797/1801  John Adams 1801/1809  Thomas Jefferson 1809/1817  James Madison 1817/1825   James Monroe1825/1829  John Quincy Adams 1829/1837   Andrew Jackson 1837/1841   Martin Van Buren 1841/1741    William Harrison 1841/1845   John Tyler 1845/1849  James Polk 1849/1850  Zachary Taylor 1850/1853  Millard Fillmore 1853/1857  Franklin Pierce1857/1861  James Buchanan 1861/1865  Abraham Lincoln 1865/1869 Andrew Johnson 1869/1877 Ulysses Grant1877/1881  Rutherford Hayes 1881/1881  James Garfield 1881/1885  Chester Arthur1885/1889 Grover  Cleveland 1889/1893  Benjamin Harrison 1893/1897  Grover Cleveland 1897/1901  William McKinley1901/1909  Theodore Roosevelt 1909/1913   William Taft 1993/1921  Woodrow Wilson 1921/1923   Warren Harding 1923/1929  Calvin Coolidge 1929/1933  Herbert Hoover 1933/1945  Franklin Delano Roosevelt 1945/1953  Harry Truman 1953/1961  Dwight Eisenhower 1961/1963  John Kennedy 1963/1969  Lyndon Johnson 1969/1974  Richard Nixon 1974/1977  Gerald Ford 1977/1981. Jimmy Carter 1981/1989  Ronald Reagan 1989/ 1993 George Herbert Bush 1993/2001  Bill Clinton 2001/2009 George Walker Bush 2009/2017 Barack Obama 2017/2021  Donald Trump 2021     Joe Biden. 

Elenco dei Candidati democratici alla Casa Bianca, 1828/2020: 1828, Andrew Jackson, Vincente (d’ora in avanti V)1832, Andrew Jackson, V 1836, Martin Van Buren, V 1840, Martin Van Buren, Perdente (d’ora in avanti P)1844, James Polk, V1848, Lewis Cass, P1852, Franklin Pierce, V 1856, James Buchanan, V 1860, per il Northern Democrat Party Stephen Douglas, P, per il Southern Democrat Party John Breckinridge, P1864, George McClellan, P1868, Horatio Seymour, P1872, nessun candidato 1876, Samuel Tilden, P1880, Winfield Scott Hancock, P1884, Grover Cleveland, V1888, Grover Cleveland, P1892, Grover Cleveland, V1896, William Jennings Bryan, P1900, William Jennings Bryan, P1904, Alton Parker, P1908, William Jennings Bryan, P1912, Woodrow Wilson, V 1916, Woodrow Wilson, V 1920, James Cox, P1924, John Davis, P1928, Alfred Smith, P1932, Franklin Delano Roosevelt, V 1936, Franklin Delano Roosevelt, V 1940, Franklin Delano Roosevelt, V 1944, Franklin Delano Roosevelt, V1948, Harry Truman, V 1952, Adlai Stevenson II, P1956, Adlai Stevenson II, P1960, John Kennedy, V1964, Lyndon Johnson, V 1968, Hubert Humphrey, P1972, George McGovern, P 1976, Jimmy Carter, V 1980, Jimmy Carter, P1984, Walter Mondale, P 1988, Michael Dukakis, P 1992, Bill Clinton, V 1996, Bill Clinton, V 2000, Al Gore, P 2004, John Kerry, P2008, Barack Obama, V 2012, Barack Obama, V 2016, Hillary Rodham Clinton, P2020, Joe Biden, V
Elenco dei Candidati Repubblicani alla Casa Bianca, 1856/2020:
1856, John Fremont, perdente (d’ora in avanti P)1860, Abraham Lincoln, vincente (d’ora in avanti V) 1864, Abraham Lincoln, V1868, Ulysses Grant, V1872, Ulysses Grant, V 1876, Rutherford Hayes, V1880, James Garfield, V1884, James Blaine, P1888, Benjamin Harrison, V1892, Benjamin Harrison, P1896, William McKinley, V 1900, William McKinley, V 1904, Theodore Roosevelt, V 1908, William Taft, V1912, William Taft, P1916, Charles Evans Hughes, P1920, Warren Harding, V 1924, Calvin Coolidge, V 1928, Herbert Hoover, V1932, Herbert Hoover, P1936, Alf Landon, P1940, Wendell Wilkie, P1944, Thomas Dewey, P1948, Thomas Dewey, P1952, Dwight Eisenhower, V1956, Dwight Eisenhower, V1960, Richard Nixon, P1964, Barry Goldwater, P1968, Richard Nixon, V1972, Richard Nixon, V 1976, Gerald Ford, P1980, Ronald Reagan, V1984, Ronald Reagan, V 1988, George Herbert Bush, V 1992, George Herbert Bush, P1996, Bob Dole, P2000. George Walker Bush, V2004, George Walker Bush, V 2008, John McCain, P2012, Mitt Romney, P2016, Donald Trump, V 2020, Donald Trump, P
Elenco dei candidati ‘terzi’ di qualche importanza – alcuni essendosi presentati più volte sono citati con riferimento all’anno nel quale hanno conseguito il miglior risultato – a partire da inizio Novecento (era in precedenza, in particolare prima del 1856 quando Democratici e Repubblicani danno il via ai lori confronti diretti, normale che i contendenti White House fossero più di due, provenienti magari da uno stesso partito) fino praticamente ai nostri giorni, ovviamente tutti più o meno nettamente perdenti. Eccezionale, ‘Teddy’ Roosevelt nel 1912, perché sostanzialmente da indipendente, arriva secondo precedendo Taft che resta quindi il solo Capo dello Stato in cerca di secondo mandato e l’unico candidato appartenente a uno dei due partiti dominanti che non solo perde ma arriva terzo.
1912, Theodore Roosevelt 1924, Robert La Follette1948, J, Strom Thurmond 1948, Henry Wallace 1968, George Wallace1976, Eugene McCarthy 1980, John Anderson 1992, Ross Perot 1996, Ross Perot2000, Ralph Nader2016, Jill Stein 2016, Gary Johnson 

Elenco dei Vicepresidenti americani
(fino alla riforma con apposito Emendamento del 1967, ogniqualvolta il Vice, a causa del decesso del titolare subentrava alla Casa Bianca, moriva  o, in un solo caso, si dimetteva, la carica restava scoperta – ‘vacante’, come nell’elenco vergato – fino alle successive votazioni.Così non è stato – e non potrà più essere rispetto ad altri – quanto a Gerald Ford perché le dimissioni di Spiro Agnew datano 1973 e fu pertanto allora messa in atto la procedura in vigore per la sostituzione di cui alla modifica costituzionale indicata. Sarà poi lo stesso Ford, subentrato alla Presidenza a Richard Nixon per le conseguenze dello ‘scandalo Watergate’, rimasto ovviamente senza Vicario, a mettere in atto il medesimo iter nominando per la bisogna Nelson Rockfeller).
1789-1797​ John Adams1797-1801​ Thomas Jefferson1801-1805​ Aaron Burr1805-1809​ George Clinton1809-1812​ George Clinton1812-1813​  vacante1813-1814​  Elbridge Gerry1814-1817​  vacante1817-1825​ Daniel D. Tompkins1825-1829​ John C. Calhoun1829-1832​ John C. Calhoun1833-1837​ Martin Van Buren1837-1841​ Richard M. Johnson1841​ John Tyler1841-1845​ vacante1845-1849​ George M. Dallas1849-1850​ Millard Fillmore1850-1853​ vacante1853​ William R. King1853-1857​ vacante1857-1861​ John C. Breckinridge1861-1865​ Hannibal Hamlin1865​ Andrew Johnson1865-1869​ vacante1869-1873​ Schuyler Colfax1873-1875​ Henry Wilson1875-1877​ vacante1877-1881​ William A. Wheeler1881​ Chester A. Arthur1881-1885​ vacante1885​ Thomas A. Hendricks1885-1889​ vacante1889-1893​ Levi P. Morton1893-1897​ Adlai E. Stevenson1897-1899​ Garret A. Hobart1899-1901​ vacante1901​ Theodore Roosevelt1901-1905​ vacante1905-1909​ Charles W. Fairbanks1909-1912​ James S. Sherman1912-1913​  vacante1913-1921​ Thomas R. Marshall1921-1923​ Calvin Coolidge1923-1925​ vacante1925-1929​ Charles G. Dawes1929-1933​ Charles Curtis1933-1941​ John N. Garner1941-1945​ Henry A. Wallace1945​  Harry S. Truman1945-1949​ vacante1949-1953​ Alben W. Barkley 1953-1961​  Richard M. Nixon1961-1963​  Lyndon B. Johnson1963-1965​ vacante1965-1969​  Hubert H. Humphrey1969-1973​  Spiro T. Agnew1973-1974​  Gerald R. Ford1974-1977​  Nelson Rockefeller1977-1981​  Walter F. Mondale1981-1989​  George Herbert Bush1989-1993​  Dan Quayle1993-2001​  Albert Gore2001-2009​  Richard Cheney2009-2017​ Joseph R. Biden2017-2021​  Mike Pence2021-​           Kamala Harris

Un ‘mandato’, invero un esercizio ‘libero’ – mille le virgolette – del potere esecutivo, di diciotto mesi, anche meno?
Lo sappiamo, il mandato presidenziale americano – salvo decessi o dimissioni – dura esattamente un quadriennio.(Dalle elezioni del 1792 – anno bisestile, ragione per la quale si vota rispettando tale coincidenza – a quelle del 1932 comprese, iniziava con l’Insediamento il 4 marzo dell’anno successivo alla chiamata alle urne degli aventi diritto – il riferimento era alla data di promulgazione della Carta Costituzionale nel 1789 – per terminare lo stesso giorno preciso quattro anni dopo.Dal 1937, la cerimonia è stata anticipata al 20 gennaio, giorno nel quale si svolge tuttora, trovando pertanto l’incarico fine esattamente ancora il 20 gennaio di un quadriennio più tardi).Nessuna disposizione di legge ha obbligato fino all’approvazione del Ventiduesimo Emendamento datato 1951 i Presidenti due volte eletti a non candidarsi per un ulteriore mandato (e in effetti Ulysses Grant nel 1880 operò in quel senso venendo respinto in sede di Convention).Accadeva in qualche modo per via del fatto che George Washington, nel 1796, invitato dai sostenitori a riproporsi una terza volta, aveva rifiutato dicendo che un tanto impegnativo onere non poteva essere affrontato degnamente e bene  per più di otto anni.La ‘disattenzione’ – chiamiamola così – di Franklin Delano Roosevelt nei confronti delle citate parole del Padre della Patria, disattenzione che lo aveva portato a candidarsi e a vincere ben quattro volte salvo poi morire pressoché appena dopo il quarto Insediamento, il timore che si potesse arrivare ad una ‘Presidenza illimitata’, il decisamente mutato clima politico conseguente alla fine della Seconda Guerra Mondiale, portarono il Congresso a deliberare per una sola possibile rielezione e gli Stati a ratificare senza problemi la norma che ha trovato la prima applicazione con Dwight Eisenhower – impossibilitato nel 1960 a riproporsi (ammesso lo avesse voluto) perché già vincente nel 1952 e nel 1956 – e, dopo, con Ronald Reagan, Bill Clinton, George Walker Bush e Barack Obama, i quattro Capi dello Stato che hanno portato a compimento susseguentemente il duplice impegno.Peraltro, abbastanza presto, guardando concretamente all’andamento governativo, qualcuno cominciò a pensare che fosse opportuno se non necessario limitare ad uno soltanto il mandato vietando addirittura la candidatura a chi lo avesse esercitato.Questo perché, si diceva, il Presidente, una volta in carica, era in effetti quasi del tutto in grado di governare secondo i propri desiderata e dando seguito alle promesse programmatiche solo per poco tempo – si arrivò a calcolare diciotto mesi e anche meno – dovendo poi pensare alle Mid Term Elections (in calendario dopo un suo biennio e in verità prima) e dipoi all’avvicinarsi delle nuove votazioni, due molto di sovente se non sempre condizionanti momenti, dato che nell’affrontarli incombono le necessità elettorali del partito d’appartenenza come rappresentate dalle nomenclature che lo controllano.Fu il Partito Whig – effimeramente in spolvero tra la fine degli anni Trenta e i primi Cinquanta dell’Ottocento – a includere nel suo programma di riforme ad uno dei primi posti proprio il mandato unico.Non se ne fece niente perché il movimento non ebbe mai una maggioranza camerale e senatoriale tale da poter affrontare una battaglia di quella portata.Fatto è che – come sottolineo ironicamente ogni qual volta dell’argomento in questione tratti, argomento comunque non certamente di poco conto – i due Presidenti Whig eletti (William Harrison, nel 1840, e Zachary Taylor, nel 1848,), per mantenere fede all’idea per quanto non legiferata?, passarono a miglior vita  entrambi in corso di mandato.E come può un morto ricandidarsi?

‘La maledizione dell’anno zero’.
Attentati ‘presidenziali’ americani non portati a compimento (oltre, pertanto, quelli da tutti conosciuti riguardanti Abraham Lincoln, James Garfield, William McKinley e John Kennedy), con un necessario riferimento in premessa alla ‘Maledizione dell’anno zero’.
Al di là del dimissionario Richard Nixon – il nono ed ultimo – otto i Capi dello Stato americani che hanno nel tempo dovuto essere sostituiti dai rispettivi Vice, in quanto morti in carica.(Pressoché sempre – ove si escluda Abraham Lincoln e per quanto il povero Andrew Johnson non fosse poi la peste – da un subentrante di almeno buone, se non ottime, capacità, a dare quindi ragione ad Otto von Bismarck-Schoenhausen, il quale, guardando alle vicende d’oltre Atlantico, era ai suoi tempi già arrivato ad affermare che ‘esiste una particolare Provvidenza Divina che opera a favore dei bambini, degli ubriachi, dei matti e degli Stati Uniti d’America’).Orbene, sette tra costoro (l’escluso è Zachary Taylor, per quanto sia passato a miglior vita nel 1850: non si votava per White House, ma insomma) sono stati elettoralmente ‘collegati’ con un ‘anno zero’ (avente cioè lo zero come numero finale), la qual cosa ha portato non pochi osservatori ad ipotizzare una seria ‘Maledizione’ lanciata sugli occupanti la Casa Bianca (da un Capo Pellerossa a seguito di una sconfitta, fu detto e ripetuto).E valga il vero.William Harrison, il primo Presidente a tirare le cuoia (per cause naturali), era stato eletto nel 1840.Il già citato Abraham Lincoln – ben lo sappiamo, assassinato – aveva vinto la prima volta, nel 1860.James Garfield – ucciso – era arrivato a Washington prevalendo nel 1880.William McKinley – terzo fatto fuori – aveva ottenuto il secondo mandato nel 1900.Warren Harding – dopo Harrison (e invero il tascurato Taylor), il secondo morto naturalmente – aveva vinto nel 1920.Franklin Delano Roosevelt – terzo non assassinato della sequenza mortale – tra le quattro elezioni contava quella del 1940.John Kennedy, ammazzato a Dallas il 22 novembre 1963 – qualcuno non lo ricorda? – aveva sconfitto Richard Nixon nel 1960.Ciò detto, se i quattro (o più, visto che quanto al primo Cattolico arrivato a White House infinitamente si opina) autori del definitivo gesto lo portarono bene o male (Garfield e McKinley morirono dopo lunghi giorni di agonia anche per via delle difficoltà in campo medico dell’epoca) a termine, altri nel tempo hanno provato a compiere analogo delitto nei riguardi di almeno altrettanti ‘colleghi’ dei predetti. (Limito a un accenno, questo, i riferimenti all’assassinio  di Bob Kennedy – primi di giugno del 1968 – e al tentativo non del tutto riuscito del quale fu vittima George Wallace - 15 maggio del 1972 – perché i due erano a quel mentre ‘solo’ candidati. Tale si era annunciato e non era, essendo la campagna di là da venire, in vista delle votazioni del 1936, Huey Long, influente Senatore della Louisiana e suo ex Governatore, ucciso a Baton Rouge il 10 settembre del 1935).I ‘bersagli’ presidenziali scampati sono:Theodore Roosevelt Franklin Delano Roosevelt Harry Truman Ronald Reagan.Ecco al proposito quanto ho nel volgere degli anni vergato. 
a) Teddy ‘salvato’ dalla custodia degli occhiali e dal malloppo scritto del discorso elettorale che si apprestava a fare.
Corre il 14 ottobre 1912 e la data elettorale - il 5 novembre - è vicina.Teddy Roosevelt è secondo natura scatenato.Uscito dal Grand Old Party che, per quanto abbia personalmente prevalso nelle invero poche Primarie effettuate, gli ha preferito in sede di Convention William Taft, il successore da lui stesso indicato nel 1908 che tanto lo ha deluso nel corso del mandato che sta portando a compimento e che vuole defenestrare, è a Milwaukee per un comizio.Finito il pranzo, cerca di entrare in un’auto ed è in quel mentre che viene raggiunto da un colpo di pistola.L’attentatore è un immigrato tedesco che dirà di avere agito per evitare che Theodore arrivasse alla Casa Bianca per un terzo mandato (fra l’altro, così dimostrando di non avere ben presenti i pregressi dato che Teddy, nella prima circostanza, dal 14 settembre del 1901, non aveva esercitato il potere esecutivo in quanto eletto personalmente – cosa che farà poi dal 4 marzo 1905 avendo vinto ‘in proprio’ nel novembre 1904 – ma quale Vice succeduto al Presidente William McKinley assassinato, situazione sostanzialmente diversa).Duro come era, il Nostro, rifiutato un ricovero in ospedale, tenne quello stesso pomeriggio un pubblico discorso introducendo il quale mostrò come e in qual modo se la fosse cavata.Aveva difatti il proiettile trovato un primo impedimento nella custodia d’acciaio degli occhiali che portava in tasca e soprattutto nel malloppone di una cinquantina di pagine sul quale era vergato il testo del programmato comizio.Farà Teddy vedere ai presenti il foro nei fogli provocato dal colpo di pistola, chiederà scusa se dovrà essere più breve del programmato nell’ argomentare, andrà a curarsi dopo e si terrà fino alla morte in corpo il proiettile, in posizione superficiale ma difficilmente operabile.Ah, il 5 novembre successivo perderà nella circostanza mettendo però a segno il miglior risultato mai ottenuto in termini di Grandi Elettori nell’intera Storia americana e relegando Taft – candidato di uno dei due partiti che dal 1856 si contendono l’Executive Mansion, ‘mica paglia’ – alla terza posizione.Eccezionale e irripetibile! 
b) La volta che a Miami un Italiano sparò a Franklin Delano Roosevelt. 
Quel che è certo è che Giuseppe Zangara non aveva una buona mira.L’avesse avuta, la Storia avrebbe avuto tutt’altro corso.Immigrato negli USA, anarchico, calabrese di nascita, in quel di Miami, il 15 febbraio del 1933, da pochi passi, sparò cinque colpi di pistola a Franklin Delano Roosevelt mancandolo, ferendo alcuni presenti e in particolare il Sindaco di Chicago Anton Cermak – seduto nell’auto accanto a F. D. – che venne successivamente a morte.Franklin Delano non era ancora in carica visto che l’insediamento era fissato al 4 marzo successivo.Certo, con i se e con i ma non si fa la storia.Fosse morto, però, Capo dello Stato sarebbe diventato il Vice eletto John Garner (‘Cactus Jack’!) e chissà cosa avrebbe riservato al mondo questa alternativa.(In proposito, due articolazioni.Alcuni sostengono che in verità Zangara volesse davvero uccidere Cermak per pregresse faccende che riguardavano Chicago.Poi, il grande Philip Dick – che i più conoscono quale autore dell’opera dalla quale fu tratto ‘Blade Runner’ – in un romanzo di ‘Storia alternativa’ pubblicato nel 1962, all’inizio, ipotizza che Zangara sia riuscito invece ad uccidere F. D. R. con davvero particolarissime conseguenze).
c) 1 novembre 1950: attentato alla vita di Harry Truman. 
Difficili, a dire veramente poco, i rapporti tra gli Stati Uniti e Portorico.Complicati dal 1898, anno nel quale, a seguito del Trattato di Parigi concluso al termine della Guerra Ispano Americana, era la, da quel momento, ex colonia spagnola entrata a far parte dei territori che gli USA avevano in, diciamo così, gestione.In non pochi momenti, decisamente al di là della protesta gli atti messi in campo dagli isolani le cui iniziali aspettative politiche ed economiche non trovavano mai riscontro.Spesso alla ricerca di una indipendenza negata altresì i nazionalisti locali.È il 30 ottobre del 1950 che un gruppo tra questi mette in atto una serie di azioni di guerriglia – urbana principalmente – arrivando con un commando addirittura ad attaccare la residenza del Governatore.Sedata con le armi la rivolta, pacificata (?!) l’isola, nessuno si aspettava quello che occorse a Washington due giorni dopo, l’1 novembre.Essendo la Casa Bianca in fase di ristrutturazione, il Presidente Harry Truman risiedeva a quel mentre nella vicina Blair House, in vario modo utilizzata ufficialmente nel tempo.Ebbene, fu con l’intenzione di arrivare fino a lui ed ucciderlo che nel pomeriggio due attentatori appunto portoricani arrivarono all’ingresso del palazzo.Nel conflitto a fuoco che seguì, fu colpito a morte un agente di sorveglianza che prima di morire riuscì ad uccidere uno degli assalitori.Pare che per un caso, un attimo almeno, Truman sia stato inquadrato dall’arma del secondo killer essendosi al rumore affacciato alla finestra.Quattro, come tutti sanno, gli inquilini della Executive Mansion in carica uccisi a colpi d’arma da fuoco: Abraham Lincoln, James Garfield, Wllliam McKinley e John Kennedy.I due Roosevelt, Harry Truman e successivamente Reagan – tutti sopravvissuti – gli altri oggetto di attentati.Quello ora ricordato al democratico successore di Franklin Delano Roosevelt, quasi totalmente dimenticato.
d) ‘Speriamo che il chirurgo sia repubblicano!’
Scherzava Ronald Reagan il 30 marzo del 1981 mentre aspettava in ospedale di essere operato dopo che un attentatore gli aveva sparato mancando di poco il cuore?Celiava dicendo ai presenti che sperava che il chirurgo in arrivo fosse repubblicano come lui?Non tanto.Ed era comunque nelle sue corde affrontare l’accaduto prendendolo di petto, volendo, con sana filosofia.Si scoprirà poi che l’attentatore – un certo John Hinkley – aveva agito per attirare con un gesto clamoroso l’attenzione dell’attrice Jodie Foster.Sarà stato certamente così, ma per quanto mi riguarda ho sempre pensato che da una qualche parte nella confusa testa di Hinckley si agitasse anche l’idea di portare avanti la ‘Maledizione dell’anno zero’.Non era difatti Ronald Reagan stato eletto nel 1980, così come quasi tutti i trapassati suoi predecessori, quindi in un fine decennio che obbligatoriamente propone per questo in fondo il numero che in tutto l’Occidente era ignoto fino al 1202, allorquando il grande Leonardo Fibonacci pubblica il fondamentale ‘Liber Abbaci’?William Harrison nel 1840,Abraham Lincoln nel 1860,James Garfield nel 1880,William McKinley nel 1900,Warren Harding nel 1920,Franklin Delano Roosevelt anche nel 1940,John Kennedy nel 1960, essendo i trascorsi a miglior vita in precedenza?Et de hoc, satis!

‘First’ e nel capitolo successivo, ‘Second Ladies’.Le consorti dei Presidenti degli Stati Uniti che hanno esercitato il ruolo di ‘First Lady’ e a seguire le ‘First Ladies facenti funzione’ come succedutesi nel tempo, con una considerazione finale.
Straordinario il fatto che la prima ‘First Lady’ (tale anche se l’appellativo verrà usato solo a partire dalle esequie della vedova di James Madison), moglie del Padre della Patria George Washington, si chiamasse Martha, visto il significato, ‘Padrona di casa’, che il nome in questione ha e la funzione che le ‘First Ladies’ eserciteranno nella ‘Executive Mansion’, la Casa Bianca.(Se mi è permessa una digressione cinematografica, non è forse proprio Martha il nome appunto della padrona di casa che accoglie il protagonista deus ex machina Ethan Edwards all’inizio di quel capolavoro assoluto che si intitola ‘The Searchers’, per noi ‘Sentieri selvaggi’, che John Ford ha diretto nel 1956?)
Le consorti:- Martha Dandridge Custis Washington - Abigail Smith Adams- Dolley Payne Todd Madison - Elizabeth Kortright Monroe - Louisa Catherine Johnson Adams - Anna Tuthill Symmes Harrison- Letitia Christian Tyler- Julia Gardiner Tyler- Sarah Childress Polk- Margaret ‘Peggy’ Smith Taylor- Abigail Powers Fillmore- Jane Mills Appleton Pierce- Mary Todd Lincoln - Eliza McCardle Johnson- Julia Boggs Dent Grant- Lucy Webb Hayes - Letitia Rudolph Garfield - Frances Folsom Cleveland- Caroline Lavinia Scott Harrison- Ida Saxton McKinley- Edith Kermit Carow Roosevelt - Elen Herron Taft- Ellen Louise Axon Wilson- Edith Bollet Galt Wilson- Florence Mabel Kling Harding- Grace Anna Goodhue Coolidge - Louise Henry Hoover- Eleanor Roosevelt Roosevelt - Elizabeth ‘Bess’ Wallace Truman- Mamie Geneva Doud Eisenhower - Jacqueline Bouvier Kennedy - Claudia Alta ‘Lady Bird’ Taylor Johnson - Thelma ‘Pat’ Ryan Nixon- Elizabeth Bloomer Warren Ford - Rosalynn Smith Carter - Nancy Davis Reagan- Barbara Pierce Bush- Hillary Rodham Clinton - Laura Lane Welch Bush - Michelle Robinson Obama - Melania Knavs Trump- Jill Tracy Jacobs Biden 
‘First Ladies’ facenti funzione- Emily Donelson Jackson - Sarah Yorke Jackson - Angelica Singleton Van Buren - Jane Irwin Harrison - Priscilla Cooper Tyler - Harriet Lane Johnston- Martha Johnson Patterson- Mary Arthur McElroy- Rose Elizabeth Cleveland - Mary Harrison McKee- Margaret Woodrow Wilson 
Quarantasei i Presidenti (eletto due volte non consecutivamente e conteggiato pertanto sia come ventiduesimo che quale ventiquattresimo Capo dello Stato Grover Cleveland il che fa comunque correttamente dire che Joe Biden sia il quarantaseiesimo in graduatoria).Quarantadue le consorti – Jill Jacobs Biden inclusa – che hanno effettivamente ricoperto il ruolo di First Lady.Considerando che sia John Tyler che Woodrow Wilson, restati vedovi in carica, si sono risposati in corso di mandato e che pertanto le loro mogli First Ladies’ sono due a testa, ci si può chiedere come mai il numero totale delle Prime Signore sia pari a quarantadue.Fatto è che Thomas Jefferson, Andrew Jackson, Martin Van Buren e Chester Arthur, restati soli prima di diventare Presidenti e non risposatisi, nonché James Buchanan, scapolo, non hanno aggiunto nominativi all’elenco.Peraltro, come si evince laddove si parla di ‘facenti funzione’, in molte (undici) circostanze – comprese quelle che concernono i Capi dello Stato or ora citati – in luogo e vece, hanno agito sorelle, figlie, nipoti, cognate.Ecco quindi che conteggiando le une e le altre si arriva a cinquantadue ‘First Ladies’ USA.
(L’ultimo inquilino di White House rimasto vedovo mentre governava è stato Woodrow Wilson.Molti, in precedenza, nell’Ottocento, invece, i decessi delle consorti, comunque, anche prima dell’arrivo del marito alla Casa Bianca.Nessuno, di contro, nel Novecento e ai giorni nostri.Segno dei grandi miglioramenti della condizione femminile).
‘Second Lady’.
Siamo abituati a chiamare ‘First Lady’ la moglie del Presidente degli Stati Uniti.Non siamo invece assolutamente avvezzi a chiamare ‘Second Lady’ la consorte del Vice Presidente USA.Comprensibile che così sia, dato che molto raramente di queste Signore – la prima delle quali fu però superba nel ruolo diventando poi anche ‘First’, ed era Abigail Smith Adams, consorte di John e madre di John Quincy – la cronaca si occupa.(Assai meno, poi, la storia, se non quella minore e al massimo in due tre casi).Comunque – per quanto l’espressione pare sia stata usata inizialmente solo nel 1849 parlando della dipartita della vedova di James Madison Dolley Payne Todd – la prima ‘vera’ ‘First Lady’, in ragione della propria personalità capace di dare spessore alla collocazione familiare e nel contempo pubblica, fu Julia Gardiner, seconda moglie di John Tyler (lei a White House poco meno di un, incisivo, anno tra il 1844 e il 1845).A voler scartabellare, ancora in precedenza, si era distinta una Prima Signora che esercitava al meglio la ‘professione’ tale peraltro non essendo: la nuora del vedovo Martin Van Buren Sarah Angelica Singleton.La prima Second Lady in cotal modo definita (fra quante la precedettero nel ruolo non può essere però dimenticata Floride Bonneau, consorte di John Calhoun e protagonista dell’Affare Petticot che costò caro al marito) fu Jennie Tuttle, al fianco di Garret Hobart, Vicario di William McKinley, dal 1897 al 1899.Una soltanto tra questa Signore ebbe una incombenza politica di rilievo (per carità, nessun possibile confronto con la First Lady Hillary Rodham Clinton!) successivo.Si tratta di Muriel Fay Buck che al momento della morte del coniuge Hubert Humphrey gli subentrò nell’incarico di Senatore del Minnesota. A chiudere, quattordici le ‘Second’ diventate ‘First’.O perché il marito era subentrato al titolare a causa del decesso (delle dimissioni, nel caso di Nixon) del medesimo.O in ragione della elezione del coniuge alla carica.

Eleanor Roosevelt (Impossibile non parlare della Signora che Harry Truman chiamava ‘First Lady of the World!)
di Federica Maria della Porta Rodiani Carrara Raffo 
Lo sguardo limpido, il mento sfuggente, i capelli acconciati secondo una moda decadente e rétro che poco le donava e un’altezza fuori dal comune che la rendeva poco aggraziata e femminile, Eleanor conobbe Franklin  il giorno di Natale davanti all’imponente albero di Sagamore Hill, alla presenza di  zio Ted e della adorata zia Bamie.Le eleganti decorazioni, l’atmosfera familiare unita alle alte aspettative riposte nel prossimo trasferimento a Londra per studiare nel prestigioso collegio di Allenswood, la rendevano audace e brillante nell’eloquio con il lontano cugino, eccellente studente di Harvard.Lei, nipote di uno dei più grandi e amati Presidenti degli Stati Uniti, simbolo di un America ancorata alle tradizioni, alla storia, alla natura e alla bellezza di un Paese in costante crescita e cambiamento.Lui, anch’egli imparentato con l’illustre uomo politico e figlio di Sarah Delano, membro di quella Hudson River Aristocracy che vantava un albero genealogico ragguardevole e il nome inciso sul registro di bordo della Mayflower.Eleanor, cresciuta orfana sotto la tutela della zia, era ancora fragile e immatura.Goffa e poco attraente, era ben lontana dall’immagine di amatissima e acuta ‘First Lady’ che il mondo intero ancora ricorda e Sarah Delano certamente non contribuì alla trasformazione da brutto anatroccolo in cigno: l’altera e ricchissima madre di Franklin infatti, aveva cresciuto e nutrito il figlio d’ideali e prospettive ben precise e non desiderava ‘quel tipo di donna’ accanto al futuro Presidente degli Stati Uniti.Non importava che la ragazza fosse nipote di Theodore, non le interessava che fosse intelligente, che avesse ricevuto quel tipo di educazione (in un famoso collegio inglese) cui pochissime ragazze potevano ambire formandola per essere una perfetta ‘First Lady’.Lei era contraria.Riteneva Eleanor non all’altezza, intravvedeva in lei qualcosa di ‘sbagliato’, forse, alla luce dei fatti, vedeva nella futura nuora un’inclinazione sessuale diversa da quella canonica e tradizionale che alla fine avrebbe potuto nuocere all’immagine pubblica e alla carriera dell’amatissimo figliolo e un comportamento troppo liberal e ‘femminista’, un poco detestabile in un partito democratico in realtà bigotto e chiuso.Ma, incredibilmente, quella volta lui non l’ascoltò (molteplici sono gli aneddoti che parlano di un FDR dipendente dalle opinioni della madre, celebre è la frase rivolta alla stampa quando, nel 1910, gli fu suggerito di candidarsi per la legislatura dello Stato di New York, ‘Sounds like a good idea, I’ll have to discuss it with mother’) e i due convolarono a nozze.Lei in pizzo bianco a braccetto di zio Ted.Lui elegante, ancora fisicamente prestante (la polio sarebbe arrivata anni dopo), sorridente all’altare.Eleanor si rivelò un prezioso braccio destro e per tutti i mandati del marito fu un chiaro e fermo vessillo del ‘New Deal’. Prima di lei, nessuna inquilina della Casa Bianca era stata così attiva ed esplicita nello svolgere il ‘lavoro’ della Prima Donna d’America.Sostenitrice del movimento per i diritti civili, lasciò l’associazione delle Figlie della Rivoluzione Americana quando questa non permise a Marian Anderson, famosa cantante nera, di esibirsi alla Constitution Hall.Purtroppo, probabilmente per non scontentare i democratici del Sud notoriamente poco tolleranti nei confronti delle persone di colore e così importanti per la rielezione del marito, il suo dissenso non fu altrettanto netto quando il consiglio scolastico del Distretto di Columbia non permise alla Anderson di cantare in un auditorium di una scuola per soli bianchi.Durante la Seconda Guerra Mondiale diresse assieme al Sindaco di New York, Fiorello La Guardia, un comitato nazionale di difesa civile, e fu sempre attiva nella raccolta di fondi per la creazione della ‘Freedom House’, un ente di ricerca per la divulgazione della democrazia e pace nel mondo.Anche dopo la morte di FDR e terminato il conflitto, il suo impegno, nonché la presenza costante sullo scenario nazionale ed internazionale non diminuì, tanto che contribuì in modo essenziale alla processo di ratifica della ‘Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo’ da parte delle Nazioni Unite – la cosiddetta ‘Magna Carta di tutta l’umanità’, usando le sue stesse parole – arrivando così a determinare un diritto di vita, libertà e uguaglianza per tutti, indipendentemente da razza, credo o colore.Questa la Eleanor Roosevelt pubblica, la più nota, amata dal partito democratico e non solo, le ‘gambe e le orecchie dell’unico Presidente eletto quattro volte di fila, la madre di sei figli, la paladina di ideali e idee’.La Eleanor privata è ben altra cosa… Non sta a noi giudicarla in quanto:‘Le grandi menti discutono di idee, le menti ordinarie discutono di avvenimenti,le menti piccine discutono di persone’!

I testi:
George Washington, non il Generale, il candidato eletto.
Riluttante.Cercò davvero di resistere agli inviti sempre più pressanti che arrivavano da ogni parte.Inviti che non avevano – né avrebbero potuto avere – coloritura partitica alcuna.Infine, candidato e naturalmente eletto due volte all’unanimità (ci mancherebbe).Unanimità nel senso che tutti i Grandi Elettori, al momento della votazione in sede di Collegio, si espressero per lui.La prima (non lo ripeteremo mai abbastanza: quella del Presidente USA è una elezione di secondo grado, non diretta), la nomina dei predetti Grandi Elettori avvenne tra la fine del 1788 e l’inizio del 1789.La seconda, tra il 2 novembre e il 5 dicembre 1792.(Si comincerà a votare per la bisogna in un solo giorno solo dal 1848).Entrato in carica il 30 aprile 1789, occupò lo scranno presidenziale fino al termine naturale (all’epoca) del quadriennio 1793/1797 e quindi il 4 marzo di quest’ultimo anno.In una sola circostanza, un altro Presidente ‘rischiò’ di ottenere la medesima unanimità: nel 1820, James Monroe.Per evitare che ciò accadesse, uno degli ‘Electors’, in sede collegiale, si espresse per John Quincy Adams.Si chiamava ovviamente George Washington, il Nostro.Rifiutando un terzo e assolutamente certo esercizio del potere esecutivo, disse che nessun individuo poteva sostenere per più di otto anni il peso conseguente al mandato.Bastarono queste parole perché uomini di particolare valore a lui succeduti (Thomas Jefferson, James Madison, il citato Monroe, Andrew Jackson, per dire), adeguandosi (per il vero Ulysses Grant cercò invano una terza istanza venendo respinto dalla Convention repubblicana del 1880), si ritirassero dopo otto anni.Sarà Franklin Delano Roosevelt a ‘dirazzare’ ottenendo un terzo incarico e vincendo poi in una quarta occasione.Mal gliene incoglierà, dato che morirà d’infarto poco dopo.Le parole del Padre della Patria...

John Adams, primo Vice e secondo Presidente. John Adams, unico non virginiano (era del Massachusetts) ad arrivare alla Presidenza tra il 1789 e il 1825 (allorquando si insediò a Washington suo figlio John Quincy), è da annoverare tra i Padri della Patria USA.Partecipe con articoli e prese di posizione al movimento di opposizione alle misure fiscali imposte dai britannici, eletto rappresentante al primo e al secondo Congresso Continentale, sostenitore della necessità di passare alla lotta armata nonché di codificare le idee rivoluzionarie in una Dichiarazione di Indipendenza alla cui stesura collaborò attivamente, nel 1778 fu inviato in Francia quale rappresentante delle colonie.In seguito, partecipò ai negoziati che portarono al Trattato di pace del 1783 che riconosceva l’indipendenza degli USA.Primo ambasciatore americano in Gran Bretagna, si interessò in Europa alle vigenti costituzioni (fra l’altro, a Bilbao è stata eretta in suo onore una statua per ricordarne la visita e la conseguita conoscenza delle leggi dei Paesi Baschi) e sul tema vergò un famoso saggio.In corsa solo formalmente (doveva essere eletto George Washington) quale federalista per la Presidenza nelle prime due votazioni (1788/1789, 1792), arrivando secondo, stante la allora vigente normativa, si insediò come Vice.A Washington successe vincendo la corsa elettorale nel 1796, prevalendo di poco sul democratico/repubblicano Thomas Jefferson.Assolutamente equilibrato nell’esercizio del potere, scontentò sia i jeffersoniani che i seguaci di Alexander Hamilton la qual cosa lo condusse alla sconfitta – campagna del 1800 – e al successivo ritiro a vita privata.John Adams fu il primo Presidente a risiedere nella Executive Mansion nella appena inaugurata città di Washington.(Dimora presidenziale quella e non Casa Bianca perché tale diventerà solo dopo la ricostruzione conseguente all’incendio appiccatole dagli inglesi nell’estate 1814 durante la ‘Guerra del 1812’).Importantissima, poi, la nomina da Adams decisa in termine di mandato di John Marshall a Presidente della Corte Suprema.Sarà proprio Marshall a indicare e stabilire la strada lungo la quale da allora la Corte si muoverà.Da sottolineare il suo particolare rapporto con la consorte Abigail, donna di cultura e di capacità speculative non comuni, con la quale ebbe felicissima unione.

John Marshall, ‘Chief of Justice’.
La Corte Suprema USA è l’unico tribunale disciplinato dalla Carta costituzionale americana.Istituita il 24 settembre 1789, crebbe di importanza solo a partire dai primi decenni dell’Ottocento tanto che il suo primo Presidente, John Jay, lasciò l’incarico, che riteneva di minore rilievo, nel 1795 per diventare Governatore del New York.Il 31 gennaio del 1801, il presidente John Adams – è ai Capi dello Stato USA che spetta la nomina dei giudici che la compongono – un federalista che avrebbe il successivo 4 marzo ceduto lo scranno al successore democratico/repubblicano Thomas Jefferson, nominò ‘Chief’ dell’organo di cui si parla il suo Segretario di Stato John Marshall.Fu così, come giustamente rileva Maldwyn Jones, che i principi ispiratori dei federalisti  - che da allora in poi non vinsero più una elezione nazionale – continuarono a influenzare il funzionamento del supremo organo di giustizia per la durata del mandato di cinque presidenti, visto che Marshall rimase in carica fino alla morte, che lo colse il 6 luglio 1835.Decisionista equilibrato, per quanto fosse giurista di non assoluto valore, Marshall seppe dare all’organo l’impronta che tuttora mantiene conferendogli assoluta autorevolezza, ampliandone notevolmente i poteri, rendendolo agli occhi dei cittadini una istituzione addirittura intangibile.Per inciso, a proposito della Corte Suprema, attualmente (il numero dei componenti è cambiato più volte nel volgere del tempo) è formata da nove giudici presidente compreso. Nel corso del secondo mandato, F. D. Roosevelt, vedendo che molte delle sue azioni legislative venivano avversate e cassate dall’alto organo, cercò di modificarne l’assetto.Propose che il Presidente fosse autorizzato a nominare un giudice in soprannumero per ogni membro che avesse superato i settant’anni senza lasciare volontariamente l’incarico. Nello specifico, ciò gli avrebbe consentito di ribaltare la maggioranza fino ad allora contraria a larga parte dell’operato legislativo conseguente al New Deal. Praticamente tutti si opposero e Roosevelt dovette rinunciare all’idea.

Frederick Muhlenberg: davvero il tedesco avrebbe potuto diventare lingua ufficiale americana?
Tra i protagonisti in qualche modo ‘minori’, ma non poi troppo, del periodo ‘fondante’ (quello di fine Settecento, percorso dai cinquanta ‘semidei’ – definizione di Thomas Jefferson – che decisero per sempre il destino della Nazione) della storia americana, un posto di un qualche rilievo occupa Frederick Augustus Conrad Muhlenberg.Nato l’1 gennaio 1750 a Trappe Pennsylvania, formatosi in Germania (terra d’origine del padre), pastore luterano, il Nostro fu il primo (e, in seguito, il terzo) speaker della Camera dei Rappresentanti USA, alla quale Camera fu rieletto in successive tre occasioni.Primo firmatario anche del ‘Bill of Rights’ – i Dieci Emendamenti alla Carta costituzionale entrati in vigore nel 1791 e concernenti i diritti individuali vengono in tal modo, complessivamente, ricordati – resta nella leggenda in particolare per un accadimento relativo al 1794, anno nel quale, per la seconda volta, ricopriva l’incarico di speaker.Era, all’epoca, la lingua germanica grandemente in uso negli Stati Uniti, numerosissimi essendo i tedeschi immigrati.Giunse, pertanto, in discussione alla Camera una proposta che chiedeva che le leggi e le disposizioni governative fossero, da quel momento in poi, tradotte in alemanno.La votazione in merito vide prevalere di strettissima misura il no (quarantadue a quarantuno), nel mentre il medesimo Muhlenberg si asteneva affermando che i germanici dovevano diventare velocemente americani e che poter leggere nella parlata madre le leggi avrebbe contribuito a rallentare il loro ambientamento.La ‘leggenda Muhlenberg’ vuole, invece, che nell’occasione si discutesse se far diventare l’idioma di Goethe lingua ufficiale della Nazione e che, per responsabilità proprio di un tedesco, questo non sia accaduto.  

Thomas Jefferson, la democrazia al potere.Con una nota a proposito dello ‘Spoils System’.
Saggista di grandissimo rilievo.Padre della Dichiarazione d’Indipendenza.Assente durante la Rivoluzione perché dedito alla sua Virginia della quale fu Governatore dal 1779 al 1781.Fondatore nel 1783 del Partito Repubblicano Democratico ed estensore del programma del movimento nato in alternativa e in contrapposizione al Federalismo di John Adams.Ambasciatore a Parigi dal 1784 al 1789 e, per conseguenza, lontano nel mentre a Philadelphia si scriveva e si adottava la tuttora vigente Costituzione.Segretario di Stato nel primo governo di George Washington e, nei seguenti quattro anni, in disparte perché sempre più in contrasto con le idee di Alexander Hamilton.Vice Presidente dopo le elezioni del 1796, allorché fu sconfitto da John Adams e ne divenne, giusto quanto allora disposto dalla Carta costituzionale, il Vice,Thomas Jefferson (1743/1826) arrivò alla Presidenza vincendo le elezioni del 1800 (si ripeterà molto più facilmente quattro anni dopo) con un programma che comprendeva la difesa delle piccole proprietà, quella dei diritti individuali e quella dei singoli Stati nei confronti del governo federale.Per il vero, il numero di delegati da lui conquistato era pari a quello raggiunto da Aaron Burr ed in ragione di ciò la scelta a suo favore fu operata dalla Camera dei Rappresentanti con non poche difficoltà.Con lui, espansionista in politica estera – si ricordi il ‘Louisiana Purchase’- come unanimemente scrivono gli storici che pure ne sottolineano le molte contraddizioni (contrario alla Schiavitù, per fare solo un esempio, possedeva schiavi), ‘la Democrazia andò al potere’ e una fortissima ondata di idealismo politico, e non solo, percorse la nazione.Il cittadino si sentì assai più partecipe della vita pubblica tanto che il nome di Thomas Jefferson è tuttora simbolo di fede nella Democrazia e di rispetto dei diritti civili.Da ricordare che il suo è uno dei quattro volti scolpiti da Gutzon Borglum sul Monte Rushmore.Con lui, George Washington, Abraham Lincoln e Theodore Roosevelt.
Inventore dello ‘Spoils System’.Una particolare forma di lottizzazione politica è propria degli Stati Uniti e segna ancora profondamente ogni cambio di amministrazione: si tratta dello ‘Spoils System’.   All’origine del nome, una frase pronunciata da William L. Marcy, fidatissimo luogotenente del presidente Andrew Jackson, poco dopo l’insediamento di quest’ultimo alla Casa Bianca (4 marzo 1829).Marcy, alla ricerca di una giustificazione logica alla pratica messa in atto dalla nuova amministrazione di premiare i sostenitori politici con incarichi pubblici, disse di ‘non vedere niente di male nel principio che le spoglie dell’avversario appartengano al vincitore’.E, d’altra parte, lo stesso Jackson sostenne pubblicamente che l’avvicendamento nelle cariche era ‘un principio fondamentale per il repubblicanesimo’ e che la conseguenza di un simile operare sarebbe stata positiva.I funzionari, diceva, devono essere periodicamente sostituiti per impedire la corruzione, per evitare la formazione di una burocrazia inamovibile e per consentire a un maggior numero di cittadini di partecipare alla vita pubblica.Secondo Jackson, chiunque può ricoprire un incarico pubblico visto che i compiti sono ‘talmente semplici e chiari che qualsiasi persona intelligente può facilmente svolgerli’.A ben vedere, il vero iniziatore della pratica dello Spoils System – prima ancora che così venisse denominata – era stato uno dei Padri della Patria, Thomas Jefferson.Arrivato a White House il 4 marzo 1801, non perse occasione, ogniqualvolta le vicende amministrative gliene offrivano il destro, per modificare radicalmente, nominando i propri amici, la composizione di quella che era stata una burocrazia a stragrande maggioranza federalista.Quando concluse il suo secondo mandato (3 marzo 1809), gli impiegati federali erano praticamente tutti del suo partito.Il cattivo esempio gli era stato dato dal suo immediato predecessore John Adams, il quale, poco prima di lasciare la carica, aveva nominato presidente della Corte Suprema l’amico e collega di partito John Marshall (è forse questo il primo caso di ‘nomina della mezzanotte’).La pratica dello ‘Spoils System’ è ancor oggi diffusa anche se la or ora citata Corte Suprema, nel 1976, giudicando nella controversia ‘Elrod v. Burns’, ha dichiarato inammissibile il licenziamento esclusivamente per ragioni di carattere politico.Una parziale riforma del sistema, in seguito, ha introdotto criteri più meritocratici nel ‘civil service’.

Alexander Hamilton, ‘The Federalist’ ovviamente e molto di più.
Originario dell’isola di Nevis, Indie Occidentali, trasferitosi a New York nel 1977 ventiduenne per studiare, aiutante di campo di Washington, Alexander Hamilton è uno dei grandi uomini ai quali si deve il consolidamento delle fondamentali istruzioni americane.Importantissima la sua opera a favore della approvazione da parte delle Assemblee dei singoli Stati della Carta Costituzionale.Con James Madison e John Jay, fornendo il maggior contributo, pubblicò i famosissimi saggi in seguito raccolti con il titolo ‘The Federalist’, capolavoro del pensiero politico americano.Con Washington fu Segretario al Tesoro e svolse una parte estremamente rilevante nella fondazione della Banca degli Stati Uniti.La sua linea politica ispirata al rafforzamento del potere centrale (con John Adams fu ovviamente Federalista) lo mise in contrasto con Thomas Jefferson che tuttavia finì per favorire nei ballottaggi camerali conseguenti l’esito delle elezioni datate 1800 che avevano visto il citato Jefferson e Aaron Burr conquistare lo stesso numero di ‘Electors’ demandando come da vigente normativa la decisione alle delegazioni statali colà presenti.Un ulteriore, successivo contrasto con il nel frattempo diventato Vicepresidente Burr lo condusse a morte, vittima in un duello con il medesimo.Era il 12 luglio 1804.È con Benjamin Franklin uno dei soli due uomini politici non Presidenti la cui effige appare su una banconota, quella da dieci dollari.

Aaron Burr/George Clinton 
Terzo e quarto nell’ordine tra i Vice Presidenti USA Aaron Burr e George Clinton.Entrambi al fianco di Thomas Jefferson nei suoi due mandati.Entrambi Democratici Repubblicani.In cosa si distinguono nella funzione?Burr è nel 1800 l’ultimo Vice nominato con il procedimento originale costituzionale e quindi non incluso in un ticket partitico formato dai candidati alla Presidenza e al Vicariato.Clinton – quel Clinton – è il primo Vice eletto come voluto dal XIV Emendamento del 1804 (che ebbe applicazione nello stesso anno) in quanto effettivamente ricompreso in un ticket.Dalla confusione (era possibile – ed in effetti accadde nelle elezioni 1796 con John Adams e il citato Jefferson nei ruoli – avere l’inquilino della Executive Mansion (il primo citato) di un partito e il suo possibile successore (il secondo che lo defenestrerà nella successiva tornata) di un altro così come doversi sobbarcare una serie di ballottaggi tra due candidati teoricamente ma non esplicitamente aspiranti ai due differenti fini – ancora Jefferson (questa volta nel 1800) e il predetto Burr.Dopo di che, certo, Burr, a quel momento Vice Presidente in carica, causerà la morte di Alexander Hamilton in un duello nel 1804.Cosa che George Clinton si guarderà bene dal fare nei confronti dei suoi avversari.Mais oui! 

Più compiutamente, Aaron Burr, Vicepresidente, duellante, traditore…
1973, esce il romanzo storico ‘Burr’ che il grande Gore Vidal ha scritto ripensando alla controversa figura di Aaron Burr, la cui particolare e articolata avventura umana lo aveva da sempre interessato.Ma chi diavolo fu Burr?Rampollo di una illustre famiglia della Nuova Inghilterra, il Nostro partecipò giovanissimo alle prime fasi della rivoluzione americana.Dipoi, adeguatamente coniugato (aveva portato all’altare una ricca vedova), aprì uno studio legale a New York dedicandosi alla politica.Nelle elezioni per il Senato del 1791, sconfisse Alexander Hamilton e tale sua affermazione diede il via a una contrapposizione con il federalista destinata nel tempo a trasformarsi in vero e proprio odio.Arrivato con le votazioni del 1800 alla  Vicepresidenza (aveva ottenuto lo stesso numero di delegati di Thomas Jefferson e la Camera, chiamata in casi simili a scegliere, gli aveva alla fine preferito per la carica di Capo dello Stato il rivale, anche per intervento del predetto Hamilton), nel successivo 1804, tuttora in attività come Vice, uccise in duello il rivale che gli si era opposto nuovamente ostacolandolo anche nella corsa al governatorato del New York.Costretto a fuggire a Filadelfia, fu poco dopo coinvolto in oscuri maneggi volti a favorire la Spagna.Processato per alto tradimento, se la cavò pur non riuscendo mai a fugare i sospetti dei più.Rifugiatosi temporaneamente in Europa, tornò infine a New York dove visse nell’oscurità fino alla morte.Persona davvero unica a particolare.

James Madison, ‘Padre della Patria’, alle fondamenta degli Stati Uniti d’America.Con una nota a proposito del ‘dilemma madisoniano’.
La capitale degli Stati Uniti – lo sapete – si chiama Washington.Contassero le capacità politiche, intellettuali e culturali…contasse il contributo dato al concepimento, alla nascita e ai primi e secondi vagiti degli USA in termini di idee, di elaborazioni delle stesse, di argomentazioni e di concreta stesura dei testi fondamentali – riconosciuto quanto dovuto comunque a Thomas Jefferson, John Adams e John Jay – si dovrebbe chiamare Madison!È difatti a James Madison che si deve a) larghissima parte delle basi ideali e ideologiche della Carta costituzionale (per inciso, conosciamo l’andamento a Philadelphia dei lavori dei Padri costituenti attraverso i suoi appunti);b) parte assai cospicua degli elaborati noti come ’Federalist Papers’ – fondamentali nel difficile periodo di tempo dedicato alla ratifica da parte degli Stati della Carta stessa;c) il testo della Dichiarazione dei Diritti (i primi Dieci Emendamenti noti come ’Bill of Rights’);d) una lunga serie di riflessioni, sui più diversi temi, riflessioni sulle quali si reggono ancora oggi la democrazia e la vita politico/sociale americana.George Washington, insediato il 30 aprile del 1789, nei primi tempi di mandato, è a James Madison che chiese aiuto e indicazioni, al punto che larga parte del Discorso inaugurale – fondativo – da lui pronunciato era stato scritto dal nostro.(Da sottolineare il fatto che anche il discorso di risposta del Congresso originava dalla sua penna!)Come spesso accade ai ’Grandi’, una volta eletto – fu il quarto Presidente, in carica dal 4 marzo 1809 al 3 marzo 1817 – nell’esercizio dei due mandati ricevuti, in qualche modo e per certi versi, riuscì deludente.Mille volte chapeau, comunque.
Il dimenticato (ignoto?) ‘Dilemma Madisoniano’, oggi, diventato dittatura delle minoranze.Il giusto equilibrio in democrazia, diceva James Madison, si ha quando la maggioranza governa tenendo conto delle istanze delle minoranze.Non v’è, quindi e pertanto, democrazia sia quando la maggioranza non si cura delle idee e richieste delle minoranze, sia quando le minoranze prevarichino con le loro istanze.Da tempo – ed è evidente a tutti – l’Occidente vive sotto il giogo, la dittatura direi, delle minoranze.Valgono i diritti di ogni e qualsiasi gruppo, per quanto minuscolo possa essere.Nella melma nella quale siamo precipitati anche solo cercare di far valere i desiderata della maggioranza espone ad accuse vibranti di ogni possibile pecca politica, etica o sociale che sia, di Fascismo, di autoritarismo e via dicendo.È questo un atteggiamento rovinoso che ha infiniti punti di collegamento con l’altro per il quale il citato Occidente non reagisce agli attacchi ideali, ideologici e oramai quotidianamente crudelmente concreti che gli vengono portati.Perché?Li ritiene ‘giusti’ o almeno giustificati?Ho altre volte ragionato in merito – e rimando ai miei interventi a proposito – del sorgere, dell’affermarsi, del confondersi, del declinare di temi quali il ‘Destino Manifesto’ americano, del concetto USA di ‘Frontiera’, del kiplinghiano ‘Fardello dell’uomo bianco’, delle ‘Colpe dell’uomo bianco’, della assai infelicemente (per le conseguenze) soffocata ‘Rivoluzione democratica’ anni Cinquanta di Jacobo Arbenz Guzman in Guatemala, dalla nascita del ‘Terzomondismo’, della consacrazione del ‘Movimento dei Paesi non allineati’ con il vertice convocato dal Maresciallo Tito in quel di Belgrado nel 1961, lo stesso anno – vuole il caso – nel quale viene pubblicato con la prefazione di Jean Paul Sartre il fondamentale ‘I dannati della Terra’ di Frantz Fanon.Infiniti, oltre quelli elencati, gli accadimenti che hanno ancora a loro volta contribuito.Fondamentale, quanto ai temi trattati, l’affermarsi di quella poltiglia, di quella melma ideologica di – brutalmente semplificando – derivazione cattocomunista che domina incontrastata il citato Occidente e che ha portato al potere le ‘generazioni di fighette’ delle quali ha parlato col disprezzo loro dovuto Clint Eastwood.Determinante, la voluta e fortemente perseguita perdita di autorità e autorevolezza della Chiesa di Roma che, abbandonando ogni slancio e abdicando alle proprie funzioni (chi nella Chiesa, a partire da papa Francesco, parla più di proselitismo?), si è trasformata in un del tutto inutile ente sociale attento, non a far conoscere la parola di Cristo ma, quando va bene, a fare concorrenza – perdendola! – a Save the Children piuttosto che al WWF!

James Monroe, l’Età dei buoni sentimenti e la Dottrina che porta il suo nome.
 Al Senato già nel 1790, il giovane James Monroe che, pressoché imberbe, aveva eroicamente partecipato alla Rivoluzione, si distinse per la sua opposizione a George Washington.Spedito da questi (che pensava di liberarsene) nel 1794 in Francia con la qualifica di Ministro Plenipotenziario, ne fu richiamato nel 1796 perché considerato troppo esplicitamente favorevole alla Repubblica per noi d’oltralpe.Monroe dovette attendere (per così dire, in seconda fila) l’elezione di Jefferson, che ne apprezzava le doti diplomatiche e politiche, per tornare ad incarichi di rilievo ancora a Parigi laddove trattò e concluse il cosiddetto ’Louisiana Purchase’ – firmato il 30 aprile 1803 – accordo con il quale l’Unione acquistava dalla Francia napoleonica i vastissimi territori che oggi costituiscono quattro Stati americani (Arkansas, Iowa, Missouri e Nebraska) e sono parte di altri nove (Louisiana, Minnesota, Oklahoma, Kansas, Colorado, Wyoming, Montana, Nord e Sud Dakota).   Passato da Parigi a Madrid, con l’intento di ottenere dal governo spagnolo la cessione agli USA della Florida, non ebbe altrettanto successo (riuscirà, comunque, nell’impresa, più avanti, nel corso del suo primo mandato presidenziale, precisamente nel 1819).Segretario di Stato con James Madison, guidò la politica estera del Paese nei difficilissimi anni del conflitto con gli inglesi, noto come ‘Guerra del 1812’, e nel 1816, a larga maggioranza, fu eletto quinto Capo dello Stato.Quattro anni dopo, venne confermato praticamente senza opposizione se non quella, formale, dovuta ad un seguace di John Quincy Adams, di poi suo Ministro degli esteri.La Presidenza Monroe – otto anni di concordia nazionale ricordati come ’l’età dei buoni sentimenti’ – è fondamentale nella storia americana soprattutto per la proclamazione, il 2 dicembre 1823, in un messaggio diretto al Congresso, da parte sua, della ’Dottrina’ che da lui prende il nome anche se  vero artefice ne fu il secondo Adams (John Quincy, con lui agli Esteri, era difatti figlio del successore di Washington John).Essa stabilisce che ‘i continenti americani non devono essere considerati oggetto di futura colonizzazione da parte di qualsiasi potenza europea’,che ‘qualsivoglia tentativo da parte delle potenze europee di estendere il proprio sistema politico a qualunque parte di questo emisfero sarà considerato pericoloso per la nostra pace e sicurezza’e che ‘con le esistenti colonie di qualsiasi potenza europea e con le guerre tra le potenze europee’ in cui il continente americano non avesse un diretto interesse, l’Unione non avrebbe interferito.La ’Dottrina Monroe’ affermava per la prima volta e con autorevolezza il ruolo internazionale degli Stati Uniti.

John Quincy Adams vs Andrew Jackson, la ‘guerra’ che portò la Borghesia alla ‘Executive Mansion’ e alla ‘nascita’ dei Democratici
1824, Stati Uniti d’America.Espressione ultima della grande aristocrazia agraria americana – cui sostanzialmente si deve la nascita della nazione, cui si devono il progetto e la creazione delle straordinarie basi istituzionali e giuridiche sulle quali si regge da sempre e ancora oggi il Paese – John Quincy Adams, figlio del secondo Presidente John Adams (e invero anche dell’ottima e intelligente Abigail Smith, culturalmente grandemente notevole) magnificamente allevato per governare, già protagonista (per citare solo uno dei mille mandati eseguiti con successo) della Pace di Gand che aveva concluso la ‘Guerra del 1812’ con gli inglesi, a lungo diplomatico in Europa, grande Segretario di Stato (e in tale veste, vero estensore di quella che da allora è nota come ‘Dottrina Monroe’) dell’uscente, appunto James Monroe, si candida, direi naturalmente, a White House.Suoi competitor – e vedremo subito in qual modo scelti (ricordo che la ‘Convention’ sarà introdotta dal partito Antimassonico nel meccanismo elettorale solo dal 1831 e dipoi da tutti adottata) – Henry Clay, William Crawford e Andrew Jackson, tutti formalmente aderenti al suo stesso partito, il Democratico/Repubblicano.Ho appena definito la candidatura di John Quincy Adams ‘naturale’ ma tale non fu affatto considerata all’epoca tanto che una parte dei Congressisti democratico-repubblicani gli preferirono William Crawford della Georgia, del resto designato dal predetto Monroe come gradito successore.Il secondo Adams viene quindi, in un clima di contrapposizione, investito successivamente in quel di Boston da quanti tra i Congressisti non volevano il georgiano.Ma non finisce qui perché il parlamento del Kentucky, in disaccordo, propone l’allora Speaker Henry Clay, mentre ancora il Parlamento del Tennessee acclama e investe un personaggio fino a quel momento estraneo alla politica, il Generale Andrew Jackson, eroe nazionale da quando (non ultima delle sue imprese militari), nel gennaio 1815, aveva sconfitto gli Inglesi nella celeberrima e celebrata – per quanto inutile, visto che la pace era già stata firmata ma non si sapeva – Battaglia di New Orleans.È pertanto quella del 1824 una campagna elettorale anomala considerato che le precedenti – con l’eccezione della tornata datata 1800 che aveva visto, con regole diverse, Thomas Jefferson e Aaron Burr arrivare alla pari come numero di Delegati con conseguenze notevoli (decisione demandata alla Camera, sconfitta di Burr al trentaseiesimo scrutinio, sconfitta determinata da Alexander Hamilton che sarà poi nel 1804 ucciso in duello dal rivale, unico caso di un Vice Presidente, tale era a quel momento Burr, coinvolto in fatti di sangue di questa gravità) – si erano svolte tra gentiluomini praticamente sapendo in partenza chi avrebbe vinto, sostanzialmente col beneplacito dei contendenti.Lotta dura e risultati del tutto particolari.Jackson conquista la maggioranza dei voti popolari e dei Grandi Elettori: novantanove.Un buon bottino ma non sufficiente visto che non arriva a superare il fatidico cinquanta per cento.Dopo di lui, tutti con un sempre minor numero di voti e conseguente attribuzione dei Delegati predetti, John Quincy, ottantaquattro, Crawford quarantuno, Clay trentasette.Il Generale chiede da subito alla Camera dei Rappresentanti (per Costituzione, in un caso del genere, non avendo nessuno raggiunto la maggioranza assoluta, spetta proprio a quel consesso il pronunciamento decisivo, una scelta che deve essere fatta tra i primi tre candidati così come classificati) l’investitura.Non è forse lui che ha ricevuto il più ampio consenso sia in termini di voto popolare che di conseguenti Delegati?Fuori gioco Crawford – debilitato fisicamente, non può certamente concorrere – escluso perché arrivato quarto Clay, la scelta è obbligatoriamente tra Jackson e John Quincy Adams.È a questo punto che il Presidente della Camera decide di invitare i suoi a pronunciarsi per J.Q il quale, pertanto, viene eletto.Polemiche a non finire.Contrapposizioni che si accentuano allorquando Adams sceglie proprio Clay come suo Segretario di Stato.Naturalmente, si grida allo scandalo, al ‘mercato delle vacche’.A seguire, divisione interna al partito e nascita di due movimenti: quello dei repubblicani nazionali, sostenitori di Adams e Clay, e quello dei nazionali democratici, sostenitori di Jackson.Da questi ultimi, nascerà più oltre il Partito Democratico ancora oggi – con quello Repubblicano che vedrà la luce nel 1854 – imperante.Quello che segue è un quadriennio presidenziale a dir poco tormentato durante il quale si verifica senza tema di smentita che il Capo dello Stato USA non è affatto svincolato e libero di agire, in specie se deve confrontarsi con una maggioranza parlamentare non solo ostile ma decisa a combatterlo.(Moltissimi anni dopo, Gerald Ford dirà: ‘L’unica cosa che può decidere da solo un Presidente è quando andare al gabinetto!’)Così, John Quincy Adams, che tutte le premesse indicavano come un Presidente coi fiocchi, date le circostanze, fallì.Sarà poi nel successivo 1828 che Jackson lo defenestrerà portando a termine quella che ho definito ‘la Seconda Rivoluzione Americana’ (la prima essendo, ovviamente, quella per l’Indipendenza) che coincise con il passaggio del potere dalla citata Aristocrazia (di cui, quindi, ripeto, J.Q. fu l’ultimo esponente) alla Borghesia.(Per inciso, al riguardo e a proposito del trapasso  di consegne tra i due a dir poco burrascoso – J. Q., fra l’altro, non partecipò alla cerimonia – invito a leggere i testi di Maldwyn Jones, di Allan Nevins e Henry Steele Commager e il mio ‘Americana’).V’è da aggiungere, quanto specificamente a J. Q. A., che dopo avere lasciato White House si candiderà e sarà eletto quale Rappresentante fino alla dipartita avendo molto da dire ed influire in specie a proposito della lotta alla schiavitù (si veda il bel film ‘Amistad’, di Steven Spielberg, nel quale John Quincy, interpretato da Anthony Hopkins, affronta sul tema specifico un caso storicamente verificatosi davanti alla Corte Suprema) non poco influendo sui sentimenti in merito che porteranno alla fondazione nel 1854 del sopra citato, in futuro denominato, Grand Old Party. 
Dell’abbandono di John Quincy Adams da parte di Dio:Henry Adams, nipote di John Quincy e tra i massimi intellettuali a cavallo tra Ottocento e Novecento, in ‘The Degradation of the Democratic Dogma’, a proposito del comportamento del nonno che, allorquando Andrew Jackson – il quale lo aveva sconfitto nelle elezioni del 1828 ed era quindi il suo successore – era arrivato a Washington per insediarsi aveva rifiutato di accoglierlo e di assistere alla cerimonia di Insediamento, afferma:‘Al pari di Mosè e di una schiera di riformatori ed idealisti, J. Q. A. aveva sognato, con la sua interpretazione del pensiero divino quale si manifesta nella natura, di stringere ‘un patto con Dio’ e di rigenerare in tal modo l’Umanità.Sapeva di essere stato al patto, anche fin troppo, per quello che lo riguardava.E invece, quando si era venuti alla prova, Dio lo aveva abbandonato e aveva reso possibile il trionfo di Jackson che, per Adams era la materializzazione del ‘principio del male’…Che impersonava il ‘principio della pubblica ladreria’…’

Daniel Webster e i ‘Padri pellegrini’
Daniel Webster, molte volte ai vertici della vita politica americana dagli anni Venti dell’Ottocento alla dipartita (1852) e sempre respinto nei tentativi di arrivare alla Casa Bianca, va ricordato per le eccezionali qualità oratorie e per una immortale definizione.A quarant’anni, era considerato il miglior avvocato in circolazione nel Paese la qual cosa ne fece di conseguenza il più pagato.Eletto sia nell’una che nell’altra Camera, fu protagonista di accesi dibattiti.Da ricordare in primo luogo i suoi interventi  al Senato contro le tesi abrogazioniste sostenute in particolare da Robert Hayne, tesi che ritenevano possibile da parte di uno o più Stati il giudicare incostituzionale, appunto abrogandola, una qualsiasi legge federale non gradita.La sua seconda perorazione sul tema è considerata ‘il più famoso discorso mai pronunciato al Congresso’.Webster, nel merito, sosteneva che la Costituzione non era un patto tra gli Stati ma con la popolazione, che l’interpretazione della Carta spettava alla Corte Suprema, che l’Unione era nata per essere sempiterna, che l’abrogazione sarebbe stata considerata un tradimento.Resta altresì memorabile il discorso che tenne nel 1820 in occasione della commemorazione del secondo centenario dello sbarco dei coloni del ‘Mayflower’ che battezzò ‘Padri Pellegrini’, espressione da allora sempre e in ogni caso usata.Le sue aspirazioni presidenziali furono vanificate soprattutto nella campagna elettorale del 1836.Nella fattispecie, il partito whig ritenne opportuno presentare la bellezza di tre diversi candidati, uno dei quali il Nostro.La speranza invano coltivata era quella che nessuno dei pretendenti in lizza ottenesse la maggioranza assoluta dei delegati (come era accaduto nel 1824) e che la scelta dell’inquilino di White House spettasse per conseguenza alla Camera dei Rappresentanti.Purtroppo per i Whig, sia pure per il rotto della cuffia, il Vice Presidente uscente Martin Van Buren, democratico, prevalse anche in voti elettorali e si insediò.Presidenza a parte, Webster fu Segretario di Stato in due differenti periodi.Dapprima, scelto da William Harrison e confermato dal successore John Tyler, tra il 1841 e il 1843.Quindi, chiamato da Millard Fillmore, dal 1850 alla morte, nell’ottobre del 1852.
 
Albert Gallatin e William Wirt, svizzero il primo, di origini elvetiche il secondo, memorabili politici in terra americana.
Dal 1801 al 1814.Sotto due grandi Presidenti.La più lunga e maggiormente produttiva permanenza al Ministero del Tesoro USA è vanto di uno svizzero: Albert Gallatin!!!Nato a Ginevra nel 1761 e arrivato nel 1780 negli Stati Uniti, il Nostro si dimostrò da subito uomo politico di grande spessore e capacissimo economista.Eletto Senatore, fu chiamato al governo nelle vesti suddette da Thomas Jefferson e confermato dal successore James Madison.Per mandato proprio del terzo Presidente, che considerava il debito nazionale ‘un cancro morale’, riuscì a ridurlo da ottantatre a quarantacinque milioni di dollari.Attuò, poi, drastiche diminuzioni della spesa pubblica tagliando in particolare gli investimenti per l’Esercito e la Marina.Fu però in difficoltà a ‘Guerra del 1812’ tuttora in corso, a seguito del sostanziale fallimento anche per l’opposizione del Congresso agli atti da lui compiuti per ottenere finanziamenti a sostegno delle spese derivanti dal conflitto.Lasciato l’incarico ministeriale, fu a capo della delegazione USA che concluse il ‘Trattato di Gand’ col quale si poneva termine alla predetta guerra.Con lui in Belgio per l’occasione, altri due, importantissimi in futuro, uomini politici: John Quincy Adams e Henry Clay.Fu in seguito Ambasciatore americano prima a Parigi e poi a Londra.Nel 1824, si parlò a fondo della possibilità di candidarlo per la Vice Presidenza.Essendo Gallatin nato prima della Dichiarazione di Indipendenza del 4 luglio 1776, poteva aspirare alla carica presidenziale come a quella vice presidenziale pur non essendo cittadino americano dalla nascita, requisito evidentemente non proponibile nei primi decenni di esistenza dell’Unione.Alla fine, accanto a John Quincy Adams nel quadriennio in questione sedette John Calhoun.Uno svizzero, il ginevrino, capace davvero di farsi onore in America.
Va qui ricordato per connessione che di origini elvetiche era William Wirt, Procuratore Generale degli Stati Uniti, ma soprattutto candidato alla Executive Mansion per conto del Partito Antimassonico nel 1832.In tale veste, il primo in assoluto ad essere scelto nel corso di una Convention – dato che fu il movimento citato l’ideatore e realizzatore del congresso al quale affidare la Nomination cercando di sottrarla alle nomenclature partitiche – e ancora in assoluto il primo appartenente ad un partito minore capace di affermarsi – sempre nel 1832 – in uno Stato conquistandone gli ‘Electors’: il Vermont.

Henry Clay, come riusciva a perdere lui White House, nessuno.  
Uno dei tre potenti (con lui, Daniel Webster e John Calhoun) componenti il ‘Grande Triumvirato’ che dettò per decenni l’agenda delle attività politiche americane nella prima metà dell’Ottocento.Un Senatore per il Kentucky eletto mille volte (e fra l’altro considerato da una apposita Commissione presieduta da John Kennedy tra i migliori cinque Laticlavi della storia).Un autorevole Speaker della Camera dei Rappresentanti.Un forte Segretario di Stato.Un importantissimo Legislatore.Nel 1814, componente della Delegazione USA a Gand per articolare e concludere il Trattato che poneva fine alla cosiddetta ‘Guerra del 1812’.Tutto questo e ancora di più è stato Henry Clay, infinite volte in corsa per la candidatura alla Casa Bianca e in tre circostanze capace di ottenere l’investitura.Salvo poi sempre essere sconfitto al momento decisivo dal rivale di turno.Nel 1824 con altri pretendenti del Partito Democratico Repubblicano, arrivando quarto.Nel 1832, contrapposto per i Repubblicani Nazionali a Andrew Jackson e sonoramente battuto.Nel 1844, da Whig, sconfitto dal dark horse democratico James Polk.Con ogni probabilità, se un quadriennio dopo fosse stato nuovamente proposto, ce l’avrebbe finalmente fatta.I Whig invece gli preferirono il Generale Zachary Taylor (poi eletto) comandante le truppe americane nella recentissima Guerra col Messico.Fu allora che Clay sbottò dicendo:‘L’avessi saputo, avrei sparato anch’io a qualche messicano!’Ciò detto, non può essere qui taciuto (e dell’argomento si parlerà anche nelle pagine dedicate agli altri protagonisti) il suo decisivo contributo a favore della elezione nel 1824 di Joh Quincy Adams, contributo che gli diede in cambio la titolarità nei quattro anni seguenti della Segreteria di Stato.Era nel 1824 citato, arrivato quarto nella conquista degli ‘Electors’, nessuno peraltro tra quanti lo avevano preceduto in grado di ottenere la maggioranza assoluta degli stessi e vincere.Passata alla Camera (la prima ed unica volta nella vicenda americana elettorale federale) la patata bollente secondo la norma vigente, fece alla fine in modo che lo scranno andasse al citato J. Q. A. facendolo prevalere nei confronti del Generale Andrew Jackson, relativamente primo per voti popolari e Grandi Elettori, che si aspettava come fosse un suo diritto governare e comunque moralmente giusta la nomina.In conseguenza, quattro anni di gravi contrapposizioni e crisi, la formazione, dissolvendosi sostanzialmente il Democratico/Repubblicano, del partito Democratico tuttora tra i più dominanti.E nel 1828, la sconfitta di Quincy Adams alla quale il 4 marzo 1829 farà seguito l’Insediamento del rivale fatto che segna l’avvento della borghesia al potere fino a quel momento in mano alla aristocrazia agraria.

Martin van Buren, detentore di non pochi record alla politica estranei.
Uno dei più dimenticati tra i Presidenti americani – almeno presso il grande pubblico – è Martin Van Buren (il quale, peraltro, fino alla elezione di George Herbert Bush nel 1988, deteneva un primato essendo stato l’ultimo Vice ad avere raggiunto la Casa Bianca, precisamente vincendo le elezioni del 1836, nel mandato immediatamente successivo a quello nel quale era ‘secondo’, nello specifico di Andrew Jackson), il primo Capo dello Stato USA nato – il 5 dicembre del 1782 in una famiglia di origini olandesi ragione per la quale dovette imparare la lingua inglese che i suoi non usavano –  dopo la Dichiarazione di Indipendenza.Eppure, al di là della sua comunque importante attività politica, c’è un buon motivo per ricordarlo: se non fosse esistito, l’espressione ‘OK’, che è l’americanismo più diffuso nel mondo, probabilmente non avrebbe mai visto la luce.Fatto è che nel 1840 i suoi sostenitori, puntando alla conferma (poi mancata perché venne defenestrato da William Harrison) del Nostro alla Presidenza, fondarono un comitato per la rielezione che, prendendo spunto dal soprannome con il quale era noto (‘il Mago di Kinderhook’, dal villaggio d’origine nello Stato di New York), si chiamò ‘Old Kinderhook Club’ o, più brevemente ‘OK Club’.L’espressione ebbe subito enorme successo e fu interpretata altresì come una abbreviazione di ‘oll korrect’ che era, vuole il caso, una deformazione scherzosa che da un paio d’anni si usava a Boston in luogo di ‘all correct’ e cioè ‘tutto bene’.Con il trascorrere dei decenni, dimenticata l’origine ‘politica’, il modo di dire entrò a far parte del linguaggio comune in tutto il mondo, tanto che nel 1932, alla Conferenza delle Telecomunicazioni di Madrid fu riconosciuto come ‘segnale internazionale’.Per finire, Van Buren va ricordato anche per una differente particolarità: si chiamava, infatti, in suo onore, Martin Van Buren Bates il gigante americano alto duecentoventi/trenta/quaranta centimetri (nel campo, le esagerazioni sono sempre all’ordine del giorno ma che fosse gigantesco è verità) che il 18 giugno 1871, a Londra, sposò la canadese Anna Hanen Swan, la quale, a sua volta, raggiungeva i duecentoventisette centimetri.Fu quello ‘il più alto matrimonio della storia’.Certo non va dimenticato, tornando alla politica e alle istituzioni USA, che fu nuovamente in corsa per la Casa Bianca nel 1848, stavolta per il Free Soil Party, finendo ancora sconfitto.

John Tyler, il primo Vicepresidente che subentri mortis causa al titolare (William Harrison) e il sostenitore della necessità di fare entrare nell’Unione il Texas.
Nato il 29 marzo del 1790, membro di una delle più antiche ed aristocratiche (ovviamente, secondo i canoni propri degli Stati Uniti) famiglie della Virginia, John Tyler partecipò fin da giovane alla vita politica locale arrivando a ricoprire l’incarico di Governatore del suo Stato dal 1823 al 1827.Democratico, fu dapprima eletto alla Camera dei Rappresentanti nazionale e, in seguito, al Senato (dal 1827 al 1836).I suoi principi jeffersoniani e l’innata incapacità di uniformarsi alle ferree leggi di partito lo posero in contrasto con il Presidente Jackson e lo portarono ad aderire al movimento Whig avvicinandolo alle posizioni dell’ex Segretario di Stato Henry Clay che del nuovo partito era il leader.Nel 1840 proprio la Convenzione whig lo indicò quale candidato alla Vicepresidenza ponendolo al fianco del Generale William Harrison.Vinte a man bassa le elezioni, Tyler si ritrovò Presidente del tutto inaspettatamente a seguito della morte di Harrison per polmonite un mese dopo il suo insediamento.Era il 4 aprile del 1841 e per la prima volta un Vice arrivava alla Casa Bianca per successione mortis causa, cosa che – lo riporto in altra pagina della trattazione – creò problemi politici, di interpretazione della legge e personali.(Quanto al privato, fu Tyler il primo inquilino della Casa Bianca rimasto vedovo in corso di mandato e poi risposatosi). Benché privo dell’appoggio di un qualsiasi partito (inviso ai democratici che lo consideravano un transfuga, lo era anche ai whigs che pure ne avevano accompagnato l’ascesa), il decimo Presidente seppe comunque distinguersi e a suo merito vanno ascritte importanti decisioni quali la riorganizzazione della Marina e la costruzione della prima linea telegrafica tra Washington e Baltimora.Al termine del mandato (decadde il 4 marzo 1845), Tyler non si ripresentò e tornò volentieri alla politica locale.Sostenitore del Sud e dei diritti dei singoli Stati ma contrario alla secessione, il Nostro, all’inizio del 1861, presiedette la Conferenza di pace di Washington, vano tentativo di riappacificazione tra Nord e Sud fallito il quale si schierò con quei moderati che approvarono l’uscita della Virginia dall’Unione.Poco prima della morte (18 gennaio 1862), fu eletto deputato al Congresso della Confederazione sudista.Ma non è possibile tracciare un sia pur breve profilo di Tyler senza parlare dell’annessione del Texas, argomento questo che aveva infiammato la campagna elettorale del 1844 che aveva visto, alla fine, prevalere il democratico James Polk il quale dell’entrata nell’Unione dello Stato della Stella solitaria era strenuo sostenitore.Desideroso di ritirarsi dalla scena politica nazionale in un alone di gloria, John Tyler, subito dopo le or ora ricordate elezioni e quindi nel novembre del 1844, dichiarò che scegliendo Polk gli americani si erano espressi a favore dell’annessione del Texas e propose che il Congresso la realizzasse senza ulteriori indugi mediante una risoluzione congiunta delle due Camere.Così operando e forzando il dettato costituzionale (ragione per la quale, ancora oggi, molti texani sostengono l’indipendenza del loro Stato dagli USA), l’annessione avrebbe richiesto la maggioranza semplice, molto più facile da ottenere che non quella dei due terzi necessaria al Senato per la ratifica di un trattato.(Essendo il Texas, infatti, indipendente dal 1836, la sua entrata avveniva a seguito della contrattazione e della firma da parte dei due Stati contraenti proprio di un trattato.)Alla fine, l’auspicata (da Tyler) risoluzione comune, seppur ampiamente e variamente contrastata, fu approvata dalla Camera con centoventi voti a favore e novantotto contro e dal Senato con ventisette contro venticinque.John Tyler la firmò il primo marzo 1845 – due soli giorni prima della scadenza del suo mandato – e  con questa firma, seguita a luglio dal voto di accettazione texano e a dicembre dall’ammissione ufficiale del Texas nell’Unione, passò, come voleva, alla storia.

I due Presidenti Whig (William Harrison e Zachary Taylor) per dare seguito a quanto dal partito proposto in relazione al numero dei mandati morirono subitamente in carica, a loro succedendo  - una novità – due interessanti Vice.
Ricordate?Nel 1824, nessuno dei candidati riuscì ad ottenere la maggioranza degli ‘Electors’ e, secondo il disposto normativo, la nomina del Presidente fu opera della Camera dei Rappresentanti che votò ‘per delegazione’ statale.Puntando al medesimo esito (ma era capitato casualmente e si dimostrò quasi impossibile ripetere il tutto), il partito Wigh, sostanzialmente nato per contrapporsi al primo Presidente ritenuto democratico (partiticamente) Andrew Jackson, nel 1836, presenta quattro propri candidati ma viene battuto dal democratico Martin Van Buren.Quattro anni dopo, concentrando il voto sul Generale William Harrison, vince defenestrando il predetto Van Buren.Capita però che l’anziano militare, entrato in carica il 4 marzo 1841, muoia a causa di una malattia esattamente un mese dopo, il 4 aprile, stabilendo un record – la permanenza più breve alla Casa Bianca – che nessuno si augura di battere.Gli subentra, tra mille problemi (era la prima successione e le interpretazioni del disposto normativo parecchie), il Vicepresidente John Tyler che, per quanto qualcuno lo volesse solo ad interim, benché altri pensassero che dovesse avere a disposizione quattro anni dalla successione così modificando le scadenze elettorali e ci fosse  perfino chi riteneva si dovesse rivotare, semplicemente governa fino al 4 marzo 1845.Nel 1849, avendo vinto l’anno precedente, ecco di nuovo un Whig in sella.Si tratta di Zachary Taylor, il quale ha appena guidato le truppe USA  nella ‘Guerra Messico Statunitense’ che tanti nuovi territori (diventeranno col tempo Stati) ha aggiunto a quelli dell’Unione.Anche Taylor però muore velocemente (siamo nel 1850) ed essendo una delle proposte Whig quella di ridurre ad un solo mandato l’esercizio del potere esecutivo viene da pensare che così i due abbiano fatto per dare seguito all’idea.Ovviamente, i morti non possono ricandidarsi.Gli succede Millard Fillmore che va soprattutto ricordato per avere deciso di inviare una spedizione navale armata in Giappone al fine di aprire al commercio e ai rapporti internazionali quel lontano Paese allora ancora governato dallo Shogunato.Comandava le ‘navi nere’, come furono chiamate, il Commodoro Matthew Perry.

Millard Fillmore, e la spedizione navale in Giappone, ferita per lo Shogunato.
Millard Fillmore fu il secondo Vicepresidente in ordine di tempo (il primo era stato John Tyler ed entrambi erano eredi di un Generale candidato dai Whig) ad approdare alla Casa Bianca in conseguenza della morte dell’eletto.In carica dal 10 luglio 1850 a seguito appunto della dipartita di Zachary Taylor, malgrado fosse personalmente contrario alla schiavitù, per evitare il distacco degli Stati sudisti, appoggiò il Compromesso del 1850 (da molti, considerato troppo favorevole al Sud e al quale il suo predecessore si era fortemente opposto) allora in discussione dopo di che applicò rigorosamente la legge che imponeva la consegna degli schiavi fuggiaschi ai proprietari.La conseguente ed inevitabile sua impopolarità tra gli elettori del Nord gli costò la rielezione nel 1852 visto che nessuno pensò a ricandidarlo.Si riproporrà, invano, quattro anni più tardi, quale terzo incomodo nello scontro tra James Buchanan e il primo repubblicano in corsa per White House John Fremont.Fillmore, a ben guardare, resta nella storia perché per sua iniziativa una squadra navale americana agli ordini dell’ammiraglio Matthew Perry fu inviata in Giappone per imporre a quel Paese l’apertura ai commerci e alle relazioni diplomatiche con l’Occidente.E v’è chi pensi che tale riuscita impresa abbia inferto allo Shogunato nipponico una prima notevole ferita anche in considerazione del fatto che quel sistema assolutamente plurisecolare di governo non molto dopo cesserà d’esistere.

Franklin Pierce e James Buchanan, certo non tanto approfonditamente soprattutto il primo, con un ulteriore rapido riferimento a Millard Fillmore, informando comunque della dissoluzione dei Whig e della nascita del Partito Repubblicano.
1856, dal 2 al 6 giugno: Convention democratica a Cincinnati, Ohio, in vista delle cosiddette Presidenziali programmate per il 4 novembre.Capo dello Stato uscente e fino al prossimo 4 marzo 1857 in carica Franklin Pierce.È un Asinello il desso e per quanto il partito, nel quale infinite sono le contrapposizioni, gli sia avverso, aspira al reincarico.I Delegati glielo rifiutano (accadeva frequentemente in quegli anni all’uscente) e nominano James Buchanan che rispetto al citato successore di Millard Fillmore (ultimo costui tra i Whig a risiedere alla Executive Mansion visto che il suo movimento entra in crisi e si dissolve) ha il vantaggio di essere stato lontano dalle polemiche interne dato che operava a Londra come Ambasciatore.Tocca pertanto a Buchanan (altresì, l’unico Presidente scapolo e per questo chiacchierato) d’essere il candidato democratico che sconfigge il primo nominato repubblicano, John Fremont, visto che il Grand Old Party è stato fondato nel 1854 e dà consistenza proprio in quel 1856 alle sue iniziali aspirazioni presidenziali.Considerato tra i peggiori Capi dello Stato (contro tale giudizio si scaglierà però John Kennedy) vicino ad un Impeachment al quale sfugge perché la Commissione che indaga al riguardo non lo ritiene seriamente accusabile, resta nella memoria per la frase che, portato comunque a compimento il suo unico mandato, disse al successore Abraham Lincoln accogliendolo: ‘Mi auguro che lei sia tanto felice di insediarsi e governare quanto lo sono io di andarmene!’

John Breckinridge, il Vicepresidente a trentacinque anni.
Il più giovane Vicepresidente della storia degli Stati Uniti: eletto con James Buchanan nel novembre del 1856, aveva trentacinque anni!Il candidato alla Presidenza in grado di conquistare, per i democratici del Sud (gli Asinelli nella circostanza si divisero) non il maggior numero di voti popolari ma il maggior numero di delegati nelle presidenziali del 1860 nelle quali era opposto a Abraham Lincoln, John Bell e Stephen Douglas.Uno dei Senatori espulsi (4 dicembre 1861) dalla Camera Alta federale a seguito della dichiarata adesione alla Confederazione sudista.Generale, dipoi maggior Generale nell’esercito confederato.Ministro della guerra dal gennaio all’aprile del 1865 della predetta Confederazione.Esule in Europa dopo la sconfitta del Sud.Passato a miglior vita a soli cinquantaquattro anni, John Cabell Breckenridge visse poco ma molto intensamente!

Abraham Lincoln, a proposito del primo Presidente repubblicano, molte luci, non poche ombre.
Abraham Lincoln, non dimentichiamolo mai, era un uomo politico, un uomo, non un Santo!
1Lincoln e la schiavitù.
Anni orsono, negli Stati Uniti, fu pubblicato un saggio a firma dello studioso di colore Lerone Bennett (‘Costretto alla gloria: il sogno bianco di Lincoln’), nel quale si sosteneva che il Presidente che portò, a costo di una sanguinosissima guerra civile, alla cancellazione della schiavitù e all’emancipazione dei neri era, in realtà, un razzista solo un poco più astuto degli altri.In sostanza, secondo Bennett, Lincoln avrebbe agito come sappiamo soltanto per minare il potere degli Stati del Sud, mentre sua intenzione era deportare i neri ‘per rendere l’America bianca come un giglio’ (queste, le parole che avrebbe pronunciato al riguardo).A riprova di quanto affermato, il saggista scriveva che ‘esistono testimonianze secondo le quali la famosa proclamazione dell’Emancipazione del 1863 era diretta agli Stati confederati e non riguardava gli altri Stati schiavisti rimasti nell’Unione’.Di più: ‘Lincoln si piegò al Proclama per opportunismo subendo la pressione della forte ala abolizionista del suo partito (il repubblicano)’.Come troppo spesso accade, le ‘nuove’ argomentazioni portate da Bennett per provare le sue supposte ‘rivelazioni’ non sono assolutamente tali per chi conosca la storia, in questo caso quella degli Stati Uniti d’America.In particolare, il ‘Proclama di emancipazione’ datato 1 gennaio 1863 (emanato dal Presidente non in ragione della propria carica ma quale ‘Comandante supremo delle Forze Armate’) era esplicitamente, e non surrettiziamente, applicabile esclusivamente nei territori allora sotto controllo della Confederazione sudista, la qual cosa significava che non aveva validità alcuna nei confronti dei quattro Stati schiavisti (Maryland, Delaware, Kentucky e Missouri) che erano rimasti estranei alla Secessione.Ad abundantiam, non era applicabile nemmeno nei territori del Sud al momento già occupati dall’esercito nordista.Sull’argomento, non esistono semplici ‘testimonianze’ ma una serie completa di documenti arcinoti ed incontrovertibili, tutti ampiamente citati dagli storici.Quanto, poi, all’influenza avuta su Lincoln dall’ala più fortemente abolizionista del suo partito, è notissimo che già nel dicembre del 1861 la maggioranza del Congresso aveva approvato alcuni primi provvedimenti contro la schiavitù e che nel luglio del 1862 lo stesso Congresso aveva concesso la libertà agli schiavi appartenenti ai proprietari secessionisti ed autorizzato l’arruolamento dei neri (anche se ex schiavi) nell’esercito del Nord.Così – la storia ce lo racconta senza bisogno di ‘scoperte’ – Lincoln, per parte sua sempre d’accordo con l’operato congressuale, proprio all’inizio del 1863, trovò il clima adatto alla promulgazione del citato Proclama.Per il resto, se davvero il Presidente si fosse azzardato a pronunciare o a scrivere la frase relativa alla deportazione dei neri americani in Africa, i suoi avversari politici ne avrebbero senz’altro fatto uso contro di lui, viste le sue pubbliche posizioni, prima nella campagna per il Senato del 1858 (persa) e poi in quella per la Casa Bianca (come tutti sanno, vinta).
2Il confronto per il Senato del 1858.Il momento nel quale Abraham Lincoln entra davvero nell’agone politico.
Contrariamente a quanto i più pensano, i celebri dibattiti in pubblico tenutisi fra Abraham Lincoln e Stephen Douglas ai quali Barack Obama, replicando a quanto proposto da John McCain, ha fatto riferimento nel 2008 non si svolsero nel corso della campagna elettorale per la Casa Bianca che vide i due contrapposti nel 1860 (e che, peraltro, contava in lizza altresì il Vicepresidente  all’epoca in carica John Breckinridge e il ‘quarto candidato’ John Bell) ma in occasione del loro precedente confronto datato 1858.Nativo del Kentucky, Lincoln si era trasferito dapprima nell’Indiana e poi nell’Illinois, Stato nel quale si era distinto sia nella professione legale che quale importante uomo politico a livello locale (quattro volte parlamentare nel suo nuovo Stato, fu alla Camera dei Rappresentanti a Washington solo tra il 1847 e il 1849).Abbandonata per qualche tempo l’attività pubblica a favore di quella professionale, si ritenne in obbligo di tornare a far sentire la propria voce dopo l’approvazione da parte del Congresso, a seguito di una sentenza emessa dalla Corte Suprema, di norme da molte parti e da lui stesso interpretate come intese ad estendere lo schiavismo in tutti gli Stati.Lasciati non senza esitazioni i declinanti whigs tra i quali aveva militato, Lincoln approdò al pressoché neonato (era stato fondato nel 1854, fondamentalmente proprio per combattere la schiavitù) partito repubblicano partecipando senza successo alle elezioni per il Senato del 1855.Avvertito il fatto di essere ancora poco noto in particolare rispetto all’allora imperante Senatore democratico Stephen Douglas, riproponendosi nel 1858, ritenne necessario colmare questo svantaggio sfidando il rivale in una serie di sette dibattiti.La disfida, benché tenutasi di poi in località periferiche dell’Illinois (lo Stato che l’eletto avrebbe dovuto in seguito rappresentare) ma non solo, ebbe rilievo e risonanza nazionali.Un indispensabile inciso: è solo a partire dal 1913 che i Senatori nazionali USA sono eletti direttamente dal popolo; in precedenza e quindi anche nel più volte citato 1858, venivano nominati Stato per Stato dal Legislativo locale.Per il Nostro, si decise la proposizione della candidatura da parte di una Convenzione repubblicana convocata a Springfield auspicando che nelle successive votazioni per la Camera locale gli eletti del futuro GOP risultassero in maggioranza così da investirlo del laticlavio.È nel celeberrimo discorso di accettazione appunto alla Convenzione di cui si parla che Lincoln dichiara:‘Una casa divisa al suo interno non può stare in piedi.Io ritengo che questo governo non potrà durare in eterno mezzo schiavo e mezzo libero.Non mi aspetto uno scioglimento dell’Unione...ma mi aspetto che finisca di essere divisa.Che diventi un tutto unico o da una parte o dall’altra’.Per conseguenza, pur considerando lo schiavismo un male morale, sociale e politico, se eletto, la sua politica non sarebbe stata quella di abolirlo immediatamente ma di incamminarlo ‘sulla strada della definitiva estinzione’.Talmente importante e ‘storica’ l’allocuzione ora riassunta che il futuro Presidente, comprendendone gli effetti, solennemente dichiara:‘Se dovessi dare un tratto di penna sui miei ricordi e cancellare la mia vita intera e mi fosse lasciata una misera e sola facoltà di scelta di ciò che volessi salvare dalla catastrofe, sceglierei questo discorso e lo lascerei al mondo senza una cancellatura’.E siamo quindi ad esaminare il confronto al quale l’avvocato di origini kentuckyane arriva attraverso una vera e propria provocazione e al quale Stephen Douglas – che essendo certamente assai più famoso, ha tutto da perdere e poco o nulla da guadagnare in notorietà mentre vuole evitare che il rivale ne acquisti – cerca, ma non troppo, di sottrarsi.‘Accederebbe Ella ad una intesa tra lei e me, fissando il tempo lasciato a ciascuno e parlando al medesimo uditorio sulla situazione presente?Mister Judd, che le porterà questa mia, è autorizzato a ricevere la risposta e, se Ella acconsente, a discutere le condizioni di questo accordo’, ecco il testo lincolniano al quale il Senatore in carica risponde che purtroppo ha già fissato tutte le date della sua campagna, non ne ha una libera ed è davvero sorpreso di constatare che Lincoln non abbia fatto altrettanto.Tuttavia – concede magnanimo – se proprio lo ritiene necessario, e visto che è in giro, i confronti possono avere luogo in sette differenti località.Il repubblicano accetta gli appuntamenti aggiungendo:‘Quanto ai dettagli, non desidero nulla più che la perfetta reciprocità.Desidero tanto tempo quanto lei e che il diritto di concludere spetti all’uno o all’altro alternativamente’.Che dire, se non che il futuro Presidente stava gettando le fondamenta di tutti i dibattiti politici americani di la da venire e fino ai nostri giorni?    E il primo scontro è di scena a Ottawa: il palco è di legno, all’aperto.Douglas parla un’ora, poi Lincoln per un’ora e mezza e infine di nuovo il democratico per mezz’ora (come concordato, la volta dopo e di seguito via via, si cambierà).Moltissimi i giornalisti presenti, migliaia gli spettatori arrivati da tutto lo Stato per assistere alla contesa della quale tutti parleranno nei giorni successivi.Il telegrafo diffonde la notizia ovunque e una volta terminato il terzo confronto tutta l’Unione ne è al corrente e si chiede chi siano i due contendenti.Inconciliabili: i rivali sono inconciliabili in tutto e per tutto.Non è solamente una questione ideologica, non è esclusivamente una faccenda politica.Sono l’uno il contrario dell’altro anche dal punto di vista fisico.Douglas – detto dai suoi ‘il piccolo gigante’ – è veramente basso di statura, tarchiato e dal collo potente.Ha torace e spalle quadrate, è vigoroso e nondimeno agile.Veste molto bene con abiti di sartoria, la sua biancheria è perfetta.I presenti notano che mentre parla spesso scuote indietro i lunghi capelli neri, appena brizzolati, con un veloce moto del capo.Un cronista afferma che i suoi lineamenti sono mobili e che possiede un paio di occhi azzurri capaci di forte seduzione.Peraltro, quando dovendo ascoltare tace, se ne coglie un qualche disagio forse derivante dal fatto di essere all’aria aperta: è Douglas, infatti, un cittadino...Lincoln è alto, alto, alto: un metro e novantatre è per quei tempi (ma anche oggi, abbastanza) qualcosa di strano.È ossuto e scarno con un naso particolare.I vestiti sembra gli pendano addosso quasi fossero di qualcun altro.Ha i piedi enormi e le mani muscolose suggeriscono sia abituato a portar pesi e magari, come per il vero è, a tagliar tronchi.A prima vista, ci si può certo invaghire di Douglas ma è difficile che altrettanto capiti guardando Lincoln.E poi, quali i precedenti dei due?Quali le già espresse qualità?Non è forse il democratico uomo di mondo, conosciuto, diplomatico quale è anche stato, perfino in Europa laddove ha incontrato a suo tempo addirittura lo zar e la regina Vittoria.Non è forse da anni in odore di Presidenza?Non è ricco, influente, potente, seducente, galante, dominatore e chi più ne ha più ne metta?Non viaggia solo in vagone (se non, perfino, in un treno) privato speciale e quando arriva in una qualsiasi località non spara una bordata con il cannone di bronzo che, su di un carro aperto, sempre lo accompagna?Non lo attendono ovunque, ossequiose, le autorità per scortarlo nelle migliori camere dei migliori alberghi?Sul palco, per primo, sicuro di sé, con la bella voce baritonale, la chiarissima pronuncia, l’espressivo gestire, i lineamenti composti, la sciolta logica, la prontezza, non incatena e incanta forse le folle?E come inizia Lincoln il proprio intervento se non goffamente?È goffo, appunto, e il rammentato cronista ci dice che sta piantato sul palco quasi fosse un tronco.Ha la voce stridula e si torce forse di nascosto i pollici.Ma, piano piano, si scalda e arriva a lasciarsi andare.Muove le braccia a sottolineare i concetti e con le lunghe, ossute dita, pare voglia conficcarli fino in fondo nelle teste degli spettatori che ‘sentono’ dentro l’anima quanto egli creda in quello che pubblicamente dice.Commuove perché si commuove.Comincia con ampie concessioni al rivale del quale non si può dire che bene, nevvero?E subito dopo, illustrandone ragioni e tesi ne mette a nudo le manchevolezze.Passa all’attacco e gli esempi che propone sono quelli che potrebbero proporre gli ascoltatori: i contadini che formano la maggioranza dell’assemblea.Lo stile è chiaro e semplice, ancora come il loro.Dall’inizio alla fine, peraltro e per quanto l’emozione sembri tutti sopraffare, è la logica a dominare.Douglas, intervenendo in seconda battuta, falsifica gli argomenti lincolniani ai quali non sa replicare attirandosi risposte giustamente aspre e dure.La gente, sfollando, avrà in testa il bell’eloquio del democratico e, ammirata, penserà “Così sono i signori di Washington’.Con il cuore, però, starà con il repubblicano dicendosi ‘Potessimo una volta buona avere nella capitale uno dei nostri!’.Dopo Ottawa, ecco dove si svolsero – assai folkloristicamente, viene da dire, visto che, di volta in volta, l’una o l’altra parte si inventava qualcosa: torce fiammeggianti, carri trainati da infinite coppie di cavalli bianchi... – gli incontri seguenti: Freeport, Jonesboro (in Virginia), Charleston, Galesburg, Quincy e Alton.Ed è proprio ad Alton che un giovane, vedendo l’oramai stanco Lincoln sul palco, scrisse:‘...si alzò dalla sedia, stirò le sue lunghe membra ossute come per rimetterle in forza e rimase eretto come un pino solitario su una vetta deserta!’
3Le Presidenziali del 1860.
Ed eccoci alle cosiddette Presidenziali del 1860, anno nel quale i repubblicani conquistano per la prima volta la Casa Bianca per non lasciarla (salvo la strana successione a Lincoln di Andrew Johnson – un democratico Vice di un repubblicano, frutto della Guerra di Secessione in corso durante le elezioni del 1864 – e i due quadrienni non consecutivi di Grover Cleveland) addirittura fino al 1913, quando a William Taft subentra Woodrow Wilson, vittorioso alle urne nell’anno precedente.Divisi – i sostenitori del Presidente in carica James Buchanan avversavano l’accreditato senatore Stephen Douglas accusato di avere posizioni addirittura filo repubblicane su molte questioni – i democratici tennero in aprile una prima Convention  a Charleston.Lungi dal raggiungere un accordo, le due parti si combatterono al punto che la kermesse ebbe a chiudersi con un nulla di fatto.Ritrovatisi i delegati a Baltimora a giugno, i contrasti divennero insanabili e molti abbandonarono definitivamente i lavori.Nominato dai superstiti, Douglas si dovette scontrare nella successiva campagna non solo, come ovvio, col rivale repubblicano, ma anche con un altro democratico dato che i fuorusciti si radunarono per indicare nell’allora vice Presidente John Breckinridge il loro vessillifero.Nella confusione, nacque allora anche un terzo partito, l’Unione Costituzionale, che decise di mettere in corsa John Bell.I repubblicani, per parte loro, nella convention di Chicago di metà maggio, ritenendo Douglas il probabile avversario, al terzo scrutinio optarono per Abraham Lincoln che nella campagna per il Senato del 1858 si era già contrapposto con grande efficacia, sia pur soccombendo, al rivale in pectore.  Frammentati i voti democratici divisi tra Douglas e Breckinridge, degna di menzione anche la prestazione di Bell, Lincoln vinse in quel novembre conquistando centoottanta delegati sui trecentotre in palio.Il voto popolare lo vedeva invece soccombente, a fronte del totale dei suffragi raccolti dai rivali, per all’incirca un milione di adesioni alla sua proposta politica.
4Quando si pensava di sostituirlo.
Elezioni Presidenziali del 1864.Giugno: i repubblicani ricandidano Abraham Lincoln.Nel mentre, la Guerra di Secessione è ancora in pieno corso e le prospettive di vittoria del Nord non sembrano poi molte.Non pochi, e in primo luogo parecchi democratici, non disdegnerebbero l’apertura di trattative con il Sud per arrivare a una onorevole pace.Ad agosto, il partito dell’Asino, per quanto non decisamente, abbraccia quest’idea e candida a White House il generale George B. McClellan, già al comando dell’armata del Potomac.McClellan accetta pur dubitando della strategia ipotizzata che prevede dapprima l’armistizio e in seguito la convocazione di una assemblea nazionale destinata a ricostituire l’unità degli Stati Uniti.I fermenti in atto nel GOP addirittura prima della conferma di Lincoln quale candidato, fermenti promossi da repubblicani radicali che invece volevano che il conflitto proseguisse e che ritenevano i progetti del Presidente uscente per il dopoguerra troppo benevoli nei confronti degli Stati secessionisti, erano sfociati a maggio in una convenzione di dissidenti che aveva scelto come terzo nella corsa verso la Casa Bianca il generale John Fremont.Era costui, ai fini della candidatura, un ‘cavallo di ritorno’ essendo stato nel precedente 1856 (e non va dimenticato che il GOP era nato solo nel 1854) il primo repubblicano impegnato in una campagna presidenziale.Sconfitto, per quanto dignitosamente, da James Buchanan, Fremont era rimasto dipoi a lungo nelle retrovie – anche nel corso della guerra – e tornava ora all’improvviso alla ribalta.Uomo dai trascorsi brillanti – cartografo, esploratore, primo Senatore eletto della California che aveva contribuito a liberare nella guerra contro il Messico e alla cui entrata nell’Unione aveva dato un particolare contributo – costituiva un serio pericolo per Lincoln, al quale poteva sottrarre un buon pacchetto di voti e di delegati.Ma il destino decise diversamente, dato che, all’improvviso, il conflitto, che pareva dovesse durare all’infinito, volse decisamente a favore del Nord.Il 2 settembre, difatti, dopo lunghe settimane d’assedio, William Sherman conquistava Atlanta.L’effetto di tale impresa fu straordinario e i repubblicani, su questa spinta, ritrovarono la propria compattezza.John Fremont ritirò la candidatura e a novembre Lincoln vinse in tutti gli Stati dell’Unione meno tre.
5Il ‘decisionismo’ di Lincoln.
Alla fine di una agitata riunione di governo in cui si era scontrato con tutti i suoi ministri a proposito di un determinato progetto, messa ai voti la controversa questione, Abraham Lincoln comunicò alla stampa l’esito della conseguente votazione con queste parole:‘Sette contrari, uno favorevole.La proposta è approvata!’Ovviamente, l’unico favorevole era lui!

6Lincoln/Kennedy: parallelismi (qui riproposti).
Abramo Lincoln fu eletto per la prima volta al Congresso americano nel 1846.John Kennedy fu eletto per la prima volta al Congresso americano nel 1946.Lincoln fu eletto Presidente nel 1860.Kennedy fu eletto Presidente nel 1960.Sia la moglie di Lincoln che quella di Kennedy persero, a causa di un aborto, un figlio mentre i mariti erano alla Casa Bianca.Sia l’attentato a Lincoln che quello a Kennedy ebbero luogo di venerdì.Tutti e due furono colpiti  alla testa.Il segretario di Lincoln si chiamava Kennedy.Il segretario di Kennedy si chiamava Lincoln.Ambedue furono assassinati da un Sudista.Tutti e due furono sostituiti da un vice Presidente originario del Sud.Ambedue i successori si chiamavano Johnson.Andrew Johnson (successore di Lincoln) era nato nel 1808.Lyndon Johnson (successore di Kennedy) era nato nel 1908.Ambedue gli assassini avevano tre nomi: John Wilkes Booth e Lee Harvey Oswald.Booth (assassino di Lincoln) era nato nel 1839.Oswald (assassino di Kennedy) era nato nel 1939.Il primo fu catturato in un magazzino, dopo che era fuggito da un teatro.Il secondo fu catturato in un teatro, dopo che era scappato da un magazzino.Booth e Oswald furono entrambi uccisi prima del processo.Coincidenze?
7Ipse dixit.
L’istituzione della schiavitù è fondata sull’ingiustizia e sull’errore politico ma la diffusione di dottrine abolizioniste tende ad aumentarne i mali invece che ridurli’.Campagna elettorale del 1858, dichiarazioni difformi e ‘adatte’ al pubblico presente:In luglio, a Chicago:‘Lasciamo perdere le sofisticherie sull’inferiorità di questo o quell’uomo, di questa, quella o quell’altra razza…Abbandoniamo tutte queste cose e uniamoci come un unico popolo in tutto il Paese, fino a levarci di nuovo in piedi e a dichiarare che tutti gli uomini sono stati creati uguali’.A settembre, a Charleston:‘Affermo quindi che non sono né mai sono stato in alcun modo a favore dell’uguaglianza sociale e politica tra le razze bianca e nera; che non sono né mai sono stato favorevole a rendere i negri elettori o giurati, o eleggibili a cariche, o a farli sposare con i bianchi… E se non possono vivere insieme, finché così rimangono devono sussistere le posizioni di superiorità e inferiorità, e io, non meno di chiunque altro, sono per mantenere la posizione superiore assegnata alla razza bianca’.4 marzo 1861, al momento dell’Insediamento:‘Non intendo interferire, direttamente o indirettamente, nella istituzione della schiavitù negli Stati in cui esiste.Ritengo di non avere alcun diritto legittimo a farlo, né vi sono incline’.Nel luglio 1862, rispondendo a Horace Greeley.‘… Il mio principale scopo in questo conflitto è salvare l’Unione e non salvare o distruggere la schiavitù.Se potessi salvare l’Unione senza liberare alcuno schiavo, lo farei; e se potessi salvarla liberando tutti gli schiavi, lo farei…Ho qui dichiarato il mio scopo secondo il concetto che ho dei miei compiti istituzionali, il che non comporta alcuna modifica all’auspicio personale da me frequentemente espresso che tutti gli uomini, in ogni luogo, possano essere liberi”.

Jefferson Davis, Presidente della Confederazione Sudista. 
Senatore in rappresentanza del Mississippi, in seguito Segretario alla difesa nell’amministrazione Pierce, e quindi dal 1853 al 1857, di nuovo alla Camera Alta tra il 1857 e il 1861, Jefferson Davis fu il massimo assertore del diritto, a suo parere garantito dalla Costituzione USA, dei singoli Stati alla secessione.Dimessosi dal Senato nel gennaio del fatidico 1861, fu eletto Presidente della Confederazione Sudista il mese successivo.Particolarmente capace e attivo, contribuì non poco alla incredibile resistenza, ben quattro anni di impari lotta, del Sud.Catturato e imprigionato con l’accusa di tradimento dopo la resa di Lee – aprile 1865 – fu recluso per oltre due anni e rilasciato infine senza processo.Ritiratosi a vita privata, non accettò mai di candidarsi al Senato perché per farlo avrebbe dovuto chiedere l’amnistia in tal modo riconoscendosi nel torto.Fino alla morte, che lo colse nel 1889, si rifiutò categoricamente di riacquistare la cittadinanza americana, riaffermando nei discorsi, nei pubblici interventi e con gli scritti (nel 1881, pubblicò ‘The Rise and Fall of the Confederacy’) la giustezza della secessione degli Stati confederati.
La scelta di definirsi ‘Confederazione’ da parte degli undici Stati del Sud che tra il 1860 e il 1861 si distaccarono dall’Unione non era affatto casuale.Il vocabolo era stato divisato per sottolineare l’argomento giuridico utilizzato per giustificare la secessione.Al congresso, al senato, sul tema si era in particolar modo esercitato il futuro presidente appunto della Confederazione Jefferson Davis nei tempi che avevano preceduto l’atto formale.(Ricordo per inciso che Alabama, Florida, Georgia, Louisiana, Mississippi, South Carolina e Texas avevano deciso l’abbandono negli ultimi mesi del 1860 dopo l’elezione di Lincoln, mentre Arkansas, North Carolina, Tennessee e Virginia lo fecero nell’aprile del 1861).I sudisti avevano sostenuto che in base alla Costituzione ciascun membro dell’Unione dovesse avere la più ampia libertà in tema di politica interna, inclusa quella di secedere e cioè di porre termine a un rapporto che aveva avuto inizio in quanto liberamente accettato dalle parti in causa e che non poteva continuare quando le ragioni di solidarietà fossero venute meno.Da sottolineare che Jefferson Davis non fu mai processato per evitare che su questo delicato tema ci si addentrasse seriamente non essendo in ipotesi le idee sudiste in merito campate per aria.

Ulysses Grant, ottimo Generale, pessimo Presidente.
Le elezioni del 1868 videro l’uno di fronte all’altro il repubblicano Ulysses Grant e il democratico Horatio Seymour, Governatore dello Stato di New York durante il conflitto civile.Benché Grant, ovviamente, godesse di larghissima fama (la campagna GOP puntava quasi esclusivamente sulla cosiddetta ‘Giubba insanguinata’ propria dell’eroico generale che aveva guidato sui campi di battaglia il Nord alla vittoria e non si dimentichi la considerazione nei suoi riguardi dimostrata da Abraham Lincoln il quale ogniqualvolta qualcuno lo attaccasse descrivendolo come un ubriacone replicava dicendo ‘Mandate agli altri Comandanti le stesse bevande. Che si sbronzino, se questi sono i risultati!’) la sua nomina fu contrastata.È vero, vinse in ventisei Stati su trentaquattro, ma con un margine, in termini di voto popolare, risicato, ed è certo che se non avessero potuto esprimersi a suo favore i settecentomila neri degli Stati del Sud da poco riammessi nell’Unione sarebbe stato un Presidente minoritario.Insediatosi alla Casa Bianca, l’ex Generale dimostrò tutta la propria inadeguatezza.Era totalmente ignaro di politica e di pubblica amministrazione, non conosceva le norme federali, non comprendeva il sistema politico e, soprattutto, nella scelta dei collaboratori (cosa che mise in forte imbarazzo i maggiorenti repubblicani che avevano sperato di poterlo controllare), agiva esclusivamente in base alla simpatia che l’uno o l’altro personaggio sapeva ispirargli.Dei venticinque ministri che lo affiancarono negli otto anni di Presidenza, molti erano veri furfanti e parecchi degli emeriti somari.Già nel corso del primo mandato diversi, clamorosi scandali lo coinvolsero sia pure marginalmente.Per fare solo un esempio, arrivò ad accettare regali e prestiti da persone che gli chiedevano favori.Fortuna (per lui) volle che, in vista della tornata elettorale del 1872, i democratici, anch’essi in crisi profonda, decidessero di opporgli un personaggio altrettanto se non più discutibile, il Direttore del New York Tribune Horace Greeley.Grant fu così confermato e fino al termine la sua amministrazione continuò ad essere pessima e sconvolta dal malaffare.Molti ministri tra i più importanti furono obbligati alle dimissioni perché scoperti con le mani nel sacco.Altri si salvarono per il rotto della cuffia.Il suo abbandono della politica (definitivo, per quanto nel 1880 sperasse in, e qualcuno nel suo partito proponesse, una sua terza candidatura) al termine del secondo quadriennio fu accolto con gioia dalla parte più sana del PaesePerso in speculazioni sbagliate tutto il patrimonio, Grant visse gli ultimi anni nell’indigenza e solo la pubblicazione nel 1885 delle sue ‘Memorie’ salvò la famiglia dalla povertà!(Per inciso, da ex Presidente, fu ospite dell’Italia e in particolare di Varese. Nella ‘Città Giardino’, precisamente nell’allora accogliente Hotel Excelsior, soggiornò in vacanza frequentando con pessimi risultati il vicino ippodromo).

Rutherford Hayes, il Compromesso del 1877 e la ‘Reconstruction Era’.
Finita la ‘Guerra di Secessione’, per non pochi anni e per periodi diversi, gli Stati Confederati e loro politicamente vicini vissero un momento storico particolare, sotto tutela, occupati militarmente, controllati e guidati anche e soprattutto nelle loro articolazioni politiche.Il periodo è conosciuto come ‘Era della Ricostruzione’ (‘Reconstruction Era’) ovviamente intesa come Ricostruzione del Sud o degli Stati Ribelli.Iniziato nel 1863 a conflitto civile ancora in pieno corso, ebbe variamente localmente termine e definitivamente il 31 marzo 1877, allorquando il neo eletto e da poco insediato Presidente repubblicano Rutherford Hayes (Whig, prima di aderire al neonato futuro Grand Old Party già nel 1854 e buon Governatore del suo Ohio) diede seguito alle concordate condizioni concesse al riguardo ai democratici in specie sudisti nel cosiddetto ‘Compromesso del 1877’ che gli attribuiva, superando le contestazioni conseguenti al decisamente controverso (da vincitore designato si chiedeva se fosse giusto che dipoi governasse) risultato elettorale del novembre 1876, lo scranno presidenziale.Coinvolti Tennessee, Arkansas, North Carolina, Alabama, Florida, Louisiana, South Carolina, Virginia, Mississippi, Texas e Georgia.Giunto a termine il periodo predetto, in breve, gli Stati indicati, tornati ai governi locali i democratici (‘Redeemers’), quanto ai diritti civili delle minoranze, virarono dallo schiavismo (impossibile da riproporre) ad un segregazionismo sempre più articolato che durò – non dovunque, beninteso – addirittura fino agli anni Settanta del trascorso Novecento ove si tenga conto della candidatura dal relativamente ottimo esito di George Wallace nel 1988. Il Fu Hayes – come consente il sistema elettorale USA e come dopo accaduto nel 1888, con Benjamin Harrison, nel 2000 con George Walker Bush e nel 2016 con Donald Trump, incredibilmente sempre a danno dei democratici – il primo Capo dello Stato risultato infine vincente (il citato Compromesso del 1877 lo portò a superare l’Asinello di un solo suffragio nel Collegio grazie anche ai Grandi Elettori della Florida la qual cosa fu richiamata da me nel 2000 quando, incertissimo il risultato e sotto esame i ricorsi di Al Gore avversi alla vittoria del secondo Bush, contrastando quanto da tutti veniva affermato – essere quella la prima volta di una esacerbata diatriba relativa alla attribuzione dei Delegati Nazionali dello  Stato con capitale Tallahassee, avevo eccepito), per quanto sconfitto sul piano del voto popolare dato che il contendente democratico Samuel Tilden aveva preso circa duecentocinquantamila voti in più.Convinto sostenitore del mandato unico, Hayes non si ripropose nel 1880.

James Garfield  è, secondo la leggenda, l’ultimo Presidente USA venuto al mondo in una capanna di tronchi.Chester Arthur il suo successore a seguito del secondo assassinio di un inquilino di White House.
Nato in Ohio, repubblicano dalla costituzione del partito, Colonnello dell’Esercito durante la Guerra di Secessione, Rappresentante dal 1862 al 1880, leader della minoranza alla Camera durante la Presidenza Hayes, uomo particolarmente brillante (forse troppo se parlando di Abraham Lincoln, ovviamente vivente e governante, lo aveva definito ‘un avvocato di seconda schiera’), inopinatamente, proprio in vista della presidenziali del 1880, venne scelto quale candidato di compromesso a White House del GOP da una Convenzione fortemente divisa tra i sostenitori di Grant (che, incredibilmente, considerando i suoi disastrosi precedenti otto anni di Casa Bianca, chiedevano per il loro uomo un terzo mandato), quelli di James Blaine (di poi sconfitto da Cleveland nel 1884) e quelli dell’allora Ministro del Tesoro John Sherman.Il Nostro fu eletto con una delle maggioranze nel voto popolare più esigue della storia (poco più di novemila voti su oltre nove milioni di elettori), ma non ebbe molto tempo per far valere le proprie capacità visto che uno squilibrato lo ferì a morte il 2 luglio 1881 (a soli quattro mesi dall’entrata in carica) alla stazione ferroviaria di Washington.L’attentatore, catturato, dichiarò di aver voluto uccidere Garfield per consentire al Vicepresidente Chester Arthur di prenderne il posto!Così effettivamente avvenne dopo il decesso dell’ex Colonnello che passò a miglior vita il 19 settembre successivo.Arthur – che in precedenza era noto soprattutto per la sua appartenenza al disinvolto gruppo di potere che controllava lo Stato di New York – a sorpresa, si dimostrò assolutamente sopra le parti ed intraprese una sostanziale riforma della pubblica amministrazione opponendosi all’imperante clientelismo politico e limitando lo ‘Spoils System’, sistema che aveva sostenuto a spada tratta prima di assumere l’incarico presidenziale.Ciò, lungi dal favorirlo politicamente, pur rendendolo popolare, gli alienò le simpatie di buona parte dell’apparato repubblicano che, nel 1884, gli negò una Nomination che andò di contro all’ex Speaker della camera e futuro segretario di Stato James Blaine che da un decennio la aspettava.

Grover Cleveland, ventiduesimo e ventiquattresimo a White House. 
Grover S. Cleveland è da ricordare non soltanto per la sua azione politica, ma anche per due specifiche ragioni.È il primo ed unico Presidente eletto due volte non consecutivamente, motivo per il quale viene conteggiato sia come ventiduesimo che come ventiquattresimo capo di Stato USA.È il solo democratico che abbia vinto la corsa alla Casa Bianca nel periodo che va dal 1860 (elezione di Lincoln) al 1912 (affermazione di Wilson) in un lungo momento storico dominato dai repubblicani.Già Governatore dello Stato di New York e prima ancora Sindaco di Buffalo, Cleveland, nel 1884, ottenne a sorpresa la Nomination alla Convenzione democratica.All’epoca, il partito dell’Asino era fortemente diviso al proprio interno e due diverse e contrapposte anime si contendevano la maggioranza: quella legata alle masse operaie e contadine e quella corrotta e condizionata dai centri di potere finanziario e industriale.Il Nostro vinse ma la sua Amministrazione nel corso del primo mandato fu gravemente menomata proprio dalle divisioni or ora descritte visto che si trovò contro la cricca degli affaristi facenti capo al suo movimento che non era riuscito ad eliminare.Nel 1888, nuovamente in corsa malgrado tutto, fu sconfitto per voti elettorali (quelli popolari gli furono inutilmente favorevoli come nelle altre due occasioni) dal repubblicano Benjamin Harrison, nipote dell’ex Presidente William Harrison.Tornato in sella vincendo nel 1892, gli toccò fronteggiare notevoli problemi di ordine sociale anche a seguito della crisi economica del 1893 e, fra l’altro, nel 1894 fu obbligato ad ordinare alle truppe federali di reprimere con la forza lo ‘sciopero Pullman’.Importante la sua politica estera in specie nel 1895, allorché riuscì ad imporre alla Gran Bretagna l’arbitrato in relazione ad una grave disputa insorta circa i confini tra Guyana Britannica e Venezuela.
Trattando di Cleveland (che era arrivato all’esercizio del potere esecutivo scapolone e con la fama di donnaiolo,per di più con buona probabilità padre di figli illegittimi, e che per fare fronte alle accuse che su queste basi gli si muovevano aveva indetto una conferenza stampa nella quale disse ‘È tutto vero, ma cosa c’entra con la mia capacità di governare?’ mettendo in crisi  i critici), impossibile non parlare di Frances Clara Folsom che divenne sua moglie.Assai più giovane del coniuge, lo sposò nel 1886 mentre quegli risiedeva alla Casa Bianca.Sconfitto il marito Grover da Benjamin Harrison nel 1888, Frances, al momento di lasciare White House il successivo 4 marzo 1889, disse allo stupito maggiordomo che l’aiutava a salire sulla carrozza‘Tenga per favore tutto in ordine perché intendo tornare.È assolutamente certo che saremo nuovamente qui tra quattro anni’.Fu quel che accadde visto che il coniuge riuscì nel 1892 a farsi rieleggere (come detto e qui ripetiamo, l’unico capace di tornare dopo un mandato di, per così dire, non richiesta né desiderata pausa).

Benjamin Harrison, nipote Presidente.
Se due, fino ad oggi, sono stati gli inquilini della Casa Bianca figli di un loro predecessore (John Quincy Adams e George Walker Bush), in un solo caso a White House è arrivato un nipote di uno degli ex Capi dello Stato.Si tratta di Benjamin Harrison, appunto discendente diretto del nono Presidente William Harrison.Esponente dell’ala più radicale del partito repubblicano, strenuo oppositore in Senato di Grover Cleveland, il secondo Harrison fu scelto dalla convenzione del GOP nel 1888 per sfidare il democratico in carica.Nella campagna che seguì – definita ‘la più corrotta della storia degli Stati Uniti’ – il denaro la fece da padrone e fu usato a man bassa per comprare voti dall’una e dall’altra parte.Alla fine, Cleveland ottenne un maggior numero di suffragi popolari ma un minor numero di delegati e il Nostro approdò alla Presidenza.Assai attivo in politica estera, in economia il ventitreesimo Capo dello Stato USA si oppose alla tendenza liberista in atto e cercò, inadeguatamente, di porre un argine allo strapotere finanziario dei grandi gruppi industriali del Nord.L’incipiente crisi economica (scoppierà nel 1893) e l’elevato tasso di inflazione ne impediranno la rielezione e nel 1892, dovette restituire lo scranno a Cleveland, candidato per la terza volta dai democratici.

William McKinley, il terzo assassinato.
Oramai al tramonto Grover Cleveland – il partito democratico ne ripudiò la linea politica nel corso della Convenzione del 1896 optando per il populista William Jennings Bryan – pressoché certi di riconquistare la Casa Bianca, i repubblicani, riuniti a St. Louis, si schierarono in maggioranza a favore di William McKinley, già Rappresentante e Senatore e per tre volte Governatore dell’Ohio.A ben vedere, la scelta fu in parte determinata dalle manovre congressuali di Mark Hanna, ricco industriale e boss politico di Cleveland (la città), che si spese grandemente a suo favore.Il giorno delle elezioni, al termine di una campagna particolarmente violenta almeno sul piano dei contrasti in campo economico tra il conservatore repubblicano e il, per molti versi, rivoluzionario Bryan, si recò alle urne un numero eccezionale di elettori: due milioni in più rispetto a quattro anni prima.McKinley vinse nettamente e, baciato dalla fortuna, vide, poco dopo il suo insediamento e senza che avesse avuto il tempo di operare in qualche modo al riguardo, terminare la lunga depressione che aveva fiaccato il Paese a far luogo dal 1893.La sua amministrazione fu caratterizzata, in politica estera, dall’espansionismo.Intervenne, infatti, a favore degli insorti cubani e fece guerra alla Spagna (1898/1899), ottenendo, alla fine, le Filippine, Portorico e Guam.Rieletto trionfalmente nel 1900 in un momento di grande prosperità, fu ferito il 9 settembre del 1901 da un anarchico a Buffalo e morì cinque giorni più tardi.Lasciò, in tal modo, la presidenza a Theodore Roosevelt, che il già citato Hanna definiva ‘quel maledetto cow boy’, la qual cosa ne sottolineava l’indipendenza.Sarà un cambio epocale visto che il primo Roosevelt si rivelerà un progressista a tutto tondo.

William Jennings Bryan, grande oratore e giovanissimo candidato.
1925, Dayton, Tennessee.Nel ‘Profondo Sud’ americano, sulla scorta di una legge approvata pochissimo tempo prima, ecco aprirsi un processo per qualche verso di poco conto (l’imputato finirà per essere condannato al pagamento di una multa di cento dollari!) nei cui confronti, però, si appunta, sollecitata dal famoso giornalista Henry Louis Mencken, l’attenzione dell’intera nazione.Alla sbarra, John T. Scopes, giovane insegnante di biologia presso il locale liceo, accusato di aver violato (lo aveva fatto volontariamente per attirare l’attenzione dei media sulla nuova disposizione) la legge che, come detto da pochi mesi, proibisce anche solo di accennare a scuola alle teorie evoluzionistiche darwiniane.In sua difesa, appositamente arrivato dalla metropoli, nientemeno che il grande penalista Clarence Darrow, celebre in tutto il Paese, al quale l’accusa contrappone un ‘esperto’ della Bibbia di primissimo piano, William Jennings Bryan, già Segretario di Stato con Woodrow Wilson dal 1912 al 1915 e, per parte sua, in precedenza, tre volte invano candidato alla Casa Bianca.‘Esperto della Bibbia’ ho detto, ed è questo il punto.In Tennessee, come in molti altri Stati dell’Unione (e non solo fra quanti appartenenti alla cosiddetta ‘Bilble Belt’) è – allora e per molto tempo a venire se non ancora ai nostri giorni – quel libro sacro il fondamento incontrovertibile, anche e soprattutto riguardo alla creazione dell’uomo.Tutti, in quelle e nelle vicine terre, rifiutando assolutamente l’evoluzionismo che va contro il dettato divino’, sono ‘creazionisti’!Assalto dei media (il processo sarà il primo seguito via radio in tutto il Paese).Grandi emozioni.Contrasti insanabili di educazione, di stile e di carattere tra Darrow e Bryan che peraltro si conoscevano benissimo ed erano in qualche modo amici.Memorabile, l’interrogatorio del primo al secondo:‘Crede che il Sole sia stato creato il quarto giorno?’‘Sì’.‘E c’erano già il mattino e la sera?…’Come si è detto, vittoria dell’accusa, del tutto effimera visto che il verdetto verrà annullato in sede di ricorso.Infine, morte per infarto, pochissimi giorni dopo e probabilmente in conseguenza dell’aspra contesa verbale, di William Jennings Bryan, in qualche modo personalmente sconfitto considerato che di fronte all’intera nazione, alla radio, ne erano state svelate le posizioni oscurantiste.L’appassionante vicenda verrà rappresentata a teatro con grande successo (‘Inherit the Wind’, autori, Jerome Lawrence e Robert E. Lee) e quindi trasposta cinematograficamente due volte.Da Stanley Kramer nel 1960 – ‘...e l’uomo creò Satana’ – con Spencer Tracy e Fredric March sul grande schermo, e molti anni dopo, in un film tv (‘1925, il processo della scimmia’), con Kirk Douglas e Jason Robards.Come detto, William Jennings Bryan fu in tre circostanze invano in corsa per conto democratico alla Casa Bianca (1896, trentaseienne e il più giovane candidato di sempre, 1900 e 1908).Grande oratore e demagogo, non andò mai davvero ad un passo dal vincere.

Robert La Follette, ‘Fighting Bob’.
In un’epoca (i primi decenni del Novecento) nella quale il progressismo sembrava dominare la vita politica e sociale americana tanto che numerosi esponenti di quella corrente arrivarono ad occupare importantissimi governatorati (Hiram W. Johnson in California, Jeff Davis in Arkansas, James K. Vardaman in Mississippi, Hoke Smith in Georgia, Charles Evans Hughes nel New York e, naturalmente, Woodrow Wilson in New Jersey), ecco emergere la forte figura di Robert ‘Fighting Bob’ M. La Follette.Uomo integerrimo e fiero, mai incline al compromesso, La Follette portò a termine un vasto programma di riforme negli anni nei quali fu Governatore del Wisconsin (1901/1906).Affrancatosi dai vincoli della locale assemblea legislativa fortemente conservatrice, diede un efficace regolamento alle ferrovie, stabilì eque imposte sui redditi e a proposito di eredità, limitò fortemente la dirompente corruzione, regolò banche e compagnie di assicurazione, diminuì le ore di lavoro delle donne e dei bambini, adottò il sistema meritocratico nella nomina dei funzionari, impose le Primarie per la scelta dei candidati ad incarichi politici.Elemento portante della sua rivoluzione (come altrimenti definirla?), la cosiddetta ‘Wisconsin Idea’ e cioè la strettissima collaborazione tra governo locale ed università i cui docenti fornivano pareri e consigli e facevano parte delle diverse commissioni create per studiare e risolvere i più differenti problemi amministrativi e sociali.Theodore Roosevelt, guardando al Wisconsin di La Follette, parlò di ‘laboratorio della democrazia’.Successivamente Senatore, il Nostro fu sconfitto alla Convention repubblicana in vista delle elezioni del 1912, pur avendo ottenuto nelle Primarie, adottate per la prima volta a livello nazionale, un discreto numero di delegati.Contrario all’intervento americano nella Prima Guerra Mondiale, su questo fu acerrimo rivale di Woodrow Wilson che, per il resto, aveva appoggiato.Ancora una volta fuori dal coro, nel 1924 si oppose a Calvin Coolidge (che cercava una riconferma a White House) e al candidato democratico John W. Davis mettendosi alla testa di un nuovo movimento (non volle definirlo ‘partito’) progressista.Il suo rivoluzionario programma prevedeva la lotta ai monopoli, la nazionalizzazione delle ferrovie e delle centrali elettriche, la diminuzione del dazi doganali, il sostegno federale all’agricoltura, l’elezione popolare dei giudici.L’esito fu lusinghiero visto che, con soli duecentomila dollari di finanziamento per l’intera campagna e malgrado l’improvvisazione, perdendo dall’Incumbent, prevalse su Davis in undici Stati compresa la California e conquistò tredici delegati al Collegio nazionale.Fu il suo canto del cigno.

Theodore ‘Teddy’ Roosevelt, inarrestabile
‘Esiste una particolare Provvidenza Divina a favore dei bambini, dei matti, degli ubriachi e degli Stati Uniti d’America’,Così, Otto von Bismarck, uno che di politica capiva parecchio.Torna alla memoria questa vecchia battuta pensando a quanto accadde in relativamente poco tempo per far sì che il grande riformatore e progressista Theodore Roosevelt arrivasse ad occupare lo scranno presidenziale.Eroico a Cuba – dove aveva comandato una formazione di volontari a sostegno della lotta isolana per l’indipendenza dalla Spagna – Teddy fu poco dopo eletto Governatore del New York entrando in carica l’1 gennaio 1899.Da subito, ebbe a che dire con i massimi esponenti repubblicani locali che non condividevano la sue istanze riformatrici e non ne sopportavano l’attivismo.Pensarono i boss nuovaiorchesi che il modo migliore per liberarsene fosse dirottarlo alla Vice Presidenza.Era difatti in programma nel 1900 la campagna per White House nella quale il GOP William McKinley chiedeva un secondo mandato.L’anno precedente, nel 1899, era passato a miglior vita il Vice di McKinley Garrett Hobart e la casella era vuota.Com’è, come non è, per accontentare i boss della  Grande Mela, a completare il ticket repubblicano 1900 (che vincerà le elezioni) viene indicato proprio Teddy.La carica vicaria è tutto o niente.Dipende da molti fattori che significhi qualcosa.Può il Capo dello Stato coinvolgere il Vice.Può isolarlo.Può – è successo otto volte e nella circostanza accadde per la quinta (la terza a seguito di un attentato) – andare all’altro mondo. Accadde, dopo una agonia durata parecchi giorni, il 14 settembre 1901.In poco più di tre anni (il momento magico cubano risaliva al luglio del 1898), la scalata, secondo Bismarck guidata dal Cielo, si compiva.Sarà ‘quel maledetto cow boy’ – come l’avversario politico Mark Hanna ebbe a definirlo – un Presidente assolutamente travolgente.Capace di estendere quanto mai prima il potere conseguente la carica.Attivo in ogni e qualsiasi campo.Agli interni, combattendo i trust e favorendo la libera intrapresa nonché operando fattivamente da ecologista ante litteram.Sul piano internazionale, mettendo in atto accorgimenti ed azioni varie che consentissero l’apertura del Canale di Panama. Intervenendo, sempre disposto al dialogo ma ‘tenendo dietro dietro le spalle un nodoso bastone’ del tutto pronto ad usarlo.Vincendo, primo Presidente americano ad ottenerlo, il Premio Nobel per la Pace.Innovando decisamente sul piano politico istituzionale perché, avvicinandosi il termine del mandato che ricopriva quale successore mortis causa del titolare, primo fra tutti i Vice che si erano trovati nella medesima situazione (così non avevano fatto John Tyler, Millard Fillmore se non vanamente quattro anni dopo, Andrew Johnson e Chester Arthur), si candidò personalmente risultando eletto con grande facilità.È seguendo le sue tracce che successivamente altri Vice subentrati (Calvin Coolidge, Harry Truman, Lyndon Johnson, vincendo, e Gerald Ford, il solo in sella a seguito di dimissioni del titolare che era Richard Nixon, perdendo) a tempo debito si proposero.A conferma perenne della sua grandezza il fatto che sia lui il quarto (con George Washington, Thomas Jefferson e Abraham Lincoln) Presidente rappresentato da Gutzon Borglum sul Monte Rushmore, South Dakota.Dimostrò infine ulteriormente la propria dirompente personalità arrivando a provocare (ovviamente, senza volerlo) la sconfitta repubblicana del 1912 permettendo al democratico Woodrow Wilson di insediarsi.Fatto è che, ritenendo non all’altezza del compito il successore (William Taft) – come lui GOP e che si era scelto – si gettò nella mischia nel citato 1912 e non avendo ottenuto la Nomination dal partito, si batté alla guida di un terzo e improvvisato movimento.Perse, ma nessuno prima o dopo di lui – capace di precedere alla stragrande il povero Taft – da terzo incomodo, era riuscito o riuscirà ad avere altrettanti elettori e Delegati Nazionali.E ci si può chiedere se, non avendo Teddy raggiunto come accadde gli onori e la fama, il lontano cugino Franklin Delano sarebbe poi stato personalmente in grado di arrivare a White House visto e considerato che allorquando nel 1920 fu scelto da James Cox quale compagno di cordata nel ticket democratico poi sconfitto (designazione che comunque propose F. D. a livello nazionale) accadde solo perché dai democratici considerato come ‘Young Roosevelt’, con assoluto riferimento al maledetto cow-boy.
Nota‘Il discorso dell’Orso’‘Secondo me, l’orso grizzly è il vero simbolo degli americani. Forza, intelligenza, aggressività.Forse è un po’ cieco, avventato, ma coraggioso in tutte le circostanze.E ha un’altra cosa in comune con gli americani: lo stare solo. L’orso passa tutta la vita da solo, è indomabile, invincibile sempre da solo.Non  ha  alleati,  solo  nemici,  ma  nessuno  della  sua  mole.  E  questo  lo  fa assomigliare agli americani.Il mondo non ci amerà mai. Ci rispetteranno, forse. Avranno paura di noi ma non ci ameranno.Perché  noi  siamo  un  popolo  troppo  audace  e  un  po’  cieco,  un  po’ avventato.Come l’orso!’Questo,   nella   versione   del   regista e   sceneggiatore   John   Milius   nel coinvolgente  ‘Il  vento  e  il  leone’,  il  celebre  ‘Discorso  dell’orso’ pronunciato   dopo   una   giornata   di   caccia   nel   parco   nazionale   di Yellowstone   dal  Presidente  Theodore   Roosevelt (molto bene rappresentato nella circostanza da Brian Keith che non sfigura affatto nel confronto a distanza con uno splendido Sean Connery a propria volta nei panni di Mulay Achmed Mohammed el-Raisuli il Magnifico) dispiaciutissimo   per essere  stato  costretto  dalle  circostanze  ad  abbattere  anche  un  grizzly, animale  verso  il  quale  nutriva  la  massima  considerazione  e  al  quale  mai avrebbe voluto sparare.Siamo  agli  inizi  del  Novecento  e  già  gli  americani  sanno  quale  sia  il destino  che  li  aspetta:  il  mondo  potrà  rispettarli,  temerli,  ma  non  li amerà mai!

William Taft, 1912.
Ogni qual volta, a partire dal 1856, i democratici e i repubblicani si sono confrontati per la Presidenza, prevalendo nelle urne il candidato dell’una o dell’altra parte, lo sconfitto è stato pur sempre uno tra loro.Mai – si intende dire – secondo si posizionò il pretendente alla poltrona di una terza forza partitica, non essendone nate, dopo il 1854 degli Elefantini, altre di portata politica tale.È da considerare corretta questa affermazione anche guardando alle burrascose, a dir poco, votazioni del 1912?Non si collocò invece nella circostanza – vincente dopo lunga pezza un democratico (Woodrow Wilson) – terzo, il candidato ufficiale repubblicano, l’uscente Capo dello Stato William Taft?(Fu quello e resta in effetti il peggior esito elettorale conseguito da un incumbent nella storia intera delle cosiddette Presidenziali visto che il povero già Ministro della Guerra vinse in due soli Stati, Utah e Vermont, sui quarantotto in gioco, per un totale di otto Grandi Elettori, sui cinquecentotrentuno in palio.Una assoluta débâcle!)È la risposta a questa domanda controvertibile.Fatto è che secondo – con ottantotto delegati che gli derivavano da sei Stati conquistati: Pennsylvania, Michigan, Minnesota, South Dakota, Washington e California – arrivò l’ex Presidente repubblicano Theodore Roosevelt alla testa di un movimento per la bisogna da lui creato non essendo stato personalmente nominato dall’establishment repubblicano come chiedeva e come invero (il risultato lo dimostra) voleva la maggioranza degli elettori stessi del Grand Old Party.Se si guarda ai voti popolari, si vede come, sommando quelli dei due GOP (tali dovendosi considerare sia Taft che Teddy) ben di più fossero gli Elefantini, cosa che, stante il sistema elettorale, non impedì a Wilson (Presidente dipoi ‘di minoranza’, come si dice in questi casi) di prevalere.Secondo quindi un repubblicano anche in questa occasione tempestosa?Non il candidato ufficiale ma, alla fine, sì!

Woodrow Wilson.
‘L’America fu creata affinché ogni uomo avesse e abbia la stessa possibilità di qualsiasi altro uomo di esercitare il suo dominio sulla sorte’.Woodrow Wilson, 1912
‘Ogni qualvolta l’America è stata messa alla prova dalla crisi o dal conflitto – nella seconda Guerra Mondiale, nella Guerra Fredda e negli sconvolgimenti attuali del mondo islamico – ha fatto ritorno in un modo o nell’altro alla visione wilsoniana di un ordine mondiale che assicura la pace mediante la democrazia trasparente e l’elaborazione di regole e principi condivisi’,Henry Kissinger, ‘World Order’, 2014
La Nomination per White House 1912.
Ok, siamo a fine giugno del 1912 e i democratici, riuniti a Baltimora per scegliere il loro candidato a White House nelle elezioni novembrine, sanno di avere finalmente a portata di mano lo scranno presidenziale che sfugge loro dalla tornata elettorale del 1892.Fatto è che il campo repubblicano è in gravissime difficoltà.I GOP hanno già deciso di riproporre l’uscente William Taft, ma è proprio tale determinazione che ha spaccato il partito.I sostenitori di Teddy Roosevelt stanno decidendo di formare un movimento che chiameranno progressista.Se, come è certo fin d’ora, i repubblicani avranno sostanzialmente due candidati, il democratico in corsa avrà infinite chance di vittoria.Ecco, quindi, che nella Convention ci si batte all’arma bianca per la nomination.Parte subito forte Champ Clark, il Presidente della Camera dei Rappresentanti.Conta su un notevole numero di delegati ma il loro sostegno non è sufficiente per farcela.I rivali interni si coalizzano e lo bloccano.Occorrono alla fine la bellezza di quarantasei ballottaggi perché la scelta cada sul Governatore del New Jersey Woodrow Wilson.Vincerà il democratico ma si tratterà di un Capo dello Stato di minoranza dato che i voti da lui raccolti sono molti di meno di quelli che i repubblicani hanno disperso tra Taft e, soprattutto, Teddy.Attento in politica interna, riformatore quanto ai diritti dei lavoratori e alla lotta contro i trust industriali e finanziari, Wilson fu nel corso del primo mandato abile in politica estera stabilendo rapporti più egualitari dei precedenti coi differenti Paesi dell’intero continente americano.Proclamata la neutralità degli USA allo scoppio della prima Guerra mondiale, vinte a fatica le elezioni del 1916, nell’aprile del 1917 – in qualche modo disattendendo le promesse elettorali (lo slogan che era stato usato per chiederne la conferma era ‘Ci ha tenuto fuori dalla Guerra’!) – intervenne militarmente sostenendo che fosse necessario e definendo l’impegno una ‘crociata per la libertà’.L’8 gennaio del 1918, in un celebre documento, dettò un programma in quattordici punti che doveva costituire la base per il futuro trattato di pace.In questo strumento prevedeva la creazione, la fondazione di una ‘Società delle Nazioni’.Eccone il preambolo:‘Noi siamo entrati in Guerra a causa delle violazioni al diritto che ci riguardano direttamente e rendono impossibile la vita del nostro popolo a meno che non siano riparate e che il mondo abbia la sicurezza che non si ripeteranno mai.Perciò in questa Guerra (il conflitto mondiale era ancora in corso) non domandiamo nulla per noi ma il mondo deve essere reso adatto a viverci e in particolare deve essere reso sicuro per ogni nazione pacifica che, come la nostra, desidera vivere la propria vita, stabilire liberamente le sue istituzioni, essere certa della giustizia e della correttezza da parte degli altri popoli del mondo come pure essere assicurata contro la forza e le aggressioni egoistiche.Tutti i popoli del mondo, in realtà, hanno lo stesso nostro interesse, e per conto nostro vediamo molto chiaramente che, a meno che non sia fatta giustizia agli altri, non sarà fatta a noi’.Partecipe della conferenza di Versailles, non riuscì se non parzialmente a fare accettare il suo progetto.Di più, dato che le elezioni di Mid Term del 1918 avevano visto prevalere i repubblicani, dopo, non fu in grado di fare votare né l’approvazione del Trattato né l’adesione americana alla predetta Società delle Nazioni.Gli ultimi tempi della sua permanenza alla Casa Bianca non furono certamente felici: colpito da un ictus a Pueblo, nel Colorado, nel mentre girava il Paese tenendo comizi per convincere i cittadini della bontà delle sue proposte, rimase semi paralizzato.Sotto la sue Presidenza, non va dimenticato, fu approvato l’Emendamento che concedeva il voto alle donne.A chiudere e per quanto avesse portato gli Stati Uniti in Guerra, gli fu assegnato nel 1919 il premio Nobel per la Pace.

Charles Evans Hughes, l’uomo cui è mancata solo la Presidenza.
1916, i repubblicani, in maggioranza al Congresso e convinti di riconquistare facilmente la Casa Bianca defenestrando Woodrow Wilson (nel 1912, il democratico aveva vinto approfittando della spaccatura tra i GOP che si erano divisi un elettorato nettamente maggioritario: Theodore Roosevelt, al quale il partito aveva preferito l’uscente William Taft, si era candidato come terzo uomo e i voti dei due sommati superavano nettamente quelli di Wilson), scelsero come loro candidato Charles Evans Hughes, già Governatore del New York e al momento giudice della Corte Suprema nella quale era entrato nel 1910.Hughes, dimessosi dall’alto incarico per la bisogna, ebbe davvero a sfiorare la vittoria tanto da andare a letto convinto di avercela fatta, visti i risultati degli Stati della costa orientale, svegliandosi invece – come succederà nel 1948 a Thomas Dewey – sconfitto, essendo nella notte pervenuti i dati relativi ai territori statali collocati ad Ovest a lui grandemente sfavorevoli.Successivamente, Segretario di Stato con Harding e Coolidge, scelto da Hoover per sostituire Taft, rientrò alla Corte Suprema nel 1930 con i gradi di ‘Chief’, giudice capo o Presidente.È in tale prestigiosa veste che ebbe a scontrarsi con Franklin Delano Roosevelt.Era accaduto che non poche delle leggi approvate sotto la spinta del New Deal rooseveltiano fossero incappate nel giudizio negativo della Corte.Così stando le cose, il Capo dello Stato, nel 1937 e cioè all’inizio del proprio secondo mandato, si lasciò pungere dall’idea di modificare la composizione della Corte medesima per essere autorizzato a nominare altri giudici evidentemente alle sue idee più vicini.Occorre qui rilevare come, anche e soprattutto per la forte opposizione di Hughes, il piano in qualche modo eversivo di Franklin Delano non andò a buon fine.

Warren Harding, ‘non fatelo parlare!’
Facile denigrare Warren Harding.Donnaiolo impenitente, padre di figli illegittimi, particolarmente dedito all’azzardo, certamente non molto acculturato, politicamente assai poco scrupoloso, impelagato anche da Presidente in speculazioni discutibili, criticato aspramente da non pochi tra gli esponenti della politica e della cultura americana, attorniato a White House da collaboratori personali da lui scelti che ne combinavano di tutti i colori intrallazzando, cedendo alla corruzione e chi più ne ha più ne metta…Ebbene, quest’uomo, proprio quest’uomo, designato alla Convention repubblicana, a novembre del 1920, esattamente il 2, (bella e storicamente importante la fotografia nella quale la moglie Florence Mabel King Harding viene nella circostanza immortalata nel seggio elettorale, prima First Lady ad esprimere il da pochissimo tempo concesso Diritto di Voto federale alle donne)  vinse alla grande la corsa per la Casa Bianca seppellendo il rivale democratico James Fox sia in termini di voti che di Delegati Nazionali.Ebbene, quest’uomo, proprio quest’uomo (un autorevole Senatore del suo partito, chiese ai vertici di tenerlo a casa durante la campagna perché se avesse anche solo parlato avrebbe senza dubbio messo in pericolo l’elezione!) chiamò dipoi a far parte del suo Governo alcune tra le migliori personalità dell’epoca che con entusiasmo lavorarono al suo seguito.Basti qui citare Herbert Hoover, Charles Evans Hughes e Andrew Mellon.Ebbene, quest’uomo, proprio quest’uomo, fu pianto dalla nazione intera allorquando, in giro per gli Stati Uniti per una serie di conferenze che avrebbero dovuto convincere i critici della sua innocenza quanto agli scandali che avevano coinvolto uomini a lui vicinissimi, colpito e debilitato da una polmonite, a causa di un infarto o per apoplessia, passò a miglior vita.Era il 2 agosto del 1923 e si trovava a San Francisco.Incredibile il fatto che il successore, il suo vice Calvin Coolidge, fosse uomo di ben differente moralità, di indiscutibile onestà, di saldi principi.

Henry Ford, a White House?
L’uomo di maggior successo negli Stati Uniti negli anni Dieci e Venti del Novecento?Facile rispondere: Henry Ford.Le auto che produceva si vendevano come il pane e la sua figura si stagliava tra le più ammirevoli.Perché allora non mandarlo alla Casa Bianca?Già nel 1916 un movimento spontaneamente sorto lo indicò nel Michigan per l’alto incarico ma la cosa si fermò lì.Strenuo sostenitore di Woodrow Wilson nelle Mid Term Elections del 1918, restò grandemente deluso per il risultato in quel frangente negativo.Per quanto indeciso tra democratici e repubblicani (e qualcuno tra i suoi sostenitori pensava addirittura ad un terzo partito appositamente creato), forte dell’enorme notorietà, pensò per qualche momento di correre nel 1924.La situazione politica poteva apparire favorevole: il presidente Warren Harding era morto nel 1923 e il suo vice Calvin Coolidge, subentrato, non aveva ancora avuto modo di consolidarsi al potere, o così sembrava.Non se ne fece niente, in larga misura per il carattere freddo e distante di Ford che sembrava pensare che gli Americani ‘dovessero’ votarlo per l’uomo che era, ragione per la quale non organizzò alcuna vera campagna elettorale.Alla fine, in quel fatidico anno, si schierò per Coolidge e di una possibile candidatura a White House del costruttore di auto più di successo di tutti i tempi non si parlò più.

Calvin Coolidge, totem dei valori tradizionalmente americani.
Governatore Repubblicano del Massachusetts dal 1919 al 1921, Calvin Coolidge divenne improvvisamente famoso per la fermezza dimostrata nel reprimere uno sciopero dei poliziotti di Boston.A comporre un ticket davvero particolare (tanto era serio e affidabile il Nostro, candidato alla Vice Presidenza, tanto era portato alla leggerezza amministrativa Warren Harding che occupava nella scheda il ruolo di pretendente al potere esecutivo), furono i due scelti nel 1920 in una America che avrebbe votato chiunque dopo la Prima Guerra Mondiale le avesse promesso normalizzazione.Dal secondo piano nel quale era, Calvin venne improvvisamente catapultato al primo il 2 agosto del 1923, quando Harding improvvisamente morì a San Francisco.Unico il giuramento che prestò allora perché, essendo a casa dei genitori, fu al padre giudice che si rivolse.Erano tutti in pigiama.Ovviamente, la irregolare cerimonia dovette essere ripetuta.Da tutti rispettato, personalmente confermato dagli elettori nel 1924, all’improvviso, senza dare soverchie spiegazioni, tra lo stupore generale, annunciò che nel 1928 non si sarebbe più presentato.Apriva così facendo la strada ad Herbert Hoover che però non aveva mai totalmente apprezzato.La apriva mentre già i primi scricchiolii della crisi economica incombente e non avvertita cominciavano a farsi sentire.
Attualità di Calvin Coolidge.
Mille le occasioni nelle quali (tutti) i leader politici hanno detto o promesso questo o quello a proposito di argomenti improvvisamente scottanti.Mille le possibili prese in castagna da parte degli avversari.Aveva ragione il vecchio Calvin Coolidge.‘Non dire niente.Nessuno ti chiederà di ripetere quello che non hai detto.Nessuno potrà distorcerlo.Nessuno potrà imputartelo!’

Alfred Smith, il ‘papista’.
Il primo cattolico che pensò seriamente alla Presidenza non fu, come molti credono, John F. Kennedy. ma Alfred E. Smith.Orfano a quindici anni e costretto a lasciare la scuola per lavorare come contabile per mantenere la madre e i quattro fratelli minori, Smith si dimostrò subito un vero ‘animale’ politico.Membro dell’assemblea dello Stato di New York per i democratici nel 1902, in seguito Sceriffo della Contea (sempre di New York) e Presidente del circolo comunale, Alfred, nel 1918, arrivò facilmente al governatorato dello Stato venendo di poi rieletto, con l’eccezione del 1920, altre tre volte.   Contrapposto, nel 1924, nella Convention nazionale del partito dell’Asino che si svolgeva al Madison Square Garden, a William Gibbs McAdoo (genero dell’ex Capo dello Stato Woodrow Wilson e già Segretario del Tesoro), risultati inutili ben centodue scrutini, si vide obbligato, insieme al rivale, a ritirare la candidatura a favore di John Davis che venne così nominato alla centotreesima votazione per essere poi battuto dal capo dello Stato uscente il repubblicano Calvin Coolidge.Tornato alla carica nel 1928, ‘l’eroico guerriero’ (in tal modo lo aveva battezzato, presentandolo ufficialmente in questa seconda occasione ai delegati, Franklin Delano Roosevelt), sia pure con difficoltà, ottenne la tanto sospirata Nomination ed ingaggiò un aspro duello con il concorrente prescelto dal Gop Herbert Hoover.Come scrive Michael Parrish in ‘L’età dell’ansia’, ‘lo scontro tra Hoover e Smith è stata l’ultima epica battaglia culturale degli anni Venti, una battaglia tra opposte realtà religiose, etniche e geografiche. Cattolicesimo irlandese (quello di Smith), contro protestantesimo, città contro campagna, proibizionisti contro antiproibizionisti...Smith rappresentava le classi lavoratrici urbane, Hoover il management capitalista illuminato’.I due fattori che decisero – rovinosamente per il Nostro che si affermò solo in otto Stati su quarantotto – la tenzone furono la sua posizione sul proibizionismo (voleva abrogare l’Emendamento che lo aveva introdotto e perciò fu brutalmente accusato di essere un ubriacone) e, soprattutto il suo conclamato cattolicesimo (nel suo ufficio di governatore ad Albany campeggiava un ritratto di papa Pio XI con la dedica: ‘Al mio amatissimo figlio Alfred Smith’).Dai più fanatici tra gli avversari fu addirittura accusato di cospirare con il Papa per distruggere la libertà religiosa e politica del Paese!Occorreranno dipoi ben trentadue anni perché, in una ben differente temperie, un altro cattolico si candidasse a White House portando peraltro a compimento l’impresa: John Kennedy, ovviamente. Il terzo e ‘papista’ – per tornare al vecchio dileggio usato contro Smith – che ha affrontato la sfida, quella volta perdendo, è stato John Kerry, demolito facilmente dal George Walker Bush nel 2004.È storia davvero recente – in tempi assolutamente diversi – quella che riguarda il secondo cattolico insediato: Joe Biden.

Herbert Hoover, Crollo di Wall Street, Depressione, tutta colpa sua?
Un tipo davvero in gamba.Ingegnere attivo a livello internazionale.Milionario in giovane età.Capacissimo presidente del consiglio interalleato per gli aiuti alle popolazioni colpite dagli eventi bellici durante e dopo la Prima Guerra Mondiale.Uomo politico che aveva saputo tessere ottime relazioni in particolare con i Paesi Latinoamericani.Ministro del commercio sotto Warren Harding e il successore.Un curriculum eccezionale, senza la minima pecca, quello del candidato scelto dai repubblicani in vista delle elezioni del 1928 per sostituire Calvin Coolidge che aveva autonomamente deciso di ritirarsi.Demolito il democratico cattolico (‘papista’, secondo i denigratori) Alfred Smith, eccolo a White House.È il 4 marzo del 1929.Non molti mesi dopo, ecco il terribile ‘Crollo di Wall Street’.Poi, la Grande Depressione.Qualcuno può davvero pensare che Herbert Hoover abbia avuto a disposizione tra l’ottobre 1929 e il 1932 – quando sarà defenestrato da Franklin Delano Roosevelt – anni di presidenza felici?Anche un solo giorno?E sì che aveva cercato di porre un qualche rimedio: solo pannicelli caldi, purtroppo, alla prova dei fatti.Sconfitto, combatté negli anni successivi il ‘New Deal’ rooseveltiano.Decisamente longevo (arriverà ai novant’anni) e ancora attivo, opererà in Cina e si attiverà a favore della Finlandia occupata dai russi.Si diede altresì da fare per lo studio di una normativa che conducesse alla riforma della pubblica amministrazione e sostenne John Fitzgerald Kennedy.La famosissima e infelice, visto quanto accadde da lì a poco, frase che pronunciò nel corso del discorso di Insediamento: ‘In America siamo vicini, oggigiorno, al trionfo finale sulla povertà, come mai era accaduto prima nella storia di qualsiasi altro Paese’, dimostra abbondantemente come i politici, per quanto in gamba possano essere, per quanto adeguatamente informati, non siano assolutamente in grado di prevedere il futuro in campo economico, e non solo.Fu talmente diffuso il convincimento che il devastante patatrac fosse stato dal repubblicano causato che nel corso della campagna del 1932 (era stato comunque riproposto dal GOP) gli autostoppisti per costringere gli automobilisti a dar loro un passaggio esibivano cartelli con la scritta: ‘Se non ti fermi, voto Hoover!’

William Zebulon Foster, un comunista in corsa per White House con l’appoggio degli intellettuali.
Per quanto la cosa possa sembrare strana o addirittura impossibile, negli Stati Uniti, fin dal 1919, anno della fondazione, esiste ed opera, tra alti e bassi e spesso semiclandestinamente, il Partito Comunista Americano.Nato classicamente a seguito di una scissione dal Partito Socialista, il CPUSA (Communist Party of the United States of America) ha avuto nel tempo qualche seguito tra i lavoratori e, almeno nei primi anni Trenta, un notevole successo tra gli intellettuali.Il suo massimo esponente fu William Zebulon Foster che arrivò in tre diverse occasioni a candidarsi per la Casa Bianca.Originario del Massachusetts dove era venuto al mondo nel 1881, Foster fu dapprima apprendista presso uno scultore per poi trascorrere tre anni in mare e passare quindi a nuove, diverse esperienze lavorative nell’industria.Membro del Partito Socialista dal 1901, guidò con successo la sindacalizzazione dei lavoratori dei mattatoi di Chicago e, dopo avere preso parte al cruento sciopero generale dell’acciaio del 1919, entrò nel 1921 nel Partito Comunista diventandone segretario di lì a due anni.Nel 1924 propose per la prima volta la propria candidatura a White House ottenendo peraltro pochissime migliaia di voti nelle elezioni novembrine.Nuovamente in corsa nel 1928 pressappoco con gli stessi risultati, dopo il crollo di Wall Street e l’inizio della Grande Depressione, nel 1932, si ripresentò in alternativa e in contrapposizione al Presidente uscente repubblicano Herbert Hoover, allo sfidante democratico Franklin Delano Roosevelt e al suo ex compagno socialista Norman Thomas.Appoggiato dal grande critico letterario Edmund Wilson, Foster, per l’occasione, poté contare sull’adesione di buona parte dei più noti ed autorevoli intellettuali americani.Il manifesto ‘Culture and Crisis’ che per raccogliere consensi alla sua impresa stilò di sua mano Wilson fu infatti firmato, tra gli altri, da Sherwood Anderson, Erskine Caldwell, Malcolm Cowley, Countee Callen, John Dos Passos, Langston Hughes, Grace Lumpkin, Sidney Hook e Lincoln Steffens.Malgrado la passione, il grande sforzo organizzativo e gli altisonanti nomi dei suoi sostenitori, benché il ‘clima’ conseguente alla drammatica situazione economica e sociale fosse teoricamente a lui favorevole, nell’occasione, William Zebulon Foster raccolse solamente centoseimila voti popolari e dovette riporre per sempre le sue aspirazioni alla Presidenza.Accusato nel 1948, in piena ‘Caccia alle streghe’, di cospirazione politica e attività sovversiva, riuscì ad evitare il processo.Fedele, malgrado tutto, a Stalin anche dopo la sua dipartita, morì a Mosca nel 1961.Usciva così, definitivamente, di scena, in volontario esilio, l’unico comunista americano che avesse davvero pensato (davvero? Si dice, a è difficile che – uomo intelligente – così fosse) di conquistare la Casa Bianca.

Joseph Pulitzer e William Randolph Hearst, molto più che editori.
a) Joseph Pulitzer, da giovane emigrato ungherese a editore di grande fama e potere 
Spesso leggiamo che il tal romanziere o il tal giornalista americano ha vinto il premio Pulitzer che, negli Stati Uniti, è indubbiamente il maggior riconoscimento al quale possa aspirare un letterato (ma, come vedremo, non solo).La somma che viene corrisposta al vincitore è di per sé ben poca cosa, ma, fin dal 1917, l’anno della prima aggiudicazione, assai più grande è il prestigio che deriva dalla vittoria tanto che il Pulitzer, tra i vari riconoscimenti, a livello mondiale, è secondo solo al Nobel.All’origine e per molti anni, il premio veniva assegnato al miglior romanzo dell’anno, alla migliore opera teatrale, al miglior saggio storico e alla migliore biografia.La poesia fu aggiunta nel 1922 e a partire dal 1943 si decise di concedere anche un riconoscimento per la migliore composizione musicale.In più, ambitissimi, otto premi giornalistici divisi per tema.Ma chi mai era Joseph Pulitzer?Giovane ungherese di belle speranze (era nato il 10 aprile del 1847), il Nostro emigrò negli Stati Uniti nel 1864, giusto in tempo per partecipare alla Guerra di Secessione nelle fila nordiste.Terminato il conflitto, intraprese la carriera giornalistica come collaboratore del giornale in lingua tedesca di St. Louis ‘Westliche Post’ di cui divenne velocemente prima direttore e poi anche proprietario.Subito dopo, fu nominato corrispondente da Washington del ‘New York Sun’ e nel 1878 acquistò il ‘Saint Louis Dispatch’ che, dopo la fusione con l’’Evening Post’, chiamò ‘Post Dispatch’.Nel 1883, fece suo anche il ‘New York World’ che, in brevissimo tempo, inventando una nuova forma di giornalismo scandalistico e sensazionale (il cosiddetto ‘Yellow Journalism’) seppe portare ad un clamoroso successo con conseguente larghissima diffusione.Come capitava assai spesso in quei tempi negli USA, all’affermazione  editoriale si aggiunse un peso politico non indifferente del dinamico giornalista/editore il quale, nel 1877, venne eletto alla Camera dei Rappresentanti.La via della Casa Bianca gli era preclusa dalla disposizione costituzionale che impedisce a chi non sia cittadino degli Stati Uniti dalla nascita di candidarsi alla Presidenza, ma l’influenza politica di Pulitzer fu da allora fra le più notevoli e questo fino alla morte che lo colse, sessantaquattrenne, a Charleston, nella Carolina del Sud, il 29 ottobre del 1911.Ricco come un Creso, lasciò i propri beni alla Columbia University di New York perché li amministrasse a sostegno del premio che da lui ha preso il nome e che, secondo le sue disposizioni, doveva essere destinato ‘all’incoraggiamento delle opere di pubblico vantaggio e di pubblica moralità della letteratura americana e del progresso dell’educazione’.Nel solco tracciato da Pulitzer e seguendo il suo discutibile insegnamento in campo giornalistico, altri grandi editori USA si lanciarono con successo, sia pure relativo, in politica aspirando addirittura alla Presidenza.Primo fra tutti, William Randoph Hearst la cui avventura è nota al grande pubblico visto che, ispirandosi a lui (anche se lo negava) e chiamandolo Charles Foster Kane, Orson Welles realizzò nel 1941 quello straordinario capolavoro che è ‘Quarto potere’.
b) William Randolph Hearst.
Ok, ok, è proprio William Randolph Hearst il personaggio che ispirò a Orson Welles quel capolavoro cinematografico che resta ‘Quarto potere’ (‘Citizen Kane’, 1941).Il grande regista e attore, nell’imperdibile lunga intervista concessa una cinquantina e più d’anni fa a Peter Bogdanovich racconta che Hearst era un conoscente di suo padre e che dopo averlo tanto duramente rappresentato sullo schermo gli occorse di incontrarlo in un ascensore.Nell’occasione, i due, pur riconoscendosi, imbarazzati, non si scambiarono una parola.Ciò detto, di certo la figura di Hearst è tra le maggiori e influenti del periodo che va dal 1887 – anno nel quale, ventiquattrenne, assunse la direzione del ‘San Francisco Examiner’ di proprietà del padre trasformandolo radicalmente e facendone una macchina da soldi con l’invenzione di quello che fu definito ‘Yellow Journalism’, basato sullo scandalismo e sulla manipolazione delle notizie – fin quasi alla dipartita, nel 1951.Non pochi sostenevano che fosse sua la responsabilità del clima d’isterismo che portò alla Guerra Ispano/Americana del 1898/99 e, d’altra parte, grande fu la sua influenza nell’orientare gli USA nei primi decenni del trascorso secolo verso l’isolazionismo.Incapace di raggiungere di persona risultati importanti in campo politico tanto da essere più volte respinto nella sua ricerca di diventare Sindaco di New York e questo benché fosse arrivato a possedere all’incirca una trentina di giornali e riviste che poteva manovrare a proprio (come altrui) sostegno, fu spesso decisivo nelle scelte del partito democratico, in particolare in quelle dei candidati alla Casa Bianca negli anni Venti/Trenta del Novecento.Si pensi alla Convention del partito dell’Asino tenutasi a Chicago dal 27 giugno al 2 luglio 1932.La situazione, trascorsi invano i primi tre scrutini, pareva dovesse volgere al peggio per il favoritissimo Franklin Delano Roosevelt che non riusciva a raggiungere i necessari due terzi dei voti dei delegati.Ma ecco che, all’improvviso, alla quarta votazione, William Gibbs McAdoo annunciò che la California intendeva passare a F. D.La qual cosa assegnò al futuro Presidente del ‘New deal’ l’agognata Nomination.Per quanto molti si siano attribuiti il merito della felice conclusione della vicenda (fra loro, con qualche fondata ragione, visto che era riuscito a mantenere nel campo di Roosevelt i delegati del Mississippi che già intendevano cambiare candidato nel terzo scrutinio, anche Huey Long, il ‘Kingfish’), era accaduto che in vista della quarta votazione Joseph Kennedy, tra i massimi sostenitori di F. D., rivolgendosi a Hearst, gli aveva detto: ‘Penso che se Franklin alla prossima crolla, dopo toccherà a Baker’.Come scrive Michael Parrish, il pensiero che un noto fautore della Società delle Nazioni e un wilsoniano quale era Newton Baker arrivasse a White House inorridì il magnate della carta stampata che passò parola a McAdoo provocandone il cambio di campo altresì concordato con John Garner cui toccherà poi la Vice Presidenza.

Franklin Delano Roosevelt, da molti punti di vista, giustamente osservato
1I messaggi di Franklin D. Roosevelt a Hitler e Mussolini per scongiurare la Seconda Guerra Mondiale
Franklin Delano Roosevelt, avvocato, entrato in politica nel 1910, fu prima eletto Senatore democratico dello Stato di New York ed in seguito nominato Sottosegretario di Stato alla Marina dal Presidente Wilson, incarico che mantenne dal 1913 al 1920, anno nel quale fece parte quale candidato alla carica Vicaria del ticket degli Asini sconfitto facilmente da Warren Harding.Nel 1921, a trentanove anni, fu colpito da una forma di poliomielite agli arti inferiori che lo obbligò da allora sulla sedia a rotelle, ma continuò a impegnarsi strenuamente nell’ambito del suo partito divenendo nel 1928 Governatore dello Stato di New York, carica in cui sarà riconfermato nel 1930.L’8 novembre del 1932 fu eletto Presidente degli Stati Uniti, battendo largamente l’anatra zoppa – la crisi economica conseguente il Crollo di Wall Street, in quanto in carica, gli era stata ampiamente accollata – Herbert Hoover.Entrato a White House il 4 marzo del 1933, mise in opera un complesso programma di riforme economiche e sociali, note col nome di New Deal, che si estenderanno lungo gli altri suoi due successivi mandati, per risollevare il Paese dalla Grande Depressione fino ad una discreta ripresa dell’economia nel 1939.(Non pochi analisti e storici in merito sostengono con serie argomentazioni che sarà solo la politica economica alla quale la futura Seconda Guerra Mondiale costringerà gli USA a rimettere assolutamente a posto le cose e, di più, a fare del Paese la prima potenza globale praticamente da tutti i punti di osservazione possibili).Rieletto per la terza volta alla Presidenza nel 1940 – non era mai successo in precedenza che un Capo dello Stato lo fosse – si adoperò instancabilmente (per quanto complottisti recenti vari dubitino che così sia) per allontanare lo spettro della guerra che le politiche ed i discorsi infuocati di Hitler già nel 1938 facevano temere, inoltrando messaggi di pace al capo del Reich e poi anche a Mussolini.All’inizio del 1940 invierà in Europa il Sottosegretario di Stato Summer Wells per visitare i paesi alleati (Francia e Inghilterra) e le due nazioni dell’Asse allo scopo di riferirgli de visu  della situazione europea e sulle possibilità di instaurare una pace giusta e duratura.Un primo messaggio di Roosevelt a Hitler risale al 27 settembre 1938 quando le minacce da parte nazista di annettere il territorio dei Sudeti in Cecoslovacchia erano diventate pressanti.I temi di quel messaggio vengono poi ripresi ed ampliati dal Presidente il 14 aprile del 1939, in  una nuova e più decisa lettera a Hitler, con copia a Mussolini, che inizia con la frase seguente:‘Sono certo che vi rendiate conto che in tutto il mondo centinaia di milioni di esseri umani stanno vivendo oggi nel costante timore di una nuova guerra o anche di una serie di guerre’.E prosegue dicendo che, considerato che non ci sono attualmente truppe in marcia, questo è ancora il momento giusto per mandare un tale messaggio.Aveva già inviato la proposta di un accomodamento dei vari problemi politici, economici e sociali mediante metodi pacifici senza fare ricorso alle armi.Purtroppo gli eventi successivi riportano alle minacce.‘Se queste continuano, sembra inevitabile che una larga parte del mondo ne resti coinvolta in una rovina comune.Tutto, nazioni vittoriose e vinte, anche le nazioni neutrali soffriranno pesantemente.Io rifiuto di credere che il pianeta sia necessariamente prigioniero di un tale destino.Al contrario, è chiaro che i Leaders delle grandi nazioni hanno nelle loro mani il potere di liberare i loro popoli dal disastro che li minaccia’.Afferma poi che ci sono state delle ‘annessioni’ per cui già alcuni Stati in Europa (Austria, Cecoslovacchia e Albania) ed uno in Africa (Etiopia) non sono più nazioni indipendenti e che atti aggressivi vengono riportati nei confronti di altri.Il mondo sta andando verso una catastrofe a meno che non intervenga un atteggiamento razionale per gestire gli eventi.‘Lei ha ripetutamente affermato che lei ed il popolo tedesco non avete alcun desiderio di guerra.Se questo è vero, non c’è necessità di guerra.Poiché gli Stati Uniti non sono coinvolti nelle controversie attuali in Europa, penso che Lei potrebbe riconfermare questa asserzione a me come capo di una nazione lontana dall’Europa in modo che io possa, agendo da intermediario, comunicare questa dichiarazione alle altre nazioni che sono in apprensione per il corso che la politica del Reich ha intrapreso’.Poi Roosevelt pone la questione in termini precisi:‘Potete assicurarmi che le vostre forze armate non attaccheranno o invaderanno i territori o i possedimenti delle seguenti nazioni indipendenti: Finlandia, Estonia, Lituania, Lettonia, Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda, Belgio, Gran Bretagna e Irlanda, Francia, Portogallo, Spagna, Svizzera, Liechtenstein, Lussemburgo, Polonia, Ungheria, Romania, Yugoslavia, Russia, Bulgaria, Grecia, Turchia, Irak, Arabia, Siria, Palestina, Egitto e Iran.Questa garanzia deve valere non solo adesso ma anche in un futuro sufficientemente lontano in modo da costruire con metodi pacifici una pace permanente.Se il suo governo mi conferma questa assicurazione, io la trasmetterò immediatamente ai governi menzionati che certamente mi daranno un’analoga assicurazione nei suoi confronti’.Dopo avere ancora insistito sulla possibilità di colloqui chiarificatori, ed eventualmente ad una grande conferenza mondiale dichiarando gli scopi della loro politica, Roosevelt conclude il messaggio così:‘Penso che non fraintenderete lo spirito di franchezza del mio messaggio.I capi dei grandi governi sono in queste ore responsabili del destino dell’umanità negli anni a venire.Essi non possono ignorare le preghiere dei loro popoli che invocano di essere protetti dal prevedibile caos della guerra.La Storia li riterrà responsabili delle vite e della felicità di tutti, fino all’ultima persona.Spero che la sua risposta permetterà all’umanità di non avere paura e di riguadagnare sicurezza per molti anni a venire’.Si tratta di un messaggio idealistico e forse ingenuo, che malgrado nobile nella forma e negli intenti, a rileggerlo oggi dà un senso di patetica irrealtà, considerati i già ben noti atteggiamenti di Hitler rivolti a realizzare con la forza un pangermanesimo europeo e guardando a quelli di Mussolini  sempre più legato all’alleato tedesco.In Italia il Duce da prima si rifiuta di leggere il messaggio, poi lo definisce ‘un frutto della paralisi progressiva’. Göring asserisce che il messaggio dimostra che ‘Roosevelt soffre di una incipiente malattia mentale’.Il Popolo d’Italia, il giornale del regime, condanna aspramente lo scritto di Roosevelt affermando che ‘Una semplice lettura del documento rivela la sua incommensurabile superficialità e la sua grossolana incoerenza e la tipica mentalità demagogica e pretestuosa’.Aggiunge che il messaggio dimostra l’ignoranza della storia e della geografia e che non vengono spiegate le giuste ragioni che hanno portato i tre Stati menzionati a perdere l’indipendenza.E conclude dicendo che ‘L’Italia fascista, reagendo con tutte le proprie forze al messaggio, è sicura di non respingere ogni serio e nobile tentativo di pace ma si oppone  a una manovra che tende a nascondere il lavoro di persone che realmente vogliono la pace e la stanno creando pietra su pietra’.Mussolini, parlando il 20 aprile in Campidoglio, risponde alla proposta di Roosevelt in tono rassicurante e pacifista, affermando che era ingiusto mettere l’Italia sul banco degli accusati.Poi però accusa il Presidente di ‘seminare il panico’ e di ‘interessi più o meno inconfessabili’.La risposta di Hitler è espressa a fine aprile in una conferenza di due ore al Reichstag dove, dopo una lunghissima ed articolata premessa, risponde e ribatte punto per punto al ‘singolare messaggio’ di Roosevelt.Inizia dicendo di avere ricevuto dalla Provvidenza il modo di liberare il popolo tedesco dagli abissi della miseria senza spargimento di sangue e di averlo riportato ancora una volta in alto, riscattandolo dalla sconfitta e liberandolo dalle scandalose imposizioni del Trattato di Versailles. Spiega poi in ogni dettaglio i motivi dell’inglobamento di alcuni territori limitrofi al Grande Reich coma la Saar, la Boemia e Moravia eccetera, che erano storicamente zone di pertinenza germanica, e che comunque queste annessioni non tradivano i patti di Monaco.Parla  della proposta inoltrata al governo polacco affinché Danzica ritorni ad essere un libero stato nel contesto del Reich.Afferma che la Polonia, a seguito di una campagna internazionale di menzogne, pensa di dovere mobilitare l’esercito anche se la Germania non ha richiamato alcun soldato né pensato di prendere alcuna misura contro la Polonia.L’intenzione della Germania di attaccare è stata un’invenzione del tutto gratuita della stampa internazionale.Roosevelt parla di eventi che portano alla guerra portando ad una rovina comune a tutti i popoli, Hitler risponde che ‘Per quanto riguarda la Germania, non so nulla del genere di minacce ad altre nazioni, malgrado io legga menzogne su queste minacce ogni giorno nei giornali democratici’ ed aggiunge che non solo non ha mai  intrapreso guerre, ma che da anni dichiara di aborrirle e che infine non capisce per quale motivo dovrebbe scatenarle.Poi parla della pochezza della Lega delle Nazioni e si chiede perché, a livello di una conferenza internazionale sponsorizzata dagli USA, toccherebbe solo alla Germania precisare in dettaglio i suoi intenti con dichiarazioni di non aggressione verso le molte nazioni elencate nel messaggio di Roosevelt.In altre parole, la conferenza non deve essere una sorta di tribunale per giudicare i propositi del Reich.   Hitler conclude dicendo che la Provvidenza gli ha assegnato  il popolo tedesco, ma ‘io credo così di potere essere utile nel modo migliore a ciò che è nel cuore di tutti noi – giustizia, benessere, progresso e pace per tutto il genere umano’.Il giornalista americano William Shirer, che era presente alla conferenza, scrive:‘Gli obesi deputati si agitavano con rauche risate mentre il Führer metteva senza posa in ridicolo, con crescente efficacia, il Presidente americano.A uno a uno esaminò i vari punti del telegramma di Roosevelt; ogni volta faceva una pausa quasi sorridendo, poi, con tono da maestro, pronunciava a bassa voce la parola ‘risposta’ e rispondeva’. (2).Shirer ricorda che dopo la parola Antwort (risposta), Göring si sforzava di reprimere un sorriso e i membri del Reichstag si preparavano a gridare e a ridere non appena si fosse udita l’Antwort.Pochi mesi dopo questa appassionata difesa della pace, falsa ed ipocrita in quanto ‘soltanto tre settimane prima Hitler aveva dato ordini scritti alle forze armate perché si preparassero a distruggere la Polonia per il primo settembre al più tardi’ )2), il Führer inizierà, con l’invasione della Polonia proprio il primo settembre 1939, la Seconda Guerra Mondiale.Il 14 Agosto Roosevelt invia un altro messaggio a Hitler preoccupato per la piega che stanno prendendo gli avvenimenti riguardanti il rapporto Germania-Polonia.Ricorda al Cancelliere il senso del suo messaggio del 14 Aprile improntato alla necessaria e durevole ricerca della pace mediante conferenze e discussioni ma mai con le armi.Propone a Hitler, e, in parallelo, al Presidente della Polonia, diverse soluzioni pacifiche ma urgenti come la negoziazione diretta, l’affidamento della controversia ad un Arbitrato internazionale di fiducia, oppure appoggiandosi ad un conciliatore neutrale non coinvolto nelle querelles  europee. Conclude così il messaggio:‘Insisto reiteratamente e con forza affinché i governi di Germania e Polonia vogliano risolvere le loro controversie in uno dei modi suggeriti; il governo USA è pronto a contribuire per la sua parte alla soluzione di problemi che rischiano di coinvolgere la pace mondiale nei termini espressi nel mio messaggio del 14 Aprile’.Il 23 Agosto del 1939 Roosevelt, sempre più preoccupato, si rivolge anche a Vittorio Emanuele III con un telegramma  dove afferma che ‘Nuovamente una crisi mondiale mette in chiaro la responsabilità dei capi delle nazioni per il destino del loro stesso popolo ma anche dell’intera umanità’.Si riferisce al suo messaggio del 14 Aprile dove proponeva una dichiarazioni d’intenti delle principali nazioni che scongiurasse qualsiasi inizio di ostilità.Chiede al Re di formulare proposte per una soluzione pacifica della crisi e conclude dicendo che ‘il governo italiano e gli Stati Uniti possono oggi portare avanti quegli ideali cristiani che ultimamente sembrano così spesso offuscati.Le voci inascoltate di milioni di esseri umani chiedono di non essere nuovamente sacrificati invano’.La risposta del nostro Re è di due tre righe:‘Vi sono grato per l’interesse.Trasmetterò immediatamente il vostro messaggio al mio Governo.Come è noto a tutti, noi abbiamo fatto e stiamo facendo il possibile per assicurare pace e giustizia’.   Galeazzo Ciano commenta che il messaggio di Roosevelt non gli sembra molto concludente.Il 25 agosto il Presidente Roosevelt rivolge un secondo appello a Hitler  dicendo che la sua proposta d’accordo è stata accettata dal governo polacco con la proposta di una negoziazione diretta.Conclude dicendo che ‘innumerevoli vite umane possono ancora essere salvate e si può sperare che le nazioni del mondo moderno possano finalmente costruire le fondamenta per una pacifica e più felice convivenza, se Lei ed il Governo del Reich accetterete i metodi pacifici di accordo accettati dal Governo Polacco. Il mondo intero prega affinché la Germania sia d’accordo’.Tutto inutile, il primo settembre 1939 Hitler invia all’esercito tedesco il seguente proclama:‘Lo Stato polacco ha rifiutato la composizione pacifica delle nostre relazioni che io auspicavo, ed è ricorso alle armi.I tedeschi in Polonia sono perseguitati con sanguinario terrore e strappati dalle loro case.Una serie di violazioni della frontiera, intollerabile per una grande potenza, dimostra che la Polonia non intende più rispettare le frontiera del Reich.Per porre fine a questa follia, non ho altra scelta che usare da ora in poi la forza.L’esercito tedesco combatterà la battaglia per l’onore ed i diritti vitali della rinata Germania con grande determinazione….’.Inizia la Seconda Guerra Mondiale.Due giorni dopo Francia ed Inghilterra, rispettando gli impegni presi in primavera nei confronti della Polonia, dichiarano guerra alla Germania. L’aggressione nazista ha precipitato di fatto l’Europa in un conflitto che presto assumerà dimensioni spaventose.All’inizio dell’inverno  del 1940 Roosevelt, informato dai suoi ambasciatori in Europa della piega sempre più tragica della situazione in Europa provocata dal governo nazista, invia il Sottosegretario di Stato Sumner Wells, in qualità di suo rappresentante personale, a visitare le capitali delle nazioni alleate e delle due potenze dell’Asse, per avere informazioni immediate e di prima mano sugli avvenimenti europei e sulla possibilità di bloccare l’espandersi delle ostilità.Nelle parole di Wells ‘I Governi dell’Asse erano convinti che, anche se alla fine gli Stati Uniti si fossero svegliati dal loro letargo, una preparazione militare adeguata, sia pure per l’autodifesa, si sarebbe ottenuta tanto in ritardo da non essere di alcun valore pratico. (….)In tali circostanze il massimo che gli Stati Uniti potevano sperare di ottenere era di prevenire l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania’. Questo sentimento è testimoniato da un articolo del luglio 1940, quindi dopo l’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno, del grande giornalista Luigi Barzini che prevede a novembre una sicura rielezione di Roosevelt alla presidenza degli Stati Uniti e poi, dopo avere accennato allo sbalordimento dell’America a seguito della caduta dell’Olanda, del Belgio e della Francia con l’Inghilterra ‘battuta, isolata, bloccata assediata e bombardata, condannata senza scampo alla resa ed alla distruzione’, analizza le capacità belliche degli USA parlando ‘di un Esercito americano che nella scala delle grandezze occupa il diciannovesimo posto.Occupava il ventunesimo fino a poche settimane fa, ma la sconfitta dell’Olanda e del Belgio lo ha promosso.Nel momento attuale, secondo dati ufficiali pubblicati lo scorso mese, l’Esercito americano è composto da duecentoventisettemila soldati.Si rimane meravigliati constatando che, in fatto di armamenti ultramoderni, l’Esercito americano non possiede che centosessantatre cannoni controaerei, duecentoventi cannoni anticarro, quattrocento carri pesanti e cinquecento leggeri…..’E prosegue ‘Il New York Times ha scritto che gli Stati Uniti sono potenzialmente la nazione militare più forte del mondo.Può darsi, ma non si fanno le guerre con elementi potenziali, con gli uomini che potrebbero teoricamente essere arruolati e con le armi virtualmente costruibili. (….)L’industria aeronautica dovrebbe essere quintuplicata per arrivare a produrre quei cinquantamila aeroplani all’anno di cui parla Roosevelt e che, senza bisogno di esistere, contribuiscono potentemente alla sua campagna elettorale’.Conclude dicendo che ‘Il riarmo sarà una questione di anni, prima che esca dalla carta. (4).Sumner Wells arrivò a Roma il 25 febbraio per poi recarsi a Berlino e a Parigi ed infine a Londra.Concluse la sua missione il 19 marzo 1940 dopo una nuova visita a Roma.È interessante il commento di Galeazzo Ciano sui colloqui con Wells.In data 16 marzo leggiamo nel suo diario:‘L’elemento più importante che ne è risultato è questo: a Londra e Parigi non esiste la minima parte di quella intransigenza che confermano nei discorsi e nei giornali.Con certe garanzie di sicurezza sarebbero pronti a mollare, più o meno, e riconoscere il fatto compiuto.Su questa strada, se la battono veramente, si avviano verso la sconfitta.Se Hitler ha qualche dubbio circa l’attacco, cadrà subito quando saprà da Mussolini di queste tergiversazioni delle democrazie’.Dal resoconto di Wells, Roosevelt, in una dichiarazione del 29 marzo, capì che vi erano oramai ‘esigue prospettive per stabilire una pace giusta e durevole in Europa’.Tenta allora, vista la totale intransigenza di Hitler, di rivolgersi a Mussolini per cercare non solo di convincerlo a non entrare in guerra, ma soprattutto di fermare il Führer nella sua forsennata sete di rivincita contro le plutocrazie del patto di Versailles.Il 29 aprile 1940 Roosevelt invia un telegramma tramite il suo ambasciatore in Italia William Phillips, che inizia con la frase ‘My dear Signor Mussolini’ e prosegue lodando il non interventismo del Duce e sottolineando che una ulteriore estensione dell’area delle ostilità, che porterebbe all’entrata in guerra di altre nazioni che hanno cercato finora di mantenere la loro neutralità, avrebbe necessariamente delle conseguenze imprevedibili, non solo in Europa, ma anche nel vicino e lontano oriente, in Africa e nelle Americhe.A causa della posizione geografica, gli USA hanno una visione panoramica delle ostilità che esistono oggi in Europa.A causa dell’imponderabilità di molte situazioni, non vedono ragione per cui una nazione o qualsiasi combinazione di nazioni, possa assumersi l’impegno di dominare o l’Europa o una parte del mondo.‘Spero che la potente influenza dell’Italia e degli Stati Uniti, finché si terranno fuori dalla guerra, possa essere esercitata per negoziare una pace giusta e stabile che permetterà la ricostruzione di un mondo gravemente offeso’.In pratica il testo di Roosevelt lascia intendere che ogni rottura degli equilibri esistenti nel Mediterraneo avrebbe portato l’America a rivedere la sua politica nei confronti dell’Europa.Mussolini, come annota Ciano, prende male il messaggio ‘sul momento ha detto poco o nulla all’Ambasciatore salvo riaffermare il diritto italiano alla finestra sull’Oceano.Poi ha redatto di suo pugno una risposta a Roosevelt, secca e ostile, con la quale arriva alla conclusione che se la dottrina Monroe vale per gli americani, deve valere anche per gli europei’. (1).Poco dopo l’invasione del Belgio e dell’Olanda da parte dell’esercito tedesco, Roosevelt invia il 14 maggio 1940 un altro messaggio a Mussolini dove si richiama anche al Vangelo di Cristo e nota con grave preoccupazione che forze che pensano di dominare l’umanità col terrore anziché con la ragione sembrano volere estendere le loro conquiste su cento milioni di esseri umani che hanno invece solo desiderio di pace.Se questa guerra coinvolgesse il mondo, i capi di Stato ne perderebbero il controllo provocando ‘la distruzione di milioni di vite ed il meglio di ciò che chiamiamo libertà, cultura, civiltà’.Ma tutti questi argomenti hanno scarsa presa sul Duce ‘specialmente oggi che è convinto di avere già acciuffato la vittoria.Ci vuol altro per scuoterlo’ commenta Ciano nel suo diario.Mussolini risponde seccamente il 18 maggio a Roosevelt affermando che ‘l’Italia è ed intende restare alleata con la Germania’ e che ‘l’Italia non può rimanere assente in un momento in cui è in gioco il destino dell’Europa’.L’Ambasciatore americano Phillips è latore il 26 maggio 1940 di un terzo messaggio di Roosevelt per il Duce. Mussolini non lo riceve e Phillips parla con Ciano che così sintetizza il messaggio e la prevedibile reazione del Duce: ‘Roosevelt si offre di fare il mediatore tra noi e gli alleati divenendo personalmente responsabile per l’esecuzione, a guerra finita, degli eventuali accordi.Rispondo a Phillips che Roosevelt è fuori strada.Ci vuol altro per dissuadere Mussolini.In fondo non è ch’egli vuole ottenere questo o quello: vuole la guerra.Se pacificamente potesse avere anche il doppio di quanto reclama, rifiuterebbe’. Ciano, dopo avere parlato col Duce, riferisce a Phillips che l’Italia non può accettare la proposta del Presidente americano.Che Mussolini ha deciso di adempiere ai suoi obblighi di alleanza con la Germania.Che Mussolini desidera mantenere la sua libertà d’azione e non è disposto ad intraprendere qualsiasi negoziazione che non sia in accordo con lo spirito del fascismo.E che ogni tentativo di impedire all’Italia di ottemperare ai suoi impegni non è visto di buon occhio.Infine Ciano informa l’ambasciatore che l’Italia entrerà in guerra al più presto.Il 30 maggio 1940 Roosevelt manda un ultimo energico  messaggio a Mussolini.Ciano così annota le sue impressioni nel diario:‘Dopo aver ricordato i tradizionali interessi del suo Paese nel Mediterraneo, Roosevelt afferma che un intervento dell’Italia in guerra determinerà un aumento di armamenti da parta degli USA ed il raddoppio degli aiuti in mezzi e materiali agli alleati.   Riservo una risposta dopo avere conferito con Mussolini, e, preliminarmente, dico a Phillips che anche il nuovo tentativo di Roosevelt subirà la sorte dei precedenti.Non scuoterà affatto il Duce’. In effetti la risposta che il Duce dà a Ciano per l’Ambasciatore americano il primo giugno è definitiva.Ricorda che l’America non ha più interessi nel Mediterraneo di quanti ne abbia l’Italia nel mare dei Caraibi, quindi è bene che Roosevelt la smetta di insistere: ‘anzi si ricordi che le sue pressioni valgono ad irrigidire sempre più Mussolini nella linea di  condotta ormai decisa’. Aggiunge che la decisione di aprire le ostilità è stata già presa.Il 10 giugno 1940 infatti, alle sei del pomeriggio, dal balcone di Palazzo Venezia, Mussolini annuncia l’entrata in guerra a fianco della Germania:‘Scendiamo in guerra contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente’.I giornali italiani affogano in una retorica che contrasta con lo scarso entusiasmo del Paese, ad esempio il Corriere della Sera dell’11 giugno 1940  titola in prima pagina a caratteri cubitali‘Folgorante annunzio del Duce, la guerra alla Gran Bretagna e alla Francia’ con sottotitolo ‘Dalle Alpi all’Oceano Indiano un solo grido di fede e di passione: Duce!’Ed in seconda pagina un articolo dal titolo ancora più reboante:‘Con fiammeggiante volontà di lotta e di gloria le moltitudini acclamano il Sovrano ed il Duce’.Il 28 maggio del 1941 Roosevelt durante la ‘Conversazione accanto al caminetto’ aveva annunciato ‘lo stato illimitato di emergenza nazionale’.Ciò comportava il conferimento al Presidente di  poteri assoluti su tutto il sistema economico degli Stati Uniti.Il documento irrita Mussolini che si scaglia contro Roosevelt dicendo “che nella storia non si è mai visto un popolo retto da un paralitico.Si sono avuti Re calvi, Re grossi, Re belli e magari stupidi, ma mai Re che per andare al gabinetto, al bagno, o a tavola avessero bisogno di essere retti da altri uomini’. Il 27 ottobre 1941 Roosevelt annuncia di avere dato ordine di armare la Marina mercantile e che le navi con la bandiera americana avrebbero aperto il fuoco per prime contro i ‘serpenti del mare’ (gli U-Boot tedeschi).Ribbentrop, ministro degli esteri del Reich, informato del messaggio del presidente, pur tergiversando per non determinare una immediata entrata in guerra degli USA, durante una cena, si scatena contro Roosevelt dicendo:‘Ho dato ordine ai giornali di stampare sempre ‘Roosevelt l’ebreo’.Faccio una profezia: quell’uomo sarà lapidato sul Campidoglio dai suoi stessi connazionali’. Diversa la reazione di Mussolini che meno che mai crede adesso all’intervento degli Stati Uniti commentando che ‘Ormai è chiaro che Roosevelt abbaia perché non può mordere’. Il 7 dicembre 1941, a seguito dell’attacco giapponese alla base della flotta americana del Pacifico concentrata alle Hawaii, a Pearl Harbor, Roosevelt dichiarerà guerra al Giappone e pochi giorni dopo, l’11 dicembre, Germania ed Italia, in nome del patto tripartito col Giappone, dichiareranno guerra agli Stati Uniti.Alla fine dell’immane conflitto si conteranno circa sessanta milioni di morti e innumerevoli distruzioni parziali o totali di intere città e villaggi, proprio come Roosevelt aveva previsto e paventato nei suoi  accorati messaggi ai due dittatori europei.
2Quel che pensava Franklin Delano Roosevelt di Hitler e Mussolini.
Primavera del 1937.Tedeschi e italiani intervengono in Spagna schierandosi dalla parte di Franco.Il sindaco di New York Fiorello La Guardia lancia una proposta.Chiede alla World’s Fair della città di organizzare una mostra del tutto particolare.Dovrà intitolarsi ‘La camera degli orrori’ e dovrà mostrare un dittatore con i baffi e in camicia nera intento a immergere il mondo in un bagno di sangue.Tuoni e fulmini si levano.La stampa germanica e quella USA di lingua tedesca attaccano:‘La Guardia è un guerrafondaio ebreo e comunista!’Berlino protesta ufficialmente.Il ministro degli esteri americano Cordell Hull chiede scusa.Pochi giorni dopo i fatti, a Washington, riunione del gabinetto.Il presidente Franklin Delano Roosevelt si rivolge al Segretario di Stato:‘Che ne direbbe se le dicessi che sono totalmente d’accordo con La Guardia?’ le sue parole.
3“Quel gran figlio di puttana di Franklin Delano Roosevelt non mi piace!”
Nel 1932, dopo che per tre mandati consecutivi i repubblicani avevano occupato la Casa Bianca, le elezioni presidenziali americane si prospettavano come assolutamente favorevoli (si era in piena Grande Depressione) al candidato democratico, chiunque egli fosse.Di conseguenza, la lotta per la Nomination all’interno del partito dell’Asino fu particolarmente violenta.Alla fine, però – pur essendo stato sconfitto nelle primarie del Massachusetts da Alfred Smith e in quelle della California dallo speaker della Camera John Garner – Franklin Delano Roosevelt, forte di una bella serie di affermazioni, si presentò alla Convention estiva di Chicago con un seguito di Delegati superiore al cinquanta per cento.Ciò, peraltro, non bastava: all’epoca, infatti, per vincere, occorreva ottenere i due terzi dei voti dei Delegati stessi.Esauriti senza esito i primi scrutini, la situazione fu sbloccata da due diversi accadimenti.Roosevelt,  che già aveva l’appoggio entusiasta di Huey Long e quello più sofferto di McAdoo, raggiunse un insperato accordo con Garner al quale offrì la Vicepresidenza, e, soprattutto, il magnate della carta stampata William Randolph Hearst si decise a sostenerlo temendo che una sconfitta di Franklin potesse aprire la strada alla candidatura di Newton Baker le cui posizioni politiche erano in netto contrasto con le sue.Conclusa una campagna elettorale ‘in discesa’ contro il Presidente uscente Herbert Hoover e due candidati ‘minori’: il socialista Norman Thomas e il comunista William Z. Foster, l’8 novembre 1932, il secondo Roosevelt trionfava con una valanga di suffragi.Come sempre accade, tutti i vecchi nemici interni al partito accorsero in ‘soccorso del vincitore’.Unica eccezione, quella del potentissimo sindaco di Chicago Anton Cermak il quale, tranquillamente, continuava a dichiarare, anche in pubblico, ‘Quel gran figlio di puttana non mi piace!’Due settimane prima del suo insediamento – previsto per il 4 marzo 1933 – Roosevelt interruppe una vacanza dedicata alla pesca in Florida per partecipare ad un raduno di combattenti e reduci in programma a Miami.Cermak, a sua volta in città, si lasciò convincere dai propri consiglieri ad andare a salutare il presidente eletto che parlava dal sedile posteriore di una automobile scoperta.Mentre i due si stringevano la mano, echeggiarono cinque spari in rapida sequenza.L’attentatore – poiché di attentato ai danni di Roosevelt si trattava (di recente, si è invece ipotizzato che il bersaglio fosse invece il Sindaco, ma senza prove) – era un muratore italiano di fede comunista, Giuseppe Zangara.Pur sparando da meno di dieci metri, Zangara (in seguito giustiziato) non colpì il suo bersaglio ma una delle pallottole raggiunse il povero Cermak che morì più tardi all’ospedale. Mai tentativo di pacificazione finì peggio!
4Alla Casa Bianca.
Il 4 marzo 1933, Franklin Delano Roosevelt approdava a White House a seguito della travolgente vittoria ottenuta l’anno precedente ai danni del Presidente in carica, il repubblicano Herbert Hoover.Aveva così inizio negli Stati Uniti una nuova stagione politica.Già durante la campagna elettorale Roosevelt aveva a tal punto evidenziato le proprie intenzioni riformatrici – annunziando un ’New Deal’ e cioè un ’Nuovo corso’- che il suo avversario ebbe a dichiarare: “I cambiamenti proposti distruggeranno le fondamenta stesse del nostro sistema.Non si può estendere il campo di azione del governo nella vita quotidiana di un popolo senza arrivare, più o meno direttamente, ad impadronirsi delle anime e dei pensieri di quel popolo."Ma chi erano i ’New dealers’, i seguaci del nuovo Presidente?La risposta (forse e senza forse, un po’ troppo entusiastica) a tale domanda nelle parole dello storico Arthur M. Schlesinger nel secondo volume della trilogia da lui dedicata all’Età roosveltiana:‘Essi rappresentavano tutte le classi...da quelli nati in buone famiglie fino a quelli nati nella miseria, ma la maggior parte proveniva dalle classi medie.Rappresentavano una gran varietà di professioni...Venivano da tutte le parti del Paese, dalle città e dalle campagne sebbene la maggioranza avesse frequentato le università statali o quelle della Ivy League e molti avevano avuto la loro prima esperienza politica nella lotta per migliorare l’amministrazione civica.Ce n’erano di ogni età benché la maggior parte fossero nati tra il 1895 e il 1905.Ma il legame che li teneva uniti era il fatto di appartenere al mondo delle idee.Erano abituati all’analisi e alla dialettica ed erano pronti ad usare l’intelligenza come strumento di governo.Erano ben più che specialisti e si sentivano capaci di considerare le cose da un punto di vista generale in modo da poter applicare la logica ad ogni problema sociale.Piaceva loro di usare liberamente il cervello.Peraltro, non appartenevano tutti alla medesima scuola di pensiero’.Questo (o pressappoco), dunque, il gruppo di uomini che sotto la guida del secondo Roosevelt – come scrive Guglielmo Negri in ’Il sistema politico negli Stati Uniti d’America’ – ‘iniziò, con spirito pragmatico, entusiasmo, profonda fede religiosa ed umana, l’esperimento teso a dimostrare che la democrazia poteva affrontare e risolvere una crisi economica’ (non si dimentichi che si era in piena ’Depressione’) ‘anche di enormi proporzioni...’Nell’analisi roosveltiana, i fattori negativi che avevano favorito il tremendo crack economico e sociale del 1929 erano in primo luogo la diminuzione dell’indice di natalità, la scomparsa della mitica ’Frontiera’, il disordine nel sistema bancario, la precarietà della condizione operaia, il profondo distacco tra politica e cultura, lo squilibrio industriale e culturale tra Nord e Sud, l’arretratezza tecnologica di molta parte dell’Unione.Come afferma Merle Curti in ’Storia della cultura e della società americana’, la crisi in corso si distingueva dalle precedenti perché in queste ultime ‘i ceti medi, che pure avevano sofferto inconvenienti e privazioni non avevano mai perso il loro essenziale senso di sicurezza’.Ora, invece, la fiducia generale era scossa fino alle fondamenta.Il ventaglio degli interventi considerati ’urgenti’ dalla nuova amministrazione a fronte della situazione illustrata e seguendo le linee riformatrici del New Deal era, ovviamente, di enorme ampiezza.Indispensabili gli aiuti a favore dei coltivatori, urgentissima una nuova legge bancaria, ma, soprattutto, era necessario provvedere immediatamente a favore dei tredici milioni di nuovi disoccupati, un quarto della forza lavoro dell’intero Paese.Si operò (non senza difficoltà e lottando anche contro la Corte Suprema che considerava molti degli interventi incostituzionali) attraverso un radicale mutamento dell’indirizzo fino ad allora seguito e lo Stato, da neutrale ed attendista, divenne interventista nei principi e, se del caso, nelle singole esperienze della vita economica e sociale.Del resto, come detto all’inizio, già nel famoso discorso dell’Ultima Frontiera tenuto da Franklin Delano Roosevelt in piena campagna elettorale a San Francisco si annunciava la futura ’rivoluzione’ attraverso la sostituzione radicale ma democratica di un metodo politico ad un altro oramai travolto dagli eventi.
 5I contrasti con la Corte Suprema
Spesso e particolarmente negli anni nei quali governava Franklin Delano Roosevelt, il potere politico ha cercato di prevaricare la Corte Suprema, mai, peraltro, riuscendovi.Proprio F.D.Roosevelt, contrariato da una serie di decisioni avverse, confermato per un secondo mandato nel 1936, considerata l’età dei sei membri a lui contrari in carica, propose che da quel momento il Presidente USA fosse autorizzato a nominare un Giudice in soprannumero per ogni componente della Corte che avesse superato i settant’anni senza lasciare volontariamente l’incarico.L’idea fu ritirata, tanto vibranti furono in proposito le rimostranze popolari.
6‘Hai perfettamente ragione’.
John Kenneth Galbraith – grande economista canadese naturalizzato americano – è stato, in veste di consigliere, per oltre sessanta anni, a fianco dei vari Presidenti che si sono succeduti alla Casa Bianca.Su questa sua esperienza che non ha paragoni, ha pubblicato un bel libro intitolato ‘Facce note’.Tra i tanti episodi e aneddoti narrati, significativo quello che concerne Franklin Delano Roosevelt – il Presidente che lottò efficacemente contro la Grande Depressione e che guidò gli USA per quasi tutta la Seconda Guerra Mondiale – che assai bene ne propone uno dei tratti caratteristici: la tendenza a lasciare ai sottoposti la soluzione dei casi che meno lo appassionavano.Un mattino, dunque – racconta Galbraith, che era presente – arrivò a rapporto da Roosevelt uno dei suoi consiglieri per perorare una causa alla quale molto teneva.Dopo averlo ascoltato, il Presidente gli disse: ‘Hai perfettamente ragione!’ e lo congedò.Quello stesso pomeriggio, un altro consigliere che sul medesimo tema la pensava diversamente espose a Roosevelt le sue idee per sentirsi dire anche lui: ‘Hai perfettamente ragione!’La moglie di Franklin, Eleanor, che aveva assistito ad entrambe le visite, intervenne allora con decisione presso il marito: ‘Non ti capisco. Hai dato ragione a due persone che sull’argomento trattato hanno posizioni assolutamente opposte e inconciliabili’.La risposta  fu: ‘Hai perfettamente ragione, Eleanor!’
7‘Figli di puttana’
Fu nel corso di una riunione di gabinetto che uno dei Segretari presenti fece presente a Franklin Delano Roosevelt che in Anestesia Latina, volendo essere gentili, non pochi governanti ‘amici’ si stavano comportando in modo dittatoriale e antidemocratico, sostanzialmente inaccettabile da punto di vista morale.‘È così’, fu la risposta.‘Sono figli di puttana.Ma sono i nostri figli di puttana!’
8Eleanor Roosevelt la ‘nonnina’ e Lucy Mercer l’amante
Eleanor Roosevelt, figlia di Elliott, fratello minore del grande Theodore Roosevelt, ebbe un’infanzia decisamente difficile.Il padre, alcolista, venne a morte quando la bambina aveva dieci anni e la madre, donna bellissima, non sopportava il fatto che lei fosse bruttina e segaligna.‘Eleanor’, le diceva come riportano tutti i biografi, ‘io non so proprio cosa ne sarà di te: sei talmente brutta che l’unica cosa che puoi fare è di essere buona’.Sposa del lontano cugino Franklin Delano a diciannove anni, partoriti nell’undicennio successivo sei figli uno dei quali morì, venuta a conoscenza del tradimento del marito durante la prima guerra mondiale (F.D. si era innamorato perdutamente, tanto da pensare al divorzio, della segretaria di Eleanor Lucy Mercer), concluse col coniuge una specie di patto di non aggressione in base al quale il loro legame si trasformò in qualcosa di molto simile a una associazione fondata sul realismo e sul rispetto.Sarà nei successivi anni Eleanor uno dei personaggi di maggior rilievo della vita pubblica americana e questo nei più svariati campi tanto da essere considerata, se non la ‘migliore’, una delle prime, per capacità personali e impegno, first lady di sempre.Quanto all’amante di Franklin Delano Lucy Mercer, è a lei, fervente cattolica che non riusciva neppure a pensare che le fosse possibile sposare un divorziato (oltre che alla madre di Roosevelt, Sara, che minacciò di diseredare il figlio se avesse lasciato la consorte) che si deve se il matrimonio del futuro Presidente non andò in fumo.La sua religione, peraltro, non le impedì di riprendere il rapporto con l’amato F.D. allorquando restò vedova.Roosevelt, è bene precisarlo, a seguito della poliomielite che lo aveva prostrato nell’agosto del 1921, era impossibilitato ad usare gli arti inferiori ma non aveva subito danni all’apparato sessuale.Così, sarà avendo a fianco non la moglie ma l’amante che il 12 aprile 1945, a Warm Springs, in Georgia il quattro volte Presidente passerà a miglior vita!

Charles Lindbergh: Spirit of St. Louis e non solo.
‘Sono Charles Lindbergh’.Fatto un giro attorno alla Tour Eiffel, lo ‘Spirit of St. Louis’ atterrò a Le Bourget davanti a una folla sterminata.Pochi istanti e il pilota, autore di un’impresa storica quale la prima trasvolata atlantica in solitario da New York a Parigi senza scalo, uscito dall’abitacolo, si presentò con quelle semplici parole.Era il 21 maggio 1927.Osannato oltre ogni dire, ‘L’aquila Solitaria’ riuscì a far impazzire l’America che lo celebrò a lungo e adeguatamente.Aveva tutto il necessario per ricoprire il ruolo: morigerato, non fumava, non beveva, non si vantava, era timido.Colpito dalla tragedia, visto che pochi anni dopo il figlio maggiore fu rapito e dipoi ucciso malgrado il pagamento del riscatto, fu, anche per questo – il dolore patito accresce le umane simpatie – per tutti gli anni Trenta tra le figure di maggior spicco e seguito degli USA.Ammiratore di Adolf Hitler anche per il suo antisemitismo (condiviso dalla consorte Anne Morrow autrice di un libro definito ‘la Bibbia di ogni nazista americano’) si schierò più volte apertamente a favore della Germania hitleriana e dopo l’inizio della Seconda Guerra Mondiale si adoperò a favore di un neoisolazionismo teso a contrastare le idee in proposito – anche quelle non esplicitate – di Franklin Delano Roosevelt.È in ragione di questi suoi atteggiamenti che lo scrittore Philip Roth, nel 2004, in un romanzo, lo immagina Presidente, eletto nel 1940, degli Stati Uniti.Un Capo dello Stato che, ovviamente, opera ben differentemente dal secondo Roosevelt dichiarando la neutralità americana sia nei confronti della Germania che del Giappone.Lo scritto ucronico in questione è intitolato ‘The plot against America’.

Harry Truman? Chi era davvero?
Nato a Lamar l’8 maggio 1884, dopo una giovinezza trascorsa nell’esercizio dei più diversi mestieri, per la prima volta si distinse nel 1916 fallendo miseramente nel tentativo di sfruttare una concessione petrolifera nel Kansas.Partito per il fronte europeo con il grado di capitano di artiglieria (questi i reali trascorsi militari al di là di quelli in seguito a fini elettorali sbandierati), arrivò in prima linea dieci minuti prima dell’armistizio dell’11 novembre 1918 e fece in tempo a tirare una sola salva di cannone.Reduce, si dedicò al commercio e nel 1922 fallì nuovamente, questa volta nella veste di proprietario di un negozio di camicie e cravatte, per la bella somma di venticinquemila dollari dell’epoca.Mai fallimento fu più fortunato!Più vicino ai quarant’anni che ai trenta, decise di buttarsi in politica tra le fila democratiche e si legò anima e corpo al boss locale Tom Pendergast che ‘governava’ da oltre vent’anni Kansas City e il Missouri con metodi spietati e gangsteristici.Fu Pendergast a designare Truman come giudice e come agente elettorale della Jackson County.Dopo dodici anni di ‘onorato’ servizio nella terra natia, il futuro Presidente fu spedito, ancora una volta da Pendergast, al Senato di Washington con una maggioranza di ben quattrocentomila voti e la consegna di ‘tenere la bocca chiusa fino a che avesse imparato le astuzie del mestiere e di rispondere alla corrispondenza’.Era il 1934 e lo scandalo conseguente alla sua elezione ebbe vasta eco nel Paese, tanto che l’appellativo protocollare ‘The gentleman from Missouri’ nel suo caso si trasformò in ‘The gentleman from Pendergast’.Confermato al Senato nel 1940, sia pure a fatica, il Missouriano – il cui altro carattere distintivo era l’assoluta mancanza di cultura (aveva seguito a fatica alcuni corsi serali della scuola di diritto di Kansas City), tanto che Bernard Baruch lo definì ‘incolto e grossolano’ – una volta arrivato assolutamente per caso e come già accennato a White House, incredibilmente, si rivelò un ottimo Presidente, dotato di una fino ad allora ben nascosta capacità decisionale e di grande fiuto politico.L’uomo che, ancora il 28 gennaio del 1945, da Vice Presidente in carica, non aveva mancato di partecipare, piangente, al funerale del suo boss, in quello stesso anno ordinò il lancio delle atomiche su Hiroshima e su Nagasaki, ponendo fine al secondo conflitto mondiale nel Pacifico.Sempre lui, nel 1947 (con la ‘Dottrina’ che prese il suo nome) decise l’abbandono da parte degli Stati Uniti della tradizionale politica di non intervento nelle questioni europee, promettendo, in piena Guerra fredda, che gli USA ‘avrebberoappoggiato i popoli liberi che stanno resistendo ai tentativi di assoggettamento da parte di minoranze armate o di pressioni esterne’.Ancora, diede il via al Piano Marshall di assistenza economica all’Europa devastata dalla Guerra (George Marshall era il suo Segretario di Stato).Nel 1948, poi, pose fine drasticamente alla Segregazione razziale nell’esercito e nelle scuole finanziate dal governo federale e si guadagnò, malgrado tutti i sondaggi negativi e i primi risultati della costa atlantica a lui contrari, una magnifica rielezione.Promotore, nel 1949, della NATO, coinvolse successivamente il Paese nella Guerra di Corea.Nel pieno del sostegno popolare (per il vero qualche scricchiolio si avvertiva), rinunciò nel 1952 a un possibile terzo mandato (in quanto in carica, l’Emendamento del 1951 non lo riguardava) ritirandosi, come voleva sua moglie Bess, a vita privata.Assolutamente contrario al successore designato dai ‘suoi’ democratici, Adlai Stevenson, gli diede comunque una mano nella campagna contro il repubblicano Dwight Eisenhower.Fu l’ultima volta che il vecchio e caro ‘treno elettorale’ percorse il Paese. La sconfitta di Stevenson sarebbe stata ben più rovinosa senza il suo tardivo intervento.Divertito e divertente, ben conoscendo la figura del padre di John Kennedy, Joseph, quando nel 1960, alla Convention democratica fu in ballo la candidatura poi andata a buon fine del cattolico Senatore del Massachesetts e non pochi ebbero a che dire, se ne uscì con un ‘Non è il Papa che mi preoccupa, è il papà!’ (‘It’s not the Pope, It’s the Pop’).Truman morirà a Kansas City il 26 dicembre 1972, ad ottantotto anni compiuti, lasciando nel lutto un’intera nazione. 
Nota bene.‘The buck stops here’.Nel West, nei saloon e sui battelli fluviali, i giocatori di poker al fine di ricordare a chi toccasse dare le carte si passavano l’uno dopo l’altro una pelle di daino.Tale panno venne gergalmente chiamata ‘buck’ e ‘the buck stops here’ fu espressione usata per indicare appunto a chi toccasse fare il mazzo e quindi comandare.Orbene, Truman aveva collocato nella stanza ovale di White House sulla scrivania un cartello che riportava la frase a far intendere che le decisioni, tutte le decisioni, le doveva prendere lui e non spettavano ad altri.Niente male per uno ‘yes man’ quale era per lunghissimi anni stato!

La campagna elettorale del 1948: Harry Truman, Thomas Dewey, J. Strom Thurmond, Henry Wallace
Luglio 1948, in vista delle elezioni novembrine, Convention del partito democratico a Filadelfia.Laceranti le divisioni interne.L’ala liberal, pur apprezzando le idee e l’azione del Presidente in carica Harry Truman a proposito dei diritti civili e in particolare della lotta al segregazionismo sudista, chiede che nella ‘platform’ programmatica vengano indicate proposte e raccomandazioni maggiormente incisive.E l’aria che si respira è quella che normalmente precede una sconfitta, tanto che alcuni inutilmente sperano di riuscire a convincere il Generale Dwight Eisenhower (che scenderà in campo quattro anni dopo, ma tra i repubblicani) o il giudice William O. Douglas a proporsi per la designazione contro Truman.L’ala conservatrice, sudista, popolarmente da subito nota con l’appellativo ‘Dixiecrats’, avendo ottenuto i liberal quanto richiesto, abbandona il congresso, si riunisce a Birmingham, Alabama, fonda il ‘Partito democratico per i diritti dei singoli Stati’ e sceglie come candidato a White House J. Strom Thurmond, all’epoca Governatore del South Carolina e in seguito, per lunghissimi decenni, Senatore.Intanto, alla guida di un Partito progressista, l’ex Vicepresidente nel terzo mandato di F.D. Roosevelt, Henry Agard Wallace – favorevole in politica estera a migliori rapporti  con l’Unione Sovietica, naturalmente ai diritti civili e in campo economico alla proprietà pubblica in molto settori chiave – lancia a sua volta il guanto di sfida. I repubblicani, convinti di vincere a causa delle divisioni del campo avverso, scelgono l’ultimo rivale del citato F.D. R., il Governatore del New York Thomas E. Dewey, al quale affiancano il collega della California Earl Warren, in seguito eccezionale e determinante, in tema di lotta alle leggi razziali e segregazioniste, Presidente della Corte Suprema.Al termine di una campagna che vede pertanto affrontarsi ben quattro candidati, tutti di un qualche peso, per quanto i primi risultati diano vincente Dewey, Harry Truman, che aveva percorso in treno oltre cinquantamila chilometri e tenuto più di trecentocinquanta discorsi nelle stazioni (ultimo Presidente a proporsi in cotal, antica guisa) ottiene la riconferma.Non male, peraltro, i ‘Dixiecrats’ il cui vessillifero Thurmond conquista trentotto delegati al Collegio Elettorale, tutti provenienti dal Sud dove prevale in quattro Stati.Non altrettanto bene va invece ad Henry Wallace che non ottiene risultato alcuno proprio in termini di delegati.Da ricordare e sottolineare che nella circostanza tutti i sondaggi (a partire dal 1936, venivano realizzati) falliscono miseramente dando vincente il repubblicano e prevalendo di contro il rivale.

Thomas Dewey, più completamente, ovvero perdere dopo avere creduto seriamente di vincere.
Originario del Michigan, figlio di un portalettere, baritono di belle speranze, laureato in legge, arrivato nella Grande Mela, Thomas E. Dewey, entrato in politica con il Grand Old Party, si mise in luce quale grande persecutore del crimine organizzato e della malavita e a soli quarant’anni fu trionfalmente eletto Governatore dello Stato di New York.Nel 1944, un partito repubblicano in cerca di un avversario credibile per Franklin Delano Roosevelt, che chiedeva agli Americani un quarto mandato, gli conferì la Nomination.Dewey perse (come ci si aspettava), ma riuscì a ridurre notevolmente la maggioranza del Presidente del New Deal sia in termine di voti popolari che di Grandi Elettori, la qual cosa gli procurò una seconda candidatura quattro anni dopo.I sondaggi lo indicavano come il netto favorito, ma Harry Truman – successore mortis causa di F. D. R., per nulla intenzionato a lasciare White House – non si arrese e gli contese ogni singolo voto fino all’ultimo.La notte dello scrutinio fu una delle più drammatiche della storia politica americana.Tutti (democratici compresi) si aspettavano una vera e propria valanga di suffragi a favore di Dewey e i primi risultati sembrarono largamente confermare le previsioni tanto che non pochi quotidiani (celebre la fotografia del giorno dopo nella quale, allegrissimo, Truman mostra il Chicago Daily Tribune che ‘toppa’ la notizia), ignari degli esiti del voto negli Stati dell’Ovest e dovendo comunque ‘chiudere’, nelle prime edizioni mattutine successive uscirono con il titolo a nove colonne ‘Dewey batte Truman’.Così non fu e il povero Thomas, vincitore delle Presidenziali fino a mezzanotte, già un paio di ore dopo, scoperto che il West non era con lui, seppe che alla Casa Bianca sarebbe rimasto il suo rivale.Non domo, contando comunque tra i GOP (tra i molti nemici) ancora un seguito, nel 1952 dette un notevole contributo alla investitura del Generale Dwight Eisenhower, poi vincente su democratico Adlai Stevenson.Pare ritenesse che il neo Presidente sarebbe rimasto in carica per un solo mandato la quale cosa gli avrebbe dato un’ultima chance nel 1956.Così non andò.Resterà da allora e fino in fondo un importante risorsa non solo per i repubblicani, visto che anche Lyndon Johnson lo tenne in considerazione.Da ultimo, in due differenti occasioni, rifiutò la nomina a Presidente della Corte Suprema.

Dwight ‘Ike’ Eisenhower, l’uomo senza futuro a proposito del quale molto è da dire.
‘Non c’è nessun avvenire nell’esercito’,Occorre dare sempre retta ai genitori.Parlano, consigliano per il bene della prole.Ma pensate a Dwight Eisenhower.‘Ike’ – meglio ‘Ugly Ike’ (‘Ike il brutto’), come veniva chiamato in quel di Abilene, Kansas, laddove il padre gestiva una latteria – più che ventenne oramai, non sapeva bene che fare.Capitò che un suo conoscente fosse ammesso all’Accademia Navale di Annapolis.Il Senatore repubblicano Joseph Bristow disponeva di un posto in ognuna delle due grandi scuole militari del Paese.Il giovanotto gli chiese di andare appunto ad Annapolis e si trovò invece ammesso a West Point: non in Marina ma nell’Esercito.Massima la sorpresa in casa.Erano gente pacifica e religiosa gli Eisenhower.Nessuno tra loro aveva mai pensato a una qualsiasi uniforme.  E quale mai poteva essere la vocazione di Ike alle armi?‘Non c’è nessun avvenire nell’esercito’, fu però l’argomento, pratico, tirato in ballo con insistenza.Quale mai carriera, infatti, avrebbe potuto fare ‘Ugly’, già vecchietto per entrare a West Point e quindi con limitatissime prospettive?‘Ike’ non se ne diede per inteso e partì.Si è visto dove è arrivato!
‘L’osservatore dinamico’.Militare di carriera malgrado l’opposizione dei familiari, Dwight ‘Ike’ Eisenhower fu tra i principali artefici della vittoria alleata nella Seconda Guerra Mondiale.Già alla guida delle truppe sbarcate in Africa Settentrionale nel 1942, l’anno successivo venne nominato Comandante supremo delle forze di spedizione destinate allo sbarco in Francia.Sua la responsabilità sia nella pianificazione che nella realizzazione del ‘D-Day’, suo (anche se ovviamente non soltanto) il merito delle successive affermazioni nella campagna europea.Rientrato in patria da eroe, nel 1948 rifiutò le offerte dei democratici che, incerti su Truman, gli offrivano la candidatura per White House, per accettare, invece, la Nomination repubblicana (dovette nella circostanza sconfiggere l’ottimo Senatore Robert Taft) quattro anni dopo.Eletto a quel novembre 1952 facilmente (sconfiggerà Adlai Stevenson due volte visto che il medesimo avversario gli verrà contrapposto anche nel 1956), per prima cosa, come aveva promesso, pose fine alla Guerra di Corea.Le convinzioni di Ike riguardo alla Presidenza erano radicalmente opposte a quelle dei suoi predecessori.Riteneva che il ruolo dell’inquilino della Casa Bianca fosse alquanto limitato e che non era compito del Presidente influenzare l’attività legislativa riservata dalla Carta costituzionale esclusivamente al Congresso.Da ‘osservatore dinamico’ – si era così definito – cercò comunque di incoraggiare il commercio e l’economia attraverso tagli alle imposte e diminuendo i controlli federali.Agli inizi, fu in qualche modo messo in difficoltà dalla ‘Caccia alle streghe’ guidata da Joseph McCarthy.Nel 1957, si trovò nella necessità di inviare le truppe federali a Little Rock, Arkansas, per reprimere le violenze dei segregazionisti che resistevano alle aperture a favore delle minoranze razziali operate dalla Corte Suprema con una serie di sentenze di chiaro stampo riformatore ispirate da Earl Warren che lo stesso Eisenhower aveva indicato quale ‘Chief’ dell’augusto consesso.Presente in politica estera, cercò una qualche riconciliazione con la Cina popolare, decise di non impegnarsi in Indocina a seguito della sconfitta francese a Dien Bien Phu e, dopo il 1959, morto il segretario di Stato John Foster Dulles, pensò ad un possibile negoziato di pace con l’URSS che non andò a buon fine a causa del clamoroso abbattimento da parte dei sovietici di un aereo ricognitore, l’U 2, che sorvolava il loro Paese.Nel 1960 non appoggiò esplicitamente la candidatura del suo vice Richard Nixon che, invece, sosterrà  nel 1968 allorquando il risorto futuro protagonista del ‘Watergate’ sconfiggerà Hubert Humphrey.
I primi successi GOP a Sud.Terminata la Seconda Guerra Mondiale, chiusa l’epoca del successore del secondo Roosevelt Harry Truman, ecco alla ribalta il candidato repubblicano per le elezioni del 1952: il Generale Dwight ‘Ike’ Eisenhower, il condottiero agli ordini del quale il conflitto era stato vinto in Europa.In campagna, i capi GOP, secondo consuetudine, lo consigliano di non cercare voti nel Sud.Fatica e soldi sprecati, a parer loro.Dalla fine della Guerra di Secessione nel meridione del Paese ci si pronuncia solo e soltanto per i democratici.Ike non ci sta: farà campagna a Sud e i risultati, che non mancano in questa occasione, saranno anche migliori quattro anni dopo, quando cercherà ed otterrà la conferma a White House.
Nel corso degli otto anni di esercizio del potere esecutivo, viste le disastrose conseguenze nei rapporti con i Paesi Latinoamericani che avrebbero comunque essere considerate nella temperie, a voler essere buoni, decisamente non bene valutato l’atteggiamento dapprima e il comportamento in seguito della sua Amministrazione nei confronti del Guatemala di Jacobo Arbenz Guzman, il Presidente riformista accusato tout court di essere un comunista, colà democraticamente eletto nel 1951 il quale fu infine costretto all’esilio dalla CIA che organizzò nel 1954 l’invasione del Paese da parte di esiliati e fuoriusciti collegati ai precedenti regimi golpisti.Partecipe e testimone della vicenda, un giovane Che Guevara che ne trarrà la convinzione che il solo modo di combattere gli Stati Uniti, ai suoi occhi dittatoriali e antidemocratici, sia la guerriglia, con tutto quanto conseguirà.Lascerà la sua Amministrazione in eredità a John Kennedy altresì il piano di invasione – ricalcato sul tecnicamente riuscito precedente guatemalteco – della nel frattempo rivoluzionaria Cuba castrista, anche qui affidato a esiliati di vario genere, piano che sarà realizzato malissimo e porterà il 17 aprile del 1961 alla catastrofe della Baia dei Porci. 

Robert Taft, l’incompiuto.
Molti i ‘figli d’arte’ – per non parlare dei fratelli o dei nipoti – nella vita politica americana.Di scarso interesse, la più parte.Di grande spessore, alcuni.Tra questi ultimi, un particolare rilievo merita il Senatore Robert Alphonse Taft, ovviamente, figlio del Presidente William Taft.Incluso da una speciale commissione nel novero dei cinque Laticlavi più importanti e ‘migliori’ dell’intera storia della Camera Alta USA, Robert fu un fiero  conservatore.Contrario al ‘New Deal’ rooseveltiano, lo combatté.Tendenzialmente isolazionista, fu avverso all’entrata in guerra degli Stati Uniti nel secondo conflitto mondiale.Ritenendo che i processi di Norimberga violassero il diritto americano, considerando che accusatori e giudici erano praticamente gli stessi, e che si trattasse invero di un giudizio voluto dai vincitori contro i vinti, parlò e scrisse vibratamente contro.Uomo decisamente scomodo, aspirò invano alla Casa Bianca, ogni volta sconfitto all’interno del proprio partito, naturalmente il repubblicano.Nel 1952, il Generale Dwight Eisenhower accettò di candidarsi per il GOP alla Presidenza.Eroe di guerra e uomo pubblico notissimo, contava di ottenere con facilità la Nomination nella Convenzione di luglio.Così non andò: larga parte dei delegati era favorevole a Robert Taft e il comandante in capo degli Alleati conquistò sì l’investitura ma per un vero soffio.Il futuro presidente John Kennedy ricomprese Taft nel suo libro premio Pulitzer ‘Profili del coraggio’ tra le figure alle quali ci si doveva ispirare.

Adlai Stevenson, ‘Testa d’uovo’ (‘Egg-Head’).
Al tramonto Harry Truman (potrebbe ricandidarsi – perché il XXII Emendamento del 1951 pone sì limiti in merito al numero dei mandati, limiti che però, come d’uso, non riguardano il Presidente in carica – ma non lo fa o, meglio, solamente, vi accenna), il Partito Democratico, in quel di Chicago come farà anche quattro anni dopo in occasione della sua seconda Nomination, per affrontare – compito davvero ingrato data la considerazione e la fama, roba da far tremare i polsi – il forte candidato repubblicano già nominato Generale Dwight ‘Ike’ Eisenhower (da tutti considerato sic et simpliciter ‘il vincitore della Seconda Guerra Mondiale’ e non è poco), nel 1952, opta per il fino ad allora abbastanza defilato Governatore dell’Illinois Adlai Stevenson.Uomo veramente schivo’, lo definisce – a mio modo di vedere non del tutto cogliendone il tratto – Maldwyn Jones nella sua imperdibile ‘Storia degli Stati Uniti d’America’.È nel corso della seguente contesa che, ispirato dalle fattezze facciali di Adlai (fronte molto alta e calvizie accentuata), intendendo aggredirne l’astrattezza con qualche venatura d’orientamento omosessuale nel caso del tutto immotivata, lo scrittore Louis Bromfield (non, come viene comunemente detto, l’allora candidato Vice repubblicano Richard Nixon, che usò successivamente l’espressione a man salva) lo definisce ‘Testa d’uovo’ (‘Egg-Head’), termine che avrà larga diffusione per un paio e poco più di decenni, e sarà appioppato dagli avversari politici con sottesa disistima anche ai consiglieri di John Kennedy.Termine al cui utilizzo Adlai risponderà ironicamente dicendo ‘Teste d’uovo di tutto il mondo, non avete da perdere che il vostro tuorlo’.È nel mentre di quel certame che a Stevenson, il quale aveva appena terminato una pubblica conferenza (lo storico Robert Remini, in quest’ambito, lo considera ‘probabilmente l’oratore più dotato’), una spettatrice, avvicinatasi, dice:‘Tutte le persone intelligenti voteranno per lei’, ricevendo in cambio un ‘Non basterà, Signora.Occorre la maggioranza!’, amara, consapevole risposta che denuncia l’inconsistenza di fondo della democrazia.E in effetti, come scrive ancora Maldwyn Jones, ‘lo spirito e l’eloquenza di Stevenson gli accattivarono gli intellettuali ma non riuscirono a scuotere la massa dei votanti’.(Il solo momento nel quale si pensò potesse anche farcela fu quando nella fase finale del confronto scese in campo al suo fianco un sempre volitivo ed efficace Harry Truman, purtroppo per lui però invano).Elitario per formazione (arrivò al punto d’interrompere la serie di necessariamente incalzanti manifestazioni elettorali per due tre giorni per isolarsi e limare adeguatamente a suo modo di vedere un discorso e questo mentre gli organi interni al movimento addetti alla propaganda, orfani, anche ferocemente, scalpitavano), il Nostro cercherà di attenuare il proprio cerebralismo astratto nel 1956, allorquando scelto una seconda volta dal partito (non pochi dei cui maggiori esponenti, temendo a debito del per la conferma in corsa Eisenhower una débâcle, evitarono di proporsi).Sempre Jones, ricorda che nella circostanza adottò ‘un tono meno elevato facendo deliberatamente errori di grammatica’, con risultati alla fine nelle urne peggiori rispetto a quelli del 1952.Peraltro – ricco (lo era anche di famiglia, ma questa è un’altra storia) di discordanze e sicuramente memore di quanto a riguardo aveva vergato Walt Whitman (‘Ci sono contraddizioni in me? Certo.  Sono immenso. Contengo moltitudini!’) – chiese ed ottenne nel campo della critica economica il contributo dell’ottimo John Kenneth Galbraith, al quale, data l’importanza che il Vice aveva assunto nell’amministrazione in carica, disse ‘Voglio tu scriva i discorsi contro Nixon’ e ‘Non devi avere nessuna pietà!’Per quanto Gore Vidal, in un breve passaggio della sceneggiatura cinematografica del suo notevole ‘The Best Man’, 1964, ad opera di una sedicente ‘rappresentante dell’elettorato femminile’, additi tra i massimi e più gravi (considerati i tempi) difetti di Stevenson quello ‘di non essere sposato e di scherzare al riguardo’, in verità, a tale proposito, la sua era una situazione particolare perché la consorte Ellen Borden, dalla quale aveva avuto tre figli, assolutamente repubblicana (lo sottolinea un in fondo divertito Raymond Cartier nello splendido ‘Le cinquanta Americhe’, 1962) e di carattere, non sopportando (lo preferiva quale in precedenza, quando poteva dire: ‘Poverino, sempre l’assistente di qualcuno!’) il suo proporsi già per il Governatorato dell’Illinois per i democratici, aveva divorziato!Due le particolarità che lo videro protagonista nel campo, diciamo così, tecnologico.È in primo luogo – ricorda Jill Lepore in ‘These Truths’, 2018, entrambi gli episodi – durante la trasmissione televisiva della CBS che segue lo spoglio il 4 novembre 1952 (giorno nel quale si arrivava al dunque nel suo contendere con Eisenhower) che viene usato, sia pure non in studio ma attraverso collegamenti con Philadelphia, un Univac, un computer cioè e con esiti non negativi quanto alle previsioni.Poi, benché siano da tutti considerati come i dibattiti televisivi inaugurali (si diede il via il 26 settembre e altri tre fecero seguito per quanto nella memoria collettiva ne permanga solo uno) fra candidati quelli della storica campagna 1960 Kennedy/Nixon, così non è perché invece a dare il là – ideandoli e attivandosi perché a Miami, negli studi della ABC, avesse svolgimento il primo – a questi ancora oggi ritenuti assai significanti confronti fu proprio, in ambito limitatamente partitico è vero, Adlai Stevenson discutendo nel 1956 con il contendente la Nomination democratica Estes Kefauver (correva il 21 maggio) che sarebbe poi stato con lui nel ticket demolito dal repubblicano ‘Ike’ il successivo 6 novembre.Moderatore nella circostanza – sarà pur giusto ricordarne il nome dato che fu il primo, no? – il già direttore dell’American Civil Liberties Union, Quincy Howe.(Sempre ad illustrare questo politicamente almeno ‘strano’ individuo, ‘dotato di amicizie forti, a volte fanatiche, molta intelligenza, troppo spirito e un fascino che sa usare’, e i suoi dubbi – il citato Raymond Cartier aveva sentenziato che un Presidente deve essere per l’ottanta/novanta per cento decisionista mentre Stevenson lo era per il poco che resta – proprio con riferimento alla televisione che come visto usava, disse in una circostanza agli spettatori:‘Posso parlarvi ma non posso ascoltarvi.Non posso ascoltare i vostri problemi…Per farlo, devo uscire di qui’).Nel citato 1960 – ‘Non voglio, ma vorrei’ – pronunciate l’anno precedente parole quali ‘Mi piacerebbe che trasformassimo la nostra grottesca campagna presidenziale in un grande dibattito condotto in favore del popolo’ – dichiarò ammiccando di non aspirare a una terza Nomination.Nel corso della campagna, non si espresse per John Kennedy (definito da un editorialista ‘Uno Stevenson con le palle’) che poi appoggiò convintamente una volta scelto.Riteneva gli spettasse nella nuova amministrazione il ruolo di Segretario di Stato.Non lo ottenne, venendo invece, alquanto deludentemente?, nominato Ambasciatore all’ONU.   Fu in questo ruolo a rappresentarsi quale equilibrato, e non ascoltato, consigliere di Kennedy nei roventi giorni (ottobre del 1962) della crisi conseguente la scoperta della installazione a Cuba dei missili sovietici.Come si vede fuggevolmente in ‘Thirteen Days’, pellicola non certamente memorabile datata 2000, ritiene necessaria a dare una spinta determinante alla soluzione del pericoloso impasse la mediazione dell’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite Maha U Thant.Nella evenienza, sarà altresì vincente protagonista di un serrato confronto con il Rappresentante sovietico in aula ONI Valerian Zorin.Morirà Adlai Ewing Stevenson II (il cui omonimo nonno era stato Vice di Grover Cleveland dal 1893 al 1897) relativamente giovane, a Londra per un attacco di cuore, a poco più di sessantacinque anni.Avanti di chiudere, una consonanza forse inimmaginabile del Nostro con un uomo decisamente di tutt’altra pasta, Winston Churchill (che, quanto segue fra poco a parte, secondo il biografo principe del grande Statista, Andrew Roberts, nel 1952, faceva nascostamente il tifo per Adlai contro Eisenhower nelle Presidenziali tanto da arrivare a dire a risultato acquisito ‘Sono molto contrariato’).Ora, nel 1895, sulla via di Cuba, un giovane Winston, facendo tappa a New York, fu accolto da Bourke Cockran, un parlamentare americano che nei dieci anni successivi ebbe su di lui notevole influenza in specie nel modo di conversare e nello stile oratorio.Fu sessant’anni dopo, nel 1955, che sentendolo citare a memoria lunghi estratti dei discorsi di Cockran, stupefatto, Adlai Stevenson gli disse: ‘È stato anche il mio modello’.Infine, ad illustrare cosa pensasse di sé, la frase pronunciata dopo la sconfitta del 1952, prima di inviare a Dwight Eisenhower un telegramma degno di un gentiluomo:‘Io sono troppo grande per questo.Ma fa troppo male per riderne’.Mancava Adlai ‘della semplicità e brutalità dei conduttori di popoli’, affermarono alcuni.Verissimo e, dal un mio particolare punto di vista, per fortuna.Chapeau!

John Kennedy, fuori dalla leggenda.
Quanti i film, i libri, i saggi, gli articoli, le ricerche, i documenti sfornati nel tempo su John Kennedy, a proposito della sua avventura umana e politica, riguardo al ‘complotto’ che avrebbe portato al suo assassinio in quel di Dallas cinquant’anni fa, su Lee Harvey Oswald, sulle contestatissime conclusioni della ‘Commissione Warren’ e via elencando?Le righe che seguono, nell’intento di uscire per quanto possibile dal leggendario e ‘scendere, alla realtà.
Il ‘vero’ John Kennedy.
‘Lo strangolatore di Boston’, intenso dramma portato nel 1968 sul grande schermo da Richard Fleischer, vede un ottimo e coinvolgente Tony Curtis – come poche altre volte, splendidamente lontano dall’amata commedia – impersonare un operaio schizofrenico di origini italiane (si chiama Albert Di Salvo) che, in stato di semi incoscienza, uccide l’una dopo l’altra dodici donne.Interrogato, non riesce a ricordare quasi nulla del proprio passato ed è talmente assente da non rammentare cosa stesse facendo il 22 novembre del 1963!Tutti, in America, infatti, se appena all’epoca avevano capacità di intendere, hanno bene in mente a quali faccende attendessero nel giorno (appunto il 22 novembre di cinquant’anni fa) dell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, tanto l’accadimento si è impresso indelebilmente nella memoria dell’intera nazione.Ultima vittima della cosiddetta ‘maledizione dell’anno zero’  (a partire dal 1840 e fino proprio al suo 1960, i Presidenti eletti o confermati in un anno con finale zero sono morti in carica, a seguito di un attentato o per cause naturali), l’uomo della ‘Nuova Frontiera’ resta nel mito al punto tale che ogni qual volta la lunga corsa verso la Casa Bianca prende il via i media immancabilmente si chiedono se sia in vista un ‘nuovo Kennedy’. È proprio dalla mitizzazione del primo (non unico oggi visto che Joe Biden lo è) cattolico espresso dagli USA che non si riesce ad uscire, cosicché ben poche sono le voci – peraltro tutte di seri studiosi – che hanno cercato in questi cinquant’anni di fornirci un quadro veritiero dell’attività politica kennediana e dell’eredità politico culturale che ci ha lasciato.Alla costruzione della sua leggenda, comunque, John Kennedy aveva pervicacemente lavorato fin dalla più giovane età, a ciò indirizzato dal padre Joseph le cui immense fortune economiche – molto chiacchierate per le sue poco eleganti relazioni con la mafia che gli avevano consentito di arricchirsi con il commercio degli alcolici durante il proibizionismo – erano state messe totalmente al servizio della scalata che doveva inevitabilmente condurlo alla Casa Bianca.Mai, in tutta la sua non breve permanenza al Senato come rappresentante del Massachusetts, John aveva preso posizioni precise, cercando, invece, su ogni questione di barcamenarsi per non inimicarsi nessuno.Basti qui ricordare che nell’oscuro e tristissimo periodo maccartista della ‘caccia alle streghe’ neanche per un attimo il giovane senatore si era levato a parlare contro le persecuzioni che colpivano gran parte degli intellettuali americani e, massimamente, quelli di sinistra.Ancora, quando nel 1956 si era parlato di una sua possibile presentazione quale candidato alla vice presidenza per i democratici con Adlai Stevenson per cercare di scalzare dalla carica presidenziale il generale Dwight Eisenhower, Kennedy aveva manovrato abilmente per evitare quella che considerava una iattura (vista l’estrema difficoltà dell’impresa) e si era, invece, riservato per momenti migliori.La sua famiglia fu la prima ad intuire l’enorme potere che già in quegli anni andava assumendo il mezzo televisivo ed ingenti capitali furono utilizzati per costruire un personaggio – puntando sulla sua telegenicità – che i media in generale e la TV in particolare trovassero attraente e ‘spendibile’.Un’attenta campagna di stampa fu condotta, poi, a partire dai primi mesi del 1959 per presentare il nuovo ‘profeta’ agli americani e al mondo intero.Si fece in tal modo leva sul suo passato di soldato, sulla moglie (facendo intendere che Jacqueline Bouvier discendesse da una nobile famiglia francese, cosa assolutamente non vera), sul suo aspetto da bravo ragazzo ‘tutto casa e famiglia’ (il che era talmente falso da far ridere chiunque lo conoscesse davvero visto il suo passato e presente da impenitente sottaniere), sulla sua prorompente giovinezza.Anche a quest’ultimo riguardo molte falsità trovarono ampio credito considerato che non era assolutamente vero che fosse (come veniva scritto e detto) il più giovane candidato mai proposto da un grande partito per la White House (nel 1896, William Jennings Bryan, democratico, al momento delle elezioni, aveva solo trentasei anni) e che, comunque, se eletto, non avrebbe potuto essere il più giovane presidente in carica posto che Theodore Roosevelt era entrato alla Casa Bianca a soli quarantadue anni.Nella campagna del 1960 Kennedy trovò l’appoggio – molto ben compensato – della sinistra intellettuale americana (le cosiddette ‘teste d’uovo’) cui seppe aggiungere il frenetico attivismo di tantissimi giovani che cercavano in lui qualcosa di nuovo, al passo con quei tempi ormai pre rivoluzionari (il Sessantotto non era poi molto lontano!).Il famoso discorso della ‘Nuova Frontiera’ che così fortemente condizionò l’andamento dei risultati elettorali sia nelle primarie che al voto di novembre non era assolutamente farina del suo sacco e fu interamente scritto da un collaboratore (un ‘ghost writer’ poi allontanato con poca grazia) sulla base dei sondaggi popolari, effettuati per la prima volta su larga scala, tesi a conoscere cosa il popolo elettore si attendesse da un candidato.Anche questa fu, in fondo, una ben riuscita operazione di marketing così come tutta la costruzione e presentazione del ‘personaggio’.Una volta eletto – e non dimentichiamo che Richard Nixon, il suo rivale, fu sconfitto per soli centomila voti popolari in tutto il grande Paese e che molto ci sarebbe da dire sull’appoggio ricevuto dallo schieramento kennediano da parte della mafia e sui voti ‘fantasma’ (per lui, votarono migliaia di morti!) ottenuti in Illinois per ‘merito’ del sindaco di Chicago Daily – l’azione politica di Kennedy fu quanto di più maldestro si potesse immaginare.È lui che dette inizio alla guerra del Vietnam (anche se nessuno vuol sentirselo dire) inviando oltre diecimila ‘osservatori militari’ – incredibile eufemismo – a sostenere il corrotto regime del Sud di quello Stato.A Kennedy si deve il definitivo allontanamento di Fidel Castro (che all’epoca non era ancora comunista) e di Cuba dall’Occidente e l’abbraccio all’isola caraibica da parte dell’URSS e del comunismo visto che, invece di riconoscere il buono che pure c’era nell’azione castrista contro il dittatore Batista, pensò di scalzare il ‘lider’ cubano autorizzando la cosiddetta spedizione della Baia dei Porci, finita tanto male che peggio non si potrebbe.È sotto John Kennedy che si fu ad un passo dalla Terza Guerra Mondiale, quando, sempre per Cuba e in conseguenza dei suoi errori, inviò l’ultimatum a Krushev ed il mondo corse davvero un pericolo mortale.È contro la sua politica e disprezzando le sue posizioni che, lui presidente, fu costruito il Muro di Berlino che fino alla sua caduta ha voluto significare il profondo distacco esistente tra i due blocchi planetari.È con la presidenza Kennedy che gli USA riprendono la corsa agli armamenti attraverso un deciso e massiccio riarmo che li porterà ad affermare vieppiù il loro ruolo di super potenza.Se questi sono i ‘successi’ del giovane Presidente  (che arrivò al punto di nominare ministro suo fratello, cosa mai accaduta in tutta la storia americana!) in politica estera e sul piano internazionale, che si deve dire del suo operato all’interno del Paese?Per quanto avesse promesso di ‘rimettere ancora in moto l’America’, molti dei suoi punti programmatici furono bocciati od eliminati visto che i rapporti con il Congresso non si potevano certo definire brillanti e che, in verità, la necessaria determinazione veniva spesso a mancare.Per quel che riguarda i diritti civili (all’epoca, il problema interno più scottante per gli Stati Uniti alle prese ancora con forme di violento razzismo nei confronti delle minoranze e in specie dei neri) la sua opera, in seguito esaltata, fu assai lenta e pochissimo convinta.Ancora nel marzo 1963, un Martin Luther King profondamente deluso lo accusava ‘di essersi accontentato di un progresso fittizio nelle questioni razziali’.Alla vigilia di Dallas tutta la sua politica era ad un punto morto e neppure la grande abilità e dimestichezza con i media sembravano poterlo salvare (d’altra parte, i democratici avevano perso le elezioni di ‘medio termine’ del 1962 principalmente a causa delle già evidenti manchevolezze del loro uomo a White House) tanto che una conferma nella tornata elettorale del 1964 appariva decisamente problematica.La sua morte improvvisa colpì profondamente il Paese che la rivisse infinite volte alla TV, la qual cosa rese certamente più reale che in passato un accadimento non nuovo per gli Stati Uniti, visto che altri Presidenti lo avevano purtroppo preceduto su quella strada.Fu così che un uomo sull’orlo della disfatta politica e con un passato tutto da discutere, improvvisamente, come un martire, venne da tutti idealizzato e che il suo discutibilissimo operato venne rivalutato oltre ogni dire.Come afferma Maldwyn Jones nella sua ‘Storia degli Stati Uniti’, a voler essere gentili, ‘gli anni della presidenza Kennedy furono molto più ricchi di promesse che di fatti’.Si può aggiungere che ben pochi di questi fatti furono veramente positivi per l’America e per il mondo.Un’ultima considerazione a proposito dell’atteggiamento di John Kennedy nei confronti delle donne, della moglie e delle sue numerose e disprezzate amanti tra le quali la povera Marilyn Monroe.La puritana America (complice la stampa dell’epoca) che tutti conosciamo e che ha distrutto la promettente carriera di molti aspiranti alla presidenza per i loro rapporti extraconiugali, solo a lui (e, in parte, a Bill Clinton) ha perdonato ogni scappatella, arrivando, addirittura, a glorificarlo per il suo gallismo.È proprio vero che quando si nasce con la camicia...
Ogni qual volta, nel tempo, mi è capitato di esprimere pubblicamente, nel corso di una conferenza o di un dibattito, le or ora vergate e per il vero incontestabili considerazioni sono stato invariabilmente attaccato.Dal pubblico o, nel caso, da altri partecipanti al confronto, qualcuno ha sempre fortemente e vibratamente eccepito.Infiniti, difatti ‘i vedovi’ e, soprattutto,  ‘le vedove’ di John Kennedy’, le persone, in specie oramai di una certa età, che, ‘avendo studiato’, come loro replico in quelle circostanze, ‘sui rotocalchi, sui giornali e non sui libri di storia’, sono prigioniere del mito, non guardano alla realtà dei fatti ma alla leggenda.A proposito di ‘vedove di Kennedy’, dal 23 novembre 1963 e per un mese un’amica di famiglia all’epoca ventenne portò il lutto più stretto vestendosi unicamente di nero.Non fu certamente la sola: in tutto il mondo, un infinito numero di ‘vedove’ altrettanto inconsolabili la imitarono.
Quando Truman cercò di fermare KennedyDemocratic Convention, 11/15 july 1960Los Angeles Memorial Sports Arenaand Memorial Coliseum.
Lasciata la Casa Bianca il 20 gennaio 1953, Harry Truman, per quanto possibile dato il carattere, se ne stette buono e tranquillo, tanto da non prendere posizione a favore del collega di partito Adlai Stevenson che, battuto quattro anni prima dal repubblicano Eisenhower, cercava la rivincita nella campagna elettorale del 1956.Per il vero, nell’occasione, avrebbe preferito ottenesse la nomination l’allora governatore del New York Averell Harriman, ma la cosa non andò in porto.D’altra parte – e per quanto nel 1952 il Capo dello Stato uscente si fosse, sia pure in ritardo, dato da fare per dovere di partito – tra Adlai e Harry non correva buon sangue visto che l’aristocratico intellettuale già governatore dell’Illinois riteneva che Truman fosse un politico di basso rango nel mentre il missouriano lo accusava di essere uno snob.Arrivato che fu il 1960 e non potendosi più ricandidare Eisenhower per il disposto del XXII Emendamento, un nutrito gruppo di democratici annunciò l’intenzione di scendere in lizza per ottenere la Nomination: il Senatore del Masssachusetts John Kennedy, il leader della maggioranza alla Camera Alta  Lyndon Johnson, il Senatore del Missouri Stuart Symington, quello del Minnesota Hubert Humphrey, l’altro dell’Oregon Wayne Morse e il Governatore della California Pat Brown.In più, senza proporsi nelle primarie ma sperando di arrivare comunque alla sua terza candidatura consecutiva in sede di Convention se nessuno tra i contendenti si fosse dimostrato un vincente, ancora e di nuovo Adlai Stevenson.Il congresso di partito era stata fissato dall’11 al 15 luglio a Los Angeles.Al termine della primarie e dei caucus, nessuno tra i predetti candidati aveva conquistato un numero sufficiente di delegati per essere scelto al primo scrutino.Si trattava, quindi, di un congresso ‘aperto’, nel corso del quale le più diverse e improbabili alleanze avrebbero portato ad una scelta di compromesso ma definitiva.I tre candidati di maggior peso, quelli davvero in corsa a quel punto, erano Kennedy, Johnson e Stevenson.Harry Truman entrò allora in gioco sostenendo che per superare l’impasse i tre avrebbero dovuto fare un passo indietro e dare spazio e strada a Stuart Symington, che era stato Segretario all’aviazione nel suo governo ed era missouriano, sia pure di adozione, come lui.Gli andò male: ‘Stu’ fu sconfitto, l’ipotesi Stevenson non decollò, Johnson accettò, contro le previsioni perfino dell’entourage di Kennedy, di correre nel ticket per la Vice Presidenza.Il fatto che fosse cattolico fu certamente un impedimento per il futuro esponente della ‘Nuova frontiera’ ma, e già lo avevano dimostrato gli esiti delle primarie, non insuperabile come era stato nel 1928 per Alfred Smith accusato di essere un ‘papista’.Sul tema, allorquando i giochi a favore del Senatore del Massachusetts apparvero fatti, il vecchio Truman se ne uscì con una battuta rimasta celebre: “It’s not the Pope I’m worried abaut, It’s the Pop” (“Non è il Papa che mi preoccupa, ma il papà’)Chiunque conoscesse il padre di John, Joseph Kennedy, il suo carattere, la provenienza del suo denaro poteva concordare con lui!

Lyndon Johnson, eccezionale quanto alla politica interna e ai diritti civili.
‘Per cercare di spiegarmi l’intenso rapporto che il Presidente (Franklin Delano Roosevelt) aveva avuto con il giovane deputato (Lyndon Johnson), un rapporto diverso da tutti gli altri, James H. Rowe, uno dei consiglieri di F.D.R., mi disse:‘Bisogna tenere presente che erano entrambi grandi geni politici.Potevano parlare alla pari.Erano pochissime le persone con le quali Roosevelt potesse comunicare sicuro che comprendessero tutti i risvolti di quello che andava dicendo.Ma Lyndon a ventotto anni capiva fino in fondo’.Franklin Delano Roosevelt stesso ebbe a dire a Harold Ickes:‘Vedi Harold, Lyndon è il tipo di politico disinibito che sarei potuto essere io alla sua età se non fossi andato a Harvard’.E fece anche una previsione.Disse:‘Caro Harold, fra un paio di generazioni la bilancia del potere in questo Paese finirà per pendere dalla parte degli Stati del Sud e dell’Ovest.E quel ragazzo, Lyndon Johnson, chissà che non diventi il primo Presidente sudista’.Il brano ora citato è stato scritto da Robert A. Caro in ‘Lyndon Johnson and the Roots of Power – Extraordinary Lives, the Art and Craft of American Biography’ ed è riportato da James Hillman  nel capitolo ‘Esse est percipi’ del suo imperdibile ‘Il codice dell’anima’.
Ecco a suo riguardo cosa scrisse Orson Welles:‘... Secondo me LBJ è una grande figura tragica...Una figura straordinariamente tragica per la sua mostrosuità, la sua energia e il desiderio di essere un Presidente che conta.Non gli vengono mai riconosciute le cose che fece in politica interna solo perché era maleducato.Dopo i Kennedy, a Washington, erano tutti abituati a Casals che grattava il violoncello e la politica di Johnson non fu nemmeno presa in considerazione.   La memoria di John lo perseguitava...Ma lui che cosa poteva fare se non il Presidente?Era l’unica cosa che potesse fare!”
Un uomo rozzo e timido.La morte di Kennedy portò alla Casa Bianca un uomo che per stili di vita, educazione, carattere (la sua sostanziale timidezza lo induceva ad assumere atteggiamenti spesso sconfinanti nella rozzezza ed era incapace di rendersi pubblicamente simpatico), provenienza culturale e geografica era esattamente il suo opposto.Lyndon Johnson – che il 20 gennaio 1969 avrebbe abbandonato la carica, non cercando un nuovo mandato, amareggiato e profondamente deluso per non avere saputo risolvere il problema Vietnam che il predecessore gli aveva lasciato in eredità – resta nella storia come uno dei più grandi Capi di Stato che gli Stati Uniti abbiano mai avuto.Di umili origini, Texano e per ciò stesso, agli inizi della carriera politica, un classico democratico del Sud conservatore e segregazionista, seppe man mano evolversi fino ad essere il Presidente che più di ogni altro ha concretamente agito a favore dei poveri, delle minoranze razziali e, in genere, dei reietti, attraverso una lunghissima serie di provvedimenti tesi a riformare lo stato sociale e ciò malgrado la forte ed organizzata opposizione di parte del Congresso e di larghe fasce della popolazione bianca più conservatrice in tema di diritti civili.La visione politica di Johnson si concretizzò mediante l’attuazione del suo programma riformatore messo a punto in vista della campagna elettorale del 1964 e noto come ‘La grande società’ (‘Great Society’).Presentato al Congresso in quello stesso anno con un messaggio che parlava altresì della necessità di una ‘lotta alla povertà’, il progetto prevedeva istruzione, minimi sociali e assistenza sanitaria per tutti, una assicurazione pubblica per la salute e il superamento delle discriminazioni razziali.Malgrado il continuo e lacerante impegno per il Vietnam e la già ricordata opposizione, al termine del proprio mandato, Johnson era riuscito a trasformare il Paese in qualcosa di molto simile ad uno Stato ‘sociale’.I suoi programmi per la salute (Medicare e Medicard) sono radicati nella società americana; il sistema dei buoni pasto per i meno abbienti e le riforme dei programmi scolastici hanno avuto – si può affermare tranquillamente – grandissimo successo.Nessun altro Presidente ha mai presentato un programma altrettanto ambizioso, migliorando nel concreto così fortemente la vita dei più poveri e le relazioni razziali!
Un Presidente eccezionale.Subentrato il 22 novembre 1963, Lyndon Johnson utilizzò alla grande l’anno di Presidenza antecedente le elezioni del successivo 1964 ottenendo dal Parlamento l’approvazione a tamburo battente di provvedimenti decisivi in materia di diritti civili e in specie di lotta alla segregazione razziale, riducendo per la prima volta in trent’anni le tasse, volendo una normativa a proposito dei trasporti di massa e una legge sull’istruzione universitaria.Infine, proponendo al Paese ‘una guerra totale contro la povertà’.Per quanto significative risultassero tali misure, Johnson le vedeva come primi passi in vista di quella che avrebbe dovuto essere ‘la Grande Società’, un’America nella quale regnassero abbondanza e libertà per tutti.A contrastare l’impeto johnsoniano (che nella circostanza mise a segno una ‘rivoluzione geopolitica’ senza precedenti per profondità ed ampiezza che da allora consiste e regola), il Grand Old Party, nel predetto 1964, chiamò il Senatore Barry Goldwater – rivalutato negli ultimi tempi per quella che oggi viene ritenuta la sua ‘purezza ideologica’ repubblicana – che perse nettamente il Nord conquistando solo sei Stati, cinque dei quali nel Sud fino ad allora democratico, conservatore e segregazionista.Il secondo mandato del successore di Kennedy fu ancora maggiormente travolgente: ‘Medicare Act’ e ‘Medicaid Act’ per fornire ai vecchi e ai poveri l’assicurazione sociale per le cure mediche, due profondi interventi tesi a migliorare la pubblica istruzione ad ogni livello, leggi a favore della reale estensione a tutti e in primo luogo ai neri del diritto di voto fino ad allora fortemente condizionato da lacciuoli di vario genere, perfino un ‘Immigration Act’ che eliminava il sistema discriminatorio basato sull’origine nazionale in vigore dagli anni Venti.Johnson, nella realizzazione della sua ‘Grande Società’, fece inoltre approvare leggi per il miglioramento delle autostrade, contro l’inquinamento dell’aria e dell’acqua e un ambizioso programma urbanistico che voleva arrivare addirittura alla eliminazione degli slum.È, quindi, da questo momento, dopo un tale uragano, che, sia pure non di colpo, come detto, la geopolitica americana muta radicalmente.Da allora, gli Stati della costa pacifica e quelli settentrionali dell’atlantica si colorano abitualmente ad ogni elezione di azzurro (‘Blue States’), il colore dei democratici.Quelli del Sud e di buona parte del MW diventano rossi (‘Red States’) essendo appunto il rosso il colore repubblicano.‘Swing’, e cioè indecisi, gli altri i cui spostamenti – tranne casi straordinari (la seconda volta di Reagan per esempio) – determinano l’esito.
La campagna elettorale del 1968: l’uscita di scena e quel che ne consegue.Novembre 1967, il generale William Childs Westmoreland, capo delle truppe americane impegnate in Vietnam, dichiara: ‘Le speranze del nemico sono alla fine’.Il Presidente Johnson, convinto che in effetti le sorti del conflitto che, per le proteste e le opposizioni in essere, dilania internamente gli USA volgano a favore, si appresta a correre Primarie e Caucus in programma nel 1968 in vista delle elezioni novembrine.Il XXII emendamento non lo riguarda avendo egli sostituito John Kennedy nella seconda parte del suo mandato.Gli si contrappone da subito il leader dei pacifisti democratici, il già deputato e all’epoca Senatore Eugene McCarthy.Due imprevisti fermano la apparentemente facile cavalcata del Presidente in carica verso la nuova Nomination.Nella notte tra il 30 e il 31 gennaio 1968, in coincidenza con il loro capodanno, i vietnamiti sferrano una feroce e dinamica offensiva, denominata ‘del Tet’ (così nella loro lingua si chiama appunto il capodanno).L’attacco dimostra che la guerra, lungi dall’essere agli sgoccioli, può continuare per chissà quanto tempo.Ancora il 31 gennaio, i risultati della importante Primaria del New Hampshire vedono il pur vincente Johnson inaspettatamente insidiato da McCarthy.Così stando le cose, ritenendo necessario seguire l’andamento del conflitto in Indocina con grande attenzione e tenendo altresì conto del fatto che i sondaggi lo danno in pericolo nel prosieguo delle Primarie e nei Caucus, Johnson annuncia il ritiro dalla competizione elettorale.Siederà a White House fino al termine del mandato – ore dodici del 20 gennaio 1969 – e non un minuto di più.La svolta induce Robert Kennedy, fino a quel momento decisamente riluttante, a scendere nell’agoneAltrettanto, sia pure ancora più tardi tanto da partecipare ben poco alle Primarie, fa il vice di Johnson, Hubert Humphrey.Il 6 giugno 1968, Bobby prevale di misura su McCarthy nella importantissima consultazione elettorale della California.Dopo di che, muore sotto i colpi di un arabo, Shiran Bishara Shiran, che lo ritiene troppo vicino alle posizioni di Israele.Solo in corsa, il Senatore McCarthy perde smalto e non riesce a conquistare di lì in poi un numero sufficiente di delegati, tale che gli consenta di ottenere la Nomination democratica.La successiva Convention ha luogo a Chicago nel mese di agosto.Nel mentre, all’esterno, la polizia carica ferocemente i pacifisti accorsi nell’intento di condizionarne i lavori, i convenuti scelgono proprio Hubert Humphrey, scelta che, anche in considerazione del fatto che il vice Presidente era favorevole al conflitto asiatico, provoca dissensi e contrapposizioni non da poco nell’elettorato.Per la necessaria completezza di informazione, rammento che questa è l’ultima occasione in casa democratica (per i repubblicani, accadrà nel 1976) che il candidato viene scelto dalla Convenzione non riuscendo in precedenza nessuno dei papabili a raggiungere la maggioranza assoluta dei Delegati prima dell’apertura dei lavori.Dal successivo 1972 (per il GOP, dal 1980), ogni volta al Congresso si giungerà di contro a giochi fatti.Nel frattempo, in quel di Miami, i repubblicani si pronunciano incredibilmente (si fa per dire, le Primarie e i Caucus avendo ovviamente dettato l’esito) per Richard Nixon – che sembrava uscito dalla politica dopo la sconfitta contro Kennedy del 1960 e quella ancora più bruciante del 1962 per il Governatorato della California.Al fianco del resuscitato Nixon, a comporre il ticket, Spiro Agnew, un conservatore del Maryland.Le divisioni democratiche e il clima anche in merito alle sempre importantissime questioni razziali, in specie riguardo al segregazionismo ancora in opera nel Sud Governato da esponenti della destra conservatrice del partito dell’Asino, sfociarono nella nascita di un terzo partito ‘indipendente’ che concede la Nomination al combattivo boss dell’Alabama George Wallace.È intenzione di Wallace raccogliere un numero tale di delegati da impedire l’elezione – che si ottiene avendo almeno il voto del cinquanta per cento più uno dei voti elettorali (oggi, duecentosettanta su cinquecentotrentotto) – dei candidati dei due partiti principali e di far sì che la scelta passi, come determinato dal XII emendamento del 1804, alla Camera dei rappresentanti.(Per inciso, come in altre  occasioni detto, l’ultima ed unica volta nella quale tale caso si è verificato risale addirittura nel 1824, allorquando a White House approdò John Quincy Adams ai danni di Andrew Jackson, la qual cosa provocò un terremoto, la veloce dissoluzione del fino ad allora regnante partito Democratico/Repubblicano, la nascita in buona sostanza dei Democratici, l’accesso al governo nel 1829, a seguito delle elezioni del precedente anno, della ancora non bene identificabile borghesia).Alla fine – come in effetti rilevato dai sondaggi – Humphrey, partito come sconfitto senza rimedio, si avvicinò molto a Nixon in termini di voto popolare.Perse per all’incirca solo mezzo milioni di suffragi su base nazionale.Ciò non pertanto, il repubblicano prevalse nettamente in termini di Delegati Nazionali o Grandi Elettori: trecentouno a centonovantuno.Wallace, sia pure in parte e forse handicappato dalla presenza al suo fianco del generale Curtis Le May – un guerrafondaio che sosteneva che in Vietnam si poteva vincere buttando un numero tale di bombe da ricondurre l’intero Paese asiatico all’Età  della pietra – fece benissimo.Quasi dieci milioni di voti popolari, cinque Stati del Sud, quarantasei delegati: il miglior risultato di un ‘terzo’ dai tempi, 1924, di Robert La Follette.In sella, quindi, dal successivo 20 gennaio 1969, Richard Nixon, l’unico inquilino di White House costretto alle dimissioni.Una grande storia da raccontare, la sua.
(Per incidens: i Vicepresidenti subentrati e dipoi eletti in proprio per un quadriennio, come Johnson, non possono ripresentarsi per un nuovo mandato se al momento del loro subentro mancavano oltre due anni al termine del quadriennio del predecessore.In caso contrario – e Johnson era succeduto il 22 novembre 1963 quando la Presidenza Kennedy aveva già superato il termine della metà del mandato – gli è consentito chiedere una nuova Nomination ed essere eventualmente rieletti).

Martin Luther King, Cassius Clay/Muhammad Ali e il Vietnam inteso come ‘la guerra dei bianchi’.
Certo, la ‘Guerra del Vietnam’ fu indubbiamente tra le più contestate negli USA: un incredibile crescendo di malcontento, protesta e appunto contestazione e basti qui ricordare che se nelle prime settimane del 1965, quando ebbero inizio i bombardamenti sul Vietnam del Nord, nel parco municipale di Boston i dimostranti contro erano all’incirca un centinaio, il 15 ottobre 1969, nel medesimo luogo gli indignati contestatori del conflitto non erano meno di centomila.Peraltro, tra i primi a dichiararsi assolutamente contrari indubbiamente i neri raccolti nel movimento per i diritti civili.Un gruppo di uomini di colore del Mississippi, a metà 1965, distribuì un volantino che diceva:‘Nessun nero del Mississippi dovrebbe combattere in Vietnam… finché nel Mississippi tutta la popolazione nera non sarà libera’.E fu solo l’inizio.Seguirono discorsi di esponenti di colore contro la leva, denunce delle predette associazioni per i diritti civili della politica johnsoniana in Indocina come di ‘una politica di aggressione in violazione del diritto internazionale’.Ancora, e correva il 1967, eclatante per la notorietà del contestatore, il rifiuto (che gli sarebbe costato il titolo e provocò il momentaneo ritiro da parte degli organismi che governavano all’epoca il mondo delle dodici corde della sua licenza di boxeur) del nero campione del mondo di pugilato dei pesi massimi Cassius Clay/Mohammad Ali di prestare servizio in quella che definì ‘la guerra dei bianchi’.Ecco, in proposito, quanto ebbe a dire, parlando alla Riverside Church di New York, il reverendo Martin Luther King:‘Questa follia deve cessare.Dobbiamo fermarci adesso.Parlo come figlio di Dio e fratello dei poveri che soffrono in Vietnam.Parlo per coloro la cui terra viene devastata, le cui case vengono distrutte, la cui cultura viene sconvolta.Parlo per i poveri d’America che stanno pagando un duplice prezzo: le loro speranze infrante in patria, la morte e la corruzione in Vietnam.Parlo da cittadino del mondo, per il mondo che guarda atterrito il cammino che abbiamo intrapreso.Parlo da americano ai leader della mia nazione.Questa guerra è stata una nostra iniziativa, e nostra deve essere l’iniziativa di fermarla’.Magnifico discorso, in specie ove si pensi a come i predicatori neri (e King era tra i più carismatici) parlavano ai fedeli, all’atmosfera che sapevano creare, alla partecipazione che suscitavano!
Nota bene.Martin Luther King, politico e prima ancora pastore protestante, leader del Movimento per i Diritti Civili degli Afroamericani, pacifista e sulla scia gandhiana, non violento, nato ad Atlanta nel gennaio del 1929, studioso di alto profitto in campo teologico, fu estremamente importante e un vero riferimento altresì culturale e d’azione per i neri (certamente, non solo) impegnati nelle proteste e nei boicottaggi in particolare negli Stati del Sud in mano democratica ancora segregazionista.Fu – tra le mille iniziative – guida della celebre ‘Marcia per il lavoro e la libertà su Washington’ del 28 agosto 1963.Per quanto più volte in contatto con il Presidente John Kennedy, non riscontrando concretezza nei suoi atti, lo accusò apertamente  di essere in buona sostanza un parolaio.Figura di grande rilievo internazionale, come si è sopra visto, fu contro la Guerra del Vietnam.Verrà a morte per mano assassina a Menphis, il 4 aprile del 1968.Due mesi e poco più dopo, a Los Angeles – aveva appena vinto le Primarie della California per la scelta dei Grandi Elettori che lo avrebbero dovuto accompagnare alla Convention nella quale contava di ottenere la Nomination democratica – sarà ucciso anche Bob Kennedy.

Richard Nixon, oltre il ‘Watergate’.Il solo Presidente USA costretto alle dimissioni.
Correva il 9 agosto del 1974 e, per evitare un Impeachment che lo vedeva con pessime (per lui) probabilità soccombente e defenestrato (cosa mai successa in precedenza), lasciava travolto dallo scandalo politico a tutti noto come ‘Watergate’.Abbiamo del desso eticamente e guardando al comportamento nel trascorrere delle indagini, pertanto, la peggiore possibile considerazione.Giustamente?Il ‘Watergate’ cancella quindi, per dire, i grandi, veramente epocali, successi raggiunti in politica estera, in particolare l’apertura (con conseguenze in tutti gli altri campi, quello economico tra i primi) fino a quel momento inconcepibile alla Cina comunista e nemica di Mao Ze-dong?L’intelligente capacità dimostrata di scegliere i collaboratori guardando alle loro competenze e utilità, prescindendo da valutazioni  amicali o di convenienza?E al riguardo, non era forse stato Henry Kissinger uno dei suoi massimi avversari nel corso delle Primarie repubblicane del 1968 in quanto schierato con Nelson Rockfeller, duro contendente per la Nomination?E, come proprio il suo futuro Segretario di Stato ha raccontato, non lo cercò dopo la vittoria novembrina dicendogli che visto che lo considerava il migliore nel campo lo voleva con sé per quanto nemico potesse essere stato?E per il resto, quando in precedenza, nel 1960, l’8 di novembre, le Hawaii votarono per la prima volta nelle cosiddette Presidenziali, il risultato fu tra i più ‘stretti’ della storia elettorale americana.Talmente ‘too close to call’ da concludere con un vantaggio del democratico John Kennedy pari allo zero sei per cento e a poco più di un centinaio di voti popolari.Invero, il primo esito dichiarato dando addirittura il rivale repubblicano vincente con un margine di poco meno di centocinquanta suffragi.Rifatti i conteggi, al Congresso riunito il 6 gennaio seguente per la ratifica del risultato statale e la certificazione, vennero presentati al Vice Presidente che, come prescrive la Costituzione, dirigeva i lavori di quella specifica assemblea, tutti e due gli esiti.Il desso non prese minimamente in considerazione il verbale favorevole al repubblicano ufficializzando l’altro.Memorabile, visto che l’esponente che così perdeva tre Grandi Elettori era egli stesso, Richard Nixon, oltre che Vice ancora in carica (fino al successivo 20 gennaio), candidato a White House contro John Kennedy!Vale la pena qui considerarne le in fondo umili origini familiari e l’appartenenza religiosa quacchera dato che indubbiamente incombevano e ne condizionavano fortemente il tratto caratteriale.Conservatore da sempre, aveva avuto fin da subito a che fare in politica con progressisti di ottima famiglia, ricchi, liberal ed usi di mondo che in fondo lo disprezzavano venendo ricambiati con gli interessi.Visto che del Nixon meno nei particolari conosciuto vado trattando, il suo rapporto con John Kennedy – l’avversario che lo sconfisse di poco nel citato 1960 e nell’immaginario resta l’assolutamente preferibile, nobile quant’egli rozzo, contraltare – era in precedenza decisamente buono dato che i due, davvero infine apprezzandosi, avevano addirittura, da Senatori di primo pelo, partecipato assieme a manifestazioni politiche congressuali itineranti.E poi, come si fa a trascurarne l’altrettanto unica parabola elettorale che lo vide capace di una vera e incredibile resurrezione nel citato 1968 dopo la sconfitta di otto anni prima?Tutti viviamo di contraddizioni.Richard Nixon, tra gli uomini politici americani, più di chiunque altro!
Nixon nel locale caldaia, quando corre il 1964. Opera comunque e guarda sempre lontano.
Richard Nixon ha perso due elezioni in un amen.Da John Kennedy per White House nel 1960.Da Pat Brown per il Governatorato della California nel 1962.Non può (lo vorrebbe…) candidarsi nel 1964 per la Nomination del suo GOP.Ma non riesce a stare davvero fermo, soltanto a guardare.Non è nella sua natura.Mette pertanto in piedi – la sede è in un locale caldaia a Portland in Oregon – una struttura clandestina che deve operare per consentirgli di valutare per il meglio le opzioni possibili e infine se e chi appoggiare tra i più seri aspiranti alla investitura per l’ultimo passo.Avendo concluso che il vincitore della contesa sarebbe stato Barry Goldwater, decide di sostenerlo e lo fa a spada tratta: centocinquantasei i discorsi pubblici che propone.Sappiamo bene come la disfida del Senatore repubblicano dell’Arizona andò allora a finire.Confrontato come era a quel davvero grande Uomo e straordinario riformatore, quanto ai Diritti Civili e delle minoranze dedito senza limiti, capace di una vera e duratura Rivoluzione Geopolitica che ha modificato per sempre gli esiti elettorali tra Sud e Nord, che fu Lyndon Johnson, venne demolito vincendo solo nel suo Stato e in cinque di quel Deep South nel quale (tutto) la conservazione meno intelligente e il Segregazionismo avevano trovato, fino alla precedente tornata, collocazione.Nel partito dell’Asino, cioè, quale dalla fine della Guerra di Secessione si era articolato, radicato e palesato.Avendo però l’ex Vicario di Eisenhower comunque dimostrato di esserci e di non avere deposto le armi, infine non addolorato (Goldwater andava ovviamente in  pensione, per così dire, ed era in prospettiva un avversario interno in meno…), guardò in avanti.Chissà se nel 1968 gli sarebbe riuscito di combinare qualcosa sulla strada verso l’agognato potere esecutivo che tanto tenacemente desiderava esercitare?Chissà?
Nixon sceglie Kissinger: come andò.
Primarie e convention repubblicane del 1968.Henry Kissinger funge da consulente per la politica estera del Governatore del New York Nelson Rockfeller (del quale parlerà sempre molto bene considerandolo un politico con interessi personali assolutamente meno determinanti degli ideali riformatori dai quali era mosso) cui a Miami il GOP nega la Nomination concedendola invece a Richard Nixon.Amareggiatissimo, Kissinger sbotta in una frase che gli sarà successivamente spesso ricordata:‘Questo Nixon non è adatto a fare il Presidente!’Incredibilmente, sconfitto Humphrey a novembre e una volta in sella a White House, Nixon lo chiamerà.   Trattando di questo nel successivo 1972, il Nostro dirà:‘Il Presidente ha dimostrato una grande forza, una grande abilità.Anche nel chiamarmi.Non l’avevo mai avvicinato quando mi offrì questo lavoro.Io ne rimasi sbalordito.Dopo tutto, conosceva la scarsa amicizia e la poca simpatia che avevo sempre mostrato per lui.Oh, sì: dette prova di grande coraggio a chiamarmi’

Edmund Muskie e George McGovern, la ‘Lettera canadese’ e non solo.
1972, McGovern invece di Edmund Muskie.Il 25 marzo 1997, a settantotto anni di età, moriva l’ex Segretario di Stato americano (con Jimmy Carter) e candidato alla Presidenza Edmund Muskie.Per quanto l’uomo sia indubbiamente da annoverare tra i più degni espressi nella seconda metà del Novecento dal partito democratico USA, di lui, forse, non metterebbe conto parlare non fosse per il fatto che fu, storicamente, il primo avversario contro il quale si dispiegò l’operato di quei poco raccomandabili ‘sostenitori’ di Richard Nixon successivamente protagonisti del Watergate in quel tristemente famoso stesso anno elettorale 1972.Alla vigilia dell’importantissima Primaria del New Hampshire (che all’epoca – ed anche oggi dopo qualche precedente rientrato spostamento – in verità a seguito del Caucus dell’Iowa, nel calendario aveva luogo in febbraio e che, tradizionalmente, è la numero uno del genere e per ciò stesso una delle più importanti), tutti gli analisti, confortati dall’esito dei sondaggi, davano pressoché certa la scelta da parte democratica di Muskie quale antagonista del Presidente in carica nelle votazioni novembrine per White House.Fu allora che, temendo il forte richiamo popolare che il candidato di origini polacche poteva vantare, gli ‘amici’ di Richard Nixon decisero di usare ogni mezzo per screditarlo e per indurre i democratici a puntare, come in effetti avvenne, su un avversario più facilmente battibile.Si cominciò introducendo tra i collaboratori di Muskie alcuni infiltrati che ne boicottarono le prime mosse e si proseguì, proprio nel New Hampshire (Stato abitato allora per la buona parte da bianchi conservatori, se non, addirittura, razzisti), facendo telefonare a tappeto, di notte, a diverse migliaia di elettori da parte di un fantomatico e sedicente gruppo battezzato ‘Harlem per Muskie’ che raccomandava di votarlo perché in precedenti occasioni si era dichiarato favorevole all’integrazione razziale e contrario ad ogni forma di emarginazione.Ovviamente, visto il tipo di elettorato e l’ora prescelta per telefonare, l’esito per il candidato democratico fu disastroso.Non ancora certi di averlo affossato a vantaggio di George McGovern (il suo rivale interno al partito dell’Asino preferito dai nixoniani), ci si adoperò per il colpo finale.Fu fatta circolare in tutto lo Stato, alla vigilia della votazione e senza che ci fosse il tempo per abbozzare una smentita, una copia falsificata di una lettera – nota, in seguito, come ‘la lettera canadese’ – nella quale Muskie risultava (e non era assolutamente vero) essersi espresso in termini spregiativi nei confronti della comunità franco canadese di cui moltissimi esponenti risiedono appunto nel New Hampshire.La conclusione fu che le televisioni americane, alla proclamazione dei risultati della Primaria in campo democratico, trasmisero in tutto il Paese l’immagine di un uomo in lacrime sotto la neve, sconfitto non dagli avversari sulla base di un leale confronto di programmi e idee, ma da una meschina e perfettamente riuscita macchinazione.Così una persona onesta e assolutamente in grado di ben governare gli Stati Uniti dovette rinunciare ai propri sogni costretto da allora a convivere con una profonda, inguaribile indignazione.Così (nonché in conseguenza di un attentato che eliminò dalla competizione George Wallace che era rientrato nel partito dell’Asino), l’assai meno temibile Senatore del Sud Dakota George McGovern ottenne la Nomination democratica.

Lo ‘scheletro nell’armadio’ di Thomas Eagleton, candidato alla Vicepresidenza con George McGovern.
A rendere ancora più facile la vittoria di Richard Nixon nel 1972 concorse non poco il fatto che la scelta dai rivali quale Runnig Mate di McGovern nel ticket fosse il Senatore del Missouri Thomas Eagleton che in precedenza era stato sottoposto a cure psichiatriche e lo aveva tenuto nascosto (un classico ‘scheletro nell’armadio’).La ritardata sostituzione del candidato Vice nonché alcune donchisciottesche e poco realistiche prese di posizione di McGovern consentirono al Presidente in carica di ottenere in carrozza la conferma. Anni dopo, alla domanda fattagli dall’ancora più brutalmemte battuto Walter Mondale,‘Quando passa il bruciore di una sconfitta tanto dura?’ lo sconfitto anche risponderà‘Mai!’

George Wallace: segregazionista e/o liberal
Quante mai volte George Wallace ha cambiato opinione e posizione a proposito del segregazionismo?Sconfitto per il governatorato dell’Alabama quando per qualche verso liberal.Eletto a valanga quando passato al razzismo più becero.Rieletto, infine, pentito e di bel nuovo liberale.Non sapremo forse mai chi fosse e cosa davvero pensasse George.Sappiamo invece che nelle presidenziali del 1968, proponendosi come ‘terzo’ contro Richard Nixon e Hubert Humphrey, seppe conquistare tutti e cinque gli Stati del ‘profondo Sud’ e un bel mucchietto di delegati.Dopo quello conseguito da Teddy Roosevelt nel 1912, il miglior risultato di tutto il Novecento di un aspirante alla Casa Bianca non espresso dai due partiti dominanti.Ci riprovò quattro anni dopo, questa volta nelle Primarie democratiche, ma un attentato lo costrinse sulla sedia a rotelle.Non fu, alla fine, neppure questo a fermarlo a livello nazionale.No, è che il suo momento e quello dei segregazionisti in genere era passato.

Gerald Ford 
Secondo una antica tradizione, Dio salva l’umanità nonostante le sue numerose trasgressioni perché, in ogni periodo ci sono dieci sole persone che, senza essere consapevoli del loro ruolo, riscattano il genere umano.Gerald Ford era una di queste persone!’Henry Kissinger.
Gerald Ford electoral story.
Henry Kissinger – che fu suo Segretario di Stato, che con lui aveva in precedenza lungamente collaborato e che pertanto bene conosceva – scrisse e pronunciò lo straordinario elogio funebre di Gerald Ford che sopra ho riportato, dell’uomo che tutti consideravano relativamente poco e che d’altra parte, poco si considerava.Prendo qui in esame la particolare, unica e inimitabile invero, carriera politica del nativo di Omaha (è mia precisa convinzione che essere colaggiù venuti al mondo sia cosa positiva, decisamente non pochi importanti personaggi dandone testimonianza) iniziata nel dopoguerra con l’elezione nel 1948 alla Camera e l’entrata in carica nel 1949.Uomo assolutamente integerrimo, impeccabile e degno, Ford fu confermato senza colpo ferire ogni due anni (il mandato camerale è appunto biennale) fino alle votazioni del 1972.A quel momento era (e da qualche anno) il leader della minoranza repubblicana nel consesso.Parlando con la moglie, il Nostro aveva promesso di candidarsi un’ultima volta nel 1974 per poi lasciare la politica attiva.Allorquando però il Vice Presidente in atto Spiro Agnew si dovette dimettere per scandali relativi al suo trascorso in Maryland, applicando per la prima volta il disposto dell’Emendamento approvato per porre rimedio alla vacanza del Vicario, il Presidente Richard Nixon si trovò a dovere indicare il sostituto dello stesso.La nomina spettava sì al Capo dello Stato ma doveva poi essere ratificata dai due rami del Congresso in quel momento largamente in mano ai democratici.Fu così lo Speaker di casa dem Carl Albert a dire a Nixon ‘Non c’è altra scelta che Ford’.Parlando con la moglie, Gerald ne aveva trovato il consenso:La Vice Presidenza’, gli aveva detto Betty, ‘è un modo davvero carino per chiudere!’Era dicembre e correva il 1973.Di lì a otto mesi, dimessosi anche Nixon (causa Watergate), il ‘modo davvero carino per chiudere’ diventava la Presidenza.È a questo punto che Gerald commise l’unico sbaglio di una giustamente fortunata carriera.Avrebbe dovuto portare a termine il mandato ereditato e andarsene.Non lo fece.Lottò per un altro quadriennio a White House e perse.Per la prima volta in vita sua – certamente le sue ali essendo appesantite dai non dimenticati gravi dello scandalo con il quale non aveva avuto personalmente nulla a che fare ma che sul Grand Old Party incombeva – fu sconfitto.Non ebbe pertanto quel ‘modo davvero carino di chiudere’ al quale la consorte aveva aspirato.
Gerald Ford e Nelson Rockfeller.
È fino alla approvazione da parte del Congresso e alla successiva ratifica ad opera degli Stati del testo del XXV Emendamento – che entra in vigore nel febbraio del 1967 – che la successione del Vice Presidente subentrato alla Casa Bianca, o morto in carica, o dimessosi, non è prevista dal testo costituzionale USA.È pertanto occorso in precedenza che nelle numerose circostanze nelle quali il vicario è succeduto al titolare, è deceduto, così come quando John Calhoun – il solo ad averlo fatto ad allora – ha deciso di lasciare, lo scranno sia rimasto vacante fino alla entrata in carica, a seguito della successiva convocazione dei seggi, del neoeletto.Per capirci, per fornire un facile esempio, allorquando, assassinato John Kennedy nel novembre del 1963, Lyndon Johnson gli succede a White House, il Paese resta senza un Vice fino al 20 gennaio del 1965, giorno nel quale Hubert Humphrey, secondo componente il ticket democratico vittorioso nel 1964, si insedia al fianco dello stesso Johnson.Occorre nel 1973 che l’iter come determinato sia effettivamente messo in atto.È difatti nel mese di ottobre dell’indicato anno che Spiro Agnew, Vice di Richard Nixon, a seguito di uno scandalo, rassegna il proprio mandato e il Capo dello Stato indica come sostituto Gerald Ford.Sono i tre repubblicani e la cosa va sottolineata perché è in ragione della comune appartenenza partitica che la successione ha luogo con relativa tranquillità visto che nella ipotesi alternativa, ove non fosse stato in vigore il testo del XXV, ci si sarebbe trovati ad avere come ‘secondo’ lo Speaker della Camera che era a quel mentre un democratico e dipoi – obbligato nel seguente agosto anche Nixon a lasciare per il Watergate – sarebbe stato inaccettabile per il Grand Old Party, comunque vittorioso nel precedente 1972, seguendo le regole di subentro precedentemente in vigore, vedere al posto di comando un esponente del partito rivale (così come, d’altra parte, contro ogni regola che il Paese fosse governato da chi aveva in effetti perso l’elezione).Ratificata dai due rami del Congresso la scelta Ford e, come appena ricordato, entrato quegli susseguentemente alla Executive Mansion, ci si trovò a lamentare di bel nuovo la mancanza di un Vice.Fu pertanto necessario che il solo Presidente americano non eletto (neppure quale secondo) e comunque a tutti gli effetti giuridici assolutamente in regola, scegliesse a propria volta il vicario.Ford, nella circostanza, optò per Nelson Rockfeller.Ciò che quindi accomuna i due è il fatto di essere arrivati, per di più l’uno dopo l’altro, sul secondo gradino del potere esecutivo federale in questo particolare e inedito modo.Per la storia, nelle votazioni seguenti datate 1976, a Rockfeller il partito repubblicano preferì quale partner dell’a questo punto candidato Ford Bob Dole (Rockfeller fu escluso) e comunque il ticket GOP perse a favore del duo democratico Jimmy Carter/Walter Mondale.

Jimmy Carter, con una nota riguardante la sfida a lui portata per la Nomination dem 1980 da parte di Ted Kennedy.
Già ufficiale di Marina e Governatore della Georgia dal 1970, costui – il primo Sudista ad essere eletto Presidente dopo la Guerra di Secessione – ottenuta a sorpresa la Nomination dal partito dell’Asino in ragione del vasto seguito che aveva saputo costruirsi al di fuori dell’apparato nel corso delle Primarie, insediatosi, ebbe un avvio di mandato sfolgorante.Ciò, soprattutto per tre motivi: il suo pubblico, aperto e simpatico atteggiamento che gli guadagnava il consenso popolare, i buoni risultati in campo economico, il successo in politica estera, culminato con gli Accordi di Pace di Camp David tra Egiziani ed Israeliani.Disastroso, invece, il secondo biennio durante il quale l’inflazione riprese a galoppare e, soprattutto, dovette subire una lunga serie di scacchi e di sconfitte diplomatiche – tra cui l’invasione sovietica dell’Afghanistan – proprio nel campo della politica internazionale.Nell’aprile del 1980, già in campagna per una riconferma (1), fu definitivamente piegato dal fallimento del tentativo, da lui avallato, di liberare i molti ostaggi americani in mano a Teheran dei seguaci di Khomeini.‘Anitra zoppa’ quanto altri mai, fu travolto a novembre da Ronald Reagan.(Assai più ‘facile’ per un democratico defenestrare un repubblicano che viceversa.Carter è in effetti solo il secondo Asinello a perdere nella ricerca di un secondo mandato dopo Grover Cleveland che comunque poi riuscirà a tornare in sella.Benjamin Harrison, William Taft, Herbert Hoover, Gerald Ford, George Herbert Bush, Donald Trump i GOP invece nella incombenza sconfitti).Si consolerà con la conquista, meritatissima, nel 2002 del premio Nobel per la Pace dopo lunghi anni trascorsi ad operare da semplice cittadino quale mediatore autorevolissimo di varie crisi internazionali.
(1)Occorse nella circostanza all’incumbent di essere sfidato per la Nomination da un combattivo e assolutamente noto Senatore, il più giovane appartenente alla famiglia Kennedy, Edward, detto Ted.Respinse sanguinando gli attacchi del contendente il buon Carter, ma – accade di sovente in queste comunque e invece non frequenti circostanze – il Presidente messo in dubbio all’interno del proprio movimento politico perde poi il confronto con il pretendente del partito avverso.E così avvenne il 4 novembre allorquando, Ronald Reagan lo sconfisse per quarantaquattro Stati a sei (più il District of Columbia) e per quattrocentoottantanove Grandi Elettori a quarantanove, una vera disfatta. Considerato l’andamento dei mano mano affluenti sondaggi e l’attribuzione a Reagan di un sempre più consistente numero di Stati con i relativi Elettori (iniziale maiuscola), il Nostro concesse un po’ troppo velocemente la vittoria al repubblicano la quale cosa, secondo gli analisti, costò localmente seggi ai democratici perché trattenne a casa quanti nell’incertezza sarebbero comunque andati ai seggi per votare il loro Rappresentante (meno influendo il comportamento quanto al più ampio numero di aventi diritto ad esprimersi con riferimento al Senato il cui ambito è quello dei confini del singolo Stato). Per la completezza necessaria, era nel 1980 in corsa anche l’indipendente John Anderson.Già repubblicano, fu gradito in notevole ma ovviamente relativo caso nelle Università e negli ambienti culturali più elevati del Paese, la qual cosa gli valse un sei e sei per cento del voto popolare, non poi malaccio.

Ronald Reagan, in difficoltà quanto all’ottenimento della Nomination, meno straripante elettoralmente di quanto sia apparso e narrato.
Il più travolgente dai tempi di James Monroe (il quale nel 1820 aveva tutti i Grandi Elettori a favore anche se poi uno, in sede di votazione collegiale, optò per John Quincy Adams negandogli l’unanimità che resta quindi appannaggio del solo Padre della Patria George Washington in entrambe le occasioni nelle quali accettò di presentarsi, nel 1788/89 e 1792) ove ci si dimentichi (perché farlo? ma succede) del trionfante Franklin Delano Roosevelt (che non vinse in Vermont e Maine) sul povero Alfred Landon nel 1936, ‘a valanga’, come si dice, la sua vittoria datata 1984 (non che quattro anni prima fosse stato in difficoltà nel defenestrare Jimmy Carter).Il Ronald Reagan del quale si parla, in cerca di un secondo mandato, vince martedì 6 novembre per voti popolari in tutti gli Stati tranne che, davvero per un nonnulla, nel Minnesota – dal quale  il contendente democratico, già Vice Presidente, Walter Mondale proveniva – e nel District of Columbia che si esprime con percentuali di spaventose per gli Asinelli ogni qual volta.Quanto ai Grandi Elettori, arriva a contarne a favore nel Collegio che li raduna e che effettivamente nomina il Capo dello Stato ‘il primo lunedì dopo il secondo mercoledì del dicembre successivo’ cinquecentoventicinque su cinquecentotrentotto (il novantasette e sei per cento, anche qui, per un niente, meno di F. D. R. ‘36) lasciandone sul campo, orfanelli impauriti?, tredici!Un vincente di assoluta razza l’ex Governatore della California quindi e pertanto anche a livello di campagna e voto presidenziali.Certamente.Ma come non ricordare qui ed ora quanto difficoltoso per lui sia stato, prima, in precedenza rispetto al 1980, ottenere la tanto agognata Nomination dal Grand Old Party?Eletto in California nel 1966 e pertanto in carica dal 2 gennaio seguente, già tra i massimi e più autorevoli esponenti a livello nazionale, autore del famoso e fondamentale intervento noto semplicemente (non che semplice fosse, inquadrando come faceva il futuro programma del partito) come ‘The Speech’ (invero, ‘The Time of Choosing’, 27 ottobre 1964), l’ex attore (come tale capace per due volte di essere indicato e per un totale di quasi sette anni, da Hollywood Presidente dello ‘Screen Actor Guild ‘, il Sindacato che radunava praticamente tutti quanti nella Mecca del Cinema come in televisione operassero) corse per l’investitura una prima volta nel 1968.Fu in quella circostanza costretto alla resa dall’incredibilmente di nuovo in spolvero Richard Nixon, risorto come e più di Lazzaro dopo le sconfitte del 1960 contro John Kennedy e – che sembrò definitiva e non lo era – del 1962 in California per la carica governativa che gli fu negata dal democratico Pat Brown.Impossibile ovviamente per Ronnie scendere nell’agone quattro anni dopo essendo ovvio e certamente vincente candidato repubblicano l’uscente Nixon.Possibile invece, eccome, nel 1976 cercare di battere nelle Primarie Gerald Ford, subentrato nella Executive Mansion al dimissionario, causa ‘scandalo Watergate’, nativo di Yorba Linda.È nella circostanza il Nostro, incredibilmente?, di bel nuovo respinto anche se questa seconda volta in sede di Convention e per pochi suffragi.È quindi solo al terzo tentativo, quattordici anni dopo il primo, che ce la fa!Da ‘vecchio’ – anche se rifiuterà assolutamente di ritenersi tale – visto che al momento della entrata in carica il 20 gennaio del 1981 gli mancavano pochi giorni (era nato il 6 febbraio del 1911) al compimento dei settanta anni!(Record che sarà battuto da Donald Trump, il 20 gennaio 2017 ben più che settantenne e frantumato da Joe Biden esattamente un quadriennio dopo contando già settantotto anni e due mesi!)Per quanto attiene alla sua capacità di trascinamento dei candidati a lui vicini partiticamente si guardi il capitolo ‘Coattail Effect’ in a fine trattazione o quasi.

Walter Mondale, l’uomo del Minnesota (e Geraldine Ferraro, la prima donna in un ticket).
Apprezzato e in qualche modo ‘allevato’ da Hubert Humphrey, democratico tra i maggiori degli anni Sessanta, Walter Mondale percorre alla grande tutti i gradini della politica locale nel suo Minnesota.Sarà anche Senatore a Washington ma il momento culminante della sua carriera è indubbiamente datato 1976.È in quella temperie candidato alla Vice Presidenza a fianco di Jimmy Carter.Il ticket democratico, ancora sull’onda e sfruttando l’eco dello ‘Scandalo Watergate’ che aveva travolto il repubblicano Richard Nixon e debilitava la campagna dell’uscente Gerald Ford, a novembre del citato anno prevale e Mondale occuperà dal 20 gennaio del 1977 e fino al 20 gennaio 1981 uno scranno che per il vero non illuminerà particolarmente con azioni politiche degne di nota per quanto avesse concordato con Carter una collaborazione particolare, decisamente più attiva e consapevole degli affari governativi rispetto a quella usualmente concessa ai Vicari.Defenestrato da Reagan, trascorsi quattro anni, otterrà nel 1984 la Nomination che lo porterà a sfidare l’ex Governatore della California in quella tornata elettorale.Per quanto nella circostanza abbia introdotto nel ticket quale candidata Vice una donna (la prima in questa prospettiva in uno dei due partiti maggiori) Geraldine Ferraro (per di più, italo americana, cosa però favorevole solo in alcuni Stati) sarà travolto, come, del resto e a sua scusante, con ogni probabilità, in quella situazione sarebbe stato travolto qualunque altro oppositore democratico dell’allora sfolgorante GOP.(Purtroppo per lui, in un confronto tv con un Reagan in grande spolvero – scena che contribuì certamente a farlo perdere – scoppiò a ridere ascoltando la battuta del rivale che per anticipare ogni riferimento al fatto che fosse anziano come candidato, dichiarò che non avrebbe approfittato delle sue giovinezza ed inesperienza).Sarà dipoi, sotto Clinton, Ambasciatore in Giappone.Longevo – era nato il 5 gennaio del 1928 – si è spento novantatreenne il 19 aprile 2021, essendo peraltro ancora vivente Jimmy Carter, più anziano di oltre tre anni.

George Herbert Bush, ovvero perdere essendo probabilmente il migliore in politica estera e un gentiluomo senza pari.
‘Cina’, imperdibile saggio di Henry Kissinger.Nell’argomentato capitolo dedicato a Piazza Tienanmen, ecco stagliarsi la figura di altissimo profilo, di lunga esperienza e davvero grandi specifiche capacità dell’allora Presidente George Herbert Bush.Si comporta nella difficile circostanza il detto nel modo migliore possibile concedendo a Deng Xiaoping quanto necessario per mantenere comunque in essere l’allora diciassettenne rapporto con Pechino.Afferma e comunque contemporaneamente e idealmente impone i principi di democrazia sui quali sono stati fondati gli Stati Uniti che ‘sono valori che determinano il modo nel quale gli Americani giudicano e reagiscono agli eventi che accadono negli altri Paesi’.Riesce ad essere fermo ed elegante, flessibile e severo.Accadrà ciò malgrado colà – e come altrimenti avrebbe potuto concludersi quel mano, mano sempre più inevitabile disastro? – quanto purtroppo bene conosciamo.Vedemmo all’opera – di certo non soltanto in quella circostanza – il migliore Presidente USA d’ogni tempo in politica estera.Esserlo non lo salverà.Nel novembre del 1992, dopo che, finita a febbraio dell’anno precedente in modo assolutamente favorevole altresì la ‘Guerra del Golfo’, il suo indice di popolarità e consenso era arrivato ad un mai visto ottantanove per cento, sarà sconfitto da un simpatico e periferico giovanotto dell’Arkansas di nome Bill Clinton, sostanzialmente impreparato a tutto, al quale darà elettoralmente una decisiva mano un ‘terzo’ indipendente e miliardario, Ross Perot, spuntato fuori dal nulla. Memorabili le righe di sincero augurio che il gentiluomo lascerà sulla scrivania nella Sala Ovale al successore. Così va il mondo.

Bill Clinton, ‘oh lucky man’
Pochi Presidenti sono stati fortunati quanto Bill Clinton.Fino al 1992 sconosciuto Governatore del periferico Stato dell’Arkansas, il Nostro (abilissimo nel condurre le campagne elettorali, bisogna pur dirlo) riuscì in quell’anno a conquistare nelle Primarie la nomination democratica approfittando dell’inspiegato ritiro di Mario Cuomo, il favorito, e della pochezza dei contendenti in campo incapaci di proporsi quali serie alternative.Di più, ebbe ragione a novembre di un George Herbert Bush impelagato in una seria crisi economica ed azzoppato dalla candidatura del terzo incomodo Ross Perot (un miliardario in corsa in proprio e successivamente, quattro anni dopo con minore successo, per il da lui fondato ‘Reform Party’) che non si affermò in nessuno degli Stati ma sottrasse all’incumbent i voti necessari per una conferma.In crisi nei primi due anni di mandato durante i quali le sue proposte riformiste non trovarono appoggio nel Congresso che pure era a maggioranza democratica, Clinton, nel 1994, dopo la sconfitta del suo partito nelle Mid Term Elections, si trovò a combattere con due camere dominate dal GOP.Salvato da una improvvisa ripresa dell’economia certamente non conseguente ad alcun suo significativo intervento, nel secondo quadriennio seppe ricollocarsi al centro adottando molte delle proposte inizialmente avanzate dai repubblicani.In politica estera, poi, godette dei vantaggi derivanti dalla favorevole situazione internazionale conseguente allo smembramento dell’Unione Sovietica.Infine, con indubbia abilità e pur sorpreso più volte a mentire pubblicamente (anche sotto giuramento), si salvò dagli impicci conseguenti allo scandalo Lewinsky cavandosela alla meno peggio, allorché, secondo Presidente dopo Andrew Johnson, gli toccò subire l’onta dell’impeachment.D’altra parte, Napoleone confessava di preferire a tutti i generali fortunati!
Come si stringe la mano.Mille e mille e, alla fine, decine di migliaia, le strette di mano scambiate all’uscita delle fabbriche, degli uffici, dei cinema, dei teatri e di ogni e qualsiasi altro posto di lavoro o di ritrovo con i potenziali elettori da un aspirante alla Casa Bianca durante l’interminabile campagna elettorale.Alla sera, prima di andare a letto, massaggi e panni caldi per recuperare l’uso dell’intero arto destro messo a cotanta prova.Ma, ovviamente, al di là delle strette di mano distribuite in queste occasioni a chi capita capita, importantissime quelle concesse negli incontri pubblici o privati a quanti al candidato vengono nominalmente  presentati.Maestro indiscusso di questo particolare e molto più intimo contatto, l’ex presidente Bill Clinton la cui ‘azione’ venne attentamente studiata e descritta da Joe Kline (autore del best seller ‘Colori primari’, ai tempi uscito come opera anonima), capo redattore di Newsweeck, che ne seguì l’avventura nel 1992, allorché, quasi fuoriuscendo a sorpresa dal nulla o dal cilindro di un prestigiatore, gli riuscì di sconfiggere George Herbert Bush, per parte sua reduce dalla vittoriosa ‘Guerra del Golfo’ e, in partenza, considerato imbattibile.Fondamentale, nel caso, l’uso della sinistra che ‘lavora’ nel mentre la destra si avvolge, vigorosamente ma senza stritolarla, alla mano del bencapitato.Scrive il predetto Kline:‘Può posarvela sul gomito, oppure sul bicipite: significa che voi gli interessate; conoscervi per lui è un onore.Se al contrario sale più su e, per esempio, vi avvolge il braccio sinistro attorno alle spalle, in qualche modo c’è meno confidenza, più distacco: si farà due risate con voi oppure vi rivelerà un segreto (un segretuccio, niente di trascendentale) lusingandovi con l’illusione di essere suoi complici.Ma se non vi conosce tanto bene e voi gli avete appena detto qualcosa di importante, una cosa seria o nata sull’onda di una grande emozione, si avvicinerà e vi farà omaggio di una stretta a due mani, abbrancandovi polso e avambraccio con la sinistra’Il tutto, ovviamente, nel modo più naturale perché lo sguardo del candidato per natura vincente che si posa sul nuovo sodale comunica che crede veramente in tutto quel che fa  e che d’ora in poi, qualsiasi cosa capiti, nessuno potrà cancellare la nuova e profonda amicizia appena nata.

Mario Cuomo, il candidato non pervenuto.
Due mezze righe, non di più…Ecco lo spazio dedicato a Mario Cuomo da Maldwyn Jones nella sua imperdibile ‘Storia degli Stati Uniti d’America’.Troppo poco davvero!Certo, come candidato alla Casa Bianca è stato un disastro e non per i risultati conseguiti.Nel 1988, in buona posizione nei sondaggi e nelle indicazioni degli esperti in specie dopo il ritiro di Gary Hart, decide di non partecipare alle Promarie democratiche e lascia così via libera a Michael Dukakis.Quattro anni dopo, da tutti considerato il vero, possibile candidato vincente e non solo nella corsa interna al partito dell’Asino, non scende in campo nella maratona che porterà i democratici a scegliere Bill Clinton e a dipoi strappare White House ai GOP.E nell’uno come nell’altro caso, non dà spiegazioni!Ma se a livello nazionale delude, non altrettanto fa nel New York.Governatore in carica dall’1 gennaio 1983, reggerà lo scranno di Albany fino al 31 dicembre 1994: tre mandati governatoriali consecutivi e con il plauso di tutti.Di lui, trasfigurandone in qualche modo aspetto e caratteristiche, si occupa, alquanto fuggevolmente come giusto visto il rifiuto, l’anonimo autore (si scoprì solo successivamente che si trattava del columnist Joe Klein) dell’ottimo ‘Colori primari’, il romanzo/documento che racconta con bello stile la storia, le vicende, gli accadimenti – vissuti dall’interno dello staff del candidato in seguito vincente – della campagna elettorale del 1992. Italo americano con origini anche in quel di Tramonti – paese al quale sono molto legato – ha trasmesso la sua forte passione al figlio Andrew, peraltro di recente, attaccato sul piano dei rapporti con le donne, costretto a lasciare la poltrona di Albany che un tempo fu sua.

Ross Perot, il terzo incomodo
Per quanto non tutti gli analisti concordino al riguardo, a mio parere senza dubbio, la partecipazione di Ross Perot alle elezioni per la Casa Bianca del 1992 favorì grandemente lo sfidante democratico Bill Clinton e, pescando decisamente tra gli elettori GOP, scardinò al punto di fargli perdere la partita le difese del repubblicano Presidente uscente George Herbert Bush.Catturare da indipendente (e pagandosi personalmente la campagna), come fece il miliardario texano nell’occasione, addirittura il diciannove per cento dei voto popolare è impresa di grande rilievo superata nel Novecento solo da un altro ‘terzo uomo’, Theodore Roosevelt  nella tornata del 1912.Ove si guardi, invece, agli Stati e ai delegati, Perot non vinse da nessuna parte (riuscì a classificarsi secondo solo nel Maine e nello Utah) e di conseguenza non ebbe la possibilità di contare su nessun voto elettorale alla riunione del Collegio Nazionale dei Grandi Elettori.Meglio di lui da questo punto di vista, pertanto e sempre nel Novecento, in tre al di là dell’appena citato primo Roosevelt: Robert La Follette, J. Strom Thurmond e George Wallace.Oltre al linguaggio usato, comprensibile a tutti, e alla semplicità delle proposte, al risultato contribuì notevolmente la sua partecipazione ai dibattiti televisivi nei quali si dimostrò efficacissimo.Ripropostosi nel 1996, questa volta non da indipendente ma da rappresentante del Reform Party da lui fondato, raccolse poco più dell’otto per cento dei voti e nuovamente nessun delegato.Peraltro, in questa seconda occasione, Perot non fu ammesso ai citati e importantissimi dibattiti tv perché, contrariamente a quattro anni prima, i sondaggi non gli attribuivano una presa superiore al quindici per cento, il limite minimo da raggiungere per essere ammessi.

Bob Dole, candidato d’onore.
Capita – in particolare quando un Presidente in carica e in cerca di un nuovo mandato sia con evidenza difficilmente battibile – che il partito avverso, quasi inavvertitamente palpando per così dire l’aria che tira, candidi un proprio esponente certamente di spicco, d’onore (tale la mia definizione nel caso), ma in qualche modo sorpassato.Destinato pertanto a perdere, anche se dignitosamente.(Non, come quando semplicemente proponga l’uomo sbagliato e il malcapitato venga travolto). Guardando a un passato abbastanza lontano, il repubblicano Theodore Roosevelt imperversante, per dire, il democratico Alton Parker (1904).Ad anni più recenti, opponendo al rampante Bill Clinton, l’usurato Elefantino Bob Dole (1996), già in corsa per la Vicepresidenza nel 1976 al fianco di Gerald Ford in una campagna davvero difficile e difatti persa.(Memorabile nel dibattito pre elettorale 1996 tra i due la frase pronunciata dal Presidente che non potendo semplicemente dire che il rivale era sorpassato se ne uscì con un ‘non è vecchio, lo sono le sue idee!’).Nel caso, l’incumbent vince con relativa facilità.

Al Gore, che incredibile 2000.
Unico candidato alla Nomination in tempi recenti di uno dei due partiti maggiori a vincere nel corso della campagna interna per la conquista nei Caucus e nelle Primarie dei Delegati alla Convention in tutte le circostanze (cinquantasei su cinquantasei) con una percentuale di suffragio popolare del settantacinque e quattro.Solo oppositore l’ex grande campione cestista, medaglia d’oro olimpica, sul parquet anche in Italia a Milano, Senatore Bill Bradley.Nominato dalla Convention con quasi il cento per cento dei voti (nessuno contro su ben oltre quattromila e solo nove gli astenuti).Capace di prevalere nelle urne nazionali a novembre per oltre mezzo milione di suffragi nei confronti del rivale repubblicano.Il candidato democratico del 2000 Al Gore, Vice Presidente nei due mandati di Bill Clinton e pertanto uscente, risultò alla fine sconfitto nel Collegio Elettorale al quale fanno capo i Grandi Elettori.Battuto dopo conteggi e riconteggi delle contestatissime votazioni in Florida e i ricorsi presentati a tutti i possibili livelli, dalla definitiva determinazione della Corte Suprema che assegnava lo Stato con capitale Tallahassee all’esponente del Grand Old Party George Walker Bush.Era la terza volta che accadeva (Samuel Tilden perse allo stesso modo da Rutherford Hayes nel 1876 e Grover Cleveland da Benjamin Harrison nel 1888) e in ogni caso (accadrà nel 2016 con Hillary Rodham Clinton che vanterà milioni di voti popolari in più e perderà ugualmente nel Collegio da Donald Trump) lo sconfitto quanto alla conquista dello scranno alla Executive Mansion era risultato (e risulterà, con la prima donna davvero in grado di vincere) il candidato democratico.È questo un dato di fatto.(Per inciso, visto il conteggio – duecentosettantuno a duecentosessantasei, con uno dei delegati che non volle pronunciarsi – al democratico sarebbe bastato prevalere nel proprio Stato, il Tennessee, titolare di undici Grandi Elettori, per vincere relativamente bene).Ebbi personalmente modo di conoscere ed ascoltare Al Gore al Corriere della Sera l’8 marzo del 2001.Ospite del direttore Ferruccio de Bortoli (al quale dovevo l’invito), partecipe l’Ambasciatore Sergio Romano – due ottimi amici più volte presenti nei miei ‘Salotti’ al Caffè Zamberletti – prese parte come star ad una cerimonia intesa a celebrare i centoventicinque anni del quotidiano di via Solferino.Si presentò Gore dicendo di essere l’uomo che avrebbe dovuto sedere a quel mentre a White House, così purtroppo non potendo fare.Non memorabile, per quanto mi riguarda e rammento, invero la sua presenza.Da un punto di vista elettorale (avrà soddisfazioni altrimenti, fra le quali un discutibile Nobel per la Pace) fu quel dapprima assolutamente travolgente e poi drammaticamente deludente anno Duemila il suo canto del cigno.

Il ‘fattore Ralph Nader’,
L’esito elettorale in Florida – alla fine si è convenuto sul fatto che G. W. B. abbia colà vinto per cinquecentotrentasette voti (!) – provocò ai tempi un notevole numero di ‘accuse’ nei confronti dei Verdi e del loro candidato nel 2000 Ralph Nader.I sostenitori di Al Gore, infatti, pensavano e dichiararono che se non si fosse presentato larga parte dei voti (nello Stato con capitale Tallahassee, decine di migliaia) a lui dati sarebbero invece stati a favore del democratico con la successiva sua intronizzazione.In qualche modo, lo stesso ragionamento e la medesima accusa nel 2016 a carico di Jill Stein, a sua volta Green, e di Gary Johnson, Libertarian Party, i cui suffragi, ancora a parere di non pochi Asinelli, avrebbero influito sulla conquista da parte di Donald Trump e contro Hillary Rodham Clinton di Stati ‘catturati’ sul filo di lana e determinanti.Ma non è che così eccependo si arrivi a semplicemente a chiedere che altri non si candidino per ‘non disturbare’ e nel caso dove va a finire la democrazia?

George Walker Bush.
Le parole che seguono – escluso il capitolo finale – sono state scritte nei primi mesi del 2005.Tracciano, quindi, un ritratto del quarantatreesimo Presidente a secondo mandato appena iniziato.Vittorioso su John Kerry, all’epoca G. W. Bushnon ipotizzava certamente il rapido declino della sua fama, non sapeva che lo avrebbero ferocemente attaccato per la guerra irachena e non solo, non immaginava che sul finire del nuovo quadriennio una davvero grave crisi economica avrebbe colpito il Paese e il mondo.Credo che in un futuro non lontano la sua figura sarà ampiamente rivalutatain specie quando i devastanti fumi dellapropaganda ‘sinistra’ consentiranno, diradandosi e dipoi scomparendo, un giudizio ponderato e, se possibilebasato sugli accadimenti storici reali, un giudizio cioè non stravolto a fini soprattutto ideologici,solo in un secondo momento politici, come oggi è.
Il periodo nomade e irresponsabile.
George Walker Bush è il quarantatreesimo Presidente degli Stati Uniti d’America.Entrato in carica il 20 gennaio del 2001, è stato confermato alla Casa Bianca il 2 novembre del 2004 e il suo secondo ed ultimo mandato ha avuto così inizio il 20 gennaio 2005.È figlio dell’ex Capo dello Stato USA George Herbert Bush (in merito, un solo precedente: nel 1825, a seguito della contrastata vittoria riportata nel 1824, arrivò a White House John Quincy Adams, il cui padre John Adams aveva ricoperto lo stesso incarico dopo le votazioni del 1796) e fratello del governatore della Florida Jeb Bush.Nato a New Haven, nel Connecticut, il 6 luglio del 1946, George Walker è da considerarsi a tutti gli effetti (nel bene, secondo i suoi sostenitori, nel male a parere degli avversari e per quanto tale appellativo possa implicare) ‘texano’ essendo cresciuto dapprima a Midland e in seguito a Houston, appunto nel cosiddetto Stato della Stella Solitaria laddove i genitori si erano trasferiti.I suoi trascorsi scolastici, del tutto normali (non ebbe mai a distinguersi per brillantezza), culminano con la frequentazione della Yale University tra il settembre del 1964 e il maggio 1968.Qui, appunto nel 1968, ha ricevuto il bachelor’s degree in storia.Chiamato subito dopo alle armi (all’epoca la leva era obbligatoria) nella Air National Guard del suo Texas, evitò così di partecipare alla ‘Guerra del Vietnam’.Nel pieno delle successive campagne, in specie per la Casa Bianca, sarà duramente messo in discussione per questo e accusato di essersi imboscato.Pilota di caccia da intercettazione, fu promosso due volte per le dimostrate specifiche capacità.È qui che, per la prima volta, si rivela, a quel che scrive un superiore, ‘un leader naturale che i compagni considerano una guida’.Entrato nella Harvard Business School nel 1973, due anni dopo ha ricevuto il Master of Business Administration dalla prestigiosissima università.Ancora un biennio (siamo nel 1977), ed eccolo sposare Laura Welch, una bibliotecaria, dalla quale avrà due figlie gemelle, Barbara e Jenna.È purtroppo dedito alla bottiglia (e, con ogni probabilità, alla cocaina) e quelli che seguono sono anni difficili.Bush ne parlerà come di un periodo ‘nomade’ e confesserà di essere stato per lunghi, interminabili momenti un ‘irresponsabile’.Fra l’altro, subisce un fermo di polizia nel Maine durante un periodo di vacanza e finisce per essere arrestato e multato per guida in stato di ebbrezza.Per conseguenza, gli viene altresì sospesa temporaneamente la patente.Si dovrà attendere il 1986 – accadrà poco dopo il compimento da parte sua del quarantesimo compleanno – per assistere a un radicale e definitivo mutamento: Bush decide di smettere di bere (‘Non ho mandato giù nemmeno una goccia da allora’, affermerà alla CNN durante la campagna del 2000) e, per quanto non dichiarato, di drogarsi.   Diviene un ‘Cristiano Rinato’ passando dalla Chiesa Episcopale a quella della consorte: la Chiesa Metodista Unita.
L’attività in campo economico
George Walker – in seguito, praticamente imbattibile nelle urne – cominciò la carriera politica con una forte delusione.Fu, infatti, sconfitto nel 1978 nel suo Texas nel tentativo di essere eletto, ovviamente, per i repubblicani, alla Camera.L’anno seguente, eccolo entrare nel mondo dell’industria.Fonda la Arbusto (Bush in inglese significa proprio ‘arbusto’) Energy, una compagnia di esplorazione alla ricerca di petrolio e di gas naturale.Non gli va bene e la faccenda si ripeterà anni dopo quando un’altra società che lo vedeva tra gli azionisti, la Spectrum 7, sull’orlo del baratro, fu acquistata dalla Harken della quale subito dopo il Nostro divenne uno dei direttori.Molti i dubbi al riguardo e infiniti i sospetti visto che, nel frattempo, il padre George Herbert era il il Vicepresidente in carica.Che dire in proposito se non che il fatto che il secondo Bush non si sia certamente dimostrato un capace uomo d’affari non significa ai fini politici assolutamente nulla?Basti qui ricordare i precedenti nel medesimo campo di Harry Truman: quel grande capo dello Stato riuscì a fallire per ben due volte, prima come petroliere e, in seguito, per addirittura venticinquemila dollari, all’epoca un pacco di soldi, come merciaio.Ciò non gli impedì di essere uno dei migliori Presidenti americani!Siamo nel 1988 e George Walker si dà decisamente molto da fare per sostenere papà che è in corsa contro il democratico Michael Dukakis per succedere a Ronald Reagan.Torna in tal modo ad occuparsi di politica e in un momento tra i più belli considerando che il padre vince facilmente.Un anno ancora ed eccolo tra gli acquirenti dei Texas Rangers, una famosa squadra di baseball.Stavolta (per l’appoggio del paparino, diranno i critici e gli avversari) le cose gli vanno benissimo e quando la compagine verrà venduta il Nostro metterà in tasca un notevolissimo gruzzolo.
L’uomo politico
E siamo alla svolta!George Herbert non è più a White House.Il democratico Bill Clinton lo ha defenestrato nella campagna elettorale del 1992.È l’ora di riprovare ‘in proprio’.Bush decide di puntare al governatorato del Texas.In carica c’è Ann Richards.È sveglia, in gambissima.I sostenitori del partito dell’Asino pensano possa avere addirittura mire a livello nazionale.Ha fatto bene il suo mestiere nei quattro anni precedenti.Sembra imbattibile...Non sarà così e nel 1994 George Walker la manderà a casa.Esercitare il potere sia pure a livello statuale non è affatto semplice.Il giovane neo Governatore dimostrerà di saperlo fare molto, molto bene guadagnandosi (anche per le accuse lanciategli contro dai rivali di essere troppo favorevole alla pena di morte) fama a livello nazionale ed oltre.Notissimo il suo slogan di allora che univa il conservatorismo alla compassione nei confronti dei derelitti.Nel 1998, e non era mai successo prima in tutta la storia del Texas, viene confermato a larghissima maggioranza.È pronto per marciare su Washington e a riportare la famiglia ad occupare lo scranno che Clinton ha tolto al padre!!Emerso rapidamente e senza troppa fatica vincitore nelle Primarie repubblicane, nel fatidico 2000 il secondo Bush si trova ad affrontare il Vicepresidente in carica, il democratico Al Gore, a sua volta uscito bene dalle selezioni interne al proprio partito.Sarà una lotta all’ultima scheda che si risolverà a favore dell’esponente del GOP per pochissimi (e contestatissimi, visto che si dovrà attendere il finale e decisivo pronunciamento sulla questione della Corte Suprema che chiuderà il conto al riguardo solo in dicembre) suffragi popolari in più conquistati – ed è motivo di ulteriori contestazioni – nella Florida governata dal fratello Jeb.Per la prima volta dal 1888 (e per la terza in totale mentre la quarta si verificherà nel 2016) un Presidente viene eletto vincendo esclusivamente per collegi elettorali ed ottenendo così un maggior numero di Delegati pur avendo riportato sul piano nazionale meno voti popolari del rivale.
Dopo l’11 settembre 2002.
Inutile chiedersi che tipo di Capo dello Stato  avrebbe potuto essere George Walker Bush e quale sarebbe stata la sua azione politica se non ci fossero stati gli attentati dell’11 settembre 2001.Forse e secondo quanto aveva affermato nel corso della campagna elettorale, si sarebbe dimostrato un blando isolazionista teso ad affrontare e a cercare di migliorare in particolare i rapporti con il Canada e i vicini latino americani, Messico naturalmente in prima linea.Fatto è che, invece, la sua amministrazione si è trovata di fronte a qualcosa di assolutamente imprevisto (non di imprevedibile, però): a dover affrontare una decisiva lotta sul piano mondiale contro un terrorismo che si era dimostrato capace di offendere tanto gravemente e sul suo territorio il gigante americano.Individuazione dei cosiddetti ‘stati canaglia’…guerra all’Afghanistan e all’Iraq…caccia a Bin Laden, al mullah Omar, a Saddam Hussein (solo quest’ultima, conclusa ai suoi anni positivamente)…gravissimi contrasti internazionali e crisi nei rapporti in specie con la Francia, la Germania e, in genere, con poche eccezioni tra le quali l’Italia di Silvio Berlusconi, l’Europa…rinvigorimento del mai scomparso antiamericanismo praticamente dovunque nel mondo...queste le reazioni alla sua amministrazione e le conseguenze.Al di là ed oltre i provvedimenti bellici, il rifiuto del Protocollo di Kyoto inteso a perseguire la riduzione delle emissioni dell’anidride carbonica considerate responsabili del riscaldamento globale e la decisione di non ratificare il trattato che istituisce la Corte Penale Internazionale.Non va mai dimenticato per una corretta valutazione degli elencati provvedimenti che, sempre, in ogni caso, sulle posizioni del Presidente si sono trovati a convergere la maggior parte degli uomini politici americani.Fra l’altro, in molteplici occasioni, le deliberazioni sono state prese con il voto largamente favorevole del Senato, democratici compresi!In politica interna, poi e benché questa sia necessariamente passata in secondo piano considerati gli accadimenti, tre tagli delle tasse, iniziative concrete per consentire un migliore apprendimento da parte dei giovani e un miglioramento della scuola, interventi per rendere gratuiti i farmaci prescritti, privatizzazione parziale della Social Security in modo che ciascuno sia libero di investire una quota dei suoi esborsi destinati appunto al Social Security in fondi pensionistici privati...
La composizione del governo.
Dando un’occhiata alla composizione del primo governo Bush (il secondo, conseguente alla rielezione del 2004, sarà in larga parte differentemente formato ma non ai fini del nostro discorso in merito), molti gli esponenti delle minoranze razziali e religiose.Eclatante il fatto che, seguendo gli antichi, originali insegnamenti repubblicani e andando ben oltre quanto realizzato dai suoi predecessori, George Walker abbia collocato due neri ai massimi livelli: ovviamente Colin Powell e Condoleezza Rice.Come tutti sanno, dopo il ritiro agli inizi del 2005 di Powell, la Rice ne ha preso il posto alla Segreteria di Stato.    
Il presidente ‘che si ama o si odia’.
Per quanto George Walker Bush non dia molta importanza ai sondaggi (alla vigilia delle ultime presidenziali a chi gli faceva notare che i suoi sostenitori erano oramai minoranza rispose che quel che contava erano i voti di quanti si sarebbero poi davvero recati alle urne e non le dichiarazioni rilasciate più o meno veritiere e i fatti si sono incaricati di dimostrare che aveva ragione!), impossibile dimenticare almeno che subito dopo gli attentati dell11 settembre 2001 fu accreditato in patria di un consenso popolare dell’ottantacinque per cento, tra i massimi dal 1938 che è l’anno nel quale si cominciò a mettere in atto queste rilevazioni.Essendo peraltro il Presidente che ‘si ama o si odia’ senza mezzi termini, in particolare nel resto del mondo (non dappertutto, ovviamente) non ha mai goduto di significativi apprezzamenti se non in Polonia e in qualche Paese collocato oltre la ex Cortina di Ferro.Poco prima del 2 novembre del 2004 (giorno nel quale si sono svolte le elezioni USA), il rivale democratico John Kerry lo sopravanzava nei rilevamenti, di poco negli Stati Uniti ma nettissimamente nel resto del globo tanto che si poteva affermare che se per la Casa Bianca avessero potuto votare tutti e non solo i cittadini statunitensi Bush avrebbe subito una vera e propria disfatta.Accusato insensatamente da molti di essere uno ‘stupido’, ha ampiamente dimostrato il contrario!Quanto alla ricordata vittoria che gli consente di albergare a White House per un nuovo quadriennio, rilevo solamente che mai nella storia delle votazioni presidenziali un candidato aveva ottenuto un così alto numero di consensi!
Cosa succederà domani?
Impossibile rispondere (la storia ce lo ha insegnato).Indispensabile, però, sapere cosa il secondo Bush – che nelle parole che seguono in qualche lontano modo echeggia anche la vecchia teoria di John O’Sullivan sul cosiddetto ‘destino manifesto ‘ degli Usa (che sarebbe quello di portare al mondo la libertà e la democrazia) – ritiene di dover fare:
20 gennaio 2005: stralci dal discorso di insediamento:
‘Dopo la caduta rovinosa del comunismo abbiamo avuto anni di pace ma poi è arrivata la disgrazia.C’è una sola forza al mondo che può spezzare il dominio del male e assicurare una durevole libertà.La sopravvivenza della libertà nella nostra terra dipende dallo sviluppo della libertà in tutto il mondo.Nessuno deve essere un padrone e nessuno uno schiavo.È politica degli Stati Uniti sostenere i movimenti della libertà in tutto il mondo e le organizzazioni internazionali nella protezione delle minoranze.Il nostro obiettivo è la fine delle tirannie in tutto il mondo.La libertà ha eternamente ragione.Incoraggeremo riforme da parte degli altri governi.Non c’è giustizia senza libertà e non ci sono diritti umani senza libertà umana.Non accettiamo la possibilità di una permanente schiavitù.Noi saremo a fianco di coloro che combattono per la loro libertà.Grazie agli Stati Uniti milioni di persone hanno raggiunto la libertà.Dobbiamo però completare la missione di assicurare la libertà a tutti i nostri cittadini in ogni e qualsiasi campo.Faremo sì che la nostra società sia più prospera, libera e giusta.Costruiremo una società di proprietari.Rendendo ogni cittadino responsabile del proprio destino, daremo agli americani maggiore libertà dal bisogno e dalla paura e renderemo la nostra società più ricca, giusta e uguale.Gli ideali di giustizia e di buona condotta erano validi ieri, sono validi oggi e lo saranno sempre.Libertà per tutti non significa indifferenza.Tutti devono ricordarsi di chi viene trascurato.La nostra è una storia di libertà.Dio vi benedica e benedica gli Stati Uniti d’America’.
Nel 2016.
Dopo avere appoggiato invano nel 2008 contro il candidato democratico alla Presidenza Barack Obama il Senatore John McCain, già suo avversario per una precedente Nomination, e nel successivo 2012 Mitt Romney, l’ex Presidente, quattro anni dopo, non ha mostrato di gradire la personalità e la linea politica dell’emergente e infine vincitore Donald Trump, fra l’altro in grado di annichilire elettoralmente il fratello Jeb, a sua volta in corsa per la designazione repubblicana.Il distacco dal tycoon sarà definitivo e non esclusivo visto che non pochi GOP della vecchia guardia concordarono in merito con lui.Eletto nel 2020 Joe Biden, si congratulò pubblicamente con lui.Non va mai dimenticato che negli ultimi tempi dell’esercizio da parte sua del potere esecutivo, guardando con occhi non velati da un poco giustificato ottimismo partitico, si era chiesto se i continui e sempre più rapidi movimenti politico/sociali che vedevano l’elettorato sostanzialmente WASP regredire numericamente non stessero indicando il fatto che la sua seconda potesse essere addirittura ‘l’ultima Presidenza del Grand Old Party’, se non per sempre per molti anni a venire.Trump, percepito come un ‘maverick’ a tutto tondo, ha dato a George Walker Bush conferma di avere ragione al riguardo.Possiamo concordare o meno.

Barack Obama 2008: la ‘terza Rivoluzione’
L’elezione, il 4 novembre del 2008, del Senatore democratico Barack Obama alla Presidenza degli Stati Uniti va considerata a tutti gli effetti rivoluzionaria, e questo non tanto e non solo per il colore della pelle del vincitore, quanto in ragione del fatto che per la prima volta dal 1788/1789, allorché venne prescelto George Washington, con la sola parziale eccezione di John Kennedy (cattolico, come sarà poi Joe Biden), gli WASP (‘white, anglosaxon and protestant’, ‘bianchi, anglosassoni e protestanti’) hanno perso lo scranno presidenziale.Che la cosa dovesse avvenire, anche se non così presto, era nell’aria considerato che altre e differenti etnie (si pensi, oltre ai neri, agli asiatici in genere, e a cinesi e indiani in particolare, nonché agli ispanici più degli altri in continua espansione) andavano nel Paese aumentando di numero fino a ridurre pressappoco in minoranza i predetti WASP.A ben guardare, è questa la ‘Terza Rivoluzione americana’ ove per prima si intenda, ovviamente, quella duramente guerreggiata che negli anni Settanta/Ottanta del Settecento portò all’indipendenza e per seconda quella, pacifica ed assai meno conosciuta, datata 1828 anno in cui la sconfitta del presidente in carica John Quincy Adams, ultimo esponente della classe politica (una specie di aristocrazia terriera di ottima cultura) che aveva ideato e ‘fatto’ gli Stati Uniti, e il conseguente arrivo (entrata in carica il 4 marzo 1829) del nuovo capo dello Stato Andrew Jackson segnò la conquista del potere da parte della borghesia.Tutto ciò detto, molto si deve riflettere al proposito visto che l’intera ‘operazione Obama’ – che prese avvio già ai tempi della Convention che nominò nel 2004 John Kerry dandogli la grande opportunità di pronunciare il discorso inaugurale – è stata studiata a tavolino mettendo in conto che larga parte degli elettori liberal avrebbe votato un candidato nero in quanto tale prescindendo da considerazioni differenti relative alle sue reali capacità, praticamente ignote.Un evidente caso di sfruttamento di un razzismo non volgare ma estremamente diffuso.Talmente forte il desiderio dei votanti politicamente corretti di in qualche modo farsi perdonare rovelli interiori da consentire al candidato di colore di sconfiggere nelle Primarie 2008 – sia pure per via delle particolari e favorevoli regole che ne hanno determinato andamento ed esito – nientemeno che Hillary Rodham Clinton, la prima Donna le cui chance di essere eletta fossero effettive.E ci si ricordi che Obama, per quanto, facendo gioco, sia stato proposto come ‘Afroamericano’ tale non è affatto non rispondendo a nessuna delle caratteristiche del gruppo e soprattutto non discendendo assolutamente da schiavi.È invece un ‘Kenian American’ il cui padre era Luo, appartenente pertanto ad una etnia minoritaria keniana che nel Paese d’origine non è mai riuscita a conquistare la Presidenza ma, come si è constatato, negli Stati Uniti sì.Non depose comunque bene la circostanza per la quale, nel discorso inaugurale del 20 gennaio 2009, parlando di se stesso, il neo inquilino di White House abbia detto di essere il ‘quarantaquattresimo Americano’ chiamato a giurare perché così non è (e dovrebbe ben saperlo) dato che Grover Cleveland, eletto due volte non consecutivamente, è elencato ufficialmente sia come ventiduesimo che quale ventiquattresimo Capo dello Stato ma è ovviamente una sola persona.Quarantaquattresimo Presidente invero e dunque, ma quarantatreesimo Americano.A chiudere, una constatazione basata sui numeri, non una discutibile opinione.Al termine dei due mandati obamiani, il partito democratico era ridotto ai minimi termini avendo costantemente perso peso elettorale e non essendo affatto riuscita l’Amministrazione ad intervenire per risolvere la grave crisi economica diffusa in particolare nella ‘Rust Belt’ (‘cintura della ruggine’) laddove Hillary Clinton perderà difatti nel 2016 Stati e ipotetico scranno. 

Hillary Rodham Clinton, perché a mio parere, no!
Dal primo confronto diretto tra Democratici e Repubblicani per White House e quindi dal 1856, il Partito oggi di Joe Biden, ove si escluda il ventennio Franklin Delano Roosevelt/Harry Truman – da infiniti punti di vista, eccezionale e comunque ad opera di un solo individuo capace di incidere fin oltre se stesso – non è mai riuscito a vincere più di due elezioni consecutivamente e pertanto ad occupare lo scranno presidenziale per un periodo superiore agli otto anni.Cosa che al Grand Old Party è occorsa, fino a Ronald Reagan/George Herbert Bush compreso, quattro volte.(Da Abraham Lincoln a Chester Arthur, andando all’Ottocento, volle dire 4 marzo 1861/4 marzo 1885, il loro record, secondo solamente a quello dei Democratico/Repubblicani tra il 1801 e il 1829).È questa la considerazione storica (ad ogni riguardo è al pregresso che occorre in primo luogo e spesso soltanto dare udienza) che, nel momento in cui Hillary Rodham Clinton nel 2015 annunciò la propria candidatura in vista delle votazioni del successivo anno, mi portò a scrivere che con buona (non certo per lei) probabilità, venendo a terminare proprio nel 2016 il secondo incarico Obama, non avrebbe vinto.E a prescindere dal competitore GOP, fra l’altro, al momento, assolutamente non identificabile essendo un numero davvero notevole – diciassette – i Repubblicani in lotta per l’investitura  e apparentemente improponibile poi Donald Trump la cui discesa in campo, quando avvenuta, fu considerata del tutto risibile dai più, tesa casomai a supportare le sue molteplici attività in campo imprenditoriale, da molti ritenute scricchiolanti.Aveva già nel 2008 la Signora dovuto ingoiare l’amaro calice della sconfitta nelle Primarie democratiche laddove, incredibilmente, il confronto scontro si era avuto tra il primo nero candidato e appunto la prima donna che avesse vere probabilità di vittoria.Nella circostanza, era stata sconfitta dal regolamento delle votazioni interne per quanto fosse risultata prima negli Stati più importanti.Accadrà qualcosa di analogo (maggiormente esasperante) nel 2016 visto che conquisterà largamente la maggioranza del voto popolare nazionale perdendo però nel Collegio Elettorale.Una maledizione questa che perseguita i democratici dato che tutte le volte nelle quali capita è il repubblicano a prevalere (nel 1876, Rutherford Hayes, nel 1888, Benjamin Harrison, nel 2000, George Walker Bush, i precedenti).Occorre pur dire che la prova data dai sondaggi elettorali nella tornata 2016 è con quella datata 1948 la peggiore mai registrata.L’ex Segretario di Stato (nella prima Amministrazione Obama), ex First Lady, ex Senatrice dello Stato di New York era considerata assolutamente vincente fino addirittura a metà del giorno elettorale salvo poi perdere come peggio probabilmente, psicologicamente impossibile.Certo, il fatto che il predecessore non fosse minimamente riuscito ad almeno contenere la crisi economica negli Stati facenti parte della cosiddetta ‘Rust Belt’ (‘cintura della ruggine’) fu determinante perché proprio colà Hillary perse, per poche migliaia di suffragi qua e là ma bastanti.E ci si può chiedere se e quando un’altra Signora si troverà a competere per White House altrettanto seriamente.Sono passati oggi centodue anni da quando la consorte di Warren Harding fu fotografata sorridente in attesa di votare per la prima volta.Deve passare un altro secolo perché un simile sorriso appaia sul viso di una donna americana vittoriosa pronta a governare?

Della ragione (?!) per la quale nel 2016 Donald Trump ha vinto.Della ragione (?!) per la quale nel 2020 ha perso.Della (remota?) possibilità di una sua candidatura nel 2024.
La storica sentenza della Corte Suprema americana a proposito dell’aborto datata 24 giugno 2022 (con la quale è stato sostanzialmente deciso – con un peraltro annunciato e subito duramente contestato ‘overruling’ della storica pronuncia ‘Roe v. Wade’ del 1973 – che il diritto ad interrompere la gravidanza non è previsto dalla Costituzione e che in materia devono essere i singoli membri dell’Unione a deliberare, la quale cosa porta gli elettori a decidere, e non si vede come sia possibile protestare al riguardo) ha dato corpo e sostanza alla considerazione che di Donald Trump quale ‘vascello imperfetto’ dei voleri di Dio non pochi credenti negli Stati Uniti hanno.Fu definito alla stessa stregua Ciro II il Grande che ai tempi babilonesi operò a favore degli Ebrei colà costretti in schiavitù consentendo loro di tornare in Patria e di ricostruire il Tempio di Gerusalemme.Un vero peccatore Ciro, il cui operato però compiva i desiderata del Signore.La vittoria inaspettata (e quanto, se ancora nel giorno delle votazioni la del tutto ‘politically correct’ contendente Hillary Rodham Clinton – che se eletta mai avrebbe orientato con le proprie nomine l’alto consesso in direzione ‘originalista’, moderata, interpretando il testo della Carta come esattamente vergato e non evolutivamente – era data largamente vincente per essere di contro infine sconfitta sulla base degli ‘Electors’ conquistati pur raccogliendo un numero nettamente maggiore di suffragi popolari a livello nazionale, essendo questa solo la quarta volta nella quale la circostanza si verificava?) di Trump – mai va altresì dimenticato che la sua discesa in campo per ottenere la Nomination del Grand Old Party era stata oggetto di satira e prese in giro, nessun osservatore ritenendo possibile la sua vittoria già nell’ambito partitico e, ci si figuri, in quello novembrino – nel 2016, alla luce del citato verdetto della Corte che per molti definitivamente la sostanzia, fu ‘voluta’ e ‘determinata’ da Dio perché questo nuovo grande trasgressore – in un non breve momento storico e istituzionale davvero particolare che gli ha consentito di farlo e di ottenere ad opera di un Senato a maggioranza repubblicana le ratifiche delle determinazioni prese – nominasse i tre giudici della Corte Suprema che hanno portato l’istituzione su posizioni largamente conservatrici e infine causato quanto all’aborto la rivoluzionaria indicata decisione.Nel successivo 2020, poteva poi perdere Donald Trump, non avendo da questo punto di vista – il solo a contare per larga parte dei Cattolici oltranzisti e dei Protestanti in specie Evangelici – null’altro da fare.Difficile se non impossibile ad opera del tycoon, accettare questa, diciamo così, ‘originale’ interpretazione della sua davvero straordinaria avventura politica – e si consideri anche che è il solo inquilino di White House che non abbia ricoperto cariche politiche o militari prima di vincere – e conseguentemente arrivare alla decisione di non più candidarsi avendo portato a termine la missione che, essendone assolutamente inconsapevole, dall’Alto, gli era (sarebbe) stata assegnata.Umano che, nella bufera politico legale senza precedenti in atto della quale – avendo di certo con affermazioni e comportamenti quanto meno discutibili messo personalmente molta carne al fuoco – si ritiene vittima, sopravvissuto a due Impeachment (mai nessun Capo dello Stato USA prima sotto accusa più di una volta), si proponga il contrario.Una indicazione importante in questa prospettiva verrà dal risultato delle Mid Term Elections in programma il prossimo 8 novembre.Dovesse, come dicono oggi i sondaggi, nella circostanza, il partito democratico perdere la maggioranza alla Camera e la parità al Senato la prospettiva per lui sarebbe incoraggiante, anche se la Storia insegna che una vittoria in questo pur importante ambito non garantisce affatto una successiva affermazione nelle cosiddette Presidenziali.
(Se mi è consentito rammentarlo, avvicinandosi il 20 gennaio 2017, giorno della entrata in carica di ‘The Donald’ nel quale avrebbe pronunciato il discorso di insediamento, ebbi a scrivere che – data la situazione di forte sua contrapposizione non solo nei confronti dei democratici ma anche di buona parte dei repubblicani sconfitti nel corso delle trascorse travagliate primarie – sarebbe stato saggio da parte sua annunciare che avrebbe esercitato un solo mandato, in cotal modo abbassando se non spegnendo le polemiche, lasciando spazio agli oppositori non più di fronte a possibili lunghi otto anni di esclusione dal potere esecutivo, avendo la possibilità, che la preoccupazione per la rielezione condiziona assolutamente, di operare pressoché liberamente dovendo dare minore peso ai desiderata altrui.Così non ha fatto, con le conseguenze che conosciamo…)

Joe Biden, il quarantaseiesimo.
Cattolico (il secondo che sieda a White House dopo John Kennedy) e appartenente alla cosiddetta ala moderata del partito dell’Asino…Senatore per il Delaware – Stato politicamente di poco peso (tre soltanto su cinquecentotrentotto i suoi Grandi Elettori) – dal 1973…Candidato invano alla Nomination democratica già nel 1987 in vista delle votazioni del successivo anno.Nuovamente in corsa con il medesimo obiettivo nelle Primarie del 2008, allorquando dovette ritirarsi dopo il Caucus dell’Iowa laddove aveva raccolto lo zero novantatre per cento dei voti (!), fu nella seguente estate, davvero sorprendentemente, scelto da Barack Obama come compagno di ticket ed eletto Vicepresidente a novembre.Due volte in carica nelle vesti vicarie, non si propose di persona quale successore dell’ex Laticlavio dell’Illinois nel 2016.Anziano – è nato il 20 novembre del 1942 – si presentò nel 2020, inizialmente disperso tra i numerosi contendenti interni.Le davvero notevoli difficoltà a farsi largo (molti lo precedono nelle consultazioni di febbraio che danno il via a Primarie e Caucus), improvvisamente spariscono quando il Partito opera in modo che in vista del Supermartedi elettorale di inizio marzo molti suoi competitori si ritirino dandogli agio.Riesce così a prevalere su Bernie Sanders – l’esponente dell’ala radicale che come quattro anni prima vanta un notevole seguito tra i giovani – il quale non molto più tardi gli lascerà il passo.È il 2020 dominato dal problema Covid e il Presidente in sella Donald Trump – è lui il nominato repubblicano – si trova in gravi (a ben vedere, chi non lo sarebbe?) difficoltà ad affrontarlo.Al termine di una battaglia effettivamente dura (accuse abbastanza fondate GOP di un uso sbarazzino del voto postale da parte dem, altre, varie e per il vero mai provate, di artifici messi dagli stessi in atto al fine di condizionare i suffragi, in una temperie nella quale le sempre maggiori contrapposizioni ideologiche tra i due schieramenti la fanno da padrone nel mentre i due si scambiano altresì offese personali coinvolgendo anche i familiari (e che più ne ha, più ne metta) sarà Joe a prevalere e a conquistare l’agognata poltrona.Con lui ed è la prima volta che succede (nelle due precedenti circostanze – 1984 e 2008 – nelle quali la candidatura alla Vicepresidenza era stata data a una donna il ticket coinvolto aveva perso), è nominata la Senatrice della California Kamala Harris.Non pochi i problemi e le difficoltà che la sua Amministrazione si trova ad affrontare da subito, compresi i complessi – diciamo così – rapporti col predecessore che non ha nessuna intenzione di farsi da parte, con ogni probabilità convinto di potersi prendere una rivincita nel 2024 (età dei due permettendo – molta l’attenzione rivolta agli eventuali segni dì senescenza del Nostro sempre sotto osservazione – perché neanche il più giovane GOP è un fiorellino).Uscito nel 2021 dalla questione afgana non certo brillantemente, si trova a gestire la gravissima situazione che ha fatto seguito all’invasione da parte russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022.Difficile anche solo ipotizzare oggi, 18 agosto 2022, a guerra in quelle terre in corso, cosa succederà.Scritte queste tre ultime righe, mi chiedo se e quando sia mai stato e possa essere serio crederlo possibile.‘Esiste una particolare Provvidenza divina a favore dei bambini, degli ubriachi, dei pazzi e degli Stati Uniti d’America’ affermò (lo riporto per l’ennesima volta) ai suoi tempi Otto von Bismarck Shoenhausen.Che anche in questo momento tale Grazia si dia da fare e per il bene non solo degli USA ma di tutti!

Henry Kissinger, ‘il Segretario di Stato’ (oggi quasi centenario)!
Il 27 maggio del 2022, Henry Kissinger ha compiuto novantanove anni.Ecco quanto a suo diretto riguardo o trattando persone e argomenti diversi ho nel tempo scritto.
Tedesco di nascita, di famiglia ebraica, nato il 27 maggio 1923, Henry Kissinger è approdato negli Stati Uniti d’America  nel 1938.Studente brillantissimo e laureato ad Harvard, docente dipoi nella medesima università, tra i massimi studiosi della storia politica e diplomatica internazionale, partecipe da subito dopo la guerra (nella quale aveva combattuto in Europa) delle attività dei servizi americani, repubblicano della linea liberal (suo riconosciuto ‘maestro’ ispiratore peraltro il democratico Dean Acheson), ebbe in veste di Consigliere per la Sicurezza Nazionale e successivamente di Segretario di Stato, le mani in pasta praticamente in ogni accadimento internazionale di rilievo degli anni 1969/1977.Chiacchieratissime le sue frequentazioni anche successive al citato 1977 e in specie l’appartenenza alla Trilateral e al Gruppo Bilderberg.Considerato, a seconda dei punti di vista, un mascalzone responsabile di delitti politici per ogni dove (si è sempre parlato, per fare un solo esempio, di una sua presunta responsabilità nel Colpo di Stato cileno contro Salvador Allende) o, al contrario, un operatore di pace (a ben vedere, eccessivo, comunque, il Nobel in materia che gli fu assegnato per l’apertura delle trattative appunto di pace in riferimento alla Guerra Vietnamita), quale Ministro degli Esteri, Kissinger, seguendo studi e istinto naturale, aveva da subito optato per un approccio pragmatico e flessibile.Il rifiuto opposto alla, e il conseguente abbandono della, teoria fino ad allora dominante – quella, dovuta a John Foster Dulles e quindi risalente agli anni Cinquanta, del ‘rischio calcolato’ – gli consentirono, di caso in caso, una, a suo modo di vedere, necessariamente diversa operatività.Impossibile non citare la da lui e da Richard Nixon ideata, preparata e realizzata apertura nei confronti della Cina maoista (‘Politica – o diplomazia – del ping pong’).Fu, va ricordato, del tutto estraneo al cosiddetto ‘Watergate’, la qual cosa gli permise di permanere alla Segreteria di Stato anche con Gerald Ford.Ancora (ha compiuto come ricordato novantanove anni!) attivo culturalmente, dopo avere pubblicato dapprima un magnifico saggio intitolato ‘Cina’ (‘On China’) – nel quale va soprattutto segnalata la lunga, esaustiva parte iniziale dedicata al ‘Secolo dell’Umiliazione’ – e a seguire un incredibilmente sagace studio dal titolo ‘Ordine mondiale’ (‘World order’), è intervenuto criticamente con precisione e grande intelligenza sull’abbandono – è vero dopo vent’anni di un impegno militare che non ha portato da nessuna parte (tantomeno, come si sostiene in alcune fasi e non si dovrebbe neppure più pensare visti gli esiti in ogni caso negativi, ‘a diffondere la Democrazia’ qua o là) – ad opera dell’Amministrazione Biden dell’Afghanistan al proprio destino con i trionfanti Talebani subito a Kabul.Gli dobbiamo testimonianze e giudizi di pregio su un  numero pressoché infinito di personalità politico istituzionali che ha potuto conoscere e frequentare – ovviamente, con l’andare del tempo e con l’assunzione di incarichi di sempre maggior peso – a livello assolutamente internazionale fin dagli ultimi anni Cinquanta.Così come, documentazioni e argomentazioni dapprima come studioso di alta caratura, poi come testimone e infine attore.Difficile davvero che qualcuno possa ripetere la sua eccezionale avventura.Chapeau!

‘Gerrymandering’
La composizione dei Collegi elettorali per la Camera dei Rappresentanti è negli Stati Uniti di competenza dei singoli membri dell’Unione ed è sempre stata motivo di dibattito e di critiche essendo possibile disegnarli in modo da favorire l’elezione di un esponente piuttosto dell’uno che dell’altro partito.L’ideatore del sistema, ovvero colui che per primo creò ad arte Distretti elettorali delimitati sia da un punto di vista geografico che demografico – tenendo conto dei risultati delle precedenti consultazioni villaggio per villaggio e città per città – in modo da rendere quasi certa la vittoria di un candidato vicino alle sue posizioni politiche, fu il Governatore democratico del Massachusetts degli inizi dell’Ottocento Elbridge Gerry, successivamente (nel 1813 e nel 1814) arrivato alla Vice Presidenza.Dopo l’intervento di Gerry, la carta geografica dello Stato sulla quale erano tratteggiati a colori i confini dei diversi Collegi appunto per le elezioni alla Camera aveva assunto un singolarissimo aspetto sicché un pittore vedendola disse: ‘Sembra una salamandra (in inglese, ‘salamander’)’, al che un amico presente corresse: ‘Non una salamandra ma una ‘Gerrymandra’’ (in inglese ‘Gerrymander’ con un evidente gioco di parole ispirato dal cognome del Governatore).Da qui, ‘Gerrymandering’ che è il vocabolo con il quale, da allora, gli Americani indicano il giochetto truffaldino in questione.

‘Effect’
‘Coattail effect’.6 novembre 1984, USA alle urne.Ronald Reagan stravince (perde solo il Minnesota e il District of Columbia e conquista il numero in assoluto e in percentuale più alto di Grandi Elettori della storia) e naturalmente si conferma a White House.Ciò malgrado, il partito repubblicano cui appartiene e che guida non conquista la maggioranza nelle concomitanti elezioni per la Camera e perde addirittura due seggi al Senato.Si deve in proposito (ho scelto la tornata elettorale in questione perché da questo punto di vista emblematica) concludere che il Presidente sia capace in modo straordinario di raccogliere consenso personale ma che non sia in grado di fare in modo che tale sua caratteristica porti, ‘a strascico’ per così dire, i suoi a vincere con lui?Tale particolare attitudine ha un nome preciso nella letteratura politica americana: si chiama ‘coattail effect’.Quando ciò occorra, si dice che gli eletti che ne abbiano goduto hanno ottenuto lo scranno ‘on the coattails of the President’.

‘Rally round flag effect’.
Incredibile davvero che i cosiddetti ‘esperti’ (Franck Lloyd Wright li definiva ‘persone che hanno smesso di ragionare’) e i commentatori si meraviglino sentendo che la guerra con l’Ucraina ha aumentato grandemente tra i Russi il gradimento (sarebbe all’ottantatre per cento) nei confronti di Vladimir Putin e della sua azione.Non hanno evidentemente cognizione alcuna del ‘Rally round flag effect’ (‘ritrovarsi, raccogliersi sotto la bandiera’) e cioè del da tempo verificato dalla scienza politica (in prima battuta da quella americana) ‘effetto’ moltiplicatore del sostegno popolare che deriva dalle situazioni di difficoltà che un leader debba affrontare a causa di gravi contrasti, crisi, guerre ovviamente incluse, internazionali.È pur vero che tale conseguenza favorevole non può durare molto a lungo, ma oggi indubbiamente in Russia c’è.

Ghiribizzi USA derivanti dal Calendario Gregoriano.
Due mandati pieni alla Casa Bianca sono pari a duemila novecento ventidue giorni di permanenza e governo.Nessun Presidente dopo la ratifica del Ventiduesimo Emendamento del 1951 che limita appunto a due le elezioni possibili ha ‘regnato’ di più né potrebbe farlo.(Solo un Vice subentrato al titolare nel corso del secondo biennio del suo mandato potrebbe presentarsi in proprio superando l’ostacolo: avrebbe pertanto potuto Lyndon Johnson - il 22 novembre del 1963, giorno della successione a John Kennedy, aveva tale caratteristica – ma il texano, eletto personalmente nel 1964, non si ripropose nel 1968).Nell’ordine – escludendo ovviamente l’assassinato John Kennedy, il ricordato or ora per la sua particolare, potenzialmente unica, vicenda Lyndon Johnson, Richard Nixon che, altrettanto unico, si dimise nel 1974, Gerald Ford governante mai neppure eletto, Jimmy Carter sconfitto nel 1980, George Herbert Bush battuto nel 1992 e Donald Trump ko nel 2020 – Dwight Eisenhower, Ronald Reagan, Bill Clinton, George Walker Bush, Barack Obama.Orbene, supponendo che William McKinley, eletto nel 1896 e confermato nel 1900, non fosse stato assassinato nel 1901 e avesse quindi portato a termine gli otto anni dei due quadrienni vinti, quanti giorni di permanenza alla Casa Bianca avrebbe collezionato?I predetti duemila novecento ventidue?La semplice risposta è duemila novecento ventuno!Questo in ragione del fatto, incontrovertibile, che il Calendario Gregoriano in atto dal 1582 non considera bisestili tra gli anni che partendo dal 1783, firma del Trattato di Parigi, riguardano l’esistenza degli Stati Uniti d’America, il 1800 e il 1900 perché non divisibili per quattrocento come invece il 2000.Il predetto 1900 quindi non ha potuto contare sul 29 febbraio ed è durato trecentosessantacinque giorni e non, come naturalmente il seguente 1904, che avrebbe visto McKinley ancora esercitare il potere esecutivo, trecentosessantasei.In buona sostanza, a duemila novecento ventidue si arriva sommando sei anni ‘normali’ e due bisestili.Nell’ipotesi che riguarda il predecessore di Theodore Roosevelt gli anni ‘normali’ sono sette e uno soltanto quello bisesto.
In tempi davvero lontani – il collegamento risulta evidente – partendo dalla considerazione che per ‘rimediare’ alle conseguenze del precedente Calendario Giuliano impreciso quanto alla effettiva durata dell’anno, Papa Gregorio XIII nel citato 1582 aveva stabilito che al 4 ottobre dovesse seguire il 15, ponevo a quanti avessero la bontà di ascoltarmi la seguente domanda: ‘Come è stato festeggiato il novantesimo anniversario della scoperta dell’America?’La risposta era naturalmente ‘in nessun modo’ dato che il 12 ottobre 1582 non è mai esistito!

Appendice:
Glossario essenziale della politica americana:
‘Acting President’:si definisce in cotal modo il Vice Presidente che per ragioni quali malattie o impedimenti debba sostituire momentaneamente il Capo dello Stato nelle funzioni.Nell’ipotesi in cui anche il Vice fosse impedito, la qualifica e le incombenze andrebbero affidate secondo la Linea di Successione (si veda più avanti). ‘Affiliati’ (e non affiliati):si dicono ‘affiliati’ gli elettori che, iscritti alle liste elettorali, hanno dichiarato appunto una loro affiliazione partitica.Non affiliati quanti non lo hanno fatto. Asino:simbolo del partito democratico per questo spesso definito dell’Asino o dell’Asinello.Vengono altresì chiamati Asini o Asinelli anche gli esponenti e gli elettori del partito. ‘Battleground States’:sinonimo di ‘Swing States’, voce più sotto illustrata. ‘Blue State’:Stato che vota abitualmente democratico(sulla carta geografica che rappresenta gli Stati nel giorno elettorale quelli aggiudicati ai democratici sono colorati appunto di blu). ‘Blue Wall’:così sono definiti nel complesso i diciotto Stati cha dal 1992 al 2012 compresi hanno votato costantemente democratico.In totale, contano su duecentoquarantadue Grandi Elettori (dati conseguenti al Censimento del 2010). Casa Bianca:denominata ‘White House’ pressoché ufficialmente più avanti – dopo la sua ricostruzione essendo stata bruciata dagli Inglesi nell’agosto del 1814 nel corso della cosiddetta Guerra del 1812 – nota anche agli inizi come ‘Executive Mansion’, fu inaugurata l’1 novembre del 1800 sotto la Presidenza di John Adams.È da quel momento la sede del Capo dello Stato americano.È ovviamente a Washington, al numero 1600 di Pennsylvania Avenue. ‘Caucus’:assemblea a livello statale degli aderenti ad un partito convocata al fine di scegliere i delegati – collegati ad uno dei candidati alla Nomination – dello stesso alla Convention.Il nome dovrebbe derivare da una voce usata dagli Algonchini per indicare gli incontri tra i capi. ‘Census’:è il Censimento che si tiene dal 1790 ogni dieci anni.Oltre alle evidenti finalità di una rilevazione statistica del genere, serve assolutamente per determinare il numero degli abitanti di ogni Stato e su tale base assegnare in proporzione la quota di Rappresentanti alla Camera Federale alla quale ha diritto.Conseguentemente, a decidere quanti Grandi Elettori deve eleggere. ‘Cinture’:‘Sun belt’, ‘Bible belt’, ‘Black belt’, ‘Rust belt’Il Sud degli Stati Uniti.’Sun belt’, la ’Cintura’ del Sole.Dalla California alla Florida, dove la nostra stella batte più fortemente e naturalmente fa caldo.Il Sud Est USA, grosso modo gli Stati Confederati:’Bible belt’, ’Cintura’ della Bibbia, laddove la religione è preminente in particolare per la presenza degli Evangelici.Dal Texas alla Virginia, in specie Alabama, ancora Sud Est:’Black belt’, ’Cintura’ nera, in cotal modo originariamente chiamata per il colore della terra ed oggi, invero, per la grande presenza dei neri.Dai Grandi Laghi al Midwest, a Nord:’Rust belt’, ’Cintura’ della ruggine, negli Stati nei quali la crisi economica del 2008 ha colpito in particolare l’industria facendo chiudere i capannoni mentre dentro i macchinari, appunto, arrugginiscono. ‘Coattail effect’:è l’attitudine del candidato alla Presidenza in grado non soltanto di vincere ma di portare alla vittoria altresì i suoi colleghi di partito in corsa in concomitanza per le cariche minori.Quando ciò occorra, si dice che gli eletti che ne abbiano goduto hanno ottenuto lo scranno “on the coattails of the President”. ‘Congressional Conference Committee:è un Comitato formato da un uguale numero di Senatori e Rappresentanti – nel quale la consistenza dei partiti è proporzionale a quella elettorale – il cui compito è di arrivare ad uniformare le leggi che escono dalle due Camere con diverse formulazioni, questo al fine di evitare il rimpallo senza soluzione o quasi delle stesse come accade nel cosiddetto ‘bicameralismo perfetto’. ‘Contingent Election’:allorquando (è occorso solo nel 1824 per la Presidenza e nel 1836 per la Vice Presidenza) nessuno dei candidati ad una delle due massime cariche istituzionali conquisti la maggioranza assoluta dei Grandi Elettori il Collegio da questi ultimi formato non può provvedere alla elezione.Nel caso – secondo il disposto del XII Emendamento del 1804 – l’incombenza, quanto al Capo dello Stato, passa alla Camera dei Rappresentanti che vota per Delegazioni, ciascuno Stato nella circostanza pesando uno, a prescindere quindi dalla consistenza degli aventi diritto popolari che invece, prima, determina il numero dei Grandi Elettori (in buona sostanza, nel Collegio oggi la California e l’Alaska valgono rispettivamente cinquantacinque e tre Grandi Elettori mentre nella Contingent Election, alla pari, uno) ‘Convention’:il Congresso quadriennale del partito nel quale vengono ufficializzate le candidature.La prima fu organizzata nel 1831, in vista delle elezioni del seguente 1832, dall’allora significativo partito Antimassonico.Le votazioni per la scelta ufficiale del candidato si definiscono ‘ballot’ (ballottaggi).Per lunghi anni, la maggioranza da raggiungere per la nomination era quella, difficile, dei due terzi la qual cosa concedeva, in particolare tra i democratici, ai ‘sudisti’ di condizionare pesantemente in senso anti diritti civili (per dirla in soldoni) la scelta.Da quando, nel 1936, la maggioranza richiesta è scesa a quella assoluta, sempre più spesso (ma non in ogni circostanza) uno dei candidati raggiunge ben prima della Convention formalmente il numero prescritto di elettori.In cotal modo, il Congresso quadriennale, ha perso buona parte del fascino originale (benissimo rappresentato, volendo, al cinema da ‘The Best Man’, ovvero ‘L’amaro sapore del potere’, 1964, ricavato da una piece di Gore Vidal). Corte Suprema:attualmente formata da nove Giudici (otto più il Presidente), ha assunto una fondamentale importanza unendo in se, per capirci, le funzioni in Italia esercitate dalla Corte Costituzionale e dalla Cassazione, in particolare sotto la lunga Presidenza di un grande giurista quale fu John Marshall.I componenti, così come il ‘Chief’, sono nominati dal Capo dello Stato la cui scelta va però ratificata dal Senato.Estremamente importante la posizione più o meno conservatrice o liberal del Presidente, della maggioranza senatoriale, della persona proposta.È capitato (e capita) che uno o più tra i Giudici della Corte si esprimano per sentenza votando differentemente rispetto a quanto le loro posizioni partitiche (dopo tutto sono espressione di un inquilino della Casa Bianca e pertanto di un uomo di partito) potessero o possano far credere.Questo perché, prima considerazione, sono normalmente persone di alto profilo.Poi, perché sono eletti a vita (potendo peraltro dimettersi).Poi ancora – l’indipendenza economica conta eccome – perché i loro compensi sono intoccabili.Si è detto nelle prime righe che ‘attualmente’ sono nove ed in effetti nessuno vieta che possano essere meno o di più.Nove, comunque, funziona. ‘Criteria?:è un vocabolo latino usato per indicare le disposizioni date dalle Direzioni Nazionali dei partiti in materia elettorale e comunque politica al fine di regolare i confronti interni tra candidati.Molto importanti i ‘criteria’ che regolano i dibattiti televisivi interni e prima le norme rispettando le quali si può essere agli stessi ammessi. ‘Dark Horse’:è così definito – prendendo il termine dall’ippica – il candidato che vince pur non essendo il favorito. ‘Democratic National Committee (DNC):è il Comitato che sovraintende alle attività partitiche e al supporto degli eletti al Congresso del movimento politico il cui simbolo è l’Asinello ‘District of Columbia’:in questo contesto, il District nel quale si colloca la capitale Wahington e che non è uno Stato, è da prendere in considerazione perché dalle votazioni del 1964, a seguito di un Emendamento costituzionale, nomina tre propri Grandi Elettori.Si aggiungono questi a quelli spettanti agli Stati portando il totale a cinquecentotrentotto e la maggioranza assoluta a duecentosettanta. ‘Electoral College’:il Collegio Elettorale è composto dai Grandi Elettori scelti nel corso delle votazioni definite ‘Presidenziali ‘ e che tali in verità non sono.Questi Elettori (negli USA vergati con la E maiuscola per distinguerli dal popolo che in quanto votante ha l’iniziale minuscola) sono attualmente cinquecentotrentotto, pari al totale dei Parlamentari nazionali (quattrocentotrentacinque Rappresentanti e cento Senatori) più i tre spettanti al Distretto di Columbia.Ogni Stato ne elegge un numero uguale a quello dei propri Congressisti.I componenti il Collegio provvedono poi, ‘il primo lunedì seguente il secondo mercoledì del successivo dicembre’, riuniti per Delegazione nelle capitali appunto statali, alla ‘vera’ nomina del Presidente.Nell’ipotesi in cui (come accaduto nel 1824) nessuno degli aspiranti – al minimo tre – alla nomina abbia raggiunto la maggioranza assoluta del Grandi Elettori (pari a duecentosettanta), la competenza passa alla Camera che se ne occuperà dopo l’insediamento del 3 gennaio seguente e che voterà ‘per Delegazione’ valendo ciascuno Stato uno a prescindere dal numero dei suoi Grandi Elettori. Elefante:simbolo del partito repubblicano per questo definito dell’Elefante o dell’Elefantino.Vengono altresì chiamati Elefanti o Elefantini gli esponenti e gli elettori del partito. ‘Exit poll’:sondaggio all’uscita dai seggi compiuto chiedendo agli elettori di ripetere il voto effettivamente dato. ‘Federal Election Committee’:ha incombenze di vario tipo in particolare in relazione alle spese elettorali dei candidati ma è importante anche perché registra ufficialmente tutte le candidature che sono infinitamente più numerose di quelle normalmente note essendo i partiti americani uno stuolo ‘Flag’:la bandiera degli Stati Uniti è composta da tredici strisce orizzontali – sette rosse e sei bianche alternate, che rappresentano le ex Colonie che hanno dato origine alla Nazione – e nel riquadro in alto a sinistra da cinquanta stelle bianche a cinque punte disposte su nove fila di sei o cinque che si alternano – che sono gli attuali cinquanta Stati.Il 14 giugno di ogni anno si celebra il ‘Flag Day’ a seguito di una determinazione del Secondo Congresso Continentale.Ogni qual volta necessario per l’entrata nell’Unione di nuovi membri il drappo in uso viene bruciato e sostituto in una cerimonia che ha luogo il 4 luglio a Philadelphia. ‘Founding Fathers’:‘Padri fondatori’ è definizione che dovrebbe fare riferimento solo a coloro che firmarono la Dichiarazione di Indipendenza ma che a me piace estendere al altri tra ‘i cinquanta semidei’, come li definì Thomas Jefferson (che era uno di loro) che comunque idearono gli Stati Uniti e ne gettarono le fondamenta costituzionali, giuridiche e sociali. ‘Gerrymandering’:nei singoli Stati la composizione dei Distretti Elettorali è di competenza locale.Ciò comporta aggiustamenti e accorpamenti tesi a favorire l’elezione di esponenti del partito al momento in grado di decidere in merito.Il nome deriva da quello di un Governatore del Massachusetts (Elbridge Gerry, poi Vice Presidente) dei primi Ottocento.Guardando la mappa colorata dello Stato dopo i suoi armeggi, un tale abbe a dire: “Pare una salamandra”.Salamandra = ‘salamander’ da cui ‘salamandering’ da cui appunto ‘gerrymandering’, ‘Grand Old Party’:altro appellativo del partito repubblicano.L’acronimo GOP viene in alternativa usato per indicare il movimento politico, i suoi esponenti e i suoi elettori Grandi Elettori:(N.B: l’iniziale maiuscola sempre data nel testo a questi signori – del resto negli States effettivamente chiamati ‘Electors’ – è una mia iniziativa, li distingue dagli ‘elettori’ comuni, con l’iniziale minuscola): coloro che nominati “il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre dell’anno bisestile” (allorquando si afferma venga scelto dal popolo il Capo dello Stato, cosa che non corrisponde al vero essendo l’elezione dell’inquilino di White House di secondo grado e non diretta ad opera dei cittadini)   in effetti eleggono il Presidente degli Stati Uniti “il primo lunedì dopo il secondo mercoledì del successivo mese di dicembre”.Sono attualmente, sulla base degli esiti del Censimento del 2010, e dal 1964 cinquecentotrentotto – pari al numero dei Senatori (cento, due per ogni Stato) e dei Rappresentanti (quattrocentotrentacinque, distribuiti in proporzione al numero degli abitanti quale risulta dal decennale Censimento) ai quali hanno in totale diritto i cinquanta Stati dell’Unione con in aggiunta tre delegati del Distretto di Columbia – eletti nella indicata circostanza Stato per Stato.La maggioranza assoluta da raggiungere da parte dei candidati è pertanto pari a duecentosettanta. ‘House of Representatives’si chiama ‘Camera dei Rappresentanti’ il ramo del Congresso nel quale – ai sensi e per conseguenza della approvazione da parte dei Costituenti del cosiddetto ‘Compromesso del Connecticut’ che introdusse il bicameralismo – è appunto rappresentato il popolo.Ogni Stato ha diritto ad un minimo di un eletto nel consesso (parecchi sono attualmente in tale situazione).Essendo per disposizione di legge il numero totale dei ‘Representatives’ fissato a quattrocentotrentacinque, sono distribuiti proporzionalmente alla consistenza degli abitanti quale risulta dal decennale Censimento.Possono pertanto aumentare o diminuire e guardando proprio a tali mutazioni si può tenere storicamente conto dei movimenti e delle migrazioni interne come dei progressi o dei declini sociali delle singole realtà.Gli Stati delimitano al proprio interno la composizione dei Distretti elettorali.Essendo il mandato dei Rappresentanti biennale, il totale rinnovo avviene ogni due anni, in occasione e coincidenza delle votazioni per i Grandi Elettori e nelle cosiddette Mid Term Elections.Gli eletti entrano in carica il 3 gennaio dell’anno seguente la chiamata alle urne degli aventi diritto. ‘Impeachment’:è la messa in stato d’accusa del Presidente (come pure di funzionari) da parte della Camera – che può assumere a maggioranza l’iniziativa – per tradimento, corruzione e atri crimini o misfatti (dizione estremamente generica).Se l’assemblea citata lo ritiene, il Presidente (lasciamo da parte gli altri) va a giudizio davanti al Senato che, essendo in quel momento Organo Giudiziario, viene per la bisogna presieduto dal ‘Chief’ della Corte Suprema e non dal Vice Presidente (per Costituzione sua guida) o dal suo sostituto ‘pro tempore’.Perché si arrivi alla destituzione il giudizio negativo (positivo quanto alla richesta) deve essere votato dai due terzi dei presenti.Finora, tre i Capi dello Stato sottoposti alla procedura ed assolti. Andrew Johnson, Bill Clinton e Donald Trump.  Contrariamente a quanto universalmente si ritiene, Richard Nixon non fu soggetto all’Impeachment in quanto dimessosi prima dell’inizio della procedura. ‘Incumbent’:è così definito il funzionario (e quindi anche il Presidente) il cui mandato in scadenza egli intenda rinnovare condidandosi nuovamente. ‘Independents’:oltre, ovviamente, ai candidati non riferiti a partito alcuno, sono definiti indipendenti gli iscritti alle liste elettorali che non hanno dichiarato affiliazione. ‘Invisible Primaries’:il periodo delle ‘Primarie invisibili’ è quello precedente l’inizio della maratona elettorale che si articolerà appunto attraverso i Caucus e le vere Primarie.È il momento nel quali i molti candidati si confrontano, scremandosi, nei dibattiti televisivi stabiliti dai rispettivi Comitati Elettorali Nazionali, nella spesso decisiva raccolta fondi, nei sondaggi, non chiedendo ai cittadini di votarli.. Linea di Successione:nel caso in cui il Presidente sia impedito per malattia o altre necessità di fare fronte ai propri impegni viene sostituito (‘Acting President’, il desso incaricato) dal Vice.Se anche questi fosse impossibilitato, la Linea prevede quali seguenti possibili A. P. lo Speaker della Camera, il Presidente pro tempore del Senato, i membri del Gabinetto l’ordine di subentro dei quali, partendo dal Segretario di Stato, è indicato dalla legge.   Liste elettorali:il diritto di voto è collegato al raggiungimento della maggiore età (diciotto anni).Peraltro, per esercitarlo, è necessario iscriversi alle Liste Elettorali.Nel farlo, si può dichiarare (ma anche no) il proprio orientamento politico, il partito di riferimento. ‘Majority and Minority Leaders’al Senato come alla Camera, nelle prime sedute di ogni Legislatura, i partiti si organizzano e a scrutinio segreto scelgono i rispettivi capi.Il movimento politico che ha nei consessi il più gran numero di scranni elegge pertanto, alla Bassa come alla Alta, al proprio interno, il ‘Majority Leader’.L’altro provvede di contro alla individuazione del ‘Minority Leader’.Coadiuvati dai rispettivi ‘Whip’, operano in accordo (teorico?) con gli organi delle Camere di appartenenza per organizzarne e regolarne i lavori. ‘Maverick’:è cosi denominato il candidato non identificabile – per quanto lo rappresenti elettoralmente – con uno dei partiti in corsa per la carica (presidenziale ma non solo).Era così chiamato il vitello non marchiato del quale pertanto non si conosceva il padrone. ‘Mid Term Elections’:essendo il mandato dei Rappresentanti biennale e venendo ogni due anni rinnovato un terzo dei Senatori, ovviamente, oltre alle tornate elettorali per i due rami del Congresso coincidenti con le votazioni per la scelta dei Grandi Elettori, si svolgono, a metà (e per questo vengono in cotal modo chiamate) del mandato presidenziale, le ‘Mid Term Elections’.Nella circostanza, ‘il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre’ dell’anno pari intermedio tra le Presidenziali, come detto, gli scranni della Camera sono messi tutti in gioco, mentre quelli del senato solamente per la Classe di membri dello stesso in scadenza (un terzo, ai quali si possono aggiungere, se del caso, elezioni per seggi vacanti a seguito di morte o dimissione del titolare). ‘Nomination’:l’investitura a candidato alla Presidenza che viene ufficializzata nelle Convention ‘Official affiliation’: iscrizione alle liste elettorali con indicazione del partito di riferimento ‘Perennial candidates’:sono in questo modo definiti quei personaggi che si candidano ripetutamente ad una carica non avendo possibilità di effettiva elezione.Può capitare, come nel caso di Eugene McCarthy, che in una prima occasione (era il 1968) abbiano una qualche probabilità di riuscita, fallita la quale, non accettando le retrovie, sempre meno efficacemente, riprovano cambiando schiaramento.Non devono essere in cotal modo definiti uomini quali Eugene Debs – molte volte investito della nomination del partito socialista nei primi decenni del ventesimo secolo – in quanto ‘di bandiera’, in rappresentanza di una idea. ‘Perennial Swing State’:Stati che con buona regolarità votano differentemente non restando ancorati a un partito.Sono gli Stati ai quali si deve maggiore attenzione perché i loro spostamenti decidono le elezioni. ‘Platform’:il programma dei partiti come approvato nelle Convention ‘Platform Committee’:è il Comitato preposto alla formulazione del programma dei partiti ‘Political Action Committee’ (PAC e SUPERPAC):sono i PAC e i Superpac Comitati che nascono per organizzare la raccolta fondi a favore di un candidato.Possono usare i denari raccolti anche per ostacolare gli avversari del politoco che sostengono. ‘Poll’:sondaggio elettorale precedente le votazioni ‘President’il Presidente degli Stati Uniti d’America esercita il potere esecutivo.Lo fa attraverso il Governo composto da Ministri Segretari di Stato coadiuvato da Consiglieri per le varie articolazioni che formano l’Ufficio Esecutivo guidato dal Capo di Gabinetto.Non ha potere legislativo alcuno ma indirizza alle Camere (oltre al tradizionale Messaggio sullo stato dell’Unione) qualora lo ritenga utile o necessario missive che diano indicazioni che vanno però raccolte e presentate in forma di progetto alle assemblee dai componenti delle stesse.Ha ovviamente poteri in campo amministrativo laddove procede per Decreto.Salvo naturalmente i primi eletti (a nessuno tra loro almeno due dei tre requisiti poi dettati potevano essere richiesti), il Capo dello Stato USA deve- avere compiuto trentacinque anni al momento delle elezioni - essere cittadino dalla nascita - risiedere negli States da almeno quattordici anni.È soprattutto quanto al secondo degli elencati requisiti che si discute essendosi vie più allentate le interpretazioni in merito.In origine (ripeto, non per i Padri della Patria nati tutti prima la Dichiarazione di Indipendenza del 4 luglio 1776 e il Trattato di Parigi del 3 settembre 1783) e per lungo tempo rigidissimi i canoni.Occorreva assolutamente che l’eligendo fosse nato negli Stati Uniti.Per dare un’idea dei cambiamenti al riguardo, quando nel 1964 i repubblicani proposero Barry Goldwater non pochi ebbero ad eccepire facendo presente che era nato in Arizona prima che quello Stato, nel 1912, fosse entrato a far parte dell’Unione.Nel 2016 si è invece accettato ufficialmente che si proponesse Ted Cruz, Senatore del Texas ma nato in Canada, a Calgary, da madre ma non da padre di nazionalità americana.Un davvero notevole cambiamento di punto di vista.Il mandato del Presidente è quadriennale e, dalla approvazione nel 1951 di un Emendamento scritto al fine di evitare, dopo quella di Franklin Delano Roosevelt (eletto quattro volte e infine morto in carica), altre Presidenze ‘a vita’, le elezioni possibili – anche non consecutive – sono due.L’elezione è del tutto particolare essendo la carica presidenziale conseguibile esclusivamente attraverso una votazione ‘indiretta’ (il popolo non vota senza intermediari).Dal 1848 (prima ci si recava alle urne per oltre un mese), si va ai seggi ‘il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre dell’anno coincidente col bisestile’ per scegliere, Stato per Stato, nella medesima consistenza numerica delle rispettive delegazioni parlamentari (Senatori più Rappresentanti), i delegati nazionali (detti ‘Elettori’ con la e maiuscola e che io chiamo ‘Grandi’) i quali, successivamente, ‘il primo lunedì dopo il secondo mercoledì di dicembre’, riuniti nel Collegio che li raccoglie formalmente, eleggeranno davvero il desso.(È possibile – è accaduto nel 1824 – che più di due essendo i candidati in grado di vincere negli Stati e per conseguenza conquistare Grandi Elettori nessuno tra loro arrivi alla maggioranza assoluta dei membri del citato Collegio.Nell’ipotesi, la nomina spetta alla Camera eletta in contemporanea che provvederà dopo l’insediamento e quindi nel successivo anno con un voto ‘per delegazione’ contando uno nella circostanza ogni Stato a prescindere dal numero dei citatissimi Grandi Elettori di spettanza).Prima di F. D. R., con la sola eccezione di Ulysses Grant (che aveva cercato invano nel 1880 una terza nomination dopo avere esercitato in precedenza due mandati), nessuno, per quanto ‘grande’ si fosse dimostrato nell’impegno, aveva brigato per una terza possibilità, in questo rispettando la disposizione orale di George Washington che, non accettando di riproporsi nel 1796, aveva detto che non si poteva sostenere per più di otto anni un peso tanto grave.Infiniti i record da ricordare quanto ai Presidenti (oltre a quello, indicato ma neppure avvicinabile per via dell’Emendamento di cui sopra, del secondo Roosevelt che è stato eletto quattro volte ed è rimasto in carica dal 4 marzo 1933 – il mandato, dalle votazioni del 1792 a quelle del 1932 comprese, prevedeva il Giuramento e l’Investitura appunto il 4 marzo dell’anno successivo a quello elettorale e non come dal 1937 il 20 gennaio - al 12 aprile 1945!).Ne ricordo alcuni.L’unico che va considerato indipendente è George Washington, il primo eletto e rieletto e il solo al quale tutti i Grandi Elettori abbiano dato il voto all’unanimità (tutte e due le volte).Il primo degli otto tra loro ai quali accadde a morire in carica (uno solo il dimissionario, Richard Nixon) e detentore altresì del primato del mandato più breve (trenta giorni, dal 4 marzo 1841 al 4 aprile successivo) è stato William Harrison.Il primo Vice subentrato (il 4 aprile 1841) e che ha pertanto ricoperto l’incarico da lui non iniziato per più tempo in una sola legislatura, non dipoi ricandidandosi, (fino al 4 marzo 1845) è stato John Tyler.A parte Washington, anche James Monroe nel 1820 avrebbe potuto avere l’unanimità dei Grandi Elettori se uno tra loro non avesse volutamente deciso di votargli contro in sede di Collegio.Grover Cleveland è stato eletto due volte non consecutive ed è pertanto elencato sia quale ventiduesimo che come ventiquattresimo inquilino della Executive Mansion.È per questa ragione che, pur essendo quarantaquattro le persone che hanno ricoperto l’incarico, Donald Trump è il quarantacinquesimo Presidente.Nei tempi recenti, la votazione più ‘a valanga’ è stata quella di Ronald Reagan nel 1984: cinquecentoventicinque Grandi Elettori su cinquecentotrentotto!Dal dopo 1951, solo due inquilini di White House tra quelli che hanno richiesto, come va facendo Trump, una seconda possibilità (Jimmy Carter e George Herbert Bush) sono stati sconfitti. Presidente ‘pro tempore’ del Senato:allorquando il Vice Presidente USA, per Costituzione Presidente del Senato, non possa presiedere il consesso, l’incarico è assunto dal Presidente ‘pro tempore’ che è scelto tra i Senatori con la massima anzianità ed appartiene necessariamente al partito di maggioranza nell’assemblea.Il ‘pro tempore’ è nel caso il terzo nella linea di successione al Capo dello Stato dopo il predetto Vice e lo Speaker della Camera. ‘Presidential Transition Team’:è il Comitato che viene preparato dai partiti in vista del trasferimento della poltrona presidenziale con annessi e connessi ad elezioni avvenute.È incaricato di provvedere totalmente alla bisogna. ‘Presumptive nominee’:è il candidato alla nomination che non ha più competitori, essendosi gli altri ritirati, ma che, essendoci ancora Primarie e Caucus da effettuare, non ha raggiunto la maggioranza assoluta dei delegati alla Convention. ‘Primary’:elezione diretta da parte degli elettori dei delegati – collegati ad uno dei candidati alla Nomination – di un partito alla Convention.Nelle Primarie ‘chiuse’ sono ammessi al voto solamente gli elettori che iscrivendosi alle Liste Elettorali hanno dichiarato di essere vicini al partito che le indice.Nelle Primarie ‘aperte’ la partecipazione è appunto aperta a tutti coloro che risultano iscritti alle Liste Elettorali e non limitata. ‘Rally round the flag effect’:è la situazione nella quale, per via di una guerra in atto, di una epidemia, di un disastro naturale di grande portata, gli elettori, per un più o meno lungo periodo, si stringono attorno alla bandiera e pertanto alla Casa Bianca, chiunque la abiti.
‘Recanvass’: riconteggio dei voti ‘Red State’:Stato che si esprime di norma a favore dei repubblicani(sulla carta geografica che rappresenta gli Stati nel giorno elettorale quelli aggiudicati ai democratici sono colorati appunto di rosso). ‘Red Wall’:il complesso degli Stati che usualmente votano repubblicano.Il conteggio relativo al numero totale dei loro Grandi Elettori è decisamente inferiore oggi ripetto a quello che promana dal suddetto ‘Blue Wall’ democratico. ‘Republican National Committee’ (RNC):è il Comitato che sovraintende alle attività partitiche e al supporto degli eletti al Congresso del movimento politico il cui simbolo è l’Elefantino ‘Running Mate’:candidato alla Vice Presidenza che affianca nel ‘ticket’ partitico il candidato alla Casa Bianca ‘Senate’al Senato (sulla base di quanto proposto dalla sua delegazione e dalle altre approvato), per via del cosiddetto ‘Compromesso del Connecticut’ – che ha introdotto il bicameralismo – sono rappresentati gli Stati.Questi avendo tra loro pari dignità, a prescindere da considerazioni quali quella in particolare del numero dei rispettivi abitanti, hanno sempre lo stesso numero di Senatori, due.In origine, e fino alla attuazione della riforma voluta approvando l’Emendanento datato 1913,  i Laticlavi erano scelti dai Legislativi statali.Dopo, direttamente dal popolo.Il mandato è di sei anni ma il rinnovo attraverso il voto avviene per classi essendo a tale bisogna gli eletti divisi.Ogni due anni – in coincidenza con le votazioni per la scelta dei Grandi Elettori e dell’intera Camera, pertanto ‘il primo martedì dopo il primo lunedì’ sia dell’anno bisestile che del conseguente pari nel quale si svolgono le Mid Term Elections – va al voto un terzo degli scranni.(La finalità è quella di evitare mutazioni troppo rapide, radicali e poco ragionate delle maggioranze).Ovviamente, i due Senatori di ciascuno Stato (che funge da Circoscrizione) non possono essere votati contemporaneamente.Entrano in attività il 3 gennaio dell’anno successivo a quello elettorale.Per quanto, guardando alla proposizione e approvazione delle leggi i due rami del Congresso abbiano le medesime funzioni così non è in materia soprattutto di ratifica dei Trattati Internazionali e delle nomine operate dal Presidente relativamente a Ministri, Ambasciatori, Giudici della Corte Suprema e Federali di spettanza esclusivamente senatoriale.Sono altresì divise le facoltà in merito alla procedura di Impeachment, messa in stato d’accusa del Presidente (o di altri ‘funzionari’): la Camera a maggioranza incrimina se lo ritiene e il Senato può destituire se al minimo i due terzi dei presenti al giudizio lo vogliono.Nel caso di decesso o dimissioni di un Senatore il regolamento da seguire è quello dello Stato coinvolto che può differire (in alcuni casi il Governatore provvede direttamente alla sostituzione e in altri si va al voto).Comunque, colui che subentra, porta a termine il mandato del predecessore mantenendo assolutamente le stesse scadenze (non parte a suo riguardo un diverso seiennio). ‘Snapshot’ ovvero ‘istantanea’:come può essere correttamente definito un sondaggio elettorale che in effetti coglie il preciso attimo nel quale viene effettuato e può essere successivamente smentito. ‘Speaker’:è il titolo attribuito al Presidente della Camera, espressione del partito che nel consesso ha la maggioranza e seconda persona in ordine di linea nella successione al Presidente dopo il Vice. Superdelegati:in particolare nel partito democratico (tra i repubblicani contano davvero poco), oltre ai delegati alla Convention, tre Primarie e Caucs, vengono eletti i cosiddetti ‘superdelegati’ – nel 2020 nel numero cospicuo di settecentoquarantuno – che dal secondo ballottaggio, ove nel primo non sia eletto il candidato ufficiale, intervengono e sono liberi dagli impegni invece costrittivi nei confronti del ‘normali’ delegati.Sono scelti tra i maggiorenti del partito.   ‘Swing State’:Stato che cambia il proprio voto a seconda delle circostanze politiche e dei candidati proposti, del quale, pertanto, non si può conoscere preventivamente con certezza l’orientamento.Sulla carta geografica che rappresenta gli Stati nel giorno elettorale è colorato di viola salvo dipoi volgere al blu o al rosso a seconda del risultato definitivo. ‘Swing Voters’:elettori non necessariamente legati ad un partito e disposti a votare secondo programmi e candidati ‘Term’:il mandato è chiamato ‘Term’ e per la Presidenza dura un quadriennio.Dal 1937 si entra in carica a mezzogiorno del 20 gennaio dell’anno seguente le votazioni e si decade sempre a mezzogiorno di quattro anni dopo.Gli eletti si dividono in ‘One Term President’, quelli non rieletti.‘Two Terms President’, colro che sono stati confermati.Uno soltanto il ‘Four Terms President’, Franklin Delano Roosevelt il cui record non è nemmeno avvicinabile dato il disposto dell’Emendamento del 1951 che vieta una terza elezione. ‘Ticket’:dalle votazioni del 1804 i partiti devono presentare uniti appunto in un ticket il candidato alla Presidenza e il suo Vice. ‘Tie-breaking votes’:quando al fine di decidere in una votazione senatoriale finita in partità il Vice Presidente, nelle vesti di Presidente della Camera Alta, esprime il proprio suffragio determinando l’esito. ‘Too close to call’:espressione usata allorquando il risultato di una votazione è incerto al punto di non poter dire chi ha vinto se non a scrutinio terminato ‘Trifecta’:modo di dire in uso allorquando un partito controlla, a livello nazionale, Presidenza e Congresso (entrambe le assemblee e pertanto i tre più importanti incarichi), a livello locale, quando occupa gli scranni sia Governatoriali che di Presidenza delle due Camere.L’unico Stato nel quale non si può verificare è il Nebraska che ha una sola Camera e non due. ‘Turnout’:affluenza, partecipazione alle urne ‘Unwinnable States’:vengono in cotal modo indicati gli Stati in determinate circostanze non contendibili da un partito troppo e non colmabile neppure con una massiccia propaganda e grande impegno economico essendo il distacco dall’altro in termini di voti popolari.Tanto vale nell’ipotesi evitare un inutile impegno e rivolgersi altrove. ‘Vice President’:eletto solo a partire dal 1804 in un ‘ticket’ che forma con il candidato allo scranno Presidenziale del suo partito (prima il sistema elettorale non prevedeva una separazione delle due posizioni ragione per la quale colui che otteneva più Grandi Elettori diventava Capo dello Stato e il secondo, anche se appartenente ad un differente partito, aveva la funzione appunto vicaria), il Vice Presidente, proprio per il fatto di essere il primo in linea di successione del titolare dell’incarico, deve possedere i tre requisiti richiesti dalla Costituzione a chi sieda a White House.Per il dettato costituzionale presiede il Senato potendo però votare solo in caso di parità (potere peraltro non da poco essendo nell’ipotesi sempre determinante).Presiede necessariamente in quanto uscente anche la seduta del rinnovato Congresso nella quale saranno convalidate le elezioni delle due massime cariche.Per il disposto dell’Emendamento del 1951 che limita a due le possibili elezioni presidenziali è in un particolare caso in grado di governare oltre gli otto anni che configurano due quadrienni e quindi più a lungo di un ‘two terms President’.Se infatti subentrato al titolare nel secondo biennio di Presidenza può candidarsi, ovviamente, per il mandato seguente ma altresì, per quanto eletto, per quello ancora dopo, cosa che gli è invece vietata quando sia succeduto nel primo biennio.Sette i Vice che si sono seduti sulla poltrona del Presidente a seguito della morte del titolare.Due a seguito delle dimissioni (la prima volta nel 1832 quando John Calhoun preferì fare il Senatore e la seconda allorché nel 1973 Spiro Agnew dovette lasciare perché coinvolto in scandali che riguardavano il suo precedente operato di Governatore).Fino alla approvazione di un Emendamento datato 1967, il Vice deceduto o dimesso (mai verificatasi questa seconda ipotesi prima del citato 1973) non poteva essere sostituito.Da allora, con una particolare procedura (nomina presidenziale e conferma da parte del Congresso) può esserlo (il primo ed unico ad avere avuto modo di seguire tale iter è stato Gerald Ford poi approdato addirittura a White House a causa delle dimissioni di Richard Nixon).   ‘Whip’:‘frusta’ – dal nome che nella caccia alla volpe viene dato a colui che è incaricato di tenere unita la muta dei cani usando se del caso il frustino – è il parlamentere appunto incaricato di tenere i collegamenti con i colleghi eletti e coordinarne i lavori stando altresì attendo alla disciplina peraltro non certamente opprimente negli USA come in altri Paesi. ‘Winner takes all method’:è il metodo usato oggi da quarantotto dei cinquanta membri dell’Unione (Maine e Nebraska esclusi) e dal Distretto di Columbia per attribuire ad uno dei candidati alla Casa Bianca i Grandi Elettori di spettanza.È così denominato in ragione del fatto che il candidato che vince in termini di voti popolari in uno Stato anche di un solo suffragio conquista tutti i Grandi Elettori ai quali lo Stato stesso ha diritto.Il Maine e il Nebraska non usano il ‘Winner takes all method’ avendo deciso di dividere il loro territorio in Circoscrizioni nell’ambito di ciascuna delle quali viene eletto un singolo Grande Elettore.Nel differente momento della scelta dei delegati alle Convention, invece, il ‘method’ è applicato in particolare dai repubblicani mentre i rivali usano praticamente sempre il proporzionale.Occorre pertanto che il Grand Old Party arrivi più rapidamente alla attribuzione della maggioranza dei delegati stessi. ‘Warking class white voters’:sono gli elettori bianchi addetti all’industria in crisi appartenenti ai ‘Midwestern Rust Belt States’ risultati determinanti nel 2016 avendo votato Trump.

Riepilogo non esaustivo (sarebbe mai possibile?) ma interessante.
Domande e risposte a proposito del sistema elettorale americano.
Regole, primati, curiosità.

Brevissima premessa.
Il Partito Democratico è anche detto dell’Asino o dell’Asinello avendo appunto come simbolo il nobile animale in questione.
Il Partito Repubblicano è anche detto dell’Elefante o dell’Elefantino per lo stesso motivo.
Per di più, il repubblicano è altresì chiamato Grand Old Party, da cui GOP, acronimo che si usa sia per indicare il movimento che a proposito di un suo esponente (‘è un GOP’, si dice) o votante.

D: La scelta del Presidente avviene attraverso una elezione ‘diretta’ (in altre parole, i votanti si esprimono direttamente a favore dei candidati)? R: No, si tratta di una elezione ‘di secondo grado’. Vengono nominati, Stato per Stato, dei Delegati – denominati ‘Electors’ con l’iniziale maiuscola per distinguerli dagli elettori comuni, o ‘Grandi Elettori’ – i quali, in seguito, in sede di Collegio Nazionale, eleggono il Presidente.
D: Come vengono attribuiti i Delegati per le presidenziali? R: Il candidato che vince per voti popolari in uno Stato (tranne in Maine, dal 1972, e in Nebraska, dal 1996, laddove si procede con un complicato sistema che prevede la suddivisione dello Stato stesso anche in singoli distretti elettorali) ottiene tutti i Delegati ai quali quel determinato Stato ha diritto. Si applica quindi il ‘Winner take all Method’ (il vincitore si prende tutto).
D: A quanti Delegati ha diritto ciascuno Stato nelle presidenziali? R: A tanti quanti sono i suoi Congressisti nazionali (Senatori più Rappresentanti e considerato che questi ultimi sono in proporzione al numero degli abitanti, più lo Stato è popolato, maggiore è il numero dei suoi Rappresentanti e, quindi, dei Delegati da eleggere).
D: Quanti sono in totale i Delegati da nominare? R: Dalle elezioni del 1964, cinquecentotrentotto, pari alla somma dei Senatori (cento) più i Rappresentanti (quattrocentotrentacinque) più i tre ai quali ha diritto dal 1961 il District of Columbia. Per conseguenza, per arrivare a White House bisogna ottenere almeno duecentosettanta ‘Voti elettorali’ pari alla maggioranza assoluta.Nel caso in cui ciò non avvenisse (fra poco esaminerò l’accaduto nel 1824), la competenza passa alla Camera.
D: Tutti i cittadini maggiorenni (diciotto anni compiuti) hanno diritto al voto? R: Sì, ma per esercitare tale diritto – come per candidarsi ad una carica pubblica – è necessario che il cittadino si iscriva alle ‘Liste elettorali’. Non facendolo, dimostra di non volere praticare un potere che, comunque, gli appartiene. Nell’iscriversi alle predette Liste, gli elettori possono (non è obbligatorio) dichiarare quale sia il loro partito di riferimento la qual cosa sarà di necessario ausilio nelle Primarie ‘chiuse’.
D: Quale fu il primo Presidente a risiedere nella dimora presidenziale (Executive Mansion, non ancora Casa Bianca, considerato che verrà così denominata solo dopo la sua ricostruzione conseguente all’incendio appiccato dagli inglesi all’edificio presidenziale il 24 agosto 1814)? R: John Adams, nell’anno 1800.
D: Quanti sono stati i Presidenti USA? R: Joe Biden è conteggiato quale quarantaseiesimo Capo dello Stato americano ma i Presidenti in quanto persone sono stati quarantacinque. Fatto è che Grover Cleveland, eletto due volte ma non consecutivamente, è incluso nell’elenco sia al ventiduesimo che al ventiquattresimo posto. Al riguardo, da segnalare che la giovane moglie di Cleveland, Frances Folsom, era così sicura che il marito avrebbe riconquistato la Presidenza, che il 4 marzo 1889, lasciando la Casa Bianca a seguito della precedente sconfitta ad opera di Benjamin Harrison, chiese al maggiordomo di tenere tutto in ordine perché aveva intenzione di tornare di lì a quattro anni, come in verità avvenne.
D: Quella attualmente in vigore e datata 1787 è la prima Costituzione che gli Stati Uniti si siano dati? R: Ufficialmente. Quella che altrimenti potrebbe essere così definita – denominata ‘Articoli di Confederazione’ – fu approvata dal Congresso nel novembre dei 1777 e il suo iter di ratifica da parte degli Stati si concluse nel 1781.Deludente alquanto, si decise di modificarla.I convenuti per la bisogna a Philadelphia nel 1787, invece, provvidero a vergarne una nuova.
D: Quando entrò in vigore il cosiddetto ‘Bill of Rights’? R: La Costituzione, per scelta dei costituenti che ritenevano fosse materia di competenza dei singoli Stati, non parla dei diritti individuali che sono invece elencati e garantiti dai primi Dieci Emendamenti (noti appunto come ‘Bill of Rights’) entrati in vigore attraverso la prevista procedura il 15 dicembre 1791. 
D: Quanti sono complessivamente gli  Emendamenti costituzionali? R: Ventisette.
D: Quale movimento politico organizzò la prima Convention nazionale?  R: Il partito Antimassonico nel 1831 allorché scelse William Wirt come proprio candidato alla Casa Bianca nelle presidenziali in programma l’anno dopo. Gli altri movimenti allora esistenti si adeguarono praticamente subito.
D: Che cosa è una Convention? R: È il momento conclusivo verso il quale tende tutto il sistema dei Caucus e delle Primarie: è il Congresso del partito che sceglie (ma, il più delle volte, non può che ratificare l’esito delle consultazioni interne svoltesi in precedenza) i candidati alla Presidenza, alla vice Presidenza e discute e delibera a proposito del programma elettorale (la cosiddetta ‘platform’).Notevole il fatto che le predette Primarie e Caucus, venuti in uso parecchio dopo la Convention, nella procedura interna ai partiti intesa a scegliere il candidato a White House, temporalmente, la precedono.
D: Cosa è una ‘brokered Convention’? R: È una Convention ‘aperta’ alla quale nessun candidato si presenta con una maggioranza di Delegati già conquistata. L’ultima volta nella quale il partito democratico tenne una Convention di tal fatta fu nel 1968 (ottenne la Nomination Hubert Humphrey). L’ultima volta per il partito repubblicano fu nel 1976 (prevalse Gerald Ford). A ben vedere, l’uno e l’altro poi a novembre persero.
D: La maggioranza dei Delegati alle Convention da conquistare è sempre stata fissata al cinquanta per cento più uno? R: Fino alla democratica del 1936 (a partire dalla quale avvenne il cambiamento), la maggioranza occorrente per ottenere la Nomination era dei due terzi. Non riuscendo, ovviamente, nessuno dei candidati a raggiungerla prima dell’inizio della kermesse, le votazioni si susseguivano a lungo senza esito e la Convention era il classico ‘mercato delle vacche’ nel quale gli accordi e le intese venivano raggiunti e subito traditi.
D: Quale fu la prima Convention ripresa dalla televisione? R: Nel 1948, una catena televisiva riprese le due Convention che ebbero entrambe luogo a Philadelphia. La repubblicana a giugno e la democratica a luglio.
D: Quale la prima elezione per prevedere il cui esito si usò il computer? R: Quella datata 1952 e il computer era della Remington.
D: Che cosa è un Caucus? R: Nella sostanza, una riunione ristretta degli attivisti locali del partito che lo indice al fine di scegliere i Delegati dello Stato alla Convention. L’espressione deriverebbe dalla lingua algonchina e avrebbe indicato la riunione dei capi tribù.
D: In vista di quale elezione presidenziale si adottarono per la prima volta le Primarie già usate nel Wisconsin, a livello statale, dal 1903?  R: Di quella del 1912 – la prima che vedeva partecipare tutti gli Stati membri continentali dell’Unione, quarantotto (Alaska e Hawaii si sarebbero aggiunti nel 1959) – che vide contrapporsi tra i repubblicani William Taft, Theodore Roosevelt e Robert La Follette. Il risultato non fu esaltante visto che, avendo vinto nelle poche Primarie indette (non tutti gli Stati usarono il nuovo sistema) Theodore Roosevelt e ciononostante essendo stato nominato William Taft, Teddy uscì  dal partito, si candidò come terzo e per conseguenza i repubblicani, diviso l’elettorato, persero White House.(William Taft finì addirittura terzo, il peggior risultato di sempre per un Presidente in cerca di conferme e comunque per un candidato di uno dei due partiti dominanti).
D: Di quanti tipi possono essere le Primarie? R: Fondamentalmente, con non poche varianti Stato per Stato, di due: chiuse o aperte. Nelle prime, sono ammessi solamente gli elettori iscritti nelle sopra citate Liste come votanti del partito che le ha indette. Nelle seconde (proprio per questo, dette aperte), possono votare tutti gli e quindi anche gli indipendenti e i simpatizzanti di altri partiti, sempre purché iscritti alle famose Liste. Quanto alla conquista dei Delegati, il partito democratico li aggiudica su base proporzionale (tanti voti, tanti Delegati); quello repubblicano utilizza sistemi diversi tra i quali il ‘Winner take all’ assoluto (chi prende più voti popolari in uno Stato che lo adotti ottiene tutti i Delegati in palio), il ‘Winner take all’ relativo (chi vince per voti popolari deve raggiungere il cinquanta per cento più uno per avere tutti i Delegati che altrimenti vengono spartiti proporzionalmente tra i candidati); in alcuni casi divide lo Stato in distretti e distribuisce gli eligendi uno per distretto riservando comunque una quota a chi prevale su tutto il territorio; eccetera.  
D: Come si definisce il calendario di Primarie e Caucus? R: Per quanto nelle tornate elettorali precedenti al 2016 molti Stati abbiano cercato di collocarsi tra i primi per avere maggior peso nella nomina dei Delegati (capitava ed è capitato che la votazione Primaria in Stati anche di notevole portata – la California, per esempio – sia arrivata a giochi fatti e cioè dopo il raggiungimento da parte dei candidati della maggioranza assoluta sottraendo alla consultazione locale buona parte della portata), sostanzialmente, si percorre una strada determinata. Si parte ai primi di febbraio dell’anno elettorale e si procede fino ai primi di giugno. L’ordine degli Stati chiamati al voto è determinato dai partiti. Nella maggior parte dei casi democratici e repubblicani vanno nello stesso giorno alle urne nel singolo Stato. Non sempre, però.
D: Perché i ‘Supermartedi’?R: Se le Primarie e i Caucus non fossero in qualche occasione raggruppati la maratona per la scelta dei Delegati alle Convention non avrebbe fine. Così, nello stendere i calendari, si è deciso di indire nello stesso giorno, in due o tre occasioni, un diverso numero di consultazioni che si svolgono di martedì (‘Supermartedì’ essendo parecchie le votazioni in giro per tutti gli USA) con riferimento al giorno in cui si vota per la Casa Bianca, appunto il martedì.
D: Quando e perché un Caucus? Quando e perché una Primaria? R: Sono i partiti a decidere e determinare se votare con un Caucus o con una Primaria e capita che uno Stato decida di cambiare e di passare dall’uno all’altro tipo di consultazione.
D: Quanti Delegati vengono eletti tra Primarie e Caucus in vista delle Convention? R: Il numero è variabile e, comunque, non è il medesimo per tutti i partiti.
D: Sulla base di quale criterio si decide a proposito del numero di Delegati alle convenzioni eletti in ogni singolo Stato? R: Maggiore il numero degli abitanti, maggiore il numero dei Delegati.
D: Cosa e chi sono i ‘Superdelegati’? R: Oltre ai Delegati scelti nei Caucus e nelle Primarie, il partito democratico fa partecipare alla Convention (con diritto di voto e senza obblighi di osservanza di impegni presi con l’elettorato visto che non vengono eletti) un notevole numero di ‘Superdelegati’: dirigenti, Rappresentanti, Senatori, Governatori e chi più ne ha più ne metta. La faccenda è oggetto di contestazione da parte di alcune frange del partito e degli elettori comuni. Nel GOP il fenomeno è molto limitato.
D: Un solo candidato a White House si vide affiancare da due diversi aspiranti alla Vice Presidenza.Chi? R: William Jennings Bryan, nel 1896. Aveva ottenuto la Nomination dai democratici ed anche dai populisti ed entrambi i partiti gli collegarono un candidato Vice.
D: Come si definisce gergalmente il candidato alla Vice Presidenza? R: Running Mate.
D: Quale è, tradizionalmente, il primo Caucus in calendario? R: Quello dello Iowa.
D: Quale Primaria, tradizionalmente, inaugura la campagna presidenziale? R: Quella del New Hampshire.
D: Quale fu il primo candidato cattolico alla Presidenza? R: Alfred Smith, nel 1928, democratico fu rovinosamente sconfitto da Herbert Hoover perché a causa della sua appartenenza religiosa (un ‘papista’) inaccettabile in molti Stati del Sud usualmente votanti democratico ma assolutamente e integralmente protestanti. Cattolico e democratico era altresì John Kerry, battuto nel 2004, non certamente per gli stessi motivi.
D: Quale fu il primo Presidente cattolico?  R: John Kennedy, eletto per i democratici nel 1960.  Al fine di evitare che la questione religiosa finisse col determinare, chiese ed ottenne che il tema non fosse tra quelli in discussione. Il secondo, eletto nel 2020, è Joe Biden.
D: Un cattolico ha mai fatto parte del ticket repubblicano? R: Due volte e in entrambi i casi quale candidato alla vice Presidenza. Nel 1964, con Barry Goldwater, William Miller, e nel 2012, con Mitt Romney, Paul Ryan. Per inciso e senza che vi sia un riferimento, in tutte e due le occasioni il GOP ha perso.
D: Quale fu il primo Presidente democratico? R: Andrew Jackson, per quanto non esplicitamente, vincitore nel 1828. In effetti, il partito democratico nasce a seguito dell’esito della campagna elettorale (sopra accennata) del 1824 che vede la nomina ad opera della Camera dei Rappresentanti di John Quincy Adams (nel caso in cui nessun candidato conquisti la maggioranza assoluta degli ‘Electors’ la decisione spetta appunto alla Camera che deve scegliere tra i primi tre classificati che abbiano riportato suffragi votando per Delegazioni e valendo il suffragio di ciascuno Stato uno, a prescindere) che viene preferito a Jackson benché questi abbia ricevuto un maggior numero di voti popolari e abbia riportato un numero più consistente di Delegati. È in conseguenza di ciò che il partito al quale sia J.Q.Adams che Jackson appartenevano – il Democratico/Repubblicano – si spacca e una delle due anime darà vita ai democratici.
D: Quale fu il primo candidato repubblicano? R: John Fremont, nel 1856. D’altra parte, il partito repubblicano era nato solo nel 1854, avendo come prima istanza l’abolizione della schiavitù che invece i democratici intendevano mantenere.
D: Quale fu il primo Presidente repubblicano? R: Abraham Lincoln, eletto nel 1860.
D: Quale fu il primo Presidente a morire in carica per cause naturali? R: William Harrison, nel 1841 a seguito di una polmonite. Dopo di lui, Zachary Taylor nel 1850, Warren Harding nel 1923 e Franklin Delano Roosevelt nel 1945.  
D: Quale fu il primo Vice Presidente a subentrare mortis causa a White House?  R: John Tyler, nel 1841.Succeduto il 4 aprile del 1841, resta il Vicario che ha occupato la Casa Bianca per più tempo, mancandogli solo un mese – si entrava in carica il 4 marzo – a fare l’en plein.
D: Quanti e quali i Vice in grado di proporsi autonomamente subito dopo avere esercitato appunto la vice Presidenza e di vincere? R: Quattro soltanto: John Adams nel 1796, Thomas Jefferson nel 1800, Martin Van Buren nel 1836 e Bush padre nel 1988. Richard Nixon arrivò anch’egli alla Casa Bianca, ma al secondo tentativo. Sconfitto da Kennedy nel 1960, si impose nel 1968.    Ha invece fallito nell’intento Al Gore nel 2000. Walter Mondale, Vice di Jimmy Carter, fu sconfitto nel 1984 quattro anni dopo avere lasciato l’incarico.L’attuale Capo dello Stato Joe Biden ha ottenuto l’agognata Nomination (era all’ennesimo tentativo) non in vista delle votazione seguenti il proprio mandato di Vice ma di quelle di quattro ani dopo (non 2016, ma 2020).
D: Quale fu il primo Presidente ad essere assassinato?  R: Abraham Lincoln, nel 1865. Dopo di lui, uccisi anche James Garfield nel 1881, William McKinley nel 1901 e John Kennedy nel 1963.
D: Quale il primo Presidente nero? R: Barack Obama, eletto nel 2008 e in carica per due successivi quadrienni.
D: ‘Maverick’, cosa vuol dire? R: Viene gergalmente definito in cotal modo il candidato, l’uomo politico non legato (o solo in piccola parte) a un partito o a una ideologia. Deriva dal verbo ‘To maverick: vagare, vagabondare’ e come sostantivo indicava il vitello o il torello privi di marchio e pertanto senza padrone.
D: Cosa si intende per ‘Maledizione dell’anno zero’? R: Dal 1840 e fino al 1960, tutti i Presidenti eletti o riconfermati in un anno con finale zero morirono in carica: William Harrison vittorioso appunto nel 1840, Abraham Lincoln eletto nel 1860, James Garfieldnominato nel 1880, William McKinley di nuovo vincitore nel 1900, Warren Harding in carica dopo le elezioni del 1920, Franklin Delano Roosevelt per la terza volta preferito nel 1940 e John Kennedy trionfatore nel 1960.Vincente nel 1980, Ronald Reagan subì un attentato l’anno seguente rimanendo ferito per fortuna non gravemente.
D: Quanti e quali i Presidenti in cerca di un secondo mandato sconfitti dagli sfidanti? R: Undici e precisamente John Adams nel 1800, John Quincy Adams nel 1828, Martin Van Buren nel 1840, Grover Cleveland (che poi rivinse nel 1892) nel 1888, Benjamin Harrison nel 1892, William Taft nel 1912, Herbert Hoover nel 1932, Gerald Ford nel 1976, Jimmy Carter nel 1980, George Herbert Bush nel 1992, Donald Trump nel 2020. Da notare che, a parte Grover Cleveland (peraltro, in grado di tornare in sella quattro anni dopo) e Jimmy Carter, a partire dal 1856 – prima il partito non esisteva – i Capi dello Stato non rinnovati sono tutti repubblicani.
D: Quale fu il primo Presidente ad essere sottoposto ad Impeachment? R: Andrew Johnson, nel 1868. Il successore di Lincoln se la cavò per il rotto della cuffia.
D: Quale fu l’unico Presidente che si dimise? R: Richard Nixon, nel 1974 a seguito dello scandalo Watergate.
D: Quale fu il primo Vice Presidente succeduto mortis causa alla Casa Bianca che si ripresentò autonomamente subito dopo la conclusione del mandato esercitato in luogo del predecessore?  R: Theodore Roosevelt, nel 1904. In precedenza i subentrati John Tyler, Millard Fillmore e Chester Arthur non avevano riproposto la candidatura al termine del quadriennio da loro iniziato come vice Presidenti (Fillmore lo fece quattro anni dopo).
D: Quale fu la Presidenza più corta? R: Quella di William Harrison, durata dal 4 marzo al 4 aprile 1841.
D: Quale fu la Presidenza più lunga? R: Quella di Franklin Delano Roosevelt, in carica dal 4 marzo 1933 al 12 aprile 1945. Il record non potrà mai essere battuto visto che nel 1951 fu approvato un emendamento costituzionale che impone il limite massimo di due mandati (anche se non consecutivi). Per la precisione, la norma in questione parla di un massimo ‘di due elezioni’ a prescindere quindi dal fatto che effettivamente l’eletto resti in carica per totali otto anni (pari a duemilanovecentoventidue giorni).
D: Quale fu il primo Presidente figlio di un altro precedente Capo dello Stato?  R: John Quincy Adams, eletto nel 1824 e figlio del secondo Presidente John Adams. Il secondo fu George Walker Bush.Benjamin Harrison era invece nipote di William Harrison.
D: Quali Presidenti sono arrivati alla Casa Bianca al secondo o terzo tentativo perché in precedenza sconfitti? R: John Adams, eletto nel 1796, era stato battuto (ma era previsto dato che il Padre della Patria ‘doveva’ essere eletto) da George Washington sia nel 1788/1789 che nel 1792; Andrew Jackson, superato da J. Q. Adams nel 1824, lo sconfisse nel 1828; William Harrison, perse le elezioni del 1836 contro Martin Van Buren, si prese la rivincita nel 1840; Richard Nixon, sconfitto da Kennedy nel 1960, fu eletto nel 1968.Altri, tra i quali Joe Biden, erano stati sconfitti nel tentativo di ottenere la Nomination, non nel confronto finale.
D: Quale ‘terzo candidato’, esponente di movimento politico diverso da democratici e repubblicani, ottenne il maggior numero di voti e Delegati nelle elezioni per la Presidenza? R: Theodore Roosevelt, fuoriuscito dai repubblicani, nel 1912.
D: Quale è l’unico Presidente eletto benché avesse ottenuto sia meno voti popolari che Delegati rispetto ad uno dei suoi rivali?  R: John Quincy Adams, nel 1824 fu battuto da Andrew Jackson che, però, non riuscì a raggiungere il numero di ‘Electors’ necessari ad ottenere l’investitura. La Camera dei Rappresentanti, chiamata a decidere secondo quanto disposto dal XII emendamento, si pronunciò per Adams.
D: Cosa si intende con l’espressione ‘Presidente di minoranza’? R: È tale l’eletto che abbia riportato a livello nazionale meno voti popolari rispetto al rivale ma che abbia prevalso per il numero maggiore dei ‘Grandi Elettori’ conquistati (è accaduto nel 1824, nel 1876, nel 1888, nel 2000 e nel 2016). È altresì così definito il candidato che vince in una corsa a tre o più competitori dove la somma dei voti popolari degli sconfitti è superiore alla sua. Per chiarire il concetto: nel 1860, il partito democratico presentò due aspiranti (Alfred Douglas e John Breckinridge). La somma dei suffragi ricevuti dai due era superiore a quella di Lincoln che però vinse. Ancora, nel 1912 – quasi a compensazione del precedente narrato – i voti catturati da William Taft, Presidente repubblicano in cerca di conferma, e da Teddy Roosevelt (che era uscito dal GOP) sommati furono molti di più rispetto  a quelli di Woodrow  Wilson che comunque si insediò a White House. 
D: Un solo candidato alla Casa Bianca vi arrivò dopo essere stato in precedenza sconfitto quale aspirante alla vice Presidenza.Chi?  R: Franklin Delano Roosevelt, eletto nel 1932 e battuto come vice di James Cox dodici anni prima, nel 1920.
D: Un unico Presidente entrò in carica senza essere stato eletto né come Capo dello Stato né come vice.Chi? R: Gerald Ford, subentrato a Nixon dopo le sue dimissioni, era in precedenza succeduto a Spiro Agnew nel mandato vicario con la prescritta approvazione del Congresso (la norma, innovativa rispetto al passato quando in assenza del Vice perché approdato alla Executive Mansion in luogo del Presidente deceduto, a propria volta morto, in un solo caso volontariamente rinunciatario, il Paese restava senza Vice fino alle successive votazioni, era contenuta in un Emendamento del 1967) a seguito delle dimissioni dello stesso Agnew. 
D: Quale è stato il candidato più giovane alla Presidenza? R: William Jennings Bryan, nel 1896 aveva trentasei anni.
D: Quale è stato il candidato di un partito nazionale più anziano alla Casa Bianca? R: Joe Biden, nel 2020, avviato ai settantotto anni. 
D: Quale è stato il più giovane Presidente eletto? R: John Fitzgerald Kennedy, che nel novembre del 1960, aveva poco più di quarantatre anni e cinque mesi.
D: Quale è stato il più giovane Presidente in carica?    R: Theodore Roosevelt, che non aveva ancora compiuto quarantatre anni allorché subentrò a William McKinley il 14 settembre 1901.
D: Quale è stato il più vecchio Presidente in carica?    R: È Joe Biden, nato il 20 novembre del 1942 e fra poco ottantenne.
D: Quale è stato il Vice Presidente più giovane eletto?R: John Breckinridge, nel 1856.Aveva trentasei anni da poco compiuti quando entrò in carica il 4 marzo 1857.
D: Cosa si intende, a chi si fa riferimento parlando di ‘candidato perenne’ (‘Perennial Candidate’)? R: In cotal modo viene chiamato un individuo pronto a candidarsi sempre e comunque, più spesso a livello locale, per tutte le cariche, col risultato, risaputo, di vedersi sbattere in faccia le porte in ogni occasione. Una figura in fin dei conti patetica. Si sono dati e si danno, peraltro, casi di ‘perennità’ a livello nazionale, il più famoso dei quali riguarda Eugene McCarthy, una vera ‘colomba’, nel gergo anni Sessanta. Dapprima Rappresentante e poi Senatore per i dem, McCarthy si candidò una prima volta alla Nomination nel 1968. Lunga e dura la sua battaglia nel corso di Primarie e Caucus in specie contro Robert Kennedy che lo sconfisse di poco in California nel giorno stesso in cui fu colpito a morte. Di lì in poi, la forza elettorale del Nostro sbiadì e la Convention del partito gli preferì il Vice in carica Hubert Humphrey (poi battuto da Nixon). La sconfitta subita non fu assorbita da McCarthy che, cambiando più volte appartenenza e non ottenendo altro che bocciature, si ripropose per White House la bellezza di altre cinque volte!!!
D: Due donne, prima di Hillary Clinton, hanno fatto parte di un ticket presidenziale sia pure non in prima fila. Di chi si tratta? R: Di Geraldine Ferraro, in corsa per la Vice Presidenza per i democratici con Walter Mondale, nel 1984 e di Sarah Palin, Vice in pectore di John McCain per i repubblicani nel 2008.Tutte e due, sconfitte.
D: Quale la prima Signora eletta invece alla carica di Vice che sta esercitando?R: Kamala Harris, già Senatrice della California, compresa nel ticket vincente democratico nel 2020.
D: Quale la prima donna ad ottenere la Nomination da parte di uno dei due partiti egemoni? R: Hillary Rodham Clinton, democratica, nel 2016, dopo che nel 2008 era stata sconfitta nelle Primarie da Barack Obama.. Va qui precisato che molte altre Signore si sono in precedenza proposte (addirittura nell’Ottocento, quando il gentil sesso non aveva diritto di voto: Victoria Woodhull era in corsa nel 1872!) ma tutte facenti capo a partiti minori senza concrete possibilità di elezione.
D: Quale la prima donna eletta susseguentemente in tutte e due le camere? R: Margaret Chase Smith, del Maine, fu, tra la fine degli anni Quaranta del Novecento e i primi Settanta, prima alla Camera dei Rappresentanti e poi al Senato in rappresentanza del suo Stato.
D: Quale la prima donna arrivata al ballottaggio in una Convention in corsa per ottenere la Nomination in uno dei due partiti maggiori? R: La citata Margaret Chase Smith, tra i possibili nominati alla convenzione repubblicana del 1964, sconfitta infine da Barry Goldwater.
D: Quale la prima donna nera eletta alla Camera?R: Shirley Anita Chisholm, nel 1968.
D: Un Vice Presidente in funzione uccise in duello un avversario politico che ne aveva ostacolato in precedenza l’ascesa alla massima carica (e non fu quello il loro unico motivo di contrasto). Chi era? R: Aaron Burr, vice di Jefferson dal 1801, che ferì a morte Alexander Hamilton nel 1804.
D: Un solo Presidente è stato eletto (anche) in un anno dispari. Chi? R: George Washington, in occasione della sua prima nomina, in una tornata elettorale iniziata nel 1788 che finì nel 1789. Fino al 1848, infatti, il voto era spalmato in un periodo di oltre un mese, in ogni occasione, salvo la or ora citata, comprendente il mese di novembre dell’anno bisestile.Per inciso, la data fissata per l’Insediamento del Presidente – che entra in carica l’anno successivo a quello delle elezioni – è il 20 gennaio a partire dal 1937. Prima, dal 1793 al 1933, si giurava e si entrava in carica il 4 marzo, giorno della promulgazione nel 1789 della Costituzione.
D: Quale è stato il candidato di un partito minore ma nazionale e in qualche modo significante più volte in corsa per la Casa Bianca? R: Eugene Debs, socialista, nel 1904, nel 1908, nel 1912 e nel 1920 (in questo ultimo caso, mentre era recluso in galera).
D: Oltre Debs, quali altri candidati, appartenenti però a partiti nazionali non minori nelle loro rispettive epoche, sono stati sconfitti in più occasioni? R: George Clinton, nel 1792 e nel 1808; C.C.Pinckney, nel 1800, nel 1804 e nel 1808; Henry Clay, nel 1824, nel 1832 e nel 1844; William Jennings Bryan, nel 1896, nel 1900 e nel 1908; Thomas Dewey, nel 1944 e nel 1948; Adlai Stevenson (omonimo e nipote di un Vice Presidente dell’Ottocento), nel 1952 e nel 1956.
D: In una sola occasione due candidati ottennero il medesimo numero di Delegati. Chi erano e quando? R: Nelle elezioni del 1800, vigente un meccanismo elettorale diverso (non era previsto il ticket che fu introdotto nel 1804) Thomas Jefferson e Aaron Burr conquistarono  settantatre Voti elettorali a testa. La Camera dei Rappresentanti, come prescritto, si pronunciò in merito e al trentaseiesimo scrutinio scelse Jefferson. 
D: Ci sono stati candidati presidenziali comunisti? R: Sì, il relativamente più importante (anche perché appoggiato nel 1932 da molti intellettuali di larga fama) fu William Zebulon Foster.
D: Quanti sono i candidati alla Presidenza? R: Impossibile una risposta precisa. Per quanto i partiti maggiori siano due da moltissimo tempo (il primo confronto diretto risale al 1856), benché ovviamente terzi incomodi abbiano rarissimamente e del tutto parzialmente voce in capitolo, i candidati sono un numero incredibile. L’enorme maggioranza di questi signori, al massimo, è in corsa nello Stato di appartenenza. Peraltro, il Libertarian Party – che cerca da qualche tempo di accreditarsi come terzo partito nazionale – oggi si propone in tutti i cinquanta Stati.
D: Quanti e quali sono gli Stati fondatori dell’Unione?  R: Sono tredici (tanti quante le strisce nella bandiera americana) e precisamente: Connecticut, Delaware, Georgia, Maryland, Massachusetts, New Hampshire, New Jersey, New York, North Carolina, Pennsylvania, Rhode Island, South Carolina, Virginia.
D: In quale anno è stato istituito il District of Columbia? R: Nel 1790.
D: In quale ordine sono entrati nell’Unione i restanti trentasette Stati? R: 1791 Vermont, 1792 Kentucky, 1796 Tennessee, 1803 Ohio, 1812 Louisiana, 1816 Indiana, 1817 Mississippi, 1818 Illinois, 1819 Alabama, 1820 Maine e Missouri, 1836 Arkansas, 1837 Michigan, 1845 Florida e Texas, 1846 Iowa, 1848 Wisconsin, 1850 California, 1858 Minnesota, 1859 Oregon, 1861 Kansas, 1863 West Virginia, 1864 Nevada, 1867 Nebraska, 1876 Colorado, 1889 Montana, North Dakota, South Dakota e Washington, 1890 Idaho e Wyoming, 1896 Utah, 1907 Oklahoma, 1912 Arizona e New Mexico, 1959 Alaska e Hawaii.
D: Chi per primo parlò di Spoils System? R: L’espressione trae origine da una frase pronunciata da William L. Marcy, sostenitore di Andrew Jackson, che per giustificare la pratica messa in atto dal Presidente di premiare i propri amici con incarichi pubblici sottratti ai rivali politici, disse: ‘Non vedo niente di male nel principio che le spoglie dell’avversario appartengano al vincitore’. Per la storia, però, già Thomas Jefferson aveva applicato tale pratica per così dire ‘ante litteram’.
D: Quale Presidente fece la prima ‘nomina di mezzanotte’? R: John Adams, il quale – secondo leggenda ma in verità prima dato che Marshall risulta ufficialmente ‘Chief’ dal 31 gennaio di quell’anno – la sera del 3 marzo 1801 (ultimo giorno del suo mandato) nominò Presidente della Corte Suprema il proprio collega di partito John Marshall, un davvero grande giurista, che restò in carica fino al 1835 anno della morte.
D: Da quando il partito democratico ha per emblema l’Asino? R: Dal 1828, allorché Andrew Jackson, candidato alla Casa Bianca, fu definito appunto un Asino dagli avversari.
D: Da quando i repubblicani hanno per simbolo un Elefante? R: Il pachiderma fu ‘inventato’ come emblema del GOP (Grand Old Party, così venne denominato il partito tra gli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento) dal cartoonist Thomas Nast e apparve per la prima volta su Harper’sWeeckly il 7 novembre del 1874.
D: Quale partito vide entrambi i suoi candidati eletti a White House morire in carica? R: Il whig: William Harrison, eletto nel 1840 e deceduto nel 1841, e Zachary Taylor, eletto nel 1848 e morto nel 1850. Fra l’altro, i whig, nel loro programma, chiedevano che non fosse possibile essere eletti una seconda volta. Ad evitare che ciò succedesse, i loro massimi esponenti morirono in corso di mandato.
D: Quali Presidenti hanno vinto pur avendo ricevuto meno voti popolari a livello nazionale del rivale sconfitto? R: John Quincy Adams, 1824; Rutheford Hayes, 1876; Benjamin Harrison, 1888; George Walker Bush, 2000, Donald Trump nel 2016. J. Q. A. a parte, gli altri sono tutti repubblicani e hanno ovviamente prevalso su avversari democratici.La cosa è possibile in ragione del fatto che i ‘Grandi Elettori’ vengono assegnati Stato per Stato, guardando al voto popolare locale e non a quello nazionale.
D: Quanti vice Presidenti ha avuto Franklin Delano Roosevelt? R: Tre e precisamente John Garner nei primi due mandati, Henry Wallace nel terzo e Harry Truman nei tre mesi scarsi nei quali, prima di morire, governò, nel quarto. 
D: Quale Presidente ha nominato il primo Segretario di stato donna? R: Bill Clinton che scelse Madeleine Albright nel 1997.
D: Quale Presidente ha nominato il primo Segretario di Stato nero? R: George Walker Bush che chiamò nel quadriennio 2001/2005 Colin Powell. Nel successivo mandato, Bush affidò la medesima carica a Condoleezza Rice, primo Segretario di Stato donna e nera. 
D: Quale il primo candidato nero in grado di affermarsi almeno in una Primaria? R: Il democratico Jesse Jackson nel 1984 (si ripropose con esito migliore poi quattro anni dopo).   
D: Quale la prima donna capace di vincere almeno una Primaria? R: Hillary Rodham Clinton nel 2008.
D: Quale il primo candidato nero capace di conquistare la Nomination? R: Il Senatore democratico dell’Illinois Barack Obama nel 2008.
D: Quale il primo candidato ufficiale a White House di origini ebraiche? R: Barry Goldwater, repubblicano e Senatore dell’Arizona, travolto da Lyndon Johnson nel 1984.
D: Quali i Presidenti scolpiti nella pietra da Gutzon Borglum sul Monte Rushmore negli anni Trenta del Novecento? R: George Washington, Thomas Jefferson, Abraham Lincoln e Theodore Roosevelt. 
D: Quanti, a partire dal confronto del 1856 (il partito repubblicano fu fondato nel 1854 e si presentava quindi nel citato anno per la prima volta), gli scontri per la Presidenza tra repubblicani e democratici? R: Quarantadue a tutto il 2020. In ventiquattro occasioni ha vinto il repubblicano, in diciotto il democratico. Gli eletti repubblicani (ai quali si aggiungono quali successori il controverso Andrew Johnson – in ticket col repubblicano Lincoln ma in verità democratico – Chester Arthur e Gerald Ford) sono stati diciassette, quelli democratici undici. 
D: Chi fu il primo Presidente ‘davvero’ americano? R: Martin Van Buren il quale, nato nel 1782, fu in effetti il primo inquilino di White House ad essere venuto al mondo dopo la Dichiarazione di Indipendenza degli USA.
D: Davvero la Dichiarazione di Indipendenza è datata 4 luglio 1776?R: No.In quella data fu reso noto il testo già approvato due giorni prima, dal Secondo Congresso Continentale.È ciò tanto vero che in una lettera alla moglie Abigail Smith John Adams scrisse ‘Questo 2 luglio resterà nella storia?.
D: Ci sono stati Presidenti scapoli? R: Due, ma mentre il primo, James Buchanan, rimase tale, il secondo, Grover Cleveland, si sposò nel 1886 con una cerimonia del tutto privata.
D: Molti, come si è visto, i Presidenti morti in carica, ma quanti quelli rimasti vedovi? R: Due ed entrambi si risposarono in corso di mandato: John Tyler e Woodrow Wilson.
D: Quale la prima ‘vera’ First Lady, anche se l’espressione fu usata la prima volta in occasione dei funerali della vedova di James Madison, Dolley Todd, addirittura nel 1849? R: Julia Gardiner, seconda moglie del predetto Tyler. Più giovane del marito di trent’anni, colta e abituata alla vita di società, seppe muoversi con personalità e dare una sua impronta alla fino allora grigia vita presidenziale. La stampa parlò di lei – ed era appunto la prima volta che ciò accadeva a proposito di una consorte del capo dello Stato – come della ‘Presidentessa’.
D: Quale il primo Presidente coinvolto in scandali pressoché definibili ‘rosa’? R: Grover Cleveland che fu accusato nel corso della campagna elettorale del 1884 di essere un donnaiolo e di avere anche un figlio illegittimo. Il futuro Capo di Stato fece una cosa che nessun altro dopo di lui ha più ripetuto a fronte di accuse che riguardassero i rapporti con il gentil sesso: ammise tutto chiedendo se e come questo potesse avere a che fare con le sue qualità politico amministrative e lo scandalo si sgonfiò. Poco dopo, in carica e prima del precitato matrimonio, accusato di fare entrare e uscire un po’ troppe ‘donnine’ da White House, pubblicamente disse ‘Gli americani sanno di non avere eletto un eunuco’.
D: Quali i colori dei due partiti principali? R: Rosso per i repubblicani e blu per i democratici, ragione per la quale gli Stati che usualmente votano per i primi sono chiamati ‘Red States’ e quelli che si esprimono per i secondi ‘Blue States’. Nella notte dello spoglio, per conseguenza, in televisione, gli Stati che vengono assegnati ai GOP si colorano di rosso e quelli ai democratici di blu.
D: Cosa si intende per ‘Swing States’? R: Sono in cotal modo denominati gli Stati che non votano costantemente per lo stesso partito ma che di volta in volta variano trascorrendo da un iniziale viola al colore definitivo. I due più importanti sono l’Ohio e la Florida. L’Ohio ha da questo punto di vista una storia particolare perché dal 1964 in poi e fino al 2020 quando si è espresso per Trump e non per Biden, ha sempre votato per il candidato poi risultato vincente a livello nazionale.
D: Quanti sono di solito i votanti? R: La risposta fino al 2016 era: intorno al cinquanta/cinquantacinque per cento degli aventi diritto.In rarissime occasioni – così nel 1960 per Kennedy/Nixon – hanno superato ma non di molto il sessanta per cento. Ove si guardi al passato, negli anni Ottanta dell’Ottocento in specie, la partecipazione al voto era percentualmente molto maggiore. Peraltro, all’epoca, gli aventi diritto erano di meno non essendo per esempio ammesse alle urne le donne alle quali la possibilità venne riconosciuta attraverso un emendamento solo nel 1920. In merito, da ricordare che nell’allora territorio (non ancora Stato) del Wyoming al sesso debole il diritto in questione fu già concesso nel 1869.Nel 2020, stante la feroce contrapposizione tra i due candidati, il numero dei votanti è salito enormemente arrivando al sessantasei e sette per cento, record dal 1900. 
D: Chi fu il primo Vice Presidente? R: John Adams, poi successore di Washington.
D: Quali i requisiti richiesti per poter legittimamente aspirare alla Presidenza? R: Essere cittadini degli USA dalla nascita, essere stati residenti negli USA per almeno quattordici anni, avere almeno trentacinque anni d’età.
D: Perché si vota ‘il primo martedì dopo il primo lunedì’ di novembre? R: Così, come già detto, solo dal 1848 (vinse Zachary Taylor) perché in precedenza l’accesso ai seggi era spalmato su almeno trenta giorni, ogni volta (tranne la prima allorché si votò dal 15 dicembre 1788 al 10 gennaio 1789, un anni dispari!) comprendendo novembre, perché, essendo la domenica giorno del Signore appunto di domenica non si può votare. Dovendo poi lasciare agli Elettori il tempo per spostarsi dove sono i seggi (il giorno di lunedì), ecco che si vota di martedì. Non semplicemente il primo martedì perché potrebbe cadere il giorno 1 che è Ognissanti e quindi…
D: Il Presidente viene davvero eletto ‘il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre’ dell’anno elettorale? R: No. Quel giorno vengono in effetti eletti i già citati ‘Grandi Elettori’ (anche denominati ‘Delegati’) i quali, ‘il primo lunedì dopo il secondo mercoledì di dicembre”, riuniti nel ‘Collegio Elettorale’ (l’organo costituzionale a tal fine costituito) eleggono il Presidente.
D:  Quali le sequenze a White House dal 1856?  Ove si escludano in quanto assolutamente anomale – e irripetibili – le quattro elezioni di seguito di Franklin Delano Roosevelt (l’unico che, prima della approvazione del XXII Emendamento che limita a due le possibili elezioni si sia proposto appunto in più di due occasioni) e quella successiva di Harry Truman, quando uno dei due partiti che si confrontano per la Presidenza dal 1856 ha vinto più di due volte di fila? R: Per cominciare, il repubblicano si è imposto consecutivamente dal 1860 al 1880 compreso per un totale di sei mandati l’uno dopo l’altro (Lincoln, Lincoln, Grant, Grant, Hayes, Garfield gli eletti). Ancora il partito dell’Elefante dal 1896 al 1908 incluso per complessivi quattro quadrienni di seguito (McKinley, McKinley, Theodore Roosevelt, Taft i vincitori). Di nuovo il GOP tra il 1920 e il 1928 per tre termini (Harding, Coolidge, Hoover gli eletti). Ancora e ancora i repubblicani dal 1980 al 1988 con tre mandati (Reagan, Reagan, George Herbert Bush). 
D: Esistono controlli sulla salute fisica e mentale dei candidati? R: Non ufficialmente. Nella tornata elettorale del 1972, il Running Mate scelto dal democratico George McGovern era il Senatore Thomas Eagleton. Solo dopo la sua Nomination si scoprì che era stato sottoposto a cure psichiatriche. Fu sostituito, ma nessuno vieta di pensare che situazioni analoghe o peggiori possano nuovamente capitare.
D: Quanto dura una campagna elettorale? R: Con l’andare del tempo, la campagna elettorale – ove si comprendano le dichiarazioni di discesa in campo, i confronti tv interni ai partiti, i Caucus, le Primarie, le Convention e lo scontro finale – è arrivata a durare circa due anni. E si pensi che per tutto questo periodo i candidati devono necessariamente godere di ottima salute, costretti come sono ad essere costantemente in viaggio e sempre pronti alla bisogna. 
D: Quale l’ultima volta nella quale un candidato terzo rispetto ai due dei partiti maggiori ha avuto un notevole riscontro alle urne?  D: Se si guarda agli Stati conquistati, nel 1968 George Wallace, indipendente, ne catturò cinque. Se si guarda agli ‘Electors’ ottenuti, ancora nel 1968 il citato Wallace (quarantasei, quarantacinque sul campo e uno in sede di Collegio presidenziale).  Se si guarda alla percentuale del voto popolare a livello nazionale, Ross Perot nel 1992, che arrivò al diciannove per cento dei suffragi senza peraltro conquistare un solo Stato.
D: In quale occasione i due componenti il ticket di uno dei partiti maggiori erano entrambi Governatori in carica? R: Nel 1948 il GOP propose il duo Thomas Dewey/Earl Warren. Il primo era Governatore del New York. Il secondo della California.
 D: Quando sono iniziati i dibattiti televisivi a livello di contendenti a White House (perché in anni precedenti Adlai Stevenson e Estes Kefauver si erano confrontati in un dibattito interno ai democratici)? R: Nel 1960 e il primo (in verità, i primi quattro ma nell’immaginario collettivo ne è rimasto solo uno) vide confrontarsi faccia a faccia John Kennedy e Richard Nixon. Non sempre utilizzati nelle successive elezioni, sono da alcuni decenni il piatto forte della campagna elettorale. Occorre peraltro distinguere tra i dibattiti interni ai partiti – che vedono scontrarsi i vari candidati alle Nomination e seguono le regole interne – e quelli finali riservati ai due nominati. Anche i candidati Vice hanno un loro momento particolare.Questi ultimi confronti per così dire ufficiali sono attentamente regolati, sono determinati da un apposito comitato e hanno un loro calendario. Un terzo, un esponente nominato cioè da un altro partito o indipendente, è ammesso solo se i sondaggi nazionali lo danno almeno al quindici per cento delle intenzioni di voto. L’ultimo non democratico né repubblicano ad intervenire in quanto rientrante nel richiesto requisito fu Ross Perot nel 1992.
D: Si parla sempre dei ‘primi cento giorni’ di un eventuale governo. Come nasce questa espressione? R: Nel 1935, in vista delle elezioni dell’anno successivo, l’ex Governatore della Louisiana e all’epoca Senatore democratico Huey Long, non contento dell’azione governativa di F.D. Roosevelt che pure aveva appoggiato nel 1932, pubblicò un libello intitolato appunto ‘I miei primi (cento) giorni alla Casa Bianca’. Intendeva sfidare il Capo dello Stato in carica ed esponeva il suo programma relativamente alle cose da fare subito, appena in carica. Long fu ucciso per questioni private e la sfida non ebbe luogo, ma, come si vede, quella sua frase ebbe ed ha successo.
D: Da quando si usano i sondaggi nelle presidenziali? R: I sondaggi tesi a prevedere l’esito del voto novembrino sono in uso dal 1936. Oggi, e non da oggi, si utilizzano ad ogni pie’ sospinto per l’intera durata della campagna ed ancora prima.Non che abbiano dato esiti eccezionali, per carità.Nel 1948 e nel 2016, hanno completamente sbagliato la previsione. 
D: La nomina di uno o più giudici della Corte Suprema può influire sulle elezioni presidenziali? R: È buona norma – rispettata molto a fatica – che nell’anno elettorale il Presidente in scadenza di mandato non nomini giudici della Corte Suprema demandando al successore la scelta.Una prevalenza liberal piuttosto che conservatrice nella Corte comporta conseguenze a breve ma, soprattutto, a lungo termine attraverso sentenze che possono indirizzare il Paese in una piuttosto che nell’altra direzione.È questa la ragione per la quale anche il fatto che il nuovo capo dello Stato debba fare (quando uno dei componenti l’alto consesso sia deceduto o si sia dimesso) o si preveda faccia (se uno o più giudici sia o siano malati o abbiano annunciato l’intenzione di lasciare) tale nomina influisce sul voto dei più avveduti. Si rammenta che i giudici di cui si parla sono in carica a vita o sino alle possibili dimissioni non avendo il loro mandato termine alcuno.   Ciò detto, davvero eccezionale la situazione che ha permesso a Donald Trump nel corso del suo unico mandato di nominarne (ottenendo poi la ratifica del Senato a maggioranza repubblicana) addirittura tre membri tutti su posizioni conservatrici la qual cosa ha poi portato a una storica sentenza dell’alto consesso sul controverso tema dell’aborto.Sentenza contestata dai liberal e dai politicamente corretti perché cancella il deliberato del 1973 e riserva in materia la regolamentazione ai singoli Stati. 
D: Come è formato e come si elegge il Congresso?  R: La Camera dei Rappresentanti conta per legge quattrocentotrentacinque membri (divisi nei singoli Stati proporzionalmente al numero degli abitanti) e si rinnova totalmente ogni due anni. Il Senato conta cento membri ma questo in ragione del fatto che ogni Stato ha diritto a due Senatori (non importa il numero degli abitanti) e oggi gli Stati sono cinquanta. I Senatori restano in carica sei anni e vengono eletti per un terzo ogni biennio. Le votazioni hanno luogo nello stesso giorno di quelle presidenziali quando coincidono e comunque, quando non coincidenti, nel primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre a metà del mandato del capo dello Stato. Per questo, vengono chiamate ‘Mid Term Elections’ (‘elezioni di medio termine’). 
D: Cosa si intende con l’espressione ‘Presidente di minoranza? R: 1968, George Wallace esce dal partito democratico, si presenta come indipendente, vince in cinque Stati del suo Sud raccogliendo la bellezza di quarantacinque Grandi Elettori (risulteranno quarantasei perché in sede di collegio elettorale uno dei Delegati di Nixon lo voterà), viene appoggiato da quasi dieci milioni di elettori.I due candidati principali Richard Nixon e Hubert Humphrey, in termini di voti popolari – non di Delegati visto che il repubblicano prevale per trecentouno a centonovantuno – arrivano spalla a spalla (entrambi sopra i trentuno milioni di suffragi ma con il primo comunque in vantaggio).Per conseguenza, Nixon sarà un ‘Presidente di minoranza’ essendogli avversi più Elettori di quanti gli risultino favorevoli.Non che fosse accadimento nuovo o raro.In precedenza, ‘Presidenti di minoranza’, nel senso ora detto, erano stati John Quincy Adams in una elezione davvero particolare, James Polk, Zachary Taylor, James Buchanan, Abraham Lincoln nella tornata del 1860, Benjamin Harrison, Grover Cleveland nel 1892, Woodrow Wilson in entrambe le occasioni (1912 e 1916) ed Harry Truman.Un caso simile a quello del 1968 sopra illustrato si ha poi nel 1992, anno nel quale Bill Clinton strappa lo scranno a George Herbert Bush.La differenza consiste nel fatto che il terzo candidato Ross Perot, pur raccogliendo il diciannove per cento dei voti popolari, pari a oltre diciannove milioni di suffragi, non conquista neppure uno Stato.Non incide, pertanto, in termini di Grandi Elettori.Noto, infine, il risultato delle elezioni del 2000 con George Walker Bush in carica per quanto votato da un numero inferiore di persone a livello nazionale e notissimo quello appena ricordato del 2016.Tutto quanto illustrato, dipende dal sistema elettorale che, brutalmente semplificando, fa arrivare a White House non chi prevalga in termini di suffragi ma chi conquisti Stato per Stato il maggior numero di ‘Grandi Elettori’.

Quarta di copertina:
Detto e scritto del ‘Gran Pignolo’, ‘uomo di sterminata cultura’, ‘massimo conoscitore dei sistemi politico istituzionali mondiali’, Presidente onorario della Fondazione Italia USA, ultimo ed unico ‘poligrafo insigne’ e per la ‘visione globale’ non settoriale caratterizzante ‘un vero Enciclopedista Settecentesco’, memore di tutto quanto abbia visto, letto, ascoltato, perfino di ‘cose che devono ancora accadere’…Detto da non pochi e scritto (e ciò nel mentre di lui un desso sia arrivato ad affermare che ‘non può essere giudicato da suoi Pari perché non ne ha!’) che tutto il suo conoscere ed operare pubblicamente non sia assolutamente servito a nulla essendo la stampa e in genere l’informazione, i media tutti, sempre più ignoranti e pertanto nel frattempo, drammaticamente peggiorati…Mauro Maria Romano della Porta Rodiani Carrara Raffo dei Bontemps de Montreuil, dei Pfyffer von Altishofen,di Casa Savelliin ArteMauro della Porta Raffoqui afferma che la sola sua irrinunciabile rivendicazione è quella di essere stato ed essere ‘il miglior Padre e Nonno possibile’.E così è!