31 agosto 2022
Biografia del Piccio
Il Piccio, da Montegrino al Po
di Mauro della Porta Raffo
Allorquando, in via Bernascone al numero uno, in quello che, all’epoca, era al contempo il suo studio e la sede varesina del Partito Liberale, capitava che, al termine di una vera e propria ‘maratona’ di scopa d’assi testa a testa, Piero Chiara si trovasse debitore nei miei riguardi di una ragguardevole cifra, spesso, in luogo del pagamento in denaro, mi affriva una tacitazione, per così dire, ‘in natura’.Una litografia di Franco Gentilini, di Mario Tozzi o di Gianfilippo Usellini.A volte un artefatto usato per la copertina della edizione mondadoriana di un suo romanzo...In una particolare occasione (avevo vinto un pacco di soldi), i due volumi da lui dedicati al Piccio e ai suoi disegni dei quali era feroce collezionista.Si tratta (li ho qui ora, davanti a me) di un’opera di notevole pregio, particolarmente curata, edita in mille copie numerate e firmate.Fu così che, leggendone l’introduzione, venni a conoscere meglio la straordinaria figura del Piccio, pittore tra i maggiori del suo tempo e ‘Matto della sponda magra’ del Lago Maggiore quanto non pochi altri che sulla strada della stramberia più creativa, nei diversi campi, dal Luinese, hanno saputo seguirlo.
Giovanni Andrea Carnovali – nato in quel di Montegrino, sopra Luino, il 29 settembre 1804 da Giovanni Battista, capomastro specializzato nella costruzione di giardini di delizia con fontane e giochi d’acqua, e da Serafina ‘Carnovale’ – resta uno dei massimi rappresentanti in pittura del Romanticismo Lombardo.Da fanciullo, nel Bergamasco laddove aveva seguito il padre che lo voleva avviare al mestiere, fu chiamato ‘Piccio’ per la bassa statura e conservò quel soprannome anche quando raggiunse il metro e novanta, facendone addirittura il nome d’arte.A proposito della sua configurazione fisica da adulto, uno dei suoi biografi lo descrive ‘alto e magro’ e afferma che ‘costumava abiti semplici e neri, chiusi fin sotto il mento.Aveva una grossa testa con una lunga zazzera ricciuta e barba piuttosto rada, prominenze sopraorbitarie assai sviluppate e mani grandi, michelangiolesche, come egli ridendo diceva’.
‘Picio’, in Piemonte – e cioè sulla sponda opposta del Lago Maggiore, quasi ad un tiro di schioppo dal Luinese – vuol dire tonto ed altrettanto in alta Lombardia, essendo sinonimo di ‘pirla’ e di altri termini dialettali di eguale significato.Malgrado ciò, con sprezzo del ridicolo e forte del fatto che, nel suo caso, l’origine del soprannome non si riferisse ad una eventuale grullaggine, Carnovali se lo tenne ben stretto per tutta la vita issandolo come una bandiera.
Se pirla non era, certo il piccio fu personaggio strambo e pieno di strane manie.Narrano, ad esempio, i suoi cultori che, tenendo egli studio in Milano (per il vero, ne aveva uno anche a Cremona) e desiderando avere notizie del padre, un giorno andasse a piedi dal capoluogo lombardo a Montegrino e che colà giunto, avvicinatosi in silenzio alla finestra della casa avita e visto il genitore tranquillo vicino al camino evidentemente in buona salute, senza dare segno alcuno della propria presenza riprendesse la strada per tornarsene beatamente al lavoro.Che il camminare gli piacesse oltremodo è altresì confermato dal fatto che, a piedi, se ne andò una volta da Milano a Parigi (vi fu nel 1845, assai prima che tra gli artisti italiani si diffondesse l’abitudine di visitare la Ville Lumiere) e due da Milano a Roma, toccando, nella seconda occasione, anche Napoli e Salerno.
Amante dell’acqua come molti altri rivieraschi del Maggiore, era solito recarsi in estate sulle sponde del Po nel quale galleggiava beatamente o, se del caso, nuotava vigorosamente seguendo la corrente e spingendo davanti a sé un ombrello, aperto e rovesciato, nel cui interno collocava i vestiti in tal modo salvaguardati dalle onde e pronti ad essere indossati subito ovunque decidesse di approdare.Fu così che, proprio nel Po, dalle parti di Cremona, di lui si persero le tracce in un caldo giorno di luglio (tra il 5 e il 10, si pensa) del 1873.Il suo corpo – o, almeno, quello che, giorni dopo la scomparsa, fu riconosciuto come tale dagli amici che lo cercavano lungo la sponda del fiume e che credettero di riconoscerlo in un annegato ritrovato a Coltaro – riposa nel cimitero di Cremona, in una cappella.L’epigrafe lo celebra esperto nuotatore e ‘pittore tra i sommi’.
Del tutto particolare il suo rapporto con le donne le cui nudità tante volte aveva raffigurato.Innamorato di Margherita Marini, sorella del cantante lirico Ignazio, di ritorno a Milano dopo un lungo peregrinare, si decise a dichiararsi. arrivato che fu nei pressi della dimora dell’amata, ne incontrò il funerale.Era, la poveretta, morta nel fiore degli anni.Di lì in poi, il Piccio ‘riuscì sempre a scongiurare la burrasca delle passioni’.
Quanto alla carriera, Giovanni aveva appena undici anni allorché entrò all’Accademia Carrara di Bergamo per compiervi gli studi di pittura sotto la guida di Giuseppe Diotti.
Neoclassico nei suoi primi lavori, già nei ritratti eseguiti nel 1825 e nel 1826 si distaccava dalla pura accademia.Stabilitosi a Cremona (ma, come detto, aveva studio anche a Milano) nel 1836, si affermò in particolare come ritrattista dal colorismo ricco e profondo e la sua abilità tecnica appunto negli amati ritratti è strumento di una acuta e robusta interpretazione, aliena da lusinghe e sentimentalismi.L’arte del Carnovali si accende di toni squillanti ed impetuose pennellate anche nei bozzetti di soggetto mitico e mitologico nei quali impone una nuova energia drammatica che lo distacca dal dominante Settecentismo.Emerso fra i più originali rappresentanti del Romanticismo Lombardo, nei dipinti si distinse per l’accentuata sensibilità luministica unita ad una pennellata a tocchi che non delimitava i contorni ma immergeva le figure nello spazio fondendole con l’atmosfera.Si vedano, al riguardo, almeno ‘Paesaggio con grandi alberi’ del 1844, presso la Galleria d’Arte Moderna di Milano, e ‘Agar nel deserto’ del 1862.La fama del Piccio, per lungo tempo circoscritta, si diffuse ovunque dopo le grandi esposizioni del 1900 e del 1909 che lo rivelarono alla critica come l’autentico innovatore della pittura lombarda.