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 2022  agosto 31 Mercoledì calendario

Biografia di Giulio Nascimbeni

Giulio Nascimbeni e il funerale ‘alla Chiara’ di Piero Chiara
di Mauro della Porta Raffo 
Ho dovuto aspettare quasi cinquant’anni prima di apprendere che – indiscutibilmente data l’autorevolezza della persona che mi stava correggendo – la pronuncia esatta del cognome dell’autore di personaggi letterari indimenticabili quali Sandokan o Yanez nel ‘ciclo malese’ piuttosto che il Corsaro Nero in quello ‘dei Caraibi’ era (ed è) Salgàri perché derivante dal vocabolo che in dialetto veronese indica il salice.Autorevole in quel ‘modo’ particolare che avevano (hanno, alcuni ancora?) gli intellettuali di grande valore culturale veneti che con naturale civetteria parlavano (parlano?), se non nel loro specifico dialetto, con l’inflessione che la natale condizione gli ha (aveva?) dato, era Giulio Nascimbeni venuto al mondo in quel di Sanguinetto, cosa che ai nostri tempi di bella frequentazione, gli permetteva di prendersi in giro perché da anni a Milano viveva in via Mussi e ‘musso’ nella parlata avita significava (significa?) ‘asino’!Tutt’altro per inclinazione e voracità, Giulio, al Corriere della Sera aveva diretto due volte la mitica Terza Pagina essendosi dimostrato in grado di elevarla al massimo attraverso la collaborazione di molti tra i più capaci ‘elzeviristi’ (usava e non più – è certo, non dubitabile, che in tal modo sia – eccome l’elzeviro) italiani e non solo.Mio fin troppo gentile lettore e ammiratore, aveva perdonato con grazia il fatto che al principio sul Foglio lo avessi preso di mira con una ‘Pignoleria’ a proposito di quella che mi era apparsa una errata traduzione dal tedesco della famosa frase di Metternich sull’Italia valida esclusivamente come espressione geografica, errata perché, lo apprendemmo parlandone dopo, stravolta in pagina da un disattento tipografo.Avevo allora – agli albori l’uso dei cellulari – studio nella apparentemente periferica (e assolutamente non tale) Varese in via Robbioni ed era lo squillare, ad opera sua per mia fortuna frequente, del telefono posizionato sulla scrivania a mettermi in contatto con lui.È per non imitarlo – dato che per tale sua unica nel tema pecca lo redarguivo – che da allora ho deciso di scrivere e al mio livello diffondere il più possibile, quasi ossessivamente, quanto ad ogni riguardo ho studiato e so perché delle infinite cose delle quali a voce (naturalmente, non solo via filo telefonico) Nascimbeni mi diceva ben poche aveva lasciato o lasciava per iscritto e tutto, come gli ripetevo invano, non trasmesso ad altri se non a pochi per  via orale, lui trascorso a differente vita, sarebbe tornato nel limbo, culturalmente parlando.(Va qui fatto cenno alla seconda persona che nello stesso periodo al medesimo modo mi ‘educava’ nel senso etimologico della parola: Ruggero Guarini, napoletano egregio a propria maniera ed uso di altrettale sapere e spreco!)Era stato Giulio il biografo di Eugenio Montale del quale – ho adorato e persevero nel farlo la sua eccezionale ‘Casa sul mare’ – mi raccontava la pochissima voglia che aveva nei colloqui di realmente svelarsi, una ritrosia del Nobel che aveva superato infine, considerato l’esito, bellamente pur se a fatica.Devo, dobbiamo tutti perché lo scrisse (!), a Nascimbeni la narrazione della vicenda ‘alla Piero Chiara’ del funerale luinese di Piero Chiara.Era con molti (tra i quali Nanni Svampa) – io, il solo discepolo, impossibilitato perché lontano – in quella triste circostanza il Nostro nella piazza antistante la chiesa principale della cittadina sul Maggiore natale del predetto nella quale il commiato dall’autore de ‘Il piatto piange’ doveva avere luogo non appena fosse arrivata da Varese, dove viveva ed era morto, la cassa funeraria.Fu mentre a gruppi i presenti sottovoce parlottavano che a fianco della chiesa ed evidentemente diretti al vicino cimitero videro passare trasportato a braccia un feretro seguito da una banda e da non pochi.Sorpresi, pensando che per chissà quale ragione quanto a Chiara la funzione religiosa fosse stata annullata, a loro creduta spettanza, tutti si accodarono.Per non poi moltissimi minuti invero perché si accorsero che i citati musicanti suonavano ‘Bella ciao’ e si chiesero se fosse ciò possibile essendo Piero Chiara un notissimo Liberale certamente non di sinistra.Scoprirono in tal modo di essersi messi al seguito della cassa del padre di Dario Fo, deceduto negli stessi giorni.Tornati indietro tutti, arrivarono sul sagrato – i meno giovani alquanto provati – solo in tempo per vedere l’uscita dalla basilica del nobile ligneo manufatto contenente i resti terreni dell’amico.E di lì, più stancamente essendo il ripetuto percorso in salita, nuovamente muovere alla volta.