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 2022  agosto 31 Mercoledì calendario

A proposito del 4 luglio

Mauro della Porta Raffo 
Presidente onorario della Fondazione Italia USA 
La mia America.
Il tradimento di Doris Day.Stati Uniti d’America, perché?nel settantesimo anniversario delle elezioni presidenziali americane del 1952, le prime che, catturando il coerente tema storico istituzionale per sempre la mia attenzione, ho seguito.
Premessa di recente vergata:4 luglio 1776, ma davvero?
In appendice:4 luglio 2026, cade il duecento cinquantesimo anniversario della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, accadimento che rende particolari le elezioni in programma il 5 novembre 2024.
Varese, li 26 agosto 2022.

Premessa:4 luglio 1776? Ma davvero?
Il 4 luglio del 1776 non è la data nella quale le colonie videro riconosciuta la loro esistenza.Accadde difatti il 3 settembre 1783 a Parigi, quando fu firmato il Trattato che poneva fine alla Guerra di Indipendenza.Il 4 luglio 1776 non ricorda l’inizio della Guerra di Indipendenza in effetti cominciata il 19 aprile 1775, con la battaglia di Lexington.Il 4 luglio non è data che riguardi la Costituzione americana che fu definita il 17 settembre 1787, ratificata da un sufficiente numero di Stati il 21 giugno 1788 ed entrò in vigore, giorno della promulgazione, il 4 marzo 1789.Non è neppure la data nella quale il Congresso Continentale votò all’unanimità la separazione dalla Gran Bretagna.Cosa accaduta il 2 luglio 1776, due giorni prima.È soltanto il giorno nel quale il testo concordato fu reso pubblico.È questo talmente vero che John Adams – uno dei Founding Fathers, poi primo Vice Presidente e infine successore di Washington – indirizzando la lettera alla moglie Abigail, letteralmente scriveva:‘Il secondo giorno di luglio del 1776 sarà l’evento più memorabile della storia dell’America...’Così va il mondo.

1Il tradimento di Doris Day.
Ecco, di seguito – per quanto mi riguarda con riferimento alla formazione in questo particolare ambito, certamente per impulso e vita familiare, ricevuta – a proposito del mitico e apparentemente (almeno fino a non poi molti anni fa) immarcescibile ‘American Dream’ – con molte parole e concetti invero oggi, rileggendomi, sentendolo un gradito obbligo (?!), aggiunti – quel che ebbi a scrivere sotto il titolo ‘Il tradimento di Doris Day’ a fine novembre 2004 per il mensile di lingua inglese ‘The American’ che si pubblicava allora a Roma.Parole, concetti nei quali, guardando in particolare alla conclusiva ‘nuova’ dichiarazione d’amore, oggi, mi riconosco a fatica, a fronte di una America – e come non ricordare qui quanto scrisse Margaret Thatcher, da par Suo, raffrontando e distinguendo:‘L’America è un prodotto della Filosofia.L’Europa è un prodotto della Storia’ – sempre meno ‘Americana’ e sempre più ‘Europea’.
‘Nato nel 1944, ho vissuto nel buio accogliente e affumicato delle sale cinematografiche insieme a uno stuolo di coetanei o pressappoco una buona parte della fanciullezza e della prima adolescenza.(La televisione, fortunatamente, almeno fino al 1954, non c’era ed impiegò tempo a diffondersi. I cinema erano strapieni e quando – come occorreva negli intervalli, aperte le volte per cambiare l’aria – le spire di fumo delle infinite sigarette là dentro consumate si levava in cielo, apparivano ai passanti quasi vulcani vicini all’eruzione).All’epoca, i film imperdibili per un giovincello mio pari erano i Western e le Commedie Americane ‘alla Doris Day’.Mi sono così ‘costruito’ – operarono in modo gli States che mi ‘costruissi’ per ragioni ideologiche, politiche ed economiche per loro del tutto, nella temperie, nei frangenti, ‘giuste’ – nella mente un Paese ideale laddove, in pieno Ottocento, nel Texas o in Arizona, i bravi Cowboys – naturalmente anche buoni, belli e coraggiosi – vincevano sempre (se tutto sembrava volgere al peggio, ecco arrivare al galoppo la Cavalleria) e nel quale, quasi un secolo dopo, a New York, a Los Angeles o a San Francisco, dolci e carinissime Signore – eleganti, cinguettanti e felici – vivevano in quartieri e case invidiabili una vita da favola circondate come erano dall’amore di un maritino fra l’altro alla guida di automobili gigantesche, dall’affetto di figli biondi e floridi spesso sguazzanti in piscina, da mille elettrodomestici allora sconosciuti in Italia.Si restava a bocca aperta nel vedere appunto Doris Day che usava l’aspirapolvere, la lavatrice o il frigorifero con assoluta naturalezza, quando, per dire, da noi, il ghiaccio veniva consegnato a barre e conservato con difficoltà in apposite costruzioni con base in terrapieni naturali profondi circa dieci metri.Ecco, insieme al fatto che gli Americani ci avevano liberato (ma questo riguardava poco noi giovinetti dato che della cosa eravamo a conoscenza in rada schiera), il perché dell’America del Sogno che ha dominato le menti di quanti – non invece nutriti di Antiamericanismo per questioni ideologiche familiari come i Comunisti – crescevano in Italia nella seconda metà degli anni Quaranta ed anche al di là del primo quinquennio dei Cinquanta.Capita, però, che alcuni (ed io tra loro) – forse avvertendo una lacuna – comincino presto a leggere quasi con bramosia Ernest Hemingway, James Cain, Erskine Caldwell, volendo Francis Scott Fitzgerald, John Dos Passos, Sinclair Lewis e, soprattutto, per quel che riguarda la squallida e deprimente e duramente lottata vita ‘vera’ dei centri e delle periferie delle città californiane o comunque collocate ad Ovest (definitivo il suo ‘Red Harvest, in Italia ‘Piombo e sangue’), il massimo esponente della ‘Hard Boiled School’ Dashiell Hammett e, nella sua scia, il meno aspro nel tratto, Raymond Chandler.E quel John Steinbeck, capace di affreschi – a rappresentare la torturata dalla siccità, dal Capitale e dal dolore ‘Bible Belt’, a partire dal ‘Profondo Sud’ e dai ‘Poveri Bianchi’, da abbandonare – inimitabili.E, immediatamente dopo, gli antesignani della ‘Beat Generation’, da Jack Kerouac ad Allen Ginsberg.E si rendano in tal modo conto che c’è ‘anche’ un’altra America, che la dominante Hollywood ha volutamente – impegnata nella propaganda e a tal fine altresì benissimo rifornita – nascosto.Una qualche non da poco delusione, ma, almeno per quanto m’attiene, la nascita di un novello amore indirizzato ad un Paese rivelatosi pieno di contraddizioni (e non aveva forse vergato ‘Ci sono contraddizioni in me? Certo, sono immenso.Contengo moltitudini!’Walt Whitman?), ma ricco oltre ogni dire di fermenti culturali.Talmente dovizioso da questo punto di vista da fornire agli Antiamericani materia per nutrire la loro avversione, in qualche non raro caso (si leggano le invettive che Irwin Shaw mette in bocca ad uno dei protagonisti nel capo d’opera ‘La guerra di Archer’) sfociante in purissimo odio.Chi mai, infatti, è stato altrettanto duramente critico nei riguardi di una America, alla quale idealmente chiedeva, dalla quale attendeva molto di più, dei radicali della Sinistra statunitense e di gran parte degli scrittori or ora elencati?Ecco, alla fine, io e molti altri siamo rimasti, restiamo ancora, ‘Americani’ malgrado John Wayne, in mille e mille pellicole, Alan Ladd soprattutto nel mitico ‘Il cavaliere della valle solitaria’, e la commediante Doris Day ci abbiano in qualche modo ‘tradito’ – volutamente (meno, qualcuno? v’è da dubitarne) ingannato – raccontandoci di un Paese da leggenda o da favola per il vero, se non totalmente inesistente, artefatto.Restiamo ‘Americani’ perché amiamo, sì quell’immenso crogiuolo di differenti e contraddittorie culture, ma soprattutto la Democraticità di fondo e le Istituzioni – ideate e scolpite dai ‘Founding Fathers’ (James Madison su tutti) e dipoi giuridicamente incardinate da John Marshall, durante il fortunatamente lungo suo mandato di Chief della Corte Suprema – capaci come sono le ultime di funzionare e garantire, trascorsi ben oltre due secoli!’

2Stati Uniti d’America, perché. 1952, la Televisione di là da venire.Treni dei pendolari da e per Milano.Praticamente tutti i passeggeri, appena seduti, danno inizio alla lettura del giornale.Non del milanesissimo e autorevole ‘Corriere della Sera’ o, certo più raramente, della piemontese ‘Stampa’, usciti al mattino.I titoli ‘sparati’ graficamente recano: ‘Corriere d’Informazione’‘Corriere Lombardo’ ‘La Notte’.Le testate dei cosiddetti ‘quotidiani del pomeriggio’, impostati senza dubbio in modo diverso rispetto ai predetti due, molto più attenti alla cronaca comunque definibile, agili, riassuntivi nell’esposizione, privi quasi del tutto di articoli di riflessione e approfondimento e, in ragione proprio dell’ora di pubblicazione (arrivarono anche a successive edizioni serotine), in grado di riportare notizie da Stati Uniti d’America non totalmente ‘formati’ (solo nel 1959 Alaska e Hawaii saranno ammessi), superando l’handicap determinato dall’ovviamente differente fuso orario della Grande Mela e vie più di Los Angeles, i due punti focali ai quali si guardava allora (e, ahimè, si guarda ancora, non accorgendosi, non volendo tenere in considerazione – sto debordando peraltro del tutto correttamente – che gli USA sono socialmente, culturalmente, politicamente, idealmente, ideologicamente, economicamente, anche se non soprattutto ‘altro’, finendo in parecchie occasioni – il Donald Trump del 2016, per esempio – con l’essere sorpresi da accadimenti invece assolutamente – l’ho a dovuto tempo fatto ed è documentato – prevedibili) quasi scoprendoli.Tra le notizie che – tornando al 1952 e in specie agli ‘esteri’ e all’oltre Atlantico – si potevano leggere quasi sempre in prima pagina, nelle didascalie posizionate a spiegare fotografie scelte per il buon richiamo che all’evidenza garantivano opportunamente collocate, quelle relative agli incontri di Pugilato (fortissimi gli Italoamericani sui ring tra le dodici corde) e, novità vera per noi (del resto, colà ancora non diffusissime visto che il Grand Old Party le programmava in soli dodici Stati e i Dem in quattordici lasciando alle nomenclature largo spazio di manovra), le afferenti Primarie e Caucus organizzate per scegliere (anche a quel mentre e via via sempre più largamente  fino ad interessare il Paese intero) attraverso il voto popolare Stato per Stato i Delegati alle Convention dal cui esito sarebbe scaturito il nominativo del Candidato alla Casa Bianca.Fu quell’anno datato il primo confronto – facilmente vinto dall’ex Comandante delle Forze Armate degli Alleati – tra il repubblicano Generale Dwight ‘Ike’ Eisenhower e il Governatore democratico dell’Illinois Adlai Stevenson.Ebbe decisamente a meravigliarmi – come si comprende, avevo iniziato ad interessarmi del sistema elettorale americano leggendo proprio i citati quotidiani che mio Padre portava a casa a sera – per cominciare, il fatto che nei precedenti anni, dal gennaio del 1949 (ogni incombenza regolata da calendario e dall’orologio e impossibile ‘sgarrare’!) il Governo USA era stato uno soltanto, che il Presidente anche, che il Congresso non avesse voce in capitolo.In Italia, nel medesimo periodo, tre i Dicasteri Alcide De Gasperi formati tra discussioni ed accordi e compromessi all’interno di uno e con altri partiti, che da noi fosse obbligatoria la ‘fiducia’ delle Camere, che esistesse la possibilità della ‘sfiducia’, che si votasse ‘quando capita’ e, brutalmente semplificando, i poteri di guida (mah?) fossero infine divisi tra due figure: il Presidente della Repubblica e quello del Consiglio dei Ministri.Mi appariva – poteva così non essere? – tanto  decisamente più funzionale e strutturato il sistema americano che decisi allora di studiarlo in ogni dettaglio chiedendo ai miei Genitori di aiutarmi nella ricerca dei saggi in tema pubblicati.Va qui detto che, per quanto giovane fossi, era in casa usuale che degli argomenti tutti (ed è in ragione di ciò che appunto tutto, non certamente solo quanto agli USA – ci mancherebbe – so!) ai quali mi interessassi mia Madre e mio Padre, prima mi parlassero, se e quando e quanto fosse a loro conoscenza il tema, e poi mi aiutassero ad approfondire.Di lì a ben poco, nelle librerie cittadine, furono aperti ‘conti’, come si diceva, a mio nome.Sarei stato difatti autorizzato a comprare e, appunto, ‘a far mettere in conto’ tutti i libri che ritenessi acquistare dopo di che Mamma sarebbe passata a fine mese per il pagamento.Considerando che a partire dal seguente 1953, usando io una particolare tessera che i distributori nazionali di film avevano dato a mio Padre in quanto organizzatore del cosiddetto ‘Festival Cinematografico’ di Varese, entravo gratuitamente nelle sale di proiezione arrivando a vedere dal primo pomeriggio anche due pellicole al giorno – Western e Commedie americane a iosa  - si può comprendere prima di tutto in generale quale incredibile tipo di educazione (possiedo la ‘visione globale’, come, preso atto della mia ‘sconfinata conoscenza’, in larga compagnia, ha riconosciuto Vittorio Sgarbi il quale mi considera ‘l’ultimo Enciclopedista del Settecento’) – che mi consente di collegare per riferimenti e connessioni gli argomenti trascorrendo dalla Storia, alla Letteratura, al Cinema, alla Antropologia, a qualsiasi altro settore del Sapere, quello scientifico peraltro non del tutto escluso – in tema io abbia ricevuto e molto ancora in merito alla mia affezione comunque sempre controllata, nei confronti degli Stati Uniti d’America, come in assoluto istituzionalizzati e regolati, il cui sorgere ho raccontato e ai quali ho nel tempo – senza conoscere la lingua se non in modo indecoroso, mai desiderando andarci – dedicato milioni di ore e molte migliaia di pagine saggistiche o di cronaca.Tutto rinvenibile nei saggi fino ad oggi pubblicati e/o reperibili online.Massimo riconosciuto profondo conoscitore a livello europeo e tra i più consultati anche altrove, da oramai oltre vent’anni sono consulente e partecipante delle trasmissioni che Bruno Vespa dedica alle prescritte date alle votazioni USA, quelle di Mid Term comprese.Seguo inoltre, per iscritto, attento quotidianamente alla cronaca ed evidenziando se del caso i precedenti,  gli accadimenti in vista delle citate urne per la Fondazione Italia USA, della quale sono da qualche anno molto felicemente Presidente Onorario.

Appendice:
4 luglio 2026, Duecentocinquantesimo Anniversario della Dichiarazione di Indipendenza: scadenza che rende particolari le votazioni del 2024.Precedenti storici in occasione del Cinquantesimo, del Centesimo, del Centocinquantesimo, del Duecentesimo.
Le cosiddette presidenziali americane in programma il 5 novembre del 2024 (cosiddette perché, come sempre nella circostanza, essendo elezioni ‘di secondo grado’, saranno invero scelti i Delegati statali – ‘Electors’, con l’iniziale maiuscola per distinguerli dagli elettori comuni – che poi effettivamente, riuniti nel loro Collegio, il primo lunedì dopo il secondo mercoledì del seguente dicembre, nomineranno il Capo dell’esecutivo) rivestono una specifica importanza anche perché l’eletto – o al massimo, facendo gli scongiuri, il suo Vice – sarà in carica il 4 luglio del 2026, giorno nel quale cade il Duecentocinquantesimo Anniversario  della Dichiarazione di Indipendenza.I precedenti in proposito non depongono molto positivamente, anzi.Il 4 luglio del 1826, Cinquantesimo, governava tra mille difficoltà John Quincy Adams, nominato (caso unico) dalla Camera con voto ‘per delegazioni’ ai danni di Andrew Jackson che lo aveva preceduto nel 1824 per suffragi popolari e per Grandi Elettori non raggiungendo però – quattro allora i candidati comunque in grado di dividersi tali Delegati – la maggioranza assoluta nel predetto Collegio da questi formato.Per di più, proprio quelle del Cinquantesimo furono le ore nelle quali vennero a morte sia John Adams che Thomas Jefferson.In occasione del primo Centesimo  - nel 1876 -volgeva al termine il secondo mandato di un chiacchieratissimo Ulysses Grant e si preannunciava una delle elezioni (con quella del 2000) più contestate dell’intera storia USA alla cui tormentata conclusione si arrivò solo a seguito di un discutibile compromesso partitico l’anno dopo, pochi giorni avanti l’insediamento a quegli anni fissato al 4 marzo, giorno della promulgazione nel 1789 della Costituzione. Nel 1926, Centocinquantesimo, Presidente era Calvin Coolidge succeduto, prima della personale affermazione del 1924, causa morte a Warren Harding.Il secondo Centenario, datato ovviamente 4 luglio 1976, vedeva – a seguito delle dimissioni di Richard Nixon e in precedenza del Vice Spiro Agnew al quale era subentrato seguendo l’iter imposto da un Emendamento datato 1967 – alla Casa Bianca il solo Capo dello Stato americano non eletto, Gerald Ford.E a quel novembre lo stesso sarebbe stato il primo Vicario succeduto nel Novecento (seguendo tutti gli altri vittoriosamente l’esempio di Theodore Roosevelt) a non ottenere la rielezione, venendo sconfitto da Jimmy Carter.Resta comunque quello indicato un momento nel tempo futuro assolutamente memorabile e ben si comprende che non pochi (non certamente solo i ‘vecchi’ Joe Biden e Donald Trump) siano gli aspiranti ad una nomina già altrimenti di grande importanza.