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 2022  agosto 31 Mercoledì calendario

“ERA PRESUNTUOSO E CONVINTO DI AVERE SEMPRE RAGIONE, VOLEVA LAVORARE SOPRATTUTTO SULL’IMMAGINE DI SÉ” – JAS GAWRONSKI RACCONTA L’ALTRA FACCIA DI MIKHAIL GORBACIOV: “SARÀ RICORDATO COME IL PRIMO LEADER SOVIETICO ACCETTATO E ACCETTABILE IN OCCIDENTE. ERANO GLI EUROPEI CHE LO FACEVANO SENTIRE COSÌ RIFORMATORE, E A LUI PIACEVA MOLTO. ERA CONTENTO DI ESSERCI, DI APPARIRE, E ANCHE PER QUELLO I RUSSI NON LO HANNO MAI AMATO, NE COGLIEVANO IL TRATTO NARCISISTA… “  - VIDEO -

Va nel personale, Jas Gawronski, giornalista e analista che ha attraversato il crollo del comunismo con il passo del diplomatico, ereditato da suo padre, e la prossimità con i più grandi, da Lech Walesa a Papa Giovanni Paolo II.

E lo fa, a proposito di Gorbaciov, ricordando cosa gli disse proprio Papa Wojtyla nel corso di una conversazione avuta negli anni del suo papato: «Ha sempre difeso il comunismo sperando che potesse cambiare volto e non poteva fare altrimenti come primo segretario del partito, ma allo stesso tempo è stato l'unico che ha avviato una autentica riflessione sul comunismo».

Gawronski, che ruolo ha avuto Gorbaciov nel crollo del comunismo? «Il crollo del comunismo è stato determinato da quattro personaggi: Ronald Reagan, che con le guerre stellari ha messo in difficoltà economiche l'Urss come potenza, poi Giovanni Paolo II, col semplice fatto della sua nomina e per come ha gestito la cosa, poi certamente Lech Walesa, grazie alla scintilla che ha fatto scattare».

E poi, lui, il padre della Perestrojka «Io non credo che Gorbaciov volesse riformare il comunismo. A differenza dei primi tre, che volevano eliminarlo, Gorbaciov lo voleva migliorare, renderlo più umano, più sostenibile, ma non era più possibile, e non per una questione di riforme, ma proprio perché il sistema era arrivato a un punto di rottura irreversibile. Ha cavalcato opportunisticamente il ruolo del riformatore, ma non lo è stato per convinzione, lo è stato per le circostanze».

Definiva Eltsin e il suo entourage degli "avventati". È d'accordo che il tempo non ha giocato a suo favore? «Penso che sia vero dal suo punto di vista. Era presuntuoso e convinto di avere sempre ragione, guardava agli altri riformatori come concorrenti nella gara a conquistare un posto nella Storia, ma non ha colto la gravità del momento, l'impossibilità, per il comunismo, di trovare una qualsiasi possibilità di sopravvivenza».



Dal punto di vista comunicativo, ammetterà, è stato un rivoluzionario «Diciamo che si è mosso molto bene, proprio con La Stampa, grazie al suo rapporto privilegiato con Giulietto Chiesa, all'epoca corrispondente da Mosca, e anche in parte con Giovanni Agnelli. Ma di nuovo, questo mi conferma nell'idea che volesse soprattutto lavorare sull'immagine di sé».

Per questo, secondo lei, i russi non l'hanno mai amato? «Lo giudicavano male i comunisti perché metteva in discussione gli aspetti fondanti del sistema, e lo giudicavano male gli anticomunisti perché intuivano la superficialità con cui intendeva riformare il Paese. In definitiva era un superficiale...» Come sarà ricordato? «Come il primo leader sovietico - perché sovietico era - accettato e accettabile in Occidente. Era l'unico che si muoveva a suo agio in Europa, erano gli europei che lo facevano sentire così riformatore, e a lui piaceva molto.

Era contento di esserci, di apparire, di sembrare un sovvertitore della tradizione. Anche per quello i russi non lo hanno mai amato, ne coglievano il tratto narcisista.

Cosa diceva Lech Walesa di lui?  «Walesa era moto critico nei confronti di Gorbaciov, soprattutto perché non credeva in un successo del comunismo, anche nella sua versione riformata. Allo stesso tempo, così come Gorbaciov non era immune dalla vanità, Walesa provava nei suoi confronti una certa invidia, perché aveva più successo di lui. Ma io sono convinto che fra trent' anni la storia ricorderà più Walesa che Gorbaciov».