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 2022  agosto 31 Mercoledì calendario

Ritratto di Henry Kissinger

«Zelensky è un grande personaggio. Ma deve ancora spiegarci quale mondo immagina dopo la guerra. Io non ho mai detto che l’Ucraina deve cedere parte del suo territorio nazionale se vuole la pace. Ho detto che la migliore linea di demarcazione per un cessate il fuoco è lo status quo che precedeva il 24 febbraio, con la Crimea in mano ai russi e un piccolo angolo del Donbass, circa il 4,5% del totale. Io sono senza riserve per la libertà dell’Ucraina e il suo ruolo in Europa. Ma non trasformiamo una guerra per la libertà dell’Ucraina in un conflitto sul futuro della Russia». A 99 anni l’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger è ancora così autorevole che le «interpretazioni» del suo pensiero abbondano, e lo costringono a puntuali precisazioni. Sulla propria longevità sa scherzare: «Ho scelto molto bene i miei genitori» (tutti e due camparono ultranovantenni). Gli anni lo hanno reso solo meno mobile rispetto all’era in cui inventò la shuttle-diplomacy girando il mondo come una trottola: ora lo si trova soprattutto nella sua casa di Kent, Connecticut, circondato da migliaia di libri. È meno presente nelle cronache mondane, dove un tempo fu una vera star.


La vita privata
Negli anni d’oro la sua vita privata era onnipresente sui rotocalchi, nonostante non avesse proprio il physique du role del Don Giovanni: tra le sue relazioni figurarono attrici celebri come Shirley Maclaine, Liv Ullman, Candice Bergen. Nel 1972 le «conigliette» di Playboy lo votarono come l’uomo dei loro sogni per un appuntamento galante. (Dal 1974 è sposato con Nancy Maginess, che ha sempre definito «offensive» le voci su una crisi del loro matrimonio). A coronamento della sua fama di seduttore c’è uno strano aneddoto che incrocia vita privata e carriera diplomatica. Quando Kissinger orchestrò il disgelo fra Stati Uniti e Cina, il presidente Mao Zedong gli offrì «dieci milioni di donne». La proposta fu accolta con sconcerto e inizialmente scambiata per un errore di traduzione. Mao insisteva e allora si capì che alludeva a un’emigrazione forzata come rimedio alla sovrappopolazione cinese. Kissinger se la cavò: «È un’idea nuova. Dovremo studiarla».


Il calcio
Fra le altre passioni ai margini della diplomazia c’è il calcio. Come sostenitore della squadra dei New York Cosmos, che negli anni Settanta reclutò vecchie glorie dal mondo (inclusi Chinaglia, Beckenbauer, Carlos Alberto), il più celebre diplomatico del Novecento negoziò personalmente col governo brasiliano il trasferimento di Pelè. Ha visto ogni finale dei Mondiali in tribuna d’onore con l’unica eccezione del 2002; ha contribuito a far vincere la candidatura agli Stati Uniti. Tra le sue squadre del cuore: Manchester United e Juventus, quest’ultima in ricordo dell’amicizia con Gianni Agnelli.


Il libro
Giunto alla soglia del secolo di vita Kissinger ha pubblicato in America il suo 19esimo libro, «Leadership», che uscirà in Italia (Mondadori) a novembre. Contiene i ritratti di sei statisti della seconda metà del XX secolo che hanno impresso un segno nella storia mondiale: Adenauer, De Gaulle, Nixon, Sadat, Thatcher, Lee Kuan Yu. Densa di dottrina geopolitica, questa galleria di personaggi analizza i vincoli entro cui si muove l’azione dei leader: la scarsità di risorse; lo spirito del tempo; la competizione con altri Stati dagli obiettivi conflittuali; l’imprevedibilità degli eventi. Non c’è dubbio che Kissinger metterebbe se stesso almeno alla pari con quei sette giganti defunti, per l’impronta lasciata sulla storia globale. La sua è una vita ben riempita.


Chi è
Heinz Alfred Kissinger nasce a Furth in Germania il 27 maggio 1923 da una famiglia di ebrei tedeschi. I suoi decidono di fuggire negli Stati Uniti quando lui è quattordicenne, nel 1938, poco prima della fatidica Notte dei Cristalli che segna una feroce escalation nelle persecuzioni naziste. Dal 1943 al 1949 è capitano dell’esercito americano, svolge missioni d’intelligence sul territorio tedesco, guadagna una medaglia dando la caccia agli ufficiali della Gestapo. Si laurea a Harvard dove si distingue come uno storico autorevole di due eventi che hanno creato la diplomazia del mondo moderno: la Pace di Vestfalia che pone fine alle guerre di religione nel 1648, e il Congresso di Vienna che stabilizza l’Europa dopo le conquiste napoleoniche nel 1815.


Si fa notare dall’establishment politico per le sue tesi innovative sull’era degli armamenti nucleari. Un filo conduttore del suo pensiero è la logica dell’equilibrio fra le grandi potenze. Dal 1969 fino al 1977 è National Security Adviser e segretario di Stato per due presidenti repubblicani, Richard Nixon e Gerald Ford. Con Nixon architetta il vertice che ha cambiato il corso della storia, l’incontro con Mao a Pechino il 21 febbraio 1972: l’antefatto che consentirà d’integrare la Cina nella globalizzazione, nonché una delle spiegazioni della sconfitta dell’Unione sovietica nella guerra fredda. È sempre Kissinger a negoziare la fine della guerra del Vietnam, conquistandosi nel 1973 il Nobel per la pace. Nel 1982 crea la Kissinger Associates, tra le più importanti società di consulenza strategica per i governi di tutto il mondo.


La sua attività è rimasta frenetica a lungo, nonostante qualche problema di salute: nel 1982 triplo bypass coronarico, nel 2005 intervento angioplastico, nel 2009 operazione all’anca, nel 2014 sostituzione di una valvola dell’aorta. Ha avuto anche una robusta dose di controversie. Invece del Nobel per la Pace, i detrattori lo avrebbero trascinato davanti a un tribunale per crimini contro l’umanità, contestando il suo ruolo nei bombardamenti illegali della Cambogia e nel golpe cileno che depose Salvador Allende. Dopo essere stato nominato da George Bush a capo della commissione d’indagine sull’11 settembre, dovette dimettersi per i potenziali conflitti d’interessi (l’Arabia saudita è uno dei tanti regimi che hanno consultato la Kissinger Associates).


Il contributo attuale
A 99 anni i suoi interventi al World Economic Forum di Davos continuano a conquistare le prime pagine dei giornali. Xi Jinping lo ascolta come un grande saggio nella tradizione confuciana. Tutti i presidenti americani lo hanno invitato alla Casa Bianca per chiedergli consigli, salvo uno: Joe Biden. Il castigo di Kissinger arriva puntuale: «Biden è troppo influenzato dalla politica interna. Avrebbe bisogno di una flessibilità nixoniana, per disinnescare gli attuali conflitti con la Russia e con la Cina».


Ciò che lo preoccupa è soprattutto il futuro delle relazioni tra America e Cina, da cui dipende il futuro dell’umanità intera. Il vecchio Henry disegna un percorso stretto. «Stati Uniti e Repubblica Popolare cinese hanno in comune il fatto di considerarsi nazioni eccezionali, entrambe pensano di avere il diritto di prevalere. Bisogna capire la permanenza storica della Cina, e al tempo stesso impedirle di diventare egemone. Non ci riusciremo attraverso prove di forza». L’America di oggi gli sembra più spaccata che negli anni Sessanta. «Perfino durante la guerra del Vietnam c’era consenso su alcuni obiettivi nazionali, anche se eravamo divisi sui modi per raggiungerli. Oggi è controversa la definizione stessa dell’interesse nazionale e dei valori del paese. Eppure nessuna società può rimanere grande se perde fiducia in se stessa e distrugge la propria autostima». A proposito dell’inchiesta parlamentare sull’assalto al Congresso il 6 gennaio 2021: «Non punta alla verità storica, è funzionale a impedire che Donald Trump si ripresenti». Finiremo per rimpiangerlo e riscopriremo la canzone del gruppo comico inglese Monty Python a lui dedicata, infarcita di ironie politicamente scorrette come quella sul «pappagallo tedesco» (allusione al suo accento, invariato dopo una vita in America). Henry Kissinger mi manchi / Sei il Dottore dei miei sogni / coi capelli crespi e lo sguardo occhialuto / i piani machiavellici / Lo so dicono che sei vanitoso / Basso grasso e prepotente / Però almeno non sei matto.