la Repubblica, 31 agosto 2022
Intervista a Diane von Furstenberg
Diane von Furstenberg ha deciso di dedicare quello che chiama «l’inverno della mia vita» — 75 anni portati benissimo, anche grazie alle due ore di nuoto al giorno — ad aiutare le altre donne, condividendo «la mia voce, la mia esperienza, le mie connessioni e le mie risorse». A Venezia, in parallelo alla Mostra, porta per la prima volta la 13esima edizione dei Dvf Awards, i riconoscimenti della fondazione di famiglia consegnati a personaggi femminili che si dedicano al miglioramento della vita di altre donne. Tra le premiate la presidente della Bce Christine Lagarde, la regista e attivista Ava DuVernay, l’educatrice ucraina Zoya Kytvyn, l’attivista per il clima Hindou Oumarou Ibrahim e dieci donne afgane che lavorano per un futuro sostenibile delle ragazze più a rischio. All’evento, domani sera, prevista anche la presenza di Hillary Clinton, partner con la sua organizzazione no-profit. L’intervista alla stilista e imprenditrice è nella casa-barca Eos, uno degli yacht a vela più grandi del mondo, di proprietà del marito Barry Diller, ormeggiato alle Zattere.
Com’è nata l’idea del premio?
«L’ha avuta mio figlio Alex, 13 anni fa. Il primo l’abbiamo consegnato a Meryl Streep, ad oggi abbiamo onorato 67 donne di 22 paesi, sono una famiglia allargata. Le onoriamo e le sosteniamo economicamente, le premiate famose servono ad accendere una luce sulle altre, a far conoscere le loro storie: Zoya è la giovane ucraina che ha iniziato una scuola in rete, con il Covid è diventata importante, con la guerra oggi è una scuola per tutti i bambini ucraini nel mondo, Hindou nel Ciad ha fuso tecnologia e tradizione al servizio delle donne indigenti. E poi, sconvolte da quel che è successo lo scorso anno, abbiamo scelto 10 donne afgane, ne avevamo salvate 1200 facendole uscire dal paese».
La marcia delle donne verso i diritti è piena di ostacoli.
« Ciò che è successo in Afghanistan è pazzesco, ma anche la questione dell’aborto negli Stati Uniti, dove vivo, è terribile. Anche per questo sono stata felice di venire a Venezia.
Dopo aver letto tanti libri sulla sua storia ho pensato che è la donna che avrei voluto essere: ha resistito a tutto e costruito tutto, nell’arte, nella politica, negli scambi, nella civiltà.
Dicono che bisogna salvarla, la miavisione è che Venezia può salvare il mondo. È vuota, ma il negativo si può volgere al positivo: tutti sono felici di venire, è un posto da cui si può rialzare il dibattito culturale».
Lei ha applicato il femminismo alla moda inventando il wrap dress: era comodo e stava bene a tutte.
«Fin da giovane sapevo che tipo di donna volevo essere, una donna “in charge”. Ci sono riuscita tramite unvestitino, che mi ha dato fiducia in me stessa e l’ha data a milioni di donne. Ma essere “al comando” non significa essere aggressive, è un impegno verso sé stesse: assumi ciò che sei, rendi le debolezze punti di forza. Durante la pandemia ho scritto un libro,Own it ,è il mio mantra. Nella vita ho avuto successo e fallimenti, il cancro, come tutti, ho condiviso i miei dolori... Sono stata onesta con me stessa, questa è stata la chiave».
La sua fonte di ispirazione?
«Mia madre: mi ha insegnato a non vedermi mai come una vittima. Ho bisogno di sapere che ci sono soluzioni alle cose, lei diceva che bisogna trovare anche un piccolo pezzo di luce e farlo crescere per respingere l’oscurità. Io sono nata nella cenere: mia madre era sopravvissuta a 13 mesi di Auschwitz, quando è tornata pesava 26 chili, sono nata 18 mesi dopo».
Il suo rapporto con il cinema?
«Amo i film e i registi. Per Bernardo Bertolucci organizzai la festa a New York diUltimo tango a Parigi :uno scandalo incredibile. Luchino Visconti lo ricordo aVenezia, con Helmut Berger. Conobbi Gualtiero Giacometti diMondocane a un ballo nel ’69, la festa più glamour della mia vita. Nell’Italia dei’70 pensavamo di avere inventato la libertà, guardi dove siamo ora».
È legata all’Italia.
«Le devo tantissimo, a partire da Egon (von Furstenberg, ndr) che mi ha dato due figli, la famiglia, il nome.
L’italiano l’ho imparato con gli uomini che ho amato, dal primo fidanzato Lucio, a Jas Gawronski, Alain Elkann…e mi rendo conto oggi, che è il paese più bello in cui vivere».
Qui concepì il famoso vestitino.
«Lavoravo con Angelo Ferretti nella stamperia di Parè. Era una specie di Donald Trump, urlava con gli impiegati, buttava i colori nel lago di Como. Aveva comprato un calzificio vicino, con le vecchie macchine ha creato il jersey. Una sera con la modellista inventai un wrap top ,l’ho allungato in un vestito. In francese si chiama robe portefeuille e mi ha riempito il portafogli. Sono arrivata a New York, diventata una principessa. Vivo nella gratitudine, Sono un esempio di speranza, figlia di un pacco di ossa da 26 chili. Ho vissuto intensamente, conosciuto tutto e tutti, sono un libro di storia, è il bello della vecchiaia».