Corriere della Sera, 31 agosto 2022
Che cosa si prova a essere colpiti da un fulmine
«All’improvviso un lampo, una luce bianca fortissima, poi il botto. Non ho capito più niente, nemmeno che a colpirci fosse stato un fulmine. So solo che io e Christian non sentivamo più le gambe. E poco più in là c’era Simone svenuto, immobile, con la faccia dentro una pozzanghera...». Manuel Annese è tornato a casa. Sono passati quattro giorni dallo choc vissuto sul Gran Sasso, e solo adesso il 30enne di Roma sud, esperto in sistemi di sicurezza, trova la forza per raccontare i dettagli della drammatica avventura nel cuore dell’Abruzzo. Proprio nel giorno in cui il suo amico e collega Simone Toni, 28 anni, di Tivoli, si è svegliato dal coma farmacologico e secondo i medici dell’ospedale San Salvatore de L’Aquila, «è vigile e cosciente», ma sempre in prognosi riservata. Dimesso dallo stesso nosocomio anche l’altro amico, Christian Damiani, di 24, residente a Ostia. Toni potrebbe essersi salvato grazie alla catenina che portava al collo: potrebbe aver contribuito ad abbassare la tensione provocata dalla saetta.
Manuel, cosa ricorda di quella mattina?
«Le nuvole comparse all’improvviso dopo che avevamo camminato per ore, almeno dalle 8.30, sui sentieri che portano all’Osservatorio, a Campo Imperatore. Abbiamo capito che il tempo stava cambiando all’improvviso e allora abbiamo deciso di scendere verso il parcheggio. Erano da poco passate le 11».
C’erano altre persone con voi?
«Avevamo incrociato una comitiva, poi ce n’era un’altra che ci seguiva a qualche centinaio di metri. Era una bella giornata, avevamo caldo ed eravamo rimasti con le magliette a maniche corte. Simone aveva parcheggiato la macchina in uno spiazzo all’inizio del sentiero. Per noi, appassionati di escursioni e camminate nella natura, era la prima volta sul Gran Sasso».
Quindi il meteo è cambiato in un attimo...
«Esatto. E questo ci ha sorpreso non poco. Per prudenza abbiamo pensato che fosse meglio tornare indietro. Più che altro per non essere raggiunti dal temporale che si stava per abbattere sulla zona».
E poi cosa è successo?
«Eravamo a qualche centinaio di metri dal parcheggio, stavamo chiacchierando mentre camminavamo, quando in un attimo siamo stati investiti da questa luce bianca, accecante. Non so se un decimo di secondo prima o subito dopo ho sentito le gambe tremare. Era impossibile rimanere in piedi, io e Christian siamo crollati a terra. E lo stesso è successo a Simone, solo che lui è stato preso in pieno. Una sensazione indescrivibile».
Ha capito subito che era stato un fulmine?
«In un primo momento sono rimasto paralizzato. Come Christian. Ho provato a rialzarmi, ma non ce la facevo: avevo preso una botta al ginocchio sinistro ed ero ferito alla gamba destra. Anche il mio amico non poteva muoversi, ma si lamentava. Simone invece non dava segni di vita. Eravamo disperati».
Cosa avete fatto?
«Ci siamo trascinati con le braccia verso di lui per togliergli la faccia dalla pozzanghera. Temevamo morisse annegato. L’abbiamo girato, gli abbiamo fatto il massaggio cardiaco, Christian anche la respirazione bocca a bocca. Poi per fortuna siamo stati raggiunti dalla comitiva che ci seguiva e da una dottoressa che faceva trekking e che ha stabilizzato Simone. Sono arrivati subito anche i carabinieri forestali: avevano visto il fulmine cadere su una zona frequentata da escursionisti. Altrimenti non so come sarebbe andata a finire».
Ma non è finita lì...
«No, perché per portarlo al parcheggio, Simone è stato preso in braccio da più persone, compresi noi due per quello che potevamo fare. Io zoppicavo: mi sono potuto rialzare solo perché avevo gli stivali alti che mi mantenevano le caviglie rigide. Il sentiero è stretto e ripido, non è stato facile, ma dovevamo fare in fretta. Non siamo solo colleghi, siamo amici che si sono conosciuti sul lavoro e sono diventati inseparabili. Adesso poi, dopo essere scampati a tutto questo, lo saremo ancora di più».