Corriere della Sera, 31 agosto 2022
L’energia di Stato inutilizzata per colpa della burocrazia
Diciassette terawattora di energia da fonti rinnovabili fermi, inutilizzati. Un cuscinetto di emergenza comprato dallo Stato in questi mesi proprio perché qualcuno, al governo, immaginava si sarebbe arrivati sin qui. Con le aziende affamate di energia ma travolte dai prezzi impazziti del gas: gli impianti vanno a scartamento ridotto perché produrre non conviene più essendo completamente saltati i margini di guadagno. Diciassette terawattora, un quarto del fabbisogno industriale dell’Italia, secondo Paese manifatturiero d’Europa, acquistati sul mercato domestico dal Gse, il Gestore dei servizi energetici controllato dal ministero del’Economia, al prezzo di 124 euro a megawattora, un valore molto più contenuto se consideriamo i livelli attuali dell’energia ad oltre 500 euro. Un «tesoretto» a cui già a fine aprile il governo immaginava di voler attingere per rivenderlo, al prezzo di costo, alle utenze energivore ed evitarne i fermi di produzione. Tanto da averlo scritto all’articolo 16bis del decreto Aiuti. Eccolo: «Al fine di garantire la piena remunerazione degli investimenti in fonti rinnovabili nel mercato elettrico, nonché di trasferire ai consumatori partecipanti al mercato elettrico i benefici conseguenti, il Gse offre un servizio di ritiro e di acquisto di energia elettrica da fonti rinnovabili prodotta da impianti stabiliti nel territorio nazionale, mediante la stipulazione di contratti di lungo termine di durata pari ad almeno tre anni».
Un assist lungimirante alla grande industria sprecato dalla burocrazia o, peggio, dalla dimenticanza. Resta pendente un decreto attuativo per stabilire le priorità di accesso a questa energia di Stato e immaginiamo che non siano rare le divergenze di vedute a chi assegnare la patente di azienda non chiudibile. Confindustria proprio in questi giorni sta realizzando un sondaggio interno tra gli associati per definire quali sono i settori (e gli impianti) strategici a cui destinare una corsia preferenziale e a quali ridurre volontariamente la domanda di gas perché maggiormente sacrificabili. Ma è chiaro che rallentare i cicli produttivi, anche a chi accetta di farlo, comporta perdita di competitività e di quote di mercato e l’accesso agli ammortizzatori sociali per i dipendenti. L’incubo dei razionamenti, con il blocco totale delle forniture di gas da Mosca, sta comportando una serie di analisi sui codici Ateco sulla falsariga di quello che avvenne nel periodo più duro della pandemia, mentre la Germania sta già attingendo alla fiscalità generale con un meccanismo di aste incentivanti per chi accetta di fermarsi. In alternativa, lo Stato potrebbe percorrere anche una via alternativa se ritenesse prioritario tutelare le utenze residenziali. Potrebbe dare mandato al Gse di vendere questa energia in eccedenza al prezzo attuale per finanziare acquisti di gas compensando così gli oltre 4 miliardi già spesi ed erogati dal Tesoro. In ogni caso sarebbe un’operazione di finanza pubblica a saldi invariati. Respiro per le casse dello Stato, sotto stress per il caro bollette tra gli oneri di sistema azzerati e i crediti d’imposta alle imprese sempre più pesanti per l’erario.