La Stampa, 30 agosto 2022
La crisi energetica ha messo la Germania in ginocchio
La Germania frena, è una locomotiva che non ha più energia per alimentarsi. Letteralmente. Le risorse che hanno fatto la sua fortuna dagli anni sessanta a oggi non sono più a disposizione nei volumi e ai costi sostenuti fino 24 febbraio scorso. Il prezzo del gas al kilowattora oggi nel Paese è scambiato a 32 centesimi, contro i 3 centesimi di un anno fa. Anche l’elettricità è in aumento, e il ministero dell’Economia sta pensando a «una riforma sostanziale per disaccoppiare l’andamento dei prezzi dell’elettricità al dettaglio dall’aumento del prezzo del gas», ha detto una portavoce. Ma c’è di più.
La crisi generata dalla crescita dei prezzi dell’energia e dalla dipendenza eccessiva da un fornitore «inaffidabile» come la Russia – che da domani sospenderà completamente il flusso di gas via Nord Stream per tre giorni – mettono in discussione il modello economico della Germania come Paese esportatore, con quel surplus della bilancia commerciale che tanto a lungo ha fatto storcere il naso ai suoi vicini. Costi di produzione in rialzo e i rincari in arrivo mettono alla prova la competitività dell’industria tedesca e quindi dell’export tedesco nel mondo. La domanda ora è: riuscirà la Germania a compiere una transizione energetica a velocità accelerata e al tempo stesso mettere in moto un cambio di paradigma economico? Sul piano dell’approvvigionamento energetico qualcosa si muove ed è in vista un cambio di strategia.
Il governo di Berlino, sotto la spinta del ministro verde Robert Habeck, sta spostando lo sguardo da Est a Ovest. Dopo anni di flirt commerciale con Pechino e con Mosca, Berlino ora guarda con crescente interesse al Canada, all’Argentina e all’Australia, oltre all’amica di sempre, la Norvegia. Tutti territori ricchi di risorse naturali e materie prime. E ancora una volta lo scambio è simile a quello che segnò i rapporti negli anni ’60 e ’70 con l’Unione Sovietica: investimenti in tecnologia in cambio di risorse naturali e manodopera a buon mercato. Prima ancora di Willy Brandt e Helmut Schmidt fu l’industria tedesca della Bundesrepublik ad aprire la strada ai contratti con l’Urss sugli idrocarburi, racconta Frank Bösch, del centro di ricerca Leibniz per la storia contemporanea di Potsdam. Alla fine degli anni ’60, Thyssen-Krupp, Mannesmann e Ruhrgas AG, sostenuti da banche della Germania ovest, siglarono i primi contratti con l’Unione Sovietica. Gas e petrolio erano risorse a basso costo relativamente vicine e straordinariamente sicure, per via di una connessione diretta. Può sembrare un paradosso, ma proprio la transizione energetica, iniziata con il disastro di Fukushima nel 2011 e segnata dall’uscita dal nucleare prima e dal carbone poi, ha aggravato la dipendenza dal gas.
L’identificazione del gas come vettore di transizione per un’economia fondata su rinnovabili e idrogeno ha fatto spostare l’ago della bilancia sempre più verso Mosca. Dal 2011 al 2021 la dipendenza dal gas russo è aumentata dal 32% al 52%, mentre è scesa l’importazione dall’Olanda e dalla Norvegia è aumentata solo del 3%. Nessuno ha considerato la dipendenza un pericolo e «nessuno era disposto a pagare costi miliardari per una maggiore protezione. Non lo eravamo noi politici, non lo erano i consigli di amministrazione e non i cittadini», ha detto l’ex ministro dell’Economia del governo Merkel, Peter Altmaier.
Ora la strategia dei rubinetti aperti a singhiozzo di Mosca rende necessari piani B e C. La Norvegia copre al momento il 30% di fabbisogno energetico tedesco, ma il premier Jonas Store ha detto al cancelliere Olaf Scholz di poter fare poco di più. La Germania punta sul gas liquefatto che dovrebbe arrivare «entro la fine dell’inverno» nei 2 terminal galleggianti in costruzione a Willhelmshaven e Brunsbuttel, tramite i quali sarà in grado di ricevere fino a 12,5 miliardi di metri cubi di Gnl all’anno, pari al 13% del consumo di gas del Paese nel 2021, secondo Enerdata. Questo però non basta e la Germania ha rimesso in rete alcune centrali a carbone e sta valutando l’ipotesi – ma gli stress test sono ancora in corso – di mantenere attive in via temporanea le 3 centrali nucleari, in chiusura il prossimo dicembre. Il nucleare produce solo il 5% (a maggio era appena il 3%), quindi si punta ad aumentare la quota di rinnovabili nel mix energetico spingendo le autorizzazioni per i parchi eolici on shore e off shore. Dal 2025 poi si dovrebbe importare energia a idrogeno dal Canada.
Nel frattempo si dovrà ricorrere al gas stoccato. Per ora le riserve sono piene all’82,7%, il che significa aver raggiunto il traguardo di ottobre con un mese di anticipo. L’obiettivo resta il 90% entro novembre. Ma se anche gli impianti di stoccaggio fossero pieni al 100% non coprirebbero che 1/4 del fabbisogno annuale, sostiene Handelsblatt. Perciò è necessario tagliare i consumi. Finora la riduzione è stata del 14% ma «deve essere alzata l’asticella» almeno al 20%, ha detto il presidente dell’Agenzia federale delle reti, Klaus Mueller.
Mettere in campo una transizione energetica in tempi rapidi, trovando un nuovo modello economico e tagliando sui consumi senza risorse facili è nel suo insieme un compito titanico, come si addice a un Paese forgiato dal romanticismo.