Roberta Scorranese per il “Corriere della Sera”, 29 agosto 2022
L'ULTIMO TIRO - “AL FUNERALE DI STREHLER IO E VALENTINA CORTESE, PER RENDERGLI OMAGGIO, ABBIAMO MESSO DUE RIGHE DI COCAINA SULLA BARA. GLIELO DOVEVAMO” – LA REGISTA TEATRALE ANDRÉE RUTH SHAMMAH APRE IL CASSETTO DEI RICORDI: “NEGLI ANNI ’80 ERANO LOTTIZZATI ANCHE I TEATRI, GABRIELE SALVATORES IN AREA SOCIALISTA ALL'ELFO, PER DIRE – QUANDO CRAXI CADDE IN DISGRAZIA A MILANO NON SI TROVAVA PIÙ UN SOCIALISTA, SPARITI TUTTI - DARIO FO NON VOLEVA FARE L'ATTORE, FRANCA RAME SOGNAVA LA TELEVISIONE..." -
Geniale, caotica, sempre in movimento. L'irrequietezza come temperamento e forse un motivo c'è: Andrée Ruth Shammah è figlia di una fuga. Quella di una famiglia sefardita di Aleppo, ebrei che per «scappare dai pogrom arabi prima trovarono rifugio sui tetti e poi si dispersero nel mondo».
Gli Shammah capitarono a Milano, nel 1948 nacque Andrée, «e forse - racconta - i miei nemmeno sapevano bene che cosa era Milano. L'idea era di andare in Giappone. Ma rimanemmo». Quattro sorelle, tra le quali lei: intelligente, vivace, amante del teatro. Il padre faceva tutt'altro: investimenti finanziari, consulenze, insomma si occupava di soldi.
Lei però è diventata un'apprezzata regista. Come ha cominciato? «Incontrai Giovanni Testori per motivi che nulla avevano a che fare con il teatro. Papà faceva investimenti nel mondo dell'arte, Giovanni era un appassionato di pittura. Per anni sono andata nello studio di Testori, in via Brera, nel pomeriggio. Caffè, conversazioni su arte e teatro. Fu il mio apprendistato di ragazza ebrea ma allieva di una scuola cattolica, milanese ma di origini aleppine».
Milano, negli anni Sessanta, era un laboratorio di linguaggi. La lingua di Carlo Porta veniva rielaborata a teatro, c'era il «grammelot» di Dario Fo. «E la mia prima regia fu nel '73, con l'Ambleto di Testori, rivoluzione del concetto di idioma. Ma tutto era cambiato con le contestazioni del '68: Strehler se n'era andato dal Piccolo, Paolo Grassi voleva rinnovare, chiamò Franco Parenti. E mi chiese di fargli da assistente alla regia, anche perché Franco era molto giù.
Era da poco stato lasciato da Benedetta Barzini, per la quale lui aveva detto addio a moglie e figli. All'inizio non lo sopportavo: mi irritava per come parlava. E poi tenga conto che a Milano in quel periodo c'era Marco Bellocchio, che faceva cose fighissime».
Poi il legame con Franco. Per la verità, breve, dal '72 al '73. Ma esattamente cinquant'anni fa, insieme, avete fatto nascere il Salone Pier Lombardo, che si chiama Teatro Franco Parenti dal 1989. «E ne abbiamo fatto un esempio unico di teatro privato con funzione pubblica. Se io oggi devo fare un qualsiasi lavoro qui, devo andare a chiedere ai sostenitori. Mille, duemila, cinquemila euro. E vado di persona, meno male che tutti riconoscono la qualità di quello che facciamo».
Che tipo era Franco? «Coerente. Fermo nelle sue idee, anticonformista, se necessario controcorrente. Quando mise in scena Claudel, un autore cattolico, il Pci gliene disse di ogni. Oddio, il Pci bacchettone non ammetteva neanche le parolacce nei testi di Carlo Porta. E anche Dario Fo non era d'accordo su Claudel, ne discussero a lungo, Dario cercava di dissuaderlo. Franco gli disse: "Vedi, Dario, tu fai sempre te stesso e va bene, io però non ho bisogno di ripetere me stesso"».
Che rapporto c'era con Fo e Rame? «Buono. Dario studiava architettura e per mantenersi scriveva degli sketch. Franco faceva il personaggio di Anacleto il gasista alla radio, in corso Sempione, e allora era consuetudine che i giovani autori lasciassero nel camerino degli attori affermati questi foglietti con delle piccole scene. Parenti rimase colpito dalla bravura di Dario e lo invitò per parlare. Insisteva: devi fare l'attore. Ma Dario non voleva fare quello. In ogni caso, iniziò un sodalizio e poteva durare di più, ma Franca sognava la televisione».
Com' era Silvio Berlusconi prima di diventare Silvio Berlusconi? «Senta questa. Una volta Silvio incontra Franco in aereo. Gli dice: "Venga a trovarmi, io se vuole le apro un teatro". Parenti torna a Milano e mi fa: "Ho incontrato un industriale che vuole finanziare un teatro, ma io ho la sensazione che voglia il suo teatro". Non se ne fece niente. Però mi ricordo che ai funerali di Craxi Berlusconi piangeva a dirotto. Tenga presente che quando Craxi cadde in disgrazia a Milano non si trovava più un socialista, spariti tutti».
Craxi. È vero che le offrì la direzione del Teatro Stabile di Roma? «E io gli risposi: "Ma che ci vengo a fare a Roma se ho un teatro qui a Milano? Finanziami questo, se puoi". Ma lui non poteva, e insomma eravamo punto e a capo, ce la siamo sbrigata noi».
Erano lottizzati anche i teatri? «Eccome. Ma almeno sapevi chi faceva cosa. Gabriele Salvatores in area socialista all'Elfo, per dire. Il Parenti però restava fuori, non eravamo ingabbiabili».
Strehler. Lei lo ha conosciuto molto bene. Se dovesse raccontarlo in breve? «Un visionario, un grande uomo di teatro. Le racconto questa. Maggio Musicale Fiorentino, lui sta provando. Valentina Cortese cerca di farlo mangiare, mi manda a prendere due vassoi con sei paste di riso ciascuno. Lei gliene offre una. Lui, insofferente, "Ma non vedi che sto lavorando?", però intanto allunga dietro una mano e la prende. Lei, di volta in volta, sostituisce il dolce mancante attingendo dall'altro vassoio. Morale: alla fine il maestro ha mangiato ma ha dato a vedere di non mangiare».
Cortese gli era legata? «Al suo funerale io e Valentina, per rendergli omaggio, abbiamo messo due righe di cocaina sulla bara. Glielo dovevamo».
Un altro suo grande sostenitore è stato Eduardo De Filippo. È così? «Non dimenticherò mai quella volta in cui venne a teatro e, davanti a tutti, mi definì "a shamma", che in napoletano vuol dire "fiamma". Fu bellissimo, anche perché era un sostegno a una figura facilmente attaccabile: una donna sola, che molti continuavano a definire con malizia la compagna di Franco . Ma in questo teatro si è fatto di tutto».
Anche il pane, vero? «Certo, nei programmi dedicati ai bambini. Ma abbiamo fatto anche i matrimoni. Oggi c'è una piscina, si organizzano dibattiti».
Lei non ha fatto il '68? «No, anzi, mi schierai con Paolo Grassi contro chi lo contestava. D'altra parte io, ebrea, nutrivo grande ammirazione per il cardinal Martini. Sempre controcorrente».