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 2022  agosto 29 Lunedì calendario

Come si arrivò alla pubblicazione del Dottor Zivago di Boris Pasternak

Ci sono segreti che restano segreti. Se accuditi e dimenticati come si deve fanno storia a parte, parallela.
I segreti fra Boris Leonidovič Pasternak e Giangiacomo Feltrinelli sono invecchiati in una cassaforte da ufficio custodita in via Andegari. Mio padre ci ha nascosto anche le foto di un suo viaggio in Danimarca e memorabilia garibaldine. La chiave si è persa, ci vuole un fabbro e la fiamma ossidrica. C’è il carteggio Feltrinelli-Pasternak. Dopo quarant’anni, se un segreto passa di mano sfugge come mercurio.
Partirei da un articolo apparso sul “Sunday Times” del 31 maggio 1970 a firma di Giangiacomo Feltrinelli. All’epoca è già il Feltrinelli irreperibile (nel senso di clandestino) e nessuno sa quale identità abbia in tasca. L’articolo, richiesto dal direttore Sir Denis Hamilton, si conclude con la frase “Io mi trovo dove nessuno potrà trovarmi”.
Il precipitare degli eventi lo condiziona a tal punto che il testo originale è in terza persona, come se non fosse scritto da lui ma “da fonti vicine alla casa editrice”. La stesura risale al 15 marzo. È l’unica volta in cui parla di queste cose, ormai molto lontane.
Nel 1955, subito dopo la fondazione della mia società, la Giangiacomo Feltrinelli Editore, venni contattato da Sergio D’Angelo, all’epoca direttore della libreria del Pci a Roma ed in partenza per Mosca come redattore del partito per il programma di trasmissioni radio- foniche italo-sovietiche. Egli mi propose di agire come talent scout letterario in Urss per la mia casa editrice di Milano. Dopo qualche mese D’Angelo mi informò che uno stupefacente romanzo di un poeta russo, Boris Pasternak, stava per essere pubblicato nell’Unione Sovietica. Chiesi a D’Angelo di mettersi in contatto con l’autore per cercare di avere una copia del manoscritto e poter così iniziare subito la traduzione. Gli autori russi, dopo la prima pubblicazione in Unione Sovietica, non hanno la protezione del copyright. Iniziando la traduzione del manoscritto avrei avuto la possibilità di pubblica- re contemporaneamente all’editore sovietico e di assicurarmi così il copyright per l’opera nell’Occidente. Il manoscritto, con il consenso dell’autore, mi fu consegnato a Berlino nell’estate del 1956.
Precisare la questione dei diritti per opere provenienti dall’Unione Sovietica è fondamentale. Se un editore, diciamo europeo o americano, pubblica Il dottor Živago nei trenta giorni che seguono l’uscita in Urss guadagna l’esclusiva per il mercato occidentale. La sua, in base alla Convenzione di Berna, sarebbe la prima edizione. I sovietici non hanno aderito a Berna. Basta un solo giorno oltre i trenta e l’opera diventa “cosa di tutti”, chiunque può stampare una propria edizione, senza esclusiva e obbligo di royalties. L’avvocato Antonio Tesone, legale della casa editrice Feltrinelli, studia bene la pratica.
Ma, a parte gli argomenti del diritto, la ricostruzione sul “Sunday Times” corrisponde alla versione dei fatti proposta da Sergio D’Angelo in varie occasioni ed è forse utile riepilogare i diversi passaggi anteriori all’estate 1956. Sono in gran parte noti.
Un anno dopo la morte di Stalin, nella primavera del ’54, il nome di Boris Pasternak torna alla ribalta per la pubblicazione di alcune poesie sulla rivista “Znamja”. Sono composte come appendice a un romanzo che sta pre- parando, Il dottor Živago. Il romanzo è concluso nel ’55. Pasternak invia copie alla casa editrice Goslitizdat e ad alcune riviste letterarie. Resta in attesa di una risposta per la pubblicazione.
Nell’inverno del ’55, Sergio D’Angelo si accorda con Feltrinelli per un lavoro di segnalazione dalla capitale sovietica. Con la casa editrice ha già collaborato occasionalmente.
D’Angelo parte nel marzo del ’56. Ha un impiego a Radio Mosca, il verbo sovietico via etere in tutte le lingue. Alcune settimane dopo il suo arrivo, nel corso di un notiziario culturale, capta la notizia della probabile pubblicazione del Dottor Živago di Boris Pasternak: “Si tratta di un romanzo scritto in forma di diario che abbraccia tre quarti di secolo e termina con la Seconda guerra mondiale”.
D’Angelo è lesto. Segnala la cosa a Milano e Luigi Diemoz lo invita a mettersi rapidamente in contatto con il poeta. Ai primi di maggio, in una bella giornata di sole, D’Angelo raggiunge il bosco del Villaggio degli scrittori a Peredelkino, appena fuori Mosca, dove Pasternak spesso soggiorna insieme alla seconda moglie Zinaida, al figlio minore Leonid e talvolta a Evgenij, nato dal suo primo matrimonio con Evgenija Lur’e. Più o meno a millecinquecento metri in linea d’aria, oltre una lieve collina, risiede per la villeggiatura Olga Ivinskaja, la donna che il poeta ama da quasi dieci anni e che lo assiste nei lavori di traduzione.
Pasternak riceve D’Angelo e lo ascolta apparentemente sorpreso. Rimane a lungo pensieroso. Non è affatto convinto che il suo libro verrà pubblicato in Unione Sovietica: da un anno attende una risposta che non arriva. Decide in ne di aderire alla richiesta del suo ospite. Del resto, aveva già lasciato in visione il romanzo a un gruppo di scrittori polacchi in visita tempo prima, ed è anche in contatto con l’editrice Svet Sovetov di Praga per l’edizione cecoslovacca.
Al momento di congedarsi, il poeta si abbandona a una frase amara e scherzosa: “Voi,” dice a D’Angelo, “siete sin d’ora invitati alla mia fucilazione...”.
Il 13 maggio Feltrinelli predispone la bozza di una prima lettera all’autore e, ne sono certo, capisce subito che la faccenda può farsi spinosa. Per questo preferisce muoversi di persona e, quando D’Angelo si sposta a Berlino per rinnovare un visto, lo raggiunge. È ne maggio o inizio giugno. I due cenano in un locale. Incontrano due bionde impiegate della Siemens, ballano con loro. Non perdono mai di vista il plico lasciato al tavolo avvolto nell’impermeabile. Contiene un dattiloscritto in cirillico.
Appena rientrato a Milano, Feltrinelli telegrafa allo slavista Pietro Zveteremich (“pregoti venire subito”) per chiedergli un parere che gli giunge in pochi giorni. Zveteremich conclude così la scheda di lettura: “Non pubblicare un romanzo come questo costituisce un crimine contro la cultura”.
Il 13 giugno Feltrinelli spedisce la prima lettera al suo prossimo autore. In francese. Almeno inizialmente usano il francese. “Se riceverete mai una lettera in altra lingua che non sia il francese, non dovrete in nessun modo eseguire ciò che vi sarà domandato – le sole lettere valide saranno quelle scritte in francese.” Il messaggio di Pasternak arriva non so come, scritto su una cartina per sigarette.
L’epistolario tra editore e autore è reso difficile dai tempi di ricezione delle lettere. Ogni volta serve un tramite adatto cui affidare la busta da spedire o consegnare personalmente.
Feltrinelli introduce in seguito il metodo della banconota: il messaggero è “sicuro” se può mostrare a Pasternak la metà mancante della banconota in suo possesso.
Milano, 13 giugno 1956
Caro Signore,
 vi siamo molto riconoscenti per averci fatto avere il vostro romanzo, intitolato “Il dottor Živago”. Un semplice primo esame pone in rilievo l’alto valore letterario della Vostra opera, che ci dona un vivido ritratto della realtà sovietica.
Di nuovo, vogliamo esprimerLe tutta la nostra riconoscenza per aver voluto conferire alla nostra Casa Editrice la possibilità di pubblicare per la prima volta in Europa la storia del Dottor Živago, e per averci allo stesso tempo incaricati di organizzare la pubblicazione presso altri paesi, tramite la cessione dei diritti d’autore ad altri editori.
Le sottomettiamo dunque le nostre proposte per regolare la questione dei diritti d’autore, sia per l’edizione italiana come per l’edizione in altre lingue.
 Per l’edizione italiana, pensiamo di poterLe proporre la percentuale più alta in uso in Italia, sarebbe a dire il 15%. Per il forte prezzo di vendita, per i costi editoriali piuttosto elevati nel nostro paese, e infine per quello della traduzione, destinato ad incidere non indifferentemente sul costo di produzione, siamo nell’impossibilità di alzare questa percentuale.
Quanto ai diritti per l’estero, noi Vi proponiamo, come d’usanza, di versarvi il 50% dei diritti che noi incasseremo. I diritti di Vostra spettanza verranno accreditati su un conto aperto presso di noi, e questo potrà servirvi per viaggi o acquisti in Europa, oppure Vi sa- ranno accreditati presso la Banca di Stato dell’Urss.
Questi sono i punti salienti del contratto che uniamo in duplice co- pia alla presente; Vi preghiamo di volerci ritornare una copia firmata nel caso Vi troviate d’accordo.
 Vogliate gradire i miei migliori omaggi.
Giangiacomo Feltrinelli
Una lettera cordiale, standard e tempestiva. Tutto dovrebbe filare liscio. Il 30 giugno risponde Pasternak, sempre in francese. Prima di spedire, mostra la lettera ai figli Leonid ed Evgenij.
Evgenij ha la stessa faccia di legno secco del padre. Gli devo molto per questa ricostruzione. All’epoca aveva trentatré anni: “Eravamo molto d’accordo con quella lettera pur sapendo che poteva portare a conseguenze pericolose. Nostro padre era disposto a qualsiasi sacrificio pur di vedere pubblicato Il dottor Živago. Appoggiammo pienamente la sua idea, anche noi eravamo pronti a tutto. Mio padre ci ringraziò, disse che sperava nella nostra comprensione”.
Evgenij ricorda che il padre ricopiò la lettera in partenza, cosa che non faceva mai:
Mosca, 30 giugno 1956
Caro Signore,
le Vostre proposte sono ammirevoli, firmo il contratto con piacere. Benché io non sia del tutto disinteressato al denaro, noi qui viviamo in condizioni completamente diverse dalle vostre. Non è merito mio se le questioni di denaro sono per me inesistenti o del tutto secondarie. A ogni modo serbate Voi tutto quello che mi sarà dovuto, sotto la Vostra protezione, Ve lo affido senza riserve, e non facciamone più parola da oggi no a quando verrò io in viaggio da Voi o solleverò io stesso questo argomento. Particolarmente grande è la mia gioia per il fatto che il romanzo uscirà e verrà letto nel Vostro paese. Se la sua pubblicazione qui, promessa da parecchie delle nostre riviste, dovesse subire ritardo e la Vostra la anticiperà, io mi troverò in una situazione di tragico imbarazzo. Ma la cosa non Vi riguarda. In nome di Dio, procedete liberamente alla traduzione e alla stampa del libro, buona fortuna! Le idee non nascono per venire nascoste o soffocate sul nascere, ma per essere comunicate agli altri.
Assicurate all’opera una buona traduzione. Il signor professor Lo Gatto a questo proposito mi ha fatto le lodi e ha raccomandato il poeta e traduttore Ripellino, a Roma.
Vogliate gradire, caro Signore, i miei sentimenti più affettuosi.
B. Pasternak
P.S. Abbiate la bontà di avvertirmi telegraficamente del ricevimento di questa lettera.
Una bella lettera, con sincero disinteresse per le questioni economiche. “In effetti,” osserva il figlio, “mio padre se la cavava con il minimo indispensabile. Il suo studio era uno spazio modesto, l’abbigliamento molto semplice, evitava divertimenti futili, viaggi, ferie e tutto ciò che deriva dal piacere di spendere denaro.” Ma il fatto clamoroso di questa prima risposta all’editore italiano è che i sovietici seppero n dall’inizio, magari non tutto, ma qualcosa sì. Lo dimostra un documento impor- tante che ho reperito a Mosca. Il timbro è “segretissimo”, la data 24 agosto 1956. Spedisce il generale Ivan Serov, presidente del Comitato di difesa nazionale del soviet dei ministri dell’Urss (comunemente Kgb). Riceve il Comitato centrale.
Il Comitato di difesa nazionale del Soviet dei Ministri dell’Urss dispone di una serie di dati dai quali risulta che lo scrittore B. Pasternak, attraverso Sergio D’Angelo, speaker presso la radio del Ministero della Cultura dell’Urss, cittadino italiano e membro del Partito Comunista Italiano, nel maggio c.a. ha consegnato all’editore italiano Feltrinelli un manoscritto del proprio romanzo inedito, “Il dottor Živago”, affinché venga pubblicato in Italia.
Nella lettera del 3 luglio c.a., indirizzata a Feltrinelli, Pasternak acconsente ufficialmente alla pubblicazione del romanzo e chiede che l’onorario a lui spettante venga lasciato in Italia. Pasternak, al momento della consegna del romanzo, ha posto le seguenti condizioni: che la casa editrice, dopo la pubblicazione dell’opera in Italia, con- ceda i diritti del romanzo agli editori francesi e inglesi.
Pasternak raccomanda che il romanzo non esca in Italia prima della pubblicazione in Urss. Feltrinelli gli risponde che il romanzo sarà pubblicato verso l’aprile del 1957.
È noto che nell’aprile c.a. Pasternak ha consegnato “Il dottor Živago” alla redazione della rivista “Novij Mir”. L’opera viene recensita, ma l’assenso alla pubblicazione non viene ancora dato. Il 9 agosto c.a. Pasternak invia una lettera a un certo Reznikov Danil Georgevič, abitante a Parigi, nella quale esprime i suoi dubbi sulla possibilità di vedere pubblicato “Il dottor Živago” in Urss: “Capisco benissimo che ora [il romanzo] non può essere pubblicato, e probabilmente sarà così per molto tempo, forse per sempre: così grande e inconsueta è la libertà di spirito con cui nell’opera si rappresenta l’esistenza, l’esistenza nella sua totalità, l’esistenza nel mondo; così libera e nuova è la sua concezione del mondo”.
Riferendosi alla consegna del romanzo all’estero, Pasternak scrive a Reznikov: “Ora qui mi sbraneranno vivo: ne ho già il presentimento, e lei sarà un lontano e triste testimone di questo fatto”.
Contemporaneamente Pasternak invia a Reznikov un manoscritto di “Persone e situazioni”, da lui scritto in qualità di saggio introduttivo al- la raccolta di poesie edita dal Goslitizdat. Inoltre, chiede che Reznikov disponga del saggio a sua discrezione, come fosse di sua proprietà.
Il saggio rappresenta un’autobiografia dettagliata di Pasternak, accompagnata da una valutazione dell’opera di alcuni poeti sovietici, in particolare di Majakovskij, della Cvetaeva, di Jašvili. Inoltre esprime il proprio parere sulle possibili cause del loro suicidio e di quello dello scrittore Fadeev.
Pasternak Boris Leonidovič, nato nel 1890, è ebreo, non iscritto al partito, membro dell’Unione degli scrittori sovietici.
 Durante la rivoluzione e negli anni successivi ha aderito alla corrente letteraria piccolo borghese degli acmeisti. Tipico delle sue opere è l’allontanamento dalla realtà sovietica e la celebrazione dell’individualismo. Pasternak per un lungo tempo non ha pubblicato quasi nessuna delle sue opere, ad eccezione di un breve ciclo di poesie. Tra il 1946 e il 1948 ha scritto la prima parte del romanzo “Il dottor Živago”, nel quale è riflessa la sua visione idealistica del mondo. La rivista “Novij Mir”, cui è stato consegnato il manoscritto, si è rifiutata di pubblicare il romanzo in quanto ideologicamente inaccettabile. In seguito il manoscritto del romanzo è circolato negli ambienti letterari. In quegli stessi anni Pasternak ha stabilito contatti con una serie di collaboratori all’ambasciata britannica di Mosca, attraverso i quali ha mantenuto la corrispondenza con la sorella che vive a Londra. Nelle conversazioni con alcuni dei rappresentanti dell’ambasciata ha fatto dichiarazioni antisovietiche.
È stato soprattutto grazie a questi contatti che, tra il 1946 e il 1948, Pasternak si è fatto tanta propaganda sulla stampa inglese e americana, creando attorno a sé un’aureola di “grande poeta-martire” che non riesce ad adattarsi alla realtà sovietica.
Il rapporto del Kgb chiarisce e complica le cose. Nell’epistolario, quello della cassaforte coi ricordi garibaldini, non vi è nessuna traccia di una lettera del 3 luglio. C’è la lettera del 30 giugno, con trama simile a quella che, secondo Serov, è datata tre giorni dopo.
I casi sono due, anzi, come sempre più di due: la prima ipotesi è che, in un remoto archivio, esista effettivamente la lettera del 3. Ma perché due lettere a distanza di tre giorni con gli stessi argomenti? Inoltre, diversamente dal messaggio di Pasternak a Danil Reznikov, nel “segretissimo” di Serov nulla che riguardi la presunta lettera del 3 luglio è virgolettato.
Sorge il ragionevole sospetto che non esista alcuna corrispondenza di quel giorno. Forse si riferiscono alla lettera del 30, forse hanno fatto confusione, forse il 3 è la data in cui la polizia intercetta lo scritto di tre giorni prima. Ma perché i sovietici avrebbero poi permesso che la lettera raggiungesse Milano? Nella busta, probabilmente, c’è anche un contratto: “Firmo senza riserve,” scrive Pasternak il 30 giugno. E se è vero che la documentazione è stata intercettata, perché non usarla per incastrare pubblicamente il poeta? Pretesti e processi non mancheranno.
Terza ipotesi: la polizia sovietica non intercetta nulla. Forse qualcuno riferisce di una lettera spedita il 30 o il 3, rivelando informazioni più o meno pertinenti. Per esempio, la richiesta all’editore di cedere i diritti in Francia o in Inghilterra, op- pure la raccomandazione che l’edizione italiana non preceda quella sovietica (nella lettera del 30 giugno si afferma invece il contrario), o la notizia che il romanzo sarebbe apparso in Italia nell’aprile del ’57. Chi è presente “al momento della consegna del romanzo”? Chi può sapere della corrispondenza tra Pasternak e il suo editore italiano?
I familiari del poeta, con mezze frasi e forse spinti da qualche gelosia, hanno sempre alimentato il dubbio che Olga Ivinskaja abbia fornito informazioni ai servizi di sicurezza. Anche la stampa più recente, a Mosca, nelle sue ricostruzioni ha spesso insinuato che Olga sia stata una spia. Ma l’equa- zione rischia di portarci fuori strada, oltre a essere ingrata e rozza. Dare informazioni? Tutti davano informazioni, quella era la società più bisbigliante che potesse esserci. Se Olga ha dato informazioni lo ha fatto a n di bene e in “positivo”, omettendo cioè i particolari scomodi e presentando le versioni più rassicuranti per consentire future mediazioni. In una lettera a Chruščëv, datata primo marzo 1961, la Ivinskaja ammette: “Al Cc mi suggerivano di allontanare Pasternak da possibili contatti con stranieri”. E in un altro passo della stessa lettera: “Non serve dire che, a suo tempo, al Cc mi hanno suggerito il nome di D’Angelo e che tramite D’Angelo sono riuscita a tener ferma la pubblicazione del romanzo in Italia per un anno e mezzo”.
Olga Ivinskaja aveva già scontato tre anni d’internamento (era uscita nel ’53). Non è l’unica testimone della vicenda, e la soluzione del nostro mistero potrebbe condurre su altre piste, al momento non veri cabili. Forse esisteva una rubizza domestica che entrava e usciva proprio mentre Pasternak e D’Angelo discutevano gli accordi, o forse lo stesso D’Angelo ha avuto un ruolo da “mediatore”.
In ogni caso, nell’agosto del ’56 le notizie circolano diffusamente tra gli ingranaggi dell’apparato sovietico, questo lo si può dire con certezza. Il giorno successivo alla nota di Serov, il 25 agosto, il Kgb comunica nuovamente al vertice del Pcus l’avvenuta consegna del manoscritto e, a parte, ne informa Pëtr Pospelov, vecchia conoscenza, ora segretario del Comitato centrale.
Il 31 agosto, il ministro degli Affari esteri Dmitrij Šepilov de nisce il romanzo di Pasternak “un feroce libello contro l’Urss” e noti ca che “il Dipartimento per i rapporti con i partiti comunisti esteri, tramite alcuni amici, sta prendendo delle misure per impedire la pubblicazione all’estero di que- sto libro antisovietico” (cfr. Le dossier de l’affaire Pasternak, Gallimard). Ciò significa che se ne sarebbe parlato intorno a qualche samovar con i dirigenti comunisti italiani, in visita per vacanza o altro (siamo tra la pubblicazione del rapporto Chruščëv e i fatti d’Ungheria).
Il tono dei sovietici è insieme preoccupato e nervoso anche se, immagino, al momento sono ancora persuasi che tutto si possa ricomporre. Magari contando proprio sulla collaborazione dei compagni italiani.
Ancora dall’articolo di Giangiacomo per il “Sunday Times”:
Mentre la traduzione italiana stava procedendo, la pubblicazione a Mosca veniva posticipata e cominciò a circolare la voce che io avevo avuto una copia del Dottor Živago. Il Pci (di cui allora ero membro) ricevette richiesta di veri care questa voce. Io confermai il fatto in un colloquio con Togliatti, segretario generale del partito. Non mi fu fatta in quel momento alcuna richiesta di sospendere la pubblica- zione in Italia, ma solo la richiesta che la pubblicazione in Occidente avvenisse in concomitanza con la pubblicazione a Mosca.
L’autunno è carico di avvenimenti.
In attesa che i sovietici si decidano, Feltrinelli è invitato a restituire momentaneamente l’originale del Dottor Živago. L’invito gli viene da Pietro Secchia e Paolo Robotti, di ritor- no da un viaggio a Mosca. Ai due dirigenti comunisti italiani i sovietici hanno chiesto di adottare ogni misura per far rien- trare il “caso”. Secchia aveva parlato dei suoi buoni rapporti con l’editore, rassicurandoli: ci avrebbero provato.
Il 24 ottobre il Dipartimento per i rapporti con i partiti comunisti stranieri riceve, via ambasciata, un messaggio euforico di Robotti: la questione è risolta! Entro breve il mano- scritto sarebbe rientrato a Mosca. La comunicazione è vistata da Leonid Brežnev (cfr. Le dossier de l’affaire Pasternak).
Ma è vero il contrario: Feltrinelli, allarmato per la pressione ricevuta, si cura di custodire il dattiloscritto ( no a quel momento nelle mani di Zveteremich a Roma) in casa sua.
Il gennaio del ’57 è ricco di colpi di scena.
A Mosca giunge l’ennesima delegazione del Pci, guida- ta dal vicesegretario Luigi Longo. Malgrado un ordine del giorno già sufficientemente fitto, i vari Suslov e Ponomarëv sollevano la faccenda Živago, mostrando lettere di scrittori locali indignati con Pasternak per il suo atteggiamento estraneo all’ideologia.
I sovietici sono delusi. Dopo mesi di conciliaboli, rassicurazioni, trattative interpartitiche si ritrovano con un pugno di mosche. Chiedono ancora una volta la collaborazione dei dirigenti del Pci che, allargando le braccia, si guardano negli occhi con desolata mimica italiana. Irritati, a Mosca decidono di cambiare tattica: avrebbero preso il toro per le corna, rompendo il minaccioso silenzio nei confronti di Pasternak.
Cambiano tattica e, come in una partita a scacchi, sbagliano mossa, innescando l’inesorabile corsa verso il matto. Pasternak è convocato da Aleksej Surkov, il segretario dell’Unione scrittori, che gli propone un formale contratto di edizione predisposto dalla Goslitizdat, la casa editrice delle Edizioni di stato. Ma gli si fa intendere la necessità di fare qualche taglio e magari una revisione completa. Poi è costretto a inviare un telegramma al suo promesso editore. L’obiettivo è quello di prendere tempo.
secondo la preghiera della casa editoriale goslitizdat novaia basmannaja 18 mosca prego ritenere la pubblicazione italiana del romanzo il dottore givago durante un mezzo anno n lo primo settembre 1957 e l’uscita del romanzo nel edizione sovietica la risposta telegrafica dirigere al goslitizdat
 pasternak
Il telegramma giunge a Milano il 14 febbraio 1957. È più o meno in italiano. Ma Pasternak, uscito dall’ufficio di Surkov, scrive subito a mio padre, questa volta in francese. La data è 6 febbraio.
Caro Signore,
 le nostre Edizioni di Stato fanno pressione su di me perché io vi mandi un telegramma pregandovi di sospendere la pubblicazione italiana del mio romanzo fino a quando non sarà uscita la versione  modificata presso le Edizioni. Vi proporrei un termine limite di rinvio, di sei mesi, ad esempio. Concedete questa dilazione, se non è contrario ai vostri piani, e telegrafate una risposta non a me bensì all’indirizzo delle Edizioni: Mosca Novaia Basmannaja 18 Goslitizdat. Ma la tristezza che mi causa, naturalmente, l’imminente alterazione del mio testo sarebbe ben più grave qualora io sapessi che voi intendete farvi riferimento per la traduzione italiana, a dispetto del mio persistente desiderio che la vostra edizione sia strettamente fedele al manoscritto autentico.
Un’altra domanda: sono io stesso ad avervi addossato gli oneri delle questioni trattate nell’art. 4 del contratto e ad avervi incaricato per le altre traduzioni estere. Negli ultimi tempi, mi sono fatto dei nuovi grandi amici in Francia, che sono disposti a lavorare insieme a me e che sono legati alle migliori case editrici, Gallimard e Fasquelle, per esempio. Sono pronto a offrirvi qualsivoglia riconoscimento supplementare con relazione all’articolo 2, se voi voleste cedere la faccenda dell’edizione francese al gruppo di traduttori francesi di cui vi scriverà Madame Jacqueline de Proyart, mia rappresentante a Parigi per le questioni letterarie e gura principale del gruppo. Oppure, se non desiderate cedere la gestione delle vicende del romanzo in Francia, prendete almeno in considerazione Mme de Proyart, Mlle Hélène Peltier, M.M. Michel Aucouturier e Martinez come traduttori, a cui dovrete ricorrere secondo il senso e lo scopo dell’art. 4. Prendete accordi con loro, fatelo davvero, ve ne prego, è un mio assillante desiderio. E perdonate se vi importuno tanto. Vostro
B. Pasternak
Jacqueline de Proyart, studentessa di stanza a Parigi, con nobili natali, fervente cattolica, giunge a Mosca agli inizi del ’57. Sa poco o niente di Pasternak, nemmeno se sia vivo o morto. Per combinazione le capita di incontrarlo. Lui è il più affascinante degli uomini e lei gli propone di aiutarlo per la traduzione delle sue opere in lingua francese. È amica della casa Gallimard, farà lei qualcosa per il romanzo, perlomeno in Francia. E poi chi è mai questo sconosciuto editore italiano?
Ricevuta la lettera di Pasternak, Feltrinelli informa imediatamente Zveteremich: “Ti scrivo solo per dirti che è necessario riuscire a terminare tra 3 mesi il Past. In settembre esce l’edizione russa e perché il nostro contratto sia vali- do, cioè perché si possano vendere i diritti, occorre che il 2 settembre il libro sia in vendita. Sono disposto a fare qualche sacrificio, un compromesso, purché per quella data io possa andare in tipografia. Assicurami e fammi eventuali proposte. Ho accennato a Moravia per la revisione ma non mi è sembrato entusiasta. Ne riparlerò con Bassani. Intanto affrettati”. Poi attende l’occasione di un messaggero sicuro e il 22 marzo scrive a Mosca:
Caro Signore, 
già da qualche settimana ho ricevuto la notizia che il Vostro romanzo, “La storia del dott. Živago”, verrà pubblicato a Mosca nel prossimo settembre. Permettetemi di dirvi quanto la notizia mi faccia piacere. La traduzione italiana sta procedendo e dopo la notizia della prossima pubblicazione a Mosca ho insistito presso il mio traduttore affinché la traduzione venga terminata nel più breve tempo possibile. Vogliate gradire, caro Signore, i miei saluti più cordiali.
Giangiacomo Feltrinelli
Nonostante tutte le assicurazioni, i giorni passano troppo lentamente per Pasternak, la sua salute e il morale ne risen- tono, mentre il tempo guadagnato dalle autorità sovietiche è quello tra fulmine e tuono. Inoltre c’è forte tensione ai vertici del Pcus. Ciò sarà ben visibile durante l’estate, con l’espulsione del cosiddetto “gruppo antipartito” (Molotov e compagni) e con i giri di vite ordinati da Chruščëv.
In questa atmosfera, i sovietici ricevono la lettera di Feltrinelli che informa le Edizioni di stato delle sue intenzioni. È datata 10 giugno, ben tre mesi dopo il telegramma di Pasternak:
Cari Compagni, 
con la presente desideriamo darvi conferma che non procederemo alla pubblicazione del romanzo di Pasternak “Storia del dottor Živago” prima della sua uscita in Urss nel mese di settembre. Essendoci finalmente concesso di esprimere un giudizio sul manoscritto, possiamo affermare che ci troviamo di fronte a un romanzo di notevole valore letterario, il cui autore si colloca al livello dei grandi scrittori russi del xix secolo. A nostro parere, la prosa di Pasternak ricorda quella di Puskin. Egli rappresenta perfettamente la Russia, la sua natura, la sua anima e la sua storia: personaggi, cose e fatti sono tratteggiati in modo chiaro e concreto nello spirito del miglior realismo, di un realismo che cessa di essere moda per diventare arte.
Le considerazioni del protagonista e dei vari personaggi del romanzo sul loro destino personale e su quello del paese si collocano a un livello così alto da superare i con ni dell’attualità politica contingente, e questo è al di là del fatto che il lettore condivida o meno i loro giudizi politici. Si tratta di un aspetto dell’opera che potrebbe dare luogo a qualche controversia. Mi sembra tuttavia che il peso che nel libro assumono queste riflessioni è irrilevante e del resto, dopo il xx congresso, la divulgazione di alcuni fatti non riesce più né a stupirci né a turbarci.
Sarebbe peraltro la prima volta che il lettore occidentale viene a con- tatto con la voce di un grande artista, di un grande poeta che compie, in forma artistica, una minuziosa analisi dello svolgimento della rivoluzione d’Ottobre, foriera di una nuova epoca in cui il socialismo è diventato l’unica forma naturale di vita sociale. Per il pubblico occidentale, il fatto che questa voce appartenga a un uomo estraneo a ogni attività politica è garanzia della sincerità del suo discorso rendendolo degno di fiducia. I nostri lettori non potranno non apprezzare questo sconvolgente affresco di eventi della storia del popolo russo, al di fuori di ogni schematismo ideologico, né ignorarne l’importanza e le prospettive positive che ne sono derivate. Maturerà così la convinzione che il cammino percorso ha fatto progredire il vostro popolo, che la storia del capitalismo volge alla sua ne e che una nuova era è iniziata.
Vi abbiamo espresso in tutta sincerità la nostra opinione sull’opera di Pasternak e riteniamo che i suoi aspetti discutibili siano largamente compensati dagli argomenti a favore della sua pubblicazione. A questa conclusione siamo giunti non solo in considerazione dei nostri interessi di editore, ma anche coerentemente con le nostre convinzioni politiche che vi sono ben note. Del resto sapete bene che, per noi, opinioni politiche e agire editoriale sono inscindibili.
È per noi importante potere esprimere il nostro punto di vista, considerato che c’è stato in passato qualche malinteso intorno al libro di Pasternak e che ci avete sospettato di volere dare a questa pubblicazione un carattere sensazionale, ciò che non è assolutamente nelle nostre intenzioni.
Vi inviamo, cari compagni, i nostri saluti più cordiali.
 Giangiacomo Feltrinelli
Otto giorni dopo, Zveteremich telegrafa a Milano (“Caro Feltrinelli, ho terminato la traduzione del Dottor Živago...”) e il 20 dello stesso mese Pasternak spedisce un nuovo messaggio:
Caro Signore, 
è ormai da più di tre mesi che sono malato, prima a casa, poi in ospedale e ora in un sanatorio nei pressi di Mosca. Vi ringrazio an- cora per aver accordato la proroga richiesta dalle Edizioni di Stato (Goslitizdat). Ma è proprio tutto quello che ho da pretendere da voi. Tutto il resto è superfluo. Se l’opera non apparirà il 1° settembre in italiano presso la vostra casa editrice, fedele al primo mano- scritto russo, la cosa mi addolorerebbe molto, dandomi la più grande delle amarezze. Il ritardo dell’edizione italiana ostacolerebbe la comparsa delle altre traduzioni straniere, la cui attuazione è sempre stata costantemente da me sottoposta al vostro controllo (per esempio in Francia, in Inghilterra, in Cecoslovacchia e altrove). Da noi il romanzo non uscirà mai. I guai e le sventure che forse mi attendono anche solo nel caso della pubblicazione all’estero, senza cioè un’analoga pubblicazione in Unione Sovietica, sono faccende che non ci devono riguardare, né a me, né a voi. Quello che ci preme è che l’opera veda quanto meno la luce, e non negatemi il vostro aiuto. Con i sensi dell’affetto più vivo
B. Pasternak
 
Nel luglio del ’57, rimossa dal Politburo la fronda di Molotov, Chruščëv è saldamente in sella. Lazar Fleishman,  il miglior biografo di Pasternak, precisa bene il momento: “Quella stessa estate fu pubblicata una scelta dei suoi [di Chruščëv] discorsi alle riunioni dell’intelligencija artistica che doveva fungere da direttiva guida del partito. Dai tempi di Ždanov, nessun dirigente sovietico aveva espresso le proprie opinioni su questioni letterarie e artistiche. Era la prima volta che Chruščëv interveniva sul tema e la pubblicazione di quei discorsi non lasciò alcun dubbio sul fatto che fosse lo schieramento conservatore e non quello liberale a godere del suo pieno appoggio nel campo della politica culturale”. E sempre Fleishman ricorda che, nell’estate, sono avvenuti due episodi che hanno fatto imbestialire le autorità sovietiche. Per prima cosa, la pubblicazione di alcuni brani del Dottor Živago sulle pagine di un trimestrale polacco, peraltro perfettamente in linea con la cultura ufficiale. Com’è potuto accadere? Evidentemente ci sono molte copie di Živago in circolazione e questa anteprima – pensano – può essere l’alibi per una successiva comparsa del romanzo in Occidente. Tanto più che una rivista dell’emigrazione russa a Monaco, e questo è il secondo motivo di scorno, ha stampato alcune poesie attribuibili a Pasternak senza citarlo come autore. Bisogna intervenire.
Spiega Evgenij Pasternak: “All’inizio di agosto, al Cc del Pcus, su richiesta di Suslov e Pospelov, vennero preparate alcune dichiarazioni per far fronte ai progetti di pubblicazione del romanzo in Polonia e in Italia. Alla Goslitizdat volevano far modi care il testo, sperando che Feltrinelli avrebbe aspettato le correzioni dell’autore sino a settembre”.
Sono nuovamente informati i dirigenti comunisti italiani perché prendano le opportune contromisure. A Mosca, in occasione del Festival mondiale della gioventù, è presente una nutrita delegazione del Pci, con Longo, Alicata e Spano. Anche il giovane slavista Vittorio Strada è in visita, per la prima volta, e trova il modo di incontrarsi e familiarizzare con Pasternak, trascorrendo con lui diverse ore a Peredelkino. Strada ricorda ancora la sua sorpresa quando, al momento di congedarsi, Pasternak lo chiamò in disparte per sussurrargli con assoluta serenità: “Vittorio, riferisca questo a Feltrinelli: gli dica che io voglio che il mio libro esca a ogni costo”.
Torniamo ancora all’articolo sul “Sunday Times” del maggio 1970:
Nell’estate del ’57 mi giunsero voci circa l’annullamento definitivo dei progetti di pubblicazione del Dottor Živago. Poco dopo vi fu una richiesta dell’autore di procedere alla pubblicazione in Italia e in Occidente, indipendentemente dalla pubblicazione a Mosca, e di non prendere in considerazione altre istruzioni che l’autore fosse stato successivamente costretto a trasmettermi. L’accordo fra me e Pasternak era che mi sarei assunto tutta la responsabilità per la pubblica- zione, per dare così all’autore una protezione di fronte alle autorità sovietiche.
Durante l’agosto comincia l’orchestrazione di Dmitrij Polikarpov, massimo dirigente della sezione culturale del Cc, e di Aleksej Surkov, segretario dell’Unione scrittori, entrambi scorbutici come i loro nomi. Preparano convocazioni ultimative per incontri umilianti, dove a parole severe seguono minacce. A rappresentare Pasternak, debilitato fisicamente, i due trovano spesso Olga. Una nuova revoca, ecco cosa si pretende da lui, un ultimo tentativo per fermare tutto. Altrimenti, senza troppi giri di parole, lo avrebbero arrestato.
Ho ripreso a lavorare sul manoscritto del mio romanzo “Il dottor Živago” e sono ormai convinto che quello che ho scritto non può in nessun modo essere considerato un’opera compiuta. Considero la copia del manoscritto in vostro possesso come la prima versione di un’opera futura che richiederà una profonda rielaborazione. Ritengo impossibile la pubblicazione del libro nell’attuale stesura. Sarebbe contrario alla mia regola di pubblicare opere solamente nella loro stesura definitiva. Vogliate per cortesia dare disposizioni perché mi sia restituito nei tempi più brevi, al mio indirizzo di Mosca, il manoscritto del mio romanzo “Il dottor Živago” che è indispensabile per il mio lavoro.
Boris Pasternak
Il testo di questa lettera è concordato con Polikarpov e Surkov il 21 agosto, trascritto in lingua russa e inviato come telegramma.
Sergio D’Angelo, ancora una volta presente, descriverà gli avvenimenti in un lungo articolo per una rivista di studi sovietici. Ricorda come Olga sia corsa a cercarlo, con le lacrime agli occhi, chiedendo il suo aiuto per convincere Pasternak ad accettare l’invio del telegramma. Quando i due lo raggiungono, il poeta li accoglie con parole rabbiose: nessun motivo di amicizia o affetto può giustificare la loro “missione caritatevole”, gli stanno mancando di rispetto, lo trattano come un uomo privo di dignità. E poi, cosa avrebbe pensato l’editore Feltrinelli cui poco prima aveva scritto dicendo che la pubblicazione del Dottor Živago è lo scopo principale della sua vita? Lo avrebbe preso per un pazzo, per un vigliacco.
Solo dopo un’estenuante discussione, Pasternak si convince che, visti i precedenti, nessun ulteriore messaggio (specie se non in francese) avrebbe trovato credito. In ogni caso, non è più possibile bloccare l’uscita del romanzo. Così accetta, finalmente, la soluzione del telegramma.
“Se l’arresto non avvenne,” scrive Sergio D’Angelo, “il merito fu di Olga Ivinskaja.”
Velio Spano, “ministro degli esteri” del Pci, una volta rientrato a Roma presenta la sua relazione alla segreteria del partito. È il 14 settembre: “Durante la riunione del Comi- tato centrale del Pcus è ritornata in discussione la quistione di Pasternak e del suo libro. I compagni sovietici, sempre preoccupati della eventuale pubblicazione da parte di Feltrinelli o di qualche editore occidentale, ci chiedono di in- tervenire ancora. A questo proposito essi ci hanno rimesso la lettera di dif da di Pasternak con la sua rma autografa e mi pregano di fare in modo che qualcuno di noi la faccia vedere a Feltrinelli per avvalorare la presa di posizione di Pasternak stesso”.
È Alicata, sempre lui, a venire a Milano con la copia del testo utilizzato per il telegramma. L’incontro con Feltrinelli è programmato nelle stanze della federazione milanese, in piazza xxv Aprile. Mario De Micheli s’imbatte nell’editore accovacciato sui gradini davanti alla sede, dieci minuti prima della riunione: “Io tengo botta,” gli sente dire. Lo storico dell’arte ricorda anche quanto sia stato violento Alicata mentre sventolava, furioso, la falsa diffida di Pasternak.
Negli stessi giorni il traduttore Zveteremich, in contatto da tempo con Pasternak, si trova a Mosca e parla del suo soggiorno in una lettera a Feltrinelli del 5 ottobre:
A Mosca l’atmosfera creata intorno al libro è molto brutta. Ne fanno un grosso scandalo. Definiscono la sua uscita “un colpo contro la rivoluzione”. Evidentemente in malafede. Tanto più che ho avuto piena conferma che il libro doveva uscire in Urss. Ho visto il contratto di P. con la casa editrice sovietica datato il 7/1/57, nonché una lettera a P. d’uno scrittore che gli parlava dell’intenzione di una rivista di pubblicarne brani. Ho conosciuto il redattore editoriale incarica- to della revisione. Pare che al Cc del Pcus, Pospelov e altri fossero dell’avviso di pubblicarlo. Tutto è cambiato a causa delle pressioni dell’Unione Scrittori, che in questo caso è stata più intransigente del partito e gli ha forzato la mano. (…) P. ti raccomanda di non tenerne conto e non vede l’ora che il libro esca. Ciò benché lo minaccino di affamarlo e già gli abbiano tolto lavori già commissionati. P. ti prega di non far trapelare che tu hai con lui un contratto in base al quale gli assegni una certa cifra. Un accordo sì, ma nulla di concreto rispetto al compenso. Questo aggraverebbe in modo imprevedibile la sua situazione. La sua salvezza è che si creda che lui non percepisca nulla. (…) D’Angelo non teme alcuna conseguenza dello scandalo dovuto alla pubblicazione del P., se non, eventualmente, che lo mandino via dall’Urss, cosa che non lo preoccupa. Ti ringrazia perciò della preoccupazione e mi incarica di rassicurarti.
Durante la sua visita, Zveteremich riceve da Pasternak anche un breve messaggio per il suo editore.
Caro Signore,
 vorrei inviarvi i miei più sentiti ringraziamenti per le vostre cure commoventi. Perdonatemi per le ingiurie che cadono su di voi e per quelle che forse ancora arriveranno provocate dalla mia misera sorte. Che il nostro futuro lontano, la fede che mi aiuta a vivere, possa proteggervi.
Boris Pasternak
Tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre, piomba a Milano il presidente dell’Unione scrittori Aleksej Surkov. Dove non sono riuscite le false lettere, i messaggi trasversali, le pressioni, ora deve farcela lui, in un incontro a due con Feltrinelli. Si chiudono nell’ufficio dell’editore per tre ore, le urla echeggiano in tutto il piano. Surkov (“una iena cosparsa di sciroppo” secondo Giangiacomo) non può fare a meno di notare la foto sbiadita di Pasternak appesa al muro oltre le spalle del suo ospite. Visto come si mettono le cose, spende anche lui la carta del telegramma, quello estorto a Pasternak. Risposta: “So bene come si ottengono documenti del gene- re”. Ancora una volta niente da fare.
Con molta calma, ormai è solo questione di forma, Feltrinelli risponde il 10 ottobre al telegramma di ne agosto.
Caro Signore, 
ho ricevuto la Vostra lettera e il Vostro telegramma con il seguente testo (…). Mi premuro di comunicarVi la mia meraviglia e quanto segue:
1) Noi non vediamo nel testo in nostro possesso le manchevolezze che Voi rimproverate al manoscritto e precisamente che si tratti di un’“opera incompiuta”, “di una versione preliminare che necessita di un’accurata revisione”.
 2) Abbiamo con Voi un accordo secondo il quale Voi ci avete con- cesso il diritto di pubblicare il Vostro libro. Questo accordo è stato preso dopo che Voi avevate firmato, con la casa Goslitizdat, un contratto per la pubblicazione in lingua russa. Tale contratto non contiene alcuna clausola che subordini la pubblicazione del libro all’estero alla pubblicazione in Unione Sovietica.
3) In seguito a un telegramma che avevate inviato all’inizio di quest’an- no nel quale ci domandavate di aspettare un po’ di tempo, in attesa della pubblicazione del romanzo in Unione Sovietica, noi abbiamo volentieri accordato una proroga alla pubblicazione all’estero. Ma oggi, vedendo che l’editore sovietico non ha alcuna intenzione di pubblicare la Vostra opera, non vediamo più alcuna ragione per un rinvio. 4) Al ne di non creare negli ambienti letterari occidentali ulteriori situazioni di tensione, createsi in seguito al Vostro telegramma del tutto inopportuno, e in seguito alle diverse conversazioni tenutesi a Mosca tra i delegati stranieri e alcuni rappresentanti di ambienti politici e letterari sovietici, ci permettiamo di consigliare di non cercare di impedire ulteriormente l’apparizione del libro, cosa che, lungi dall’arrestare la pubblicazione stessa, darebbe a tutta la questione un tono di scandalo politico che noi non abbiamo mai cercato e che non ci auguriamo. In tutti i casi, in seguito alle Vostre iniziative e a quelle dell’Unione scrittori (in Italia e in Inghilterra), declineremo tutte le responsabilità relative alla ripercussione che l’apparizione dell’opera avrà senz’altro come conseguenza della mancanza di tatto da parte dei Vostri funzionari. Vogliate gradire, caro Signore, i miei più cordiali saluti.
Gg. Feltrinelli
Non sappiamo quando Pasternak abbia ricevuto questa lettera, certo è che gli arriva con molto ritardo. L’assenza di una risposta pronta è un segnale positivo: i giochi sono fatti, idealmente è il momento del grande brindisi. Rovina l’atmosfera il dover rmare pseudo-dichiarazioni, ancora, per impressionare l’editore italiano e i suoi colleghi francesi o ingle- si. Il testo è più o meno uguale per tutti. Ecco cosa Pasternak dovrà scrivere a Feltrinelli (siamo al 23 di ottobre):
        
Signor Feltrinelli, 
sono stupefatto per non avere ancora ricevuto una Vostra risposta al mio telegramma. Chiedevo che mi fosse al più presto restituito il manoscritto del mio romanzo perché ero giunto alla convinzione che l’opera avesse ancora bisogno di essere perfezionata e che non fosse ancora compiuta. Credo che qualsiasi editore rispettoso della letteratura e del proprio nome non possa sottrarsi alla richiesta di un autore che considera provvisorio il suo manoscritto e che per questo chiede che gli sia restituito.
 La Vostra mancata risposta mi fa pensare che Voi, disdegnando le dirette disposizioni dell’autore e malgrado la sua chiara ed espressa volontà, abbiate deciso di pubblicare ugualmente il romanzo. Io non so se le leggi del Vostro paese Vi diano un simile diritto. E non si tratta neppure di un diritto formale, perché sia il mio telegramma del 13 febbraio 1957, sia la lettera successiva hanno espresso senza alcun dubbio la mia volontà di non pubblicare il romanzo in una versione ancora provvisoria.
La correttezza fa obbligo di esaudire le richieste dell’autore. Né io, né alcun altro scrittore del mio paese potrebbe accettare che un suo manoscritto possa essere pubblicato a dispetto della sua volontà. Sarebbe una netta e grossolana violazione dei diritti che l’artista ha sul- la sua opera, una violenza alla sua volontà e alla libertà rispetto a ciò che esce dalla sua penna.
La richiesta che il manoscritto del romanzo sia restituito vale anche per quelle case editrici inglesi e francesi alle quali avete dato copia.
Boris Pasternak
Di ben altra natura è la lettera spedita a Feltrinelli pochi giorni dopo, il 2 novembre. Sono le vere parole:
Caro Signore, 
non trovo parole sufficienti per esprimervi la mia riconoscenza. L’avvenire ci ricompenserà, Voi e me, per le vili umiliazioni patite. Oh, come sono felice per il fatto che né Voi, né Gallimard, né Collins vi siate lasciati ingannare da quegli appelli idioti e brutali accompagnati dalle mie firme (!), firme pressoché false e contraffatte, tanto mi erano state carpite con una mistura di frode e di violenza. Arrivare all’inaudita arroganza di indignarsi per la “violenza” da Voi esercitata contro la mia “libertà letteraria”, usando nei miei confronti pro- prio la medesima violenza, senza menzionarla. E tutto questo vanda- lismo, camuffato da sollecitudine per me, per diritti sacri dell’artista! Ma noi avremo presto degli Živago italiani, degli Živago francesi e inglesi, tedeschi – e un giorno forse degli Živago geogra camente lontani, ma russi! Ed è molto, è tantissimo, facciamo del nostro meglio e succeda quel che deve succedere!
Non vi preoccupate per i soldi che mi spettano. Rimandiamo le questioni pecuniarie (per me non ne esiste alcuna) a quando avremo un sistema più sensibile e più umano, quando, nel xx secolo, si potrà di nuovo essere in corrispondenza, viaggiare. Ho una illimitata fiducia in Voi e sono sicuro che saprete custodire ciò che avete destinato a me. Soltanto nel caso sciagurato che mi sopprimano i sussidi e mi taglino i viveri (sarebbe un caso straordinario e niente lo lascia prevedere), bene, cercherei il modo di avvertirvi per approfittare delle offerte che mi fate tramite Sergio, il quale, conformemente al suo nome, è un vero angelo e prodiga tutto il suo tempo e la sua anima in questa vicenda incresciosa.
Vogliate accogliere i miei omaggi più sentiti, vostro
B. Pasternak
È il tipo di lettera che ogni publisher vorrebbe ricevere almeno una volta nella vita.
Lo scritto contiene anche un importante cenno al pagamento dei diritti per Il dottor Živago. A giudicare dalle ricevute custodite nella famosa cassaforte, dal dicembre 1957 hanno inizio periodiche rimesse in rubli. Le ricevute, scritte e firmate da Pasternak o da Olga Ivinskaja, riportano 12.800 rubli consegnati il 21 dicembre del ’57, 4000 il 7 giugno del ’58 e ancora 1000 nello stesso mese, 10.000 nell’ottobre, 5000 il 17 febbraio del ’59, 3000 il 28 marzo, 5000 il primo agosto. Tutto ciò serve a dare un’idea, non è la vera somma.
Inizialmente, il tramite per le consegne è proprio D’An- gelo; poi, come vedremo, saranno utilizzati altri canali.
Tornando all’autunno del ’57, il 25 novembre Pasternak si rivolge nuovamente a Feltrinelli:
Caro Signore,
 finalmente ieri ho ricevuto la Vostra pregiata risposta, datata 10 otto- bre, che ha quindi vagato non si sa dove per più di un mese e mezzo. Non potendo entrare nei dettagli, mi affretto a ringraziarVi di gran cuore per il fatto che tutto è stato felicemente condotto a buon ne, grazie alla Vostra attenta previdenza, che si è addentrata in tutte le ramificazioni di questa vicenda fuori dal comune. Vi sono enormemente obbligato.
 Sono lontano dalla impudica stupidaggine di identificarmi con la voce della verità in persona; ma ho l’audacia di sperare di condividere la tensione e le aspirazioni di tutti coloro che amano di un amore diligente e grato la loro patria, la vita, il vero e il bello. Ora, avendo- mi Voi fatto un bene enorme, al di là di ogni misura, vi siete molto adoperato per la bella, giusta causa.
Era per me motivo di gran pena essermi fatto un certo nome solo grazie a cose da nulla come qualche verso disparato, com’è la poe- sia contemporanea in generale (e la mia), frammentaria, limitata a mezze parole, incompleta, in tempi tanto grandiosi, che esigono si viva in modo responsabile e chiaro, esprimendo il proprio pensiero sino in fondo. Grazie a una prosa ampia, costata un lungo e difficile lavoro, è stato possibile mettere ne a questo stato di pena e di ver- gogna, e aprire un nuovo capitolo della mia vocazione, un nuovo periodo della mia vita, infinitamente tardivo, ma arrivato, finalmente giunto. Giudicate voi quindi quanto io vi sia grato per averlo aiutato a nascere!
Ho in serbo per Voi una questione importante. Niente di tutto questo avrebbe potuto veri carsi senza l’assistenza di S. D’A., che è stato il nostro infaticabile angelo custode. Benché un aiuto così profondo non si misuri in denaro, fatemi un grande piacere, ripagatelo, quando tornerà da Voi, di tutte le innumerevoli perdite di tempo e delle energie profuse, nel modo seguente. Trattenete dalla somma, che avete l’intenzione di conservare in futuro e destinare a me, una parte considerevole a favore di S. D’A., nella misura che Voi e lui troverete conveniente, e raddoppiatela. Arrivederci in un futuro lontano, caro caro artefice della mia buona sorte novella (a dispetto delle sue temibili conseguenze)! Vostro
B. Pasternak
        
D’Angelo, cui Pasternak legge e consegna questa lettera, appone a margine del brano che lo riguarda un grande “no”, barrando a matita il testo. Dopo la morte di Pasternak, dirà di non aver mai rifiutato quel generosissimo compenso (peraltro privo di qualsiasi requisito formale): si era solo “riservato di accettare”. A distanza di anni, avrebbe rivendicato per sé ben la metà dei diritti maturati dall’autore.
È evidente che, nella lettera, Pasternak usa l’espressione “raddoppiatela” riferendosi al compenso per D’Angelo. Ma una ricompensa doppia è ben altro che la metà di tutti i profitti.
D’Angelo, nel ’65, cinque anni dopo la morte di Pasternak, farà causa alla casa editrice. Il tribunale gli darà torto.
Ventitré novembre 1957: Il dottor Živago è di tutti.
Le prime notizie dalle librerie del centro di Milano so- no confortanti: la tiratura (12.000 copie) va a ruba. L’editore presenta il libro con la copertina disegnata da Ampelio Tettamanti (molto apprezzata dall’autore, semplice, elegante: “très bon goût... très noble”). Il testo del romanzo è intro- dotto da una Nota dell’editore che riassume la versione “ufficiale” della pubblicazione. L’aveva suggerito Pasternak a Zveteremich al loro incontro: nessun riferimento a contratto o a corrispondenza tra autore ed editore.
In relazione alla preparazione dell’edizione italiana, è intercorsa una corrispondenza tra l’editore e la casa editrice sovietica intorno ai va- lori del libro ed alla sua data di pubblicazione. In tale occasione, fu raggiunto un accordo che l’edizione italiana non venisse pubblicata prima del mese di settembre 1957. Alla fine dell’estate, quando or- mai imminente era la pubblicazione del Dottor Živago e nulla faceva prevedere che nell’Urss fossero sorte difficoltà circa la pubblicazione, abbiamo avuto una richiesta di restituzione del manoscritto da parte dell’autore, il quale manifestava il desiderio di rivederlo. Ci siamo trovati nell’impossibilità di accedere al desiderio dell’autore in quanto il libro era già in avanzato stato di lavorazione e pronto per la stampa anche in altri paesi, e non ci sono d’altra parte pervenute in tempo le modifiche che l’autore intenderebbe apportarvi (…).
Nell’inverno del ’57 Il dottor Živago è in traduzione presso le case editrici più importanti: S. Fischer, Collins, Pantheon, Gallimard. Da noi si ristampa ogni due settimane.
Nell’unica intervista di quelle settimane, Feltrinelli dichiara che la pubblicazione del libro vale come “esplicita protesta”, è un momento della “battaglia per la tolleranza” di cui l’onorevole Togliatti, anni prima e nella sua pregevole prefazione a Voltaire, aveva scritto spiegando che essa è “ancora attuale e non facile a vincersi”. Con questa citazione da un libro Colip, per una volta impertinente, si chiude il primo capitolo del “romanzo nel romanzo”.
“Prevalse in quell’editore la cupidigia (non necessariamente mercantile) d’un colpo grosso editoriale o si fece strada, nell’animo suo e dei suoi consiglieri, l’intento di compiere una provocazione ai danni del paese del socialismo?” Forse nessuna delle due ipotesi, compagno Alicata.