la Repubblica, 29 agosto 2022
Nel sottomarino sulla rotta della flotta russa
«Ivan fa il matto?”. Quando rivolgiamo la domanda, il giovane operatore del sonar ci risponde con occhi perplessi. «“Caccia all’Ottobre Rosso”? Non l’ho mai visto…». Ha 28 anni ed è nato quando la Guerra Fredda era già finita, ma oggi si trova a vivere le stesse scene nella postazione chiave del sottomarino “Romeo Romei”, in immersione nel Mar Ionio sempre più frequentato dalla flotta russa. Da sei mesi il Mediterraneo è diventato teatro di una sfida senza precedenti, con dozzine di navi militari che si confrontano in manovre ravvicinate: una competizione che ha come protagonisti i sommergibili, sempre più numerosi e moderni. Battelli di nazioni “non amiche” o di alleati che in alcuni contesti, come il braccio di ferro per i giacimenti di gas ciprioti, si comportano da rivali.
Il “Romeo Romei” è uno dei mezzi più avanzati: fa parte della classe U212, concepita nei laboratori di Kiel dove nascevano gli U-Boot tedeschi e migliorata dagli ingegneri di Fincantieri. Cinquantasette metri di acciaio speciale che non lascia tracce magnetiche in cui almeno 27 uomini e donne vivono gomito a gomito sott’acqua per tre-quattro settimane di fila. Salendo a bordo, la prima cosa che colpisce è la silenziosità. Ogni dettaglio è progettato per azzerare il rumore: il motore elettrico e quello diesel che spingono queste 1500 tonnellate sono custoditi in un locale insonorizzato che non lascia trapelare neppure un sibilo.
Per l’immersione c’è un solo avviso – «Assumere ruolo» – e un “bip” soffuso accompagna le immagini delle onde che avvolgono lo scafo: due minuti ed è quaranta metri sotto. Il suono è l’elemento decisivo. Bisogna ascoltare tutto, senza farsi sentire. Non c’è più il vecchio “ping” dei sonar che scandiva la scoperta della navi: adesso un computer trasforma i segnali acustici in una cascata di diagrammi che identificano dalle vibrazioni qualsiasi oggetto in movimento in un’area di dozzine dichilometri. «Il sistema è hitech ma richiede personale esperto», sottolinea il contrammiraglio Vito Lacerenza, comandante dei sommergibili italiani. Non a caso, il capo del team sonar è un veterano: Nicola Visaggio, da 25 anni sui sottomarini, che riconosce le navi a orecchio ma padroneggia pure i software.
Il cuore del battello è la sala comando, oggi chiamata Cic. Il locale più vasto, alto poco meno di tre metri, dove intorno al periscopio quindici schermi e undici persone decidono tutto. C’è la squadra che gestisce i motori e gli apparati. Quella che dirige la navigazione. I tre addetti al sonar e i due all’ESM, il sistema che capta le frequenze dei radar: sono strumenti passivi – non emettono nulla, ma assorbono le emissioni altrui – che fanno del sottomarino una potente centrale di intelligence. Il “Romeo Romei” è stato persino nell’Oceano Indiano per spiare i pirati somali. Il periscopio ha un sensore optronico e uno all’infrarosso: dall’esterno del Golfo di Taranto si riconoscono le persone affacciate ai balconi della città.
Questa è un’estate straordinaria. Di attività operative. Come quella del “Primo Longobardo”, battello di una generazione più vecchia, che si è infilato davanti all’incrociatore “Varyag” e al caccia “Ammiraglio Tributs”: li ha fotografati, in una posizione che in caso di conflitto non avrebbe dato scampo alle navi russe. E di esercitazioni. Il “Romeo Romei” ha fatto impazzire gli aerei dell’Us Navy, che hanno sganciato ben 160 boe acustiche senza localizzarlo: lo hanno definito “Ghost”, il fantasma. Lo stesso è accaduto con gli agguati simulati alle portaerei“Truman” e “Charles De Gaulle”: è rimasto invisibile ai loro sensori. «Una volta si diceva “rapidi e invisibili”, ma la velocità non è un pregio: aumenta il rumore – sottolinea il contrammiraglio Lacerenza –. Conta di più andare piano: l’elica può essere regolata su ogni singolo giro. Lo stesso vale per la profondità: può arrivare a 400 metri; scendere in basso però non aumenta la possibilità di nascondersi. Anzi, molte volte conviene sfruttare “i buchi neri” dei sonar che si creano in prossimità della superficie». In questi mesi turbolenti capita spesso di passare dalla routine allo stato di allerta. Nel Mediterraneo c’è un viavai di unità da combattimento e di improvvise tensioni. La scorsa settimana una squadra russa è passata dal Canale di Sicilia diretta a Gibilterra. In queste ore un caccia italiano sta scortando la nave da esplorazioni petrolifere dell’Eni nelle acque cipriote rivendicate dalla Turchia. E a Creta è spuntato un sottomarino nucleare statunitense che imbarca 154 missili cruise. Anche i sensori del “Romeo Romei” nello Ionio captano le emissioni di un radar “non amico”: segnali molto forti ma troppo distanti per tentare di avvicinarsi. La presenza aliena viene trasmessa alla base e si prosegue il pattugliamento a dieci metri di profondità.
Nonostante per tradizione la Marina li chiami ancora sommergibili, gli U212 sono sottomarini perché compiono tutta la loro attività in immersione. Traggono energia illimitata, senza bisogno di aria, dalla reazione chimica tra idrogeno e ossigeno delle nove “fuel cells”: i propulsori del futuro. La bolla acustica dove si trovano tutti i motori è il regno del direttore di macchina Maurizio Mele: l’unico posto caldo, altrove il freddo tutela i sistemi elettronici. A ricordare però la delicatezza della situazione, ovunque ci sono le bocchette dell’impianto di emergenza a cui sono appese maschere e respiratori: sono centinaia perché, in caso d’allarme, devono essere letteralmente a portata di mano.
I locali sono meno angusti degli U-boot dei film, ma comunque sitratta di cunicoli. Non c’è un centimetro sprecato: qui tutto, spazi e persone, ha almeno un doppio compito. I bagni sono due, uno dei quali destinato prioritariamente alla componente femminile. Una parte dei letti viene occupata a seconda dei turni – la “branda calda” – perché le squadre devono essere sempre al lavoro. L’unica cabina è quella del comandante, proprio accanto alla sala operativa: «Ti abitui a dormire sentendo quello che accade, una sorta di sonno vigile», confida il capitanodi corvetta Lorenzo Colonna, 36 anni. La convivenza obbligata però crea un affiatamento impressionante: come una classe di liceo in continua clausura. C’è persino il rito della “pizza di mezzanotte”: tranci caldi per chi monta in servizio. «Contribuisce a svegliarli ed aumentare l’attenzione», evidenzia il capitano. Tutto qui è una fusione di tradizione e tecnologia, motivazione e addestramento. «L’ho scelto perché potevo subito misurarmi con attività operative», spiega il tecnico ventenneche non ha mai visto “Caccia all’Ottobre Rosso”. Il contrammiraglio Lacerenza invece ha i modi di Sean Connery: dirige i 700 uomini e donne che gestiscono gli otto sottomarini della Marina. E guarda già al domani, ai nuovi NFS che avranno intelligenza artificiale, droni subacquei e missili cruise, realizzati in Italia con la collaborazione tra aziende e università: «La ricerca è fondamentale, mezzi simili devono anticipare le sfide dei decenni successivi».