la Repubblica, 29 agosto 2022
Pd e Azione promettono uno stipendio in più. Ma i conti non tornano
Una proposta comune al programma di Azione e del Partito Democratico, e molto discussa per ovvie ragioni, è un mese di stipendio in più ai lavoratori dipendenti. I dettagli sono diversi, ma entrambe le proposte sono irrealistiche.
Partiamo dal programma di Azione. A pag. 22 si propone una «detassazione straordinaria - per il solo 2022 - di un’extra mensilità (fino a 2200 euro)». Un tweet del leader di Azione, Carlo Calenda, chiarisce che le imprese che volessero pagare una mensilità in più «potranno recuperare il 50% di quanto versato con credito d’imposta cedibile». In pratica l’azienda che decida spontaneamente di pagare una mensilità in più, al netto di contributi sociali e prelievo alla fonte, riceve dallo Stato un rimborso pari al 50% della mensilità netta, se questa è inferiore a 2200 euro. Se superiore, l’azienda riceve un rimborso fisso di 1100 euro. Una mensilità in più, rimborsata al 50% dallo Stato, comporta per un’impresa un incremento del costo del lavoro di almeno il 3% (la metà di un tredicesimo). Il costo è più alto per le retribuzioni superiori ai 2200 euro mensili, dato che il rimborso è inferiore alla metà della mensilità netta. Quindi l’onere per l’impresa è di mezza mensilità netta per stipendi fino a 2200 euro netti, di più per stipendi maggiori. Tutt’altro che irrilevante.
Ma soprattutto, se per qualche motivo una impresa volesse aumentare la remunerazione dei propri lavoratori, nulla le impedisce già adesso di farlo. Certo, non beneficerebbe del rimborso del 50% della proposta di Azione; ma invece di una intera mensilità potrebbe dare mezza mensilità extra; il lavoratore dipendente dovrebbe pagare tasse e contributi invece che zero. Ma sarebbe sempre meglio di niente. Eppure non c’è notizia di nessuna azienda che volontariamente si offra di aumentare il proprio costo del lavoro di almeno il 3%, e men che meno un evento di questo tipo è probabile in un momento in cui le imprese soffrono l’impennata dei prezzi dell’energia.
Il costo della proposta per lo Stato dipende dal tasso di adesione. Se, come crediamo, sarà basso, la misura costerà poco, ma sarà anche inefficace. Se invece il tasso di adesione fosse elevato il costo della misura sarebbe tutt’altro che irrilevante. Ad esempio se il 50% delle imprese aderissero e fossero rappresentative del totale delle imprese italiane, il costo sarebbedi poco meno di 6 miliardi perlo Stato e 6 miliardi e mezzo per le imprese.
Passiamo alla proposta del Pd. A pagina 18 il programma recita: «Vogliamo aumentare gli stipendi netti fino a una mensilità in più, con l’introduzione progressiva di una franchigia da 1.000 euro sui contributi Inps a carico dei lavoratori dipendenti e assimilati (a invarianza di computo ai fini pensionistici)». Il contributo Inps a carico del lavoratore è del 9,19%. Se applicata a tutti i lavoratori dipendenti, la misura costerebbe tantissimo: secondo i nostri calcoli su dati del 2019 (quelli del 2020 non sono rappresentativi a causa della pandemia e quelli del 2021 non sono ancora interamente disponibili) 16 miliardi e mezzo, Il Pd propone di finanziare la misura con i proventi dalla lotta all’evasione contemplati nel Pnrr, circa 12 miliardi. Probabilmente lo sconto si dovrà quindi applicare solo al di sotto di un certo livello di reddito. Inoltre i 12 miliardi recuperabili dall’evasione secondo il Pnrr si materializzeranno nel giro di un quinquennio. Questo presumibilmente spiega «l’introduzione progressiva» della misura. Tutto ciò naturalmente assumendo che il recupero dell’evasione avvenga realmente, e che non venga “utilizzato” per finanziare altre misure.
C’è poi un problema più sottile ma fondamentale. Chi percepisce effettivamente la riduzione di una tassa non è necessariamente il soggetto che paga quella tassa: in altre parole, l’incidenza effettiva di una tassa non è necessariamente quella nominale. In genere, con il tempo circa il 90% delle riduzioni delle tasse sul lavoro viene appropriato dal datore di lavoro e solo il 10% va al lavoratore.
È apprezzabile che i partiti si preoccupino delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti soprattutto in un periodo di alta inflazione. Ma ci sono modi meno costosi e più realistici per sostenere le retribuzioni dei lavoratori. Lo si può fare vietando nei fatti e non solo nelle parole le clausole contrattuali che impediscono ai lavoratori poco pagati di cambiare impresa; introducendo un salario minimo orario per legge (e non lasciandolo alla contrattazione!) che valga per tutti i lavoratori e che sia da questi riconoscibile; assicurandosi che i contratti collettivi vengano rinnovati per tempo con una legge sulla rappresentanza.
Sono tutti modi di sostenere le retribuzioni dei lavoratori dipendenti senza gravare sulle casse dello Stato. Eppure nessun programma li prende in considerazione.