Corriere della Sera, 29 agosto 2022
Le sentenze di John McEnroe
Sei personaggi in cerca d’autore («Mai visto uno Slam così aperto»), il lungo addio di Serena Williams (in campo già stanotte contro la montenegrina Kovinic), Rafa Nadal con la testa a Maiorca (la moglie Xisca è stata ricoverata per complicazioni della gravidanza), Nole Djokovic con il corpo a Belgrado (no vaccinazione, no party: alibi e polemiche stanno a zero), il riscatto degli italiani a New York. Scatta l’Open Usa, ultimo Slam stagionale: con il grande ex John McEnroe (al Wsj ha confessato di aver ricevuto anni fa da Donald Trump un’offerta da un milione di dollari per sfidare Serena in una «battaglia dei sessi»), volto di Warner Bros Discovery Sports, in collegamento zoom da Manhattan, i temi non mancano.
John, che eredità lascia Serena?
«Sarà ricordata come la più grande atleta donna di ogni tempo e di ogni sport. Serena è al livello di Michael Jordan, Tom Brady, per certi versi Muhammad Ali. Per il tennis Serena è ciò che Tiger Woods è stato per il golf: una rivoluzionaria. No, non la vedo commentatrice alla tv come me, men che meno coach. Sarà d’ispirazione per le nuove generazioni di giocatrici nel suo ruolo di madre e business woman».
Un’altra icona sembra sull’orlo del ritiro: Roger Federer. Quale potrebbe essere l’addio da favola di una carriera da favola, secondo lei?
«Le dico come andrà, per come la vedo io: Roger torna alla Laver Cup, a fine settembre a Londra, e poi dice addio a Basilea, il torneo di casa. La fine perfetta non esiste. Io non ho voluto tournée d’addio: un taglio netto – zac – arrivederci e grazie. Ma c’è chi ama farsi la doccia con i selfie, i regali, gli applausi, non ci sarebbe niente di male se Roger si regalasse nel 2023 un’altra stagione nel circuito. E chi sono io per sconsigliare il più bel tennista che abbia mai visto giocare in vita mia?».
A Wimbledon, quest’anno, solo per essere comparso in borghese sul centrale, è venuto giù lo stadio.
«C’ero, lo ricordo bene. A Federer l’amore, in giro per il mondo, non mancherà mai».
Chi vince l’Open Usa, John?
«Nadal a parte, che torna da un infortunio e la cui forma è tutta da verificare, vedo una rosa di nomi. Medvedev, il campione in carica. Alcaraz, che ha incassato qualche sconfitta ma, my God, è un grande atleta con il fuoco dentro. L’imprevedibile Kyrgios. Fritz sta giocando proprio bene. E il vostro Sinner: lo dico da anni, per me Jannik è un plurivincitore Slam. La transizione tra Big 3 e Next Gen si sta rivelando più lenta del previsto, io vedo un futuro simile al tennis femminile: un re diverso per ogni Slam. D’altronde una straordinaria terna come Nadal, Djokovic e Federer, capaci di vincere così tanto contemporaneamente, non ci sarà mai più».
L’ultima volta che ci siamo parlati, lei era tra i candidati al ruolo di super coach di Sinner. Da Wimbledon, con Jannik, lavora Cahill: cosa può portare di nuovo nel suo tennis?
«Fiducia ed esperienza, inoltre Darren è un bravissimo tecnico. Vedo Jannik cresciuto fisicamente, più alto, forse ha qualche problema di adattamento alle nuove dimensioni, è capitato anche ai miei figli quando erano al college. Ma non dubito che Cahill, per quanto la più ovvia, sia stata anche una scelta giusta per Sinner».
In Italia non esistono le mezze misure: quando vince Jannik è Gesù bambino, quando perde dovrebbe ritirarsi a 21 anni.
«Gli do un consiglio: la smetta di leggere i commenti sui social! A Wimbledon Jannik ha fatto un salto di qualità. Ha poco da rimproverarsi: quando Djokovic sale così di livello, non c’è niente da fare. Jannik è un cantiere aperto: vediamo cosa succede nei prossimi sei mesi, intanto deve consolidarsi come top 10».
Alle qualificazioni dell’Open Usa hanno partecipato 18 azzurri: cosa sta succedendo al tennis italiano dal suo punto di vista?
«È il traino dell’esempio di Sinner e Berrettini, più Musetti che però deve dimostrare di essere competitivo anche sul veloce. Poi c’è la passione degli appassionati italiani: mi ricordo bene quando giocavo a Milano e Roma, i tifosi li sentivo dentro il campo con me! Matteo è stato penalizzato dal Covid a Londra e dalla fine della classifica protetta per la pandemia. Non so se a New York giocherà libero da fastidi. In questo momento Jannik ha superato Matteo: è lui il più vicino a vincere un Major. Ma le cose possono cambiare molto in fretta».
Perché tanta indignazione per Djokovic non ammesso negli Usa senza vaccinazione, una regola che vale per tutti?
«Lasciarlo fuori è uno scherzo che non fa ridere! Ha le sue convinzioni sui vaccini, vanno rispettate. Ma dopo due anni e mezzo di pandemia l’idea che Novak non possa entrare negli Stati Uniti, per me, è una cavolata solenne».
Nadal a New York punta il 23° Slam e a chiudere l’anno numero 1. Così Djokovic sta perdendo il treno per essere il migliore di ogni tempo?
«Ha ancora senso la rincorsa al migliore di ogni tempo con Rafa, Novak e Roger in giro? E mi fanno ridere i 14enni che pensano al mental coach! Pensa a giocare, ragazzo, il mental coach è bullshit!».