Corriere della Sera, 29 agosto 2022
Intervista ad Adriano Galliani
L’umore non è dei giorni migliori dopo che il Monza, al debutto assoluto in serie A, è ancora a caccia dei primi punti, dopo tre giornate di campionato. Eppure l’avvio balbettante della squadra di Stroppa non toglie serenità e orgoglio ad Adriano Galliani che in prossimità del compleanno del club ancora festeggia lo storico risultato della promozione. «Mi ricordo quando nel gennaio del 2019 ero in tribuna a Meda per il derby con il Renate. 5 gradi sottozero e una ventina di spettatori allo stadio. Ma io che nutrivo l’ossessione di portare il Monza in A ero consapevole che la strada per arrivarci passasse anche da quei campi di provincia di Lega Pro. Ora affrontare la trasferta a Roma è un motivo di vanto». L’1 settembre il Monza compirà 110 anni di storia «di cui 70 posso dire di averli vissuti in prima persona in vesti differenti» racconta Galliani. Sul libro di Mondadori Electa che celebra i 110 anni di storia del Monza, in uscita l’1 settembre a Milano e in Brianza, si intrecciano le due esistenze.
Perché il manager che ha conquistato 29 trofei con il Milan, si commuove in maniera così liberatoria a Pisa nella notte della promozione?
«Dovete capire che il legame con questa società ha radici lontane. Ho iniziato a seguire il Monza da bambino quando avevo 5 anni: mia mamma, Annamaria, mi ha trasmesso la passione. Era parente dell’avvocato Gaetano Ciceri, in quegli anni presidente del club. Lavorava nel suo studio e in un’epoca in cui le donne non si interessavano molto al calcio lei mi portava allo stadio. L’ho persa quando ancora non avevo compiuto 15 anni e lei nemmeno 40. È stato un dolore enorme, condurre il Monza in A è stato personalmente la chiusura di un cerchio».
Ha fatto pazzie per questo club?
«Da ragazzino, poiché ero scarso a giocare a pallone, quando mi chiedevano cosa avrei voluto fare da grande io rispondevo “il presidente del Monza”. Potrei raccontare mille storie sulle trasferte affrontate negli anni Sessanta. Mi ricordo il viaggio per raggiungere Firenze sulla Porrettana per uno spareggio salvezza. Si parte su un bus scalcagnato alle 4 del mattino, arriviamo a Firenze quando la partita è già sul secondo tempo. Finisce 0-0, ci salviamo e ci rimettiamo in moto per essere di nuovo a Monza alle 4 del mattino».
L’acquisto del Monza da parte della Fininvest è stata la più grande dimostrazione di amicizia di Silvio Berlusconi nei suoi confronti?
«Certamente è stato un importante riconoscimento. Del resto Silvio Berlusconi è a conoscenza del mio legame viscerale con il Monza dal primo celebre incontro dell’1 novembre del 1979 ad Arcore quando il presidente rilevò il 50% di Elettronica Industriale, la mia azienda. Prima di firmare posi una condizione: avrei acconsentito a installare ripetitori su tutta la penisola a patto di tornare nel fine settimana a seguire anche in trasferta il Monza: acconsentì. Quanto all’acquisto del Monza, il Dottore si è convinto perché si tratta della squadra che rappresenta il territorio dove risiede. Se gli avessi proposto di rilevare un altro club non mi avrebbe assecondato. Poi la città è anche nel suo cuore: il 25 settembre si candiderà a Monza all’uninominale del Senato».
Non teme di rovinare la sua immagine di vincente con un’avventura sportiva meno prestigiosa?
«Intanto non sono un manager solo calcistico. Nella mia vita ho fatto l’imprenditore, ho lavorato in Mediaset, in Fininvest. Il calcio è la mia passione».
Tra le attività non ha nominato la politica.
«Il presidente aveva già provato nel 1994 a candidarmi, ma all’epoca declinai: da ad del Milan sarei stato divisivo. Mi ha convinto nel 2018 perché era il periodo di stacco fra l’addio al Milan e l’inizio dell’avventura al Monza».
Con una vittoria del centro destra, accetterebbe il ministero dello Sport?
«No, il Monza è il mio ultimo ballo».
Nella bacheca dei successi ottenuti, che posto assegna alla promozione in serie A ?
«È l’impresa più grande che abbiamo realizzato, lo ripeto spesso al presidente. Abbiamo preso una società che cinque anni fa era in D e l’abbiamo portata in A. Il Milan, prima del nostro avvento, aveva già vinto due Coppe Campioni. Delle venti squadre di A noi siamo l’unica a parteciparvi per la prima volta».
La salvezza a fine anno sarebbe un obiettivo riduttivo?
«Ma no, le statistiche dicono che in genere retrocedono quasi 2 squadre su 3 delle neopromosse. La A è un altro sport rispetto alla B».
Li appende sempre i suoi slogan motivazionali?
«Sì, l’ultimo è: “Abbiamo impiegato 110 anni per andare in serie A, non possiamo impiegare 12 mesi per tornare in serie B”».
Avete abdicato al sogno Icardi?
«Il grande campione a cui avevamo pensato che, come ha raccontato nei giorni scorsi il presidente, ha declinato l’offerta, è Dybala. Avevo invitato gli agenti a casa mia, ma il giocatore preferiva un club che disputa le coppe».
Dal Milan al Monza: sono cambiati i suoi colloqui con il presidente sul calcio?
«No sono rimasti gli stessi, è il calcio ad essersi trasformato. I diritti tv hanno stravolto le gerarchie: in Italia vengono venduti per 1,2 miliardi, in Inghilterra per 4. In particolare all’estero noi vendiamo i diritti per 200 milioni, la Premier per due miliardi. Senza contare che gli altri hanno costruito stadi nuovi e noi siamo rimasti indietro. Faccio un esempio: se andrà bene, il Monza fatturerà 50 milioni di euro. Una neo-promossa inglese 250 milioni di sterline».
La diverte sempre il mercato?
«Sì ma rispetto a trent’anni fa il meccanismo di promozioni e retrocessioni fa sballare i conti. Su venti squadre, quattro vanno in Champions accedendo a una grande fetta di risorse (la Uefa mette a disposizione 2 miliardi per 32 club), due in Europa League dove gli introiti sono inferiori, una in Conference, dieci si salvano e tre retrocedono. Per evitare di scivolare in B vedendo scomparire il 70% del fatturato si spende più di quello che si potrebbe. E con il fair play finanziario la forbice si allargherà ulteriormente: come sta accadendo nella società, scomparirà la classe media, esisteranno solo i ricchissimi e i poveri».
Con che animo si avvicina alle sfide con il Milan?
«Il cuore di certo è rimasto molto rossonero. Ma intanto prevale la gioia di condurre il Monza a San Siro quando prima i derby erano con il Seregno, la Giana, la Pro Sesto».
In breve la sua storia.
«C’era un paesanello che si occupava di una piccola società, poi si trasferisce nella grande città dove ottiene successi e alla fine torna nel paesello natio».