Corriere della Sera, 29 agosto 2022
Biografia di Maurizia Cacciatori raccontata da lei stessa
M aurizia Cacciatori, con una donna non si dovrebbe mai parlare di età. Ma nel suo caso, nel 2023, è in arrivo una certa scadenza...
«I cinquant’anni, intendete? Non ci penso. Ho sempre dichiarato con serenità la mia età: non ho paura del tempo che passa, temo di più come lo seguo. Si avvicinino pure i 50: sono orgogliosa e realizzata. Con il volley ho smesso a 33 anni, la vita è fatta di cicli e io volevo una famiglia».
Ora è speaker motivazionale e parla alla platea delle aziende.
«La mia è la storia di chi ci prova, ci mette la faccia, cade e si rialza. Le aziende dovrebbero essere dei team straordinari: molte lo sono, tante no. Quindi affronto temi come leadership, valore del gruppo, gestione dei cambiamenti».
Lei ha detto: «Le coppe si vincono in allenamento».
«E si ritirano in gara. Quello che ho conquistato l’ho vinto giorno dopo giorno, partendo dal lunedì e meritandomi il posto in squadra».
Maurizia Cacciatori e Francesca Piccinini, simboli di un’era del volley. Chi è stata più iconica?
«Non saprei. Francesca ha giocato più a lungo di me, però io sono arrivata prima: l’ho vista diventare donna. Ero una sorella maggiore? Sono stata una compagna che ha aiutato una giovane a inserirsi. Poi lei è stata straordinaria».
Mai uno screzio tra di voi?
«Mai, a parte le discussioni su qualche giocata: ciascuna aveva il suo mondo. Se dovessi indicare con chi non andavo d’accordo, farei una lista lunga. Ma la “Franci” non c’è. Ho avuto una compagna discreta e dai bei modi, mi è piaciuta come persona e ancora oggi ci sentiamo».
Francesca nel 2002 ha vinto un Mondiale dal quale lei è stata esclusa. Ha perdonato Marco Bonitta, il c.t. che non la volle?
«Ora lo ringrazio. Vedevo tutto con occhi diversi: andavo agli Europei, ai Mondiali, ai Giochi, mai ero in discussione. Quando fui lasciata a casa, in modo inatteso, ho capito che si è in equilibrio tra momenti esaltanti e cadute».
Qualche anno dopo la squadra si ribellò e Bonitta fu sostituito.
«Marco aveva avuto atteggiamenti duri e le giocatrici avevano reagito. Le mie ex compagne sono state coraggiose».
A Sydney 2000 siete state ribattezzate le «veline» di Frigoni, il c.t. dei Giochi.
«Era la nostra prima Olimpiade, avevamo fatto mille sacrifici: sentire quelle cose ci ha fatto arrabbiare. Oggi, ripensandoci, me ne infischio, ma all’epoca non avevamo la saggezza per lasciar correre».
Le piacerebbe essere nella Nazionale di oggi?
«Poco. Primo: è il momento di queste ragazze, se lo godano. Secondo: penso alla famiglia e a quello che devo fare. Però invidio la palleggiatrice che alza per giocatrici dal talento immenso».
Paola Egonu è una stella: eppure non si parla troppo di lei e poco delle altre?
«Paola è un esempio, per come gioca, per come si apre alle persone. I fari sono su di lei, ma le altre dovrebbero avere il coraggio di esporsi: vestire l’azzurro comporta una responsabilità in termini di comunicazione».
Torniamo alla sua Nazionale. Un bel giorno arrivò Julio Velasco e cambiarono molte cose.
«Julio proveniva dai trionfi con gli uomini, noi eravamo preoccupate di non essere all’altezza. Velasco non ha migliorato la tecnica ma l’anima della squadra: ci ha liberato da alibi, insicurezze, dinamiche perdenti».
Vi ha anche abituato a non essere schizzinose a tavola.
«In una trasferta ci servirono la lingua di bue. Sorridemmo, per dimostrarci disponibili al “salto culturale”. Però in camera tirammo fuori il salame portato dall’Italia. Ai miei figli, peraltro, ho insegnato a mangiare tutto: la lezione di Julio resta valida».
Era considerata la «pin up» del volley: orgoglio o fastidio?
«L’estetica non mi interessa, né in me né nel prossimo. Negli uomini ho preferito l’originalità. Ho sempre considerato limitato chi la metteva sul bello o sul brutto. E mi domandavo: perché non si scrive qualcosa di più intelligente?».
È vero che da bambina convinceva i fratelli a cedere i loro bomboloni dicendo che li avrebbe piantati nel giardino per far crescere un albero, rivisitazione della storia degli zecchini d’oro di Pinocchio?
«Verissimo. Amo i bomboloni fritti con lo zucchero. Mamma aveva il braccino corto: li comperava a ogni morte di Papa. Quando li acquistava finivo velocemente il mio e gabbavo i fratelli, più giovani e pronti a fidarsi della “capitana”. Dicevo, appunto, che li avrei messi sotto la terra e che sarebbe cresciuto l’albero: invece li mangiavo. L’albero lo aspettano ancora oggi».
La sua vita sentimentale: turbolenta?
«Turbolenta? Non direi, ho avuto solo 4-5 uomini. Ma tosti e di personalità».
La vicenda delle nozze annullate con Gianmarco Pozzecco a una decina di giorni dall’altare rimane il «top».
«A Gianmarco, al quale voglio ancora un mondo di bene, ho salvato la vita».
A suo tempo il Poz commentò: «Siamo stati due deficienti».
«Nonostante gli anni assieme, quel matrimonio non andava fatto. Eravamo divertenti, buffi, spiritosi, ma quando si parla di famiglia le cose cambiano. Oggi riconosco, con Francesco Orsini, sposato nel 2014 e lui pure ex cestista, di avere un marito spettacolare. Siamo una bella coppia, anche se io sono una carrarina di marmo e lui un livornese di scoglio».
I doni delle nozze mancate furono restituite.
«Con vari errori: c’è chi aveva mandato una lampada e si è ritrovato un vaso. Qualcuno nemmeno ha avuto indietro il regalo: una figura».
Nei giorni di Sydney si diceva che Maurizia Cacciatori fosse concupita dagli hockeisti argentini e dallo spadista Paolo Milanoli.
«Bufale pure queste. Paolo è un amico ed è straordinario: ma stare con lui, proprio no. Quanto agli argentini, nemmeno conoscevo il loro sport. Purtroppo al rientro è scoppiato un casino con il Poz: gli ho dovuto dare mille spiegazioni, non si convinceva. Ma avevo le compagne come testimoni».
Dopo le nozze saltate con Pozzecco, nel 2005 ha sposato il cestista spagnolo Santiago Toledo.
«Sono stati quattro anni meravigliosi, la separazione è dipesa da motivi personali. Rimangono rispetto e amicizia, un giorno gli presenterò i miei figli».
Figli che si chiamano Carlos e Ines: la Spagna è nel cuore.
«Abbiamo anche una casa a Palma di Maiorca, dove ho concluso la carriera. Voglio che i ragazzi conoscano questo Paese, non restare solo a Livorno è un regalo per la loro crescita. Gli spagnoli hanno una leggerezza di cui a volte ho bisogno. E Palma è accogliente, cosmopolita».
Wendy Buffon, sorella di Gigi, è una persona per lei centrale.
«È la compagna che ha cominciato con me a Perugia, dove condividevamo casa, scuola e viaggi, perdendo un sacco di treni perché sbagliavamo le coincidenze. È la classica persona che quando rivedi dopo tanto tempo capisci che non se n’è mai andata».
Lei ha detto: «Diventando mamma, ho rivisto il rapporto con i genitori».
«Un figlio dà tutto per scontato e non vede ciò che fanno un padre e una madre».
Due figli super-sportivi. Come i genitori. E come nonno Franco, ex portiere di calcio.
«Carlos fa pure il triathlon, ma ama stare in porta più di ogni altra cosa, anche se Francesco l’ha avvicinato al basket: se la cava bene. Ines gioca a volley ed è formidabile. A differenza del fratello, che esce di casa alle 6.30 per la preparazione atletica, è tranquilla: gioca perché trova le amiche. Però ha entusiasmo».
La mamma ex pallavolista butta un occhio agli allenamenti?
«Solo a volte. Mi sento in imbarazzo, l’allenatrice mi guarda un po’ così, come se fossi lì per dire qualcosa».
Di nuovo una sua frase: «Io, Gianmarco Pozzecco e Andrea Meneghin siamo tre geni mancati della Normale di Pisa».
«Andrea, amicone del Poz e a Varese compagno di squadra, è un’altra persona che stimo. Ci sentivamo liberi, di cavolate ne abbiamo combinate – una volta Poz e Menego tirarono le noccioline ad Alberto Sordi e io, da buona alzatrice del volley, indirizzavo la mira —, qua e là si è litigato, ma siamo stati puri e veri: gli atleti devono scatenare emozioni e passioni».
È anche quello che si chiede al Pozzecco c.t. del basket.
«Farà bene perché saprà valorizzare i giovani. C’è bisogno di trascinare i ragazzi di oggi, non concordo con chi li vede spenti e tristi: hanno un potenziale enorme».
Ha scritto «Senza Rete», un libro che non fa sconti.
«Parlo poco di volley, è stato un modo per rivedere la mia vita e per pensare ai figli. Quando sono arrivati i cartoni con i volumi, ho detto a Ines: “Qui c’è il mio profumo”. Ne ha aperto uno e ha obiettato: “Mamma, io non lo sento”».
Maurizia all’«Isola dei Famosi».
«Un’esperienza di anni fa. Ero curiosa e sicura che sarebbe stata splendida: ho avuto ragione».
Ha partecipato pure a un film, «Maschi contro femmine».
«Una presenza di pochi minuti, ho dato il peggio di me. Ho accettato per il cast fantastico e perché si parlava di volley, però ho mandato in tilt il regista: mi vergognavo e non mi sentivo a mio agio. Poi avevo un herpes terribile: le povere truccatrici hanno fatto gli straordinari».
C’è chi teme il decadimento fisico. Lei?
«Ho più paura di chi, a 50 anni, spera di avere sempre il volto di una ventenne. Ogni ruga racconta quello che sei stata».