Corriere della Sera, 29 agosto 2022
In Libia a vuoto la spallata dei filo-Haftar
La auto carbonizzate e gli edifici crivellati dai proiettili sono i segni evidenti lasciati dai combattimenti forsennati di sabato a Tripoli quando le forze del governo della Cirenaica di Fathi Bishaga, vicine al generale Khalifa Haftar, hanno tentato di prendere il controllo della capitale ed esautorare il governo, riconosciuto internazionalmente, del premier Abdulhamid Dbeibah. Il bilancio degli scontri è molto pesante: 32 morti e 159 feriti.
Ieri nella capitale si respirava una relativa calma, i netturbini ripulivano le strade da vetri, detriti e bossoli di munizioni mentre il traffico tornava alla normalità e l’aeroporto riprendeva a funzionare. Oggi è prevista la riapertura delle scuole e la ripresa degli esami di maturità. Ma in molti si chiedono se la scintilla di sabato non possa portare a un conflitto più ampio tra i due fronti dopo mesi di stallo in una nazione che sarebbe dovuta andare al voto per eleggere il presidente alla fine del 2021.
Per la terza volta il tentativo di Bishaga di prendere il potere è fallito e questo potrebbe avere un peso sul futuro dell’ex ministro dell’Interno, anche per l’alto costo di vite umane negli scontri. «Dbaibah sembra più solido ora di quanto non fosse 48 ore fa» ha detto alla Reutersl’analista Jalel Harchaoui. Quali saranno le prossime mosse del generale Haftar? E quale ruolo avranno i Paesi che appoggiano il governo di Tobruk (Russia, Egitto, Francia)?
Ieri le Nazioni Unite hanno esortato «le parti libiche a impegnarsi in un vero dialogo per risolvere l’attuale impasse politica». Ma, secondo fonti libiche, appare improbabile una ripresa delle trattative.
È dalla caduta di Muammar Gheddafi nel 2011 che la Libia non ha pace, dal 2014 il Paese è diviso tra la fazione occidentale e quella orientale, a questo si aggiunge la volontà recente della Russia di esacerbare la litigiosità interna per bloccare l’export di gas e petrolio verso l’Europa. Dopo il riavvio della produzione in Cirenaica ora si temono nuove chiusure.