Robinson, 27 agosto 2022
Che cosa resta di James Dean
La sua stagione di luce è durata poco più di un anno, dal 27 maggio 1954 al 30 settembre 1955, da quando arrivò sul set deLa valle dell’Eden, al momento in cui, poco dopo l’ultima ripresa de Il gigante, a un incrocio tra Los Angeles e Salinas, una Ford Tutor guidata da uno studente coetaneo centrò la sua Porsche 550 Spider chiamata “piccolo bastardo”, ammazzandolo sul colpo. James Dean aveva 24 anni e otto mesi, in quei 500 giorni aveva interpretato tre film, ma fu la sua morte giovane a renderlo immortale. Lo disse allora anche Humphrey Bogart: «Si lascia alle spalle una leggenda, se fosse vissuto non sarebbe stato in grado di continuare a essere all’altezza della sua fama». Prima della sua morte soloLa valle dell’Eden era arrivato nelle sale, e infatti la sua leggenda si affermò poco dopo, con l’uscita del suo secondo e poi celeberrimo Rebel without a cause, per noiGioventù bruciata.
Hollywood aveva finalmente scoperto gli adolescenti, ma anche loro avevano percepito il disordine di questa stagione breve e difficile della vita, non capiti, isolati, spaventati. Elia Kazan e Nicolas Ray, al tempo di star come Marlon Brando, Montgomery Clift, Rock Hudson, ultratrentenni e perciò vecchi per le parti, scelsero pericolosamente per i loro due importanti film il semisconosciuto ragazzo irrequieto, sfacciato, presuntuoso, ma con la giusta fisicità di un minorenne e una voglia pazza di recitare. I due film girati quasi contemporaneamente raccontano storie ispirate a romanzoni americani (Steinbeck, Ferber) in cui il disagio giovanile si rivolge alla famiglia, mamme credute morte e invece ricche maitresse, oppure villanissime col marito, padri distanti e punitivi oppure fragili e sottomessi. La scelta è premiata, Dean è bello con begli occhi azzurri e un sorriso gentile, capelli sempre a posto, bei maglioni beige oppure jeans e giubbotto rosso, è davvero bravo, bacia con timidezza, balbetta e si muove come ha imparato all’Actors Studio, improvvisa, con soddisfazione di Kazan ma non degli altri attori, ballando in un campo di fagioli, avvolgendosi in un golf, abbracciando il padre da cui invece dovrebbe fuggire. Erano davvero così i giovani di allora? Forse no, ma sono quelli di James Dean e quindi incancellabili, ricordo di una America bigotta, di una classe borghese che non sembra razzista solo perché non si vedono neri, i cui giovani si uniscono in bande violente e suicide per gioco, corrono in moto, le ragazze caste ma inquiete.
La nuova improvvisa star aveva tutte le ragioni per essere un ribelle: nasce in un piccolo centro industriale dell’Indiana l’8 febbraio 1931, famiglia disagiata che in cerca di una vita migliore si sposta a Santa Monica in California quando lui ha sei anni. Ne ha nove quando la mamma muore e il padre lo rispedisce nel paese di origine da una zia e si risposa. Il ragazzino studia, protetto da un pastore metodista che forse approfitta di lui (lo racconterà all’amica Elizabeth Taylor) che non fa una piega perché ha già capito come va il mondo per uno che pare non essere fortunato; a 18 anni sa già che vuole fare l’attore e si iscrive alla facoltà di arti drammatiche di Los Angeles, disobbedendo al padre di cui evidentemente non riconosce l’autorità come faranno invece i suoi personaggi. Fa comparsate in televisione e nella pubblicità, a teatro si è già fatto notare in piccole parti ma soprattutto in quella di un perfido arabo gay nella versione dall’Immoralista di Gide, ma anche per il caratteraccio: per un rimprovero del regista pianta il lavoro e se ne va.
Le sue ambizioni sono già adulte e grandiose, la sua rabbia giovane lo ha fatto forte e combattivo, capace di ogni compromesso e prezzo per arrivare dove ha deciso deve essere il suo posto nel mondo, Hollywood, e il suo futuro, diventare una star. Eppure, appena arrivato, subito non gli basta, e ha già trovato una nuova passione, un nuovo mondo da conquistare, quello delle gare automobilistiche che con le macchine giuste, una Porsche 356 e una Triumph T110, ha già cominciato a vincere. E anche questo diventerà una immagine di giovinezza, la velocità, la sfida, il rischio. Marco Giovannini autore diJames Dean, il mito della gioventù bruciata tra storia e leggenda
(2005), ricorda di aver deciso di scriverlo dopo aver visto, a cinquant’anni dalla morte, che almeno lì, a Santa Monica, l’attore era ancora vivo, ricordato ovunque da souvenir, incontri, spettacoli: ripercorrendo i luoghi della sua vita e parlando con chi l’aveva conosciuto, ne ha rintracciato l’idea del suo futuro, per esempio il progetto, restando a Hollywood, di diventare regista e girare subito la cineversione del Piccolo principe di Saint-Exupéry. Che delle parti di bel ragazzino sregolato Dean si sia subito stancato lo conferma il ruolo di Jett Rink che accetta neIl gigante, e che il suo agente gli ha sconsigliato. È un filmone diretto da George Stevens che racconta di allevatori di mucche e petrolieri texani, tutti miliardari, protagonisti una Elizabeth Taylor stupenda e brava e un Rock Hudson massiccio e molto macho. Jett ha un ruolo importante ma secondario, quello di un antipatico dipendente ignorante che diventerà ricchissimo e potente, e Dean nella prima parte nasconderà sempre la bella faccia sotto il cappello da cowboy e nella seconda sarà truccato da odioso anziano bofonchiante, capelli grigi, baffetti, occhialini scuri: sinceramente, un po’ ridicolo. Un errore, ma anche una presa di distanze dal divismo tanto cercato e diventato troppo facile.
Per due soli film, o forse uno solo,Gioventù bruciata, James Dean è stato evocato e rimpianto, studiato, raccontato per decenni, ma forse oggi quella lunga nostalgia si sta spegnendo, e resiste solo l’ultima generazione adulta che ancora legge e scrive saggi su di lui, ne noleggia i film, ne visualizza le storie; perché gli adolescenti oggi hanno altre distrazioni e altre inquietudini, si lamentano ma non si ribellano, e si bruciano «in una febbre non di azione ma di consumo di idee altrui aggiungendone di proprie e imbecilli in un progressivo delirio narcisistico », come scrive Goffredo Fofi ne Il secolo dei giovani e il mito di James Dean (2020). E poi ricorda che «in un’epoca senza causa e senza ribellione» c’è però una nuova grande prospettiva «che ha il volto della piccola Greta ecologista ». Nei film del tuttora fascinoso Dean c’è grande amore adolescente che si limita a bacetti che appena sfiorano le labbra: non un abbraccio, non una toccatina, nonun lembo di nudo, non ovviamente sesso. E non so cosa potrebbero pensare i quindicenni di oggi, cui la mamma regala i preservativi, se maschi, o porta dal ginecologo per istruirle se femmine. Nella vita Dean non aveva mai avuto problemi di quel tipo, nei milioni di parole che sono state scritte sulla sua sessualità, si apprende solo che lo impegnava come può impegnare un giovane, cioè molto e con molta promiscuità: era etero, era bisessuale, era solo gay, o come sosteneva il giornalista Joe Hyams «usava il sesso professionalmente, come un mezzo per affrettare la sua carriera». Neanche ventenne, portava a letto compagne e compagni dell’accademia, attrici di teatro più o meno sue coetanee, pare fosse vero amore quello con l’angelica Anna Maria Pierangeli, attrice italiana impegnata nel polpettone americano Il calice d’argento, costretta dalla madre a lasciarlo e a sposare il cantante Vic Damone. Lui ci rimase molto male, lei dopo il divorzio, tornò in Italia, sposò il musicista Armando Trovajoli e a 39 anni morì per una overdose di barbiturici.
Kazan nella sua autobiografia scrive che era impossibile che le donne piacessero a Dean, ma anche che casualmente aveva sentito la Pierangeli e lui fare l’amore molto rumorosamente in un camerino. Ebbe anche un flirt con Ursula Andress ma sono tanti gli omosessuali che dopo la sua morte si dichiararono suoi amanti. Del resto lo stesso Jimmy non l’aveva mai nascosto, terrorizzando la sua casa di produzione che era impegnata a inventargli fidanzate come del resto ai tanti attori gay costringendoli addirittura a sposarsi come il povero Rock Hudson. Ci volle una decina di anni perché gli omosessuali si ribellassero e scegliessero il coming out, ma non il cinema che continuò a ignorarli per molto tempo.
James Dean, che comunque è la massima icona gay, avrebbe qualcosa da insegnare anche agli adolescenti di oggi, liberi di dirsi e di fare e almeno, in America, di sposarsi (qui ci sono le unioni civili, che è sempre meglio di niente o di vivere in Iran dove vige ancora la pena di morte); ma tuttora molto lamentosi, non parliamo se trans. In tempi in cui gli omosessuali non dovevano esistere, Dean non si nascondeva, non negava, addirittura si esibiva, faceva insomma quello che gli pareva. Forse perché non si poteva, invece adesso non solo si può, è doveroso, e questo intralcia la libertà.