Specchio, 28 agosto 2022
Vladimir Luxuria e l’estate del 2000
«Nel 2000 non c’era ancora l’acronimo Lgbtq+ ma se fosse stato possibile io oltre alle varie sigle ci avrei messo anche una "E" di etero, come etero solidale perché furono tantissimi gli eterosessuali nostri amici, colleghi di lavoro e parenti che si unirono al World Pride. Quello fu un Pride che consolidò la presenza di tanti eterosessuali che hanno capito che una società giusta è quella dove i diritti sono per tutti, altrimenti sono privilegi. Una società in cui un eterosessuale che si può sposare si chiede perché io sì e voi no». Vladimir Luxuria, prima parlamentare transessuale in Europa, rievoca il coloratissimo Pride del 2000 quando l’alba dei diritti per tutti sembrava arrivata.
Come è andata?
«Era l’anno del Giubileo e quello è stato il primo Pride mondiale che si è tenuto in Italia. L’idea è venuta a me e a Imma Battaglia, stavamo mangiando una pizza, lamentandoci che quell’anno si sarebbe parlato solo del Giubileo. Organizziamo un Giubigayo? La proposta fu accolta da tutte le organizzazioni europee e mondiali».
Con grande scandalo del cardinal Ruini che chiese al governo di vietarlo.
«All’inizio ci furono tantissime polemiche, Ruini chiese a Giuliano Amato che era a palazzo Chigi di proibirlo e il capo del governo fece un clamoroso scivolone rispondendo che non poteva farlo perché "purtroppo" c’è la Costituzione. Davvero uno scivolone».
La Chiesa usò parole durissime e organizzò il Family day.
«Sì, sembrava che dovesse arrivare l’anticristo. Ma poi dopo la manifestazione che è stata colorata e divertente le polemiche si sono diradate. E poi in piazza c’erano tantissime famiglie con bambini e forse si è cominciato a capire che ci sono tante persone che magari il giorno dopo vanno a messa ma sfilano con noi. Io ero la direttrice artistica del Pride e per me è stato un anno di grande visibilità internazionale. C’era molta attenzione mediatica. Al Pride c’erano anche Vendola e Bertinotti. All’epoca Rifondazione ebbe il coraggio di metterci la faccia».
Lei è andata negli anni a manifestare a Budapest e a Mosca. In contesti dove la comunità Lgbtq+ è perseguitata.
«Ho fatto dei Pride più tranquilli per esempio a Londra nel 2006 invitata da Ken Livingstone, il sindaco rosso. Però la mia indole mi spinge ad andare in posti più difficili. Nel 2007 sono stata al primo Pride in un paese musulmano, a Istanbul dove eravamo pochi, però ci dettero la possibilità di manifestare cosa che oggi non sarebbe possibile. Poi sono stata a Mosca dove il più famoso attivista Nikolay Alexeyev chiese a me e a Marco Cappato di andare per fare un po’ da scudo ai militanti. Vennero anche altri parlamentari europei. Il sindaco di Mosca parlò di una manifestazione demoniaca e quello fu davvero un corteo funebre più che un Pride. Eravamo tutti in giacca e cravatta. Ricordo le vecchiette ortodosse fondamentaliste che arrivarono con dei panieri. Io pensavo che ci stessero portando degli omaggi invece ci cominciarono a bersagliare con le uova. Poi arrivarono dei nazionalisti, degli skinhead con i coltelli. Ho avuto davvero paura».
La polizia non vi ha difeso?
«Arrivarono dei poliziotti antisommossa e francamente non riuscivamo a capire la differenza tra skinhead e poliziotti. Io fui ospitata dall’ambasciata italiana. Non contenta di quella esperienza sono tornata in Russia a Sochi per le Olimpiadi invernali dopo la legge di Putin contro la propaganda che vieta di parlare di omosessualità per non "convertire" i bambini. Mi presentai allo stadio pieno di bambini con una bandiera enorme con scritto in cirillico Gay è ok e anche lì mi hanno trattenuto. L’anno scorso invece sono andata a Budapest dopo le leggi liberticide di Orban».
Il 2000 è stato un anno pieno di speranze.
«Ci eravamo illusi che nel 2001 avremmo festeggiato al Pride i diritti conquistati. In realtà anche i Pride di quest’anno sono per rivendicare e non per festeggiare il matrimonio egalitario, una legge contro l’omotransfobia, il riconoscimento delle famiglie arcobaleno, l’omogenitorialità. A me fa ridere Giorgia Meloni che va in Spagna a dire siamo contro le lobby. In Italia se ci fossero le lobby avremmo avuto i diritti invece abbiamo avuto delle logge».
Però anche questa volta la legge Zan contro l’omotransfobia non è passata. E intanto Cloe Bianco si è tolta la vita.
«È stato terribile. Si può sospendere e togliere la cattedra a una persona anche se ha un ottimo curriculum solo perché si è presentata in abiti femminili. Qualcuno ha detto che non andava bene perché l’ha fatto tutto troppo velocemente: non è vero perché Cloe aveva atteggiamenti femminili e metteva lo smalto. Ma poi chi può decidere come una persona deve fare coming out? Adesso sento che il ministero dell’Istruzione ha avvito un’indagine ma sindacati e ministero avrebbero dovuto fare qualcosa prima. Una persona si è tolta la vita perché le è stato tolto il lavoro, la dignità e la possibilità di sentirsi inserita socialmente. Per le persone trans c’è un problema enorme di accesso al lavoro. Cominciamo a vedere trans infermiere, che lavorano allo sportello bancario ma c’è ancora tanto pregiudizio l’ossessione transfobica cozza con il concetto di meritocrazia».