La Stampa, 28 agosto 2022
Si discute di leva e naja
Era il 23 agosto 2004 e il Parlamento approvava a larghissima maggioranza la legge Martino, che sospendeva la leva obbligatoria. Una rivoluzione, se si considera che la leva obbligatoria maschile era stata una delle prime grandi novità del nuovo Stato unitario fin dal 1861. Con la nascita della Repubblica, e l’avvio di una lunga stagione di pace che per l’Italia dura tuttora, la naja era poi divenuta l’incubo dei diciottenni. Eppure c’è chi la rimpiange.
Matteo Salvini l’ha inserita nel suo programma elettorale: un servizio sotto le armi su base regionale o provinciale, per apprendere basilari nozioni salvavita, antincendio, e soprattutto «regole e buona educazione per diventare buoni cittadini». Già, perché lo scopo ultimo di Salvini sarebbe di «combattere il fenomeno delle baby gang», e quindi affidarsi alle forze armate dove hanno fallito scuola e famiglie.
Il leghista si fa forte di un sondaggio secondo cui la maggioranza degli italiani (ma le percentuali cambiano drasticamente se ad essere intervistati sono i giovani o gli anziani) sarebbe favorevole al ripristino della leva, e meglio se paritaria per uomini e per donne. A Salvini, però, non interessa minimamente l’aspetto militare della questione, quanto una educazione civica sui generis. «Reintrodurre il servizio militare insegnerebbe un po’ di educazione e rispetto ai ragazzi. Sarebbe un annetto ben speso». Guarda caso, anche il presidente Macron, che rispetto a Salvini è come dire il diavolo e l’acqua santa, ha in testa qualcosa di simile; lì si dovrebbe chiamare Servizio nazionale universale, un breve periodo obbligatorio per i cittadini e le cittadine da vivere in caserma, specie i giovani delle periferie metropolitane, così distante dalle istituzioni e dalle regole.
Ora, curiosamente ma non tanto, il primo a rispondere picche all’alleato leghista è stato Silvio Berlusconi, rivendicando all’opposto la fine della leva obbligatoria. «È per questo i giovani dovrebbero votarci».
Sul tema si getta a capofitto anche Giuseppe Conte, presidente del M5S: «Voi giovani pensavate che il problema fosse la disoccupazione, il precariato, i mutui alle stelle. Per Salvini il problema è che non c’è più la leva obbligatoria, la vuole reintrodurre e quindi tutti voi in fila a far di nuovo il militare per un anno». Peraltro, aggiunge Conte, «gli amici di Salvini e Meloni in Polonia si sono mossi in tale direzione: hanno introdotto obbligatoriamente nelle scuole l’insegnamento della disciplina militare e dell’uso delle armi, un progetto è in controtendenza rispetto alle istanze degli esperti: gli eserciti moderni non hanno bisogno di quantità ma di qualità, di sempre maggiore professionalità del personale».
Di tornare indietro, in effetti, non se ne parla. Giorgio Mulé è un sottosegretario alla Difesa, di Forza Italia: «Rifare la leva non si può. Non abbiamo più le strutture, le caserme, la logistica per accogliere formare addestrare e armare decine di migliaia di ragazzi. Ormai abbiamo un esercito diverso, professionale, basato su volontari». Quello che si potrebbe fare, secondo Mulé, è ispirarsi al modello israeliano: «Un servizio civile o militare di qualche mese, volontario, spalmato su più richiami nel corso di 6 anni. Avremmo così una riserva che potrebbe affiancarsi ai professionisti anche nelle missioni all’estero».
Ma questa è già tutta un’altra storia. Salvini parla di 12 mesi di leva, neanche i pochi mesi della mini-naja che Ignazio La Russa volle sperimentare nel 2015. «Se si guarda alle esperienze europee – dice un analista, Giovanni Martinelli – solo pochi Paesi hanno conservato la leva obbligatoria e sono quelli che non sottovalutano il rischio di un vicino potente e prepotente. Così è per Cipro e Grecia che si confrontano con la Turchia. Oppure i Paesi baltici, i Nordici, la Polonia, che non hanno mai dimenticato chi è la Russia». All’elenco vanno aggiunti Austria e Germania, ma qui la leva obbligatoria è ridimensionata e si affianca a un esercito di professionisti. E poi c’è la Svizzera, che difende da sempre la sua neutralità con un esercito di popolo.
Conclusioni del generale Giorgio Battisti, presidente della Commissione Militare del Comitato Atlantico Italiano: «Le mutate esigenze di sicurezza in ambito internazionale impongono interventi per la stabilizzazione di regioni caratterizzate da profonde crisi interne in modo sempre più complesso. Questo ha reso necessario il passaggio a una organizzazione di soli militari volontari che hanno scelto consapevolmente e liberamente il mestiere delle armi. Servono reparti costituiti da professionisti, addestrati ad agire nei più disparati scenari, utilizzando equipaggiamenti sempre più sofisticati».