la Repubblica, 27 agosto 2022
Parla Alberta Ferretti
«Ma è di Alberta», esclama un personaggio del film di Özpetek Mine vaganti rivolto ad Alba (Nicole Grimaudo), nella scena in cui lei ha deciso di mettersi in eleganza per conquistare il ragazzo che le piace, e perciò ha indossato un abito giallo sole dalla gonna a corolla. Il legame di Alberta Ferretti con il cinema si vedrà anche a Venezia, dove vestirà Rocío Muñoz Morales, madrina della 79esima Mostra internazionale d’arte cinematografica della Biennale, alternandosi nel compito con Giorgio Armani. Ferretti è una delle imprenditrici italiane più note al mondo, Cavaliere del Lavoro, ha fondato nel 1980 con il fratello Massimo la società Aeffe di cui è vicepresidente e che oltre alla sua, produce le linee Philosophy, Moschino e Pollini.
Siamo a San Giovanni in Marignano, provincia di Rimini, a pochi chilometri dalle spiagge di Cattolica mentre intorno si alzano le prime colline, che si intravedono dalle finestre della sua azienda tecnologicamente avanzata, dove circa 1500 dipendenti realizzano prototipi destinati a essere poi serializzati «ma sempre con qualcosa di artigianale che restituisca la bellezza del fatto a mano». Tunica e pantaloni in chiffon blu, il suo tessuto preferito tanto da averla fatta soprannominare dalla stampa straniera “la regina dello chiffon”, ci conduce attraverso le grandi sale dove i computer che fanno disegni 3D si alternano al lavoro di mani sapienti. La sua passione per il cinema, racconta, ha radici solide e ben piantate nel tempo. «Ero una bambina testarda e mia madre mi costringeva a vedere film neorealisti, tipo Ossessione di Visconti. C’era sempre una scena in cui gli amanti si ricomponevano dopo chissà che cosa, io all’epoca non capivo: così vedevo Anna Magnani che sulla sottoveste si metteva una vestaglietta sbiadita e strillavo: ma non stava meglio prima? Perché nascondere quel bel raso lucente che metteva in risalto le forme? È da lì che è nato il mio stile». Uno stile che ha cominciato ad avere fan anche tra le dive diHollywood, sedotte da quelle nuvole fluttuanti di stoffe lievi che seguono il movimento, sfacciatamente sexy. «Diciamo: modernamente romantiche», suggerisce Alberta Ferretti. E così sia.
La prima a chiederle un abito per il red carpet è stata Uma Thurman nel 2000, per cui la stilista studia per la serata degli Oscar un peplo scarlatto, consacrato da un sondaggio del Daily Telegraph come uno degli abiti più belli di sempre. Hollywood, Cannes, Venezia, ma anche Sanremo – dove collabora con Noemi – e Torino, per l’Eurovision Song Contest, dove racchiude Laura Pausini in una conchiglia di raso porpora. «Sono abiti praticamente fatti su misura, che richiedono alcune prove: questo crea con molte celebrity che siamo abituati a vederle distanti e altere, un’atmosfera d’amicizia e di familiarità. Anche se poi mi emoziono sempre». E vai con Nicole Kidman che le chiede al telefono consigli, Beyoncé, Sharon Stone, Jane Fonda, Julia Roberts, Sandra Bullock. E, non ultima, Angelina Jolie che è stata paparazzata ad agosto in una passeggiata romana (città dove sta girando il suo film Without Blood ) in abito lungo color sabbia, pantaloni a vita alta e borsa coordinata. Ma ci sarà qualcuna a cui si è affezionata? «Mi è rimasta impressa Meryl Streep. Nel 2009, alla serata degli Oscar dove aveva una nomination per Mamma mia!, mi fece chiamare per tutte le mise che avrebbe dovuto indossare. Ci incontrammo a New York, io ero con la mia sarta Maria. Arrivò nel mio atelier puntualissima, alle 8,30. Sola: niente bodyguard, niente amiche, niente corte di adulatori. Parlammo a lungo e quando la sarta fece le ultime rifiniture all’abito, lei la guardò e in italiano le disse: Grazie, Maria. Si era ricordata il suo nome. Credo che Maria non si sia più ripresa», sorride. Cos’ha imparato da queste star? «Che più sei autenticamente capace e professionista, meno hai bisogno di tirartela». E loro, cos’hanno imparato da lei? «Da me? Scherza? Forse hanno conosciuto un pezzetto di Made in Italy».
Sincera: quanto sono importanti queste ambassador le cui immagini vengono poi diffuse all’infinito su ogni medium e su ogni social? «Moltissimo, inutile nasconderlo. Da un lato agiscono sul lato più fiabesco che tutte abbiamo, dall’altro si accende il desiderio su quel brand intorno a cui si creerà una community che non potrà magari permettersi i vestiti creati per questi eventi, ma ne condividerà i valori. Non sono contraria alla tecnologia, se usata con criterio e soprattutto con onestà: persone come le star, potendo indossare abiti, accessori e gioielli di chi vogliono, sceglieranno i nostri capi solo se davvero si sentiranno a loro agio, perché sono loro a cercare noi, non il contrario. Anche in un mondo che sembra evanescente e impalpabile come quello del flusso delle mille immagini in cui siamo immersi, alla fine vince sempre la qualità, l’onestà, la coerenza». Ci sembra parecchio realista. «In realtà sono una grande sognatrice ma i sogni sono fatti per essere realizzati, no? E sa chi la pensava come me? Un altro romagnolo, Federico Fellini. Un sognatore di sostanza».